Cantastorie, Pittore E Artista Di “Culto”. Otis Gibbs – Hoosier National

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Otis Gibbs – Hoosier National – Wanamaker Recording Company – CD – LP – Download

Questo signore è un cliente abituale di queste pagine virtuali fin dal lontano 2010, nel Bog abbiamo recensito i suoi dischi a partire da Joe Hill’s Ashes, e poi in seguito Harder Than Hammered Hell, Souvenirs Of A Misspent Youth, sino al più recente Mount Renraw https://discoclub.myblog.it/2017/02/22/un-grande-narratore-alt-country-da-salotto-otis-gibbs-mount-renraw/ . Stiamo parlando del barbuto Otis Gibbs (un tipo che potrebbe essere benissimo il quarto componente dei texani ZZ Top), pittore, fotografo ed ecologista convinto, oltre che narratore e artista di culto nell’ambito country, più o meno alternativo, che torna con questo nuovo lavoro Hoosier National, un disco completamente elettrico, dove per la prima volta suona una vecchia chitarra Les Paul con corde di grosso calibro, collegata ad un amplificatore Princeton Tuxedo del ’63, particolare non indifferente nello sviluppo delle storie che compongono questo grintoso concept album in stile roots-rock.

Per questo ennesimo capitolo della sua saga, il buon Otis si avvale come è consuetudine del suo ristretto giro di eccellenti musicisti, a partire dal chitarrista Thomm Jutz (Nanci Griffith, Mary Gauthier), il batterista Lynn Williams (Delbert McClinton, Wallflowers), Mark Fain al basso (uno che ha lavorato con Tom Petty, John Fogerty e Ry Cooder), e il pianista Jen Gunderman (Sheryl Crow, Jayhawks), ma su tutto spicca la sua voce che negli anni è diventata sempre più roca e sofferta. Le storie si aprono con una Nine Foot Problem dal passo tipico dei folksinger americani, a cui fanno seguito i sei minuti di Panhead, un bel groove blues che mi ricorda l’ultimo Steve Earle, mentre Sons And Daughters viaggia su una buona ritmica con il suono di una chitarra potente. Il racconto prosegue con l’incantevole Lord Open Road dal complesso spirito narrativo (si racconta l’omicidio di un certo James H.Langford avvenuto nel lontano 1981), un brano quasi recitativo cantato e suonato in perfetto stile Dirty Blvd del grande Lou Reed (era nell’album New York (89), per poi passare ad un brano molto rootsy come Fountain Square Stare, con un riff e una melodia trascinante, rispolverare il blues paludoso alla Tony Joe White di Mid Century Modem e a seguire un altro ritratto di vita reale come Bill Traylor (storia della vita di un afro-americano in Alabama), cantata da Gibbs con la grazia e il cuore di un vecchio bluesman.

Le storie volgono alla fine con il sincopato riff chitarristico, alla Keith Richards, di una trascinante Blood, per poi cambiare ancora genere con il gioioso country di Ten Minutes (G.A.R. Reprise), e andare a chiudere il percorso con la solita ballata commovente, una Faithful Friend dal feeling universale che ricorda il duo Mellencamp/Springsteen, su un bel tessuto musicale di tastiere e chitarre. Negli ultimi 18 anni Otis Gibbs ha pubblicato alcuni dischi straordinari (i primi tre soprattutto), ma questo ultimo lavoro Hoosier National contrassegnato da una svolta più elettrica (chitarra elettrica, basso e percussioni) potrebbe nel tempo diventare il suo CD migliore. Negli anni Otis Gibbs è stato paragonato a molti (forse troppi) musicisti, a partire da Woody Guthrie,Johnny Cash, Steve Earle, Guthrie Thomas (un altro assolutamente da riscoprire), JJ Cale, il Tom Waits più oscuro, mentre musicalmente è certamente possibile cogliere rimandi a Bruce Springsteen, e per quello che vale, credetemi, non c’è un brano debole in tutto lo sviluppo di questo splendido album roots-rock.

Per quanto riguarda la sua attività musicale, Gibbs rimane un grande narratore musicista itinerante che sa scrivere canzoni accattivanti e avvincenti, che porta la sua musica in giro per il mondo, suonando ovunque possa farlo, rimanendo volutamente fuori dallo “showbiz”, e ciò lo porta a essere un musicista di culto, ma con un fascino che molti artisti sopravvalutati neanche sfiorano. Alla fine la filosofia musicale di Otis è quella di cantare storie, a chi ha voglia di sentirle. Se lo ascoltate, difficile che possiate pentirvene.

NDT: Come al solito il CD è di difficile reperibilità, comunque lo si può acquistare sul suo sito, anche se le spese di spedizione dagli Usa sono molto salate!

Tino Montanari

Un Grande Narratore Alt-Country “Da Salotto”! Otis Gibbs – Mount Renraw

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Otis Gibbs – Mount Renraw – Wanamaker Recording Company

Questo signore, Otis Gibbs (cantautore dell’Indiana, ma anche fotografo e pittore), da qualche anno è stato “sponsorizzato, ”sia dal sottoscritto e prima dall’amico Bruno, su queste pagine, con le recensioni dei precedenti lavori Joe Hill’s Ashes (10) http://discoclub.myblog.it/2010/04/06/le-ceneri-di-joe-hill-otis-gbbs/ , Harder Than Hammered Hell (12) http://discoclub.myblog.it/2012/03/21/dopo-joe-hill-s-ashes-il-nuovo-album-di-otis-gibbs-harder-th/ , e il più recente ottimo Souvenirs Of A Misspent Youth (14), trovando una certa “nicchia” di lettori interessati http://discoclub.myblog.it/2014/08/02/ricordi-gioventu-hobo-otis-gibbs-souvenirs-of-misspent-youth/ . Il buon Otis, in occasione del suo 50° compleanno, ha pensato di registrare nel suo salotto di casa questo nuovo lavoro Mount Renraw (dal nome della località dove è avvenuto il tutto), invitando solamente i suoi fidati “pards” Thomm Jutz alle chitarre e Justin Moses al violino, con il tecnico del suono Alex McCollough, e con la presenza rassicurante della compagna Amy Lashley, per un album molto intimo, con la scarna strumentazione (violino e chitarra) appena ricordata, per una musica comunque sempre di qualità e con testi (come di consueto) intelligenti.

I “festeggiamenti” casalinghi si aprono con l’iniziale Ed’s Blues (Survival), dove la voce è quella solita roca e sofferta, accompagnata dal sublime violino di Moses, mentre la seguente Bison (un triste racconto sullo sterminio dei bisonti), sembra rubata dal repertorio del compianto Johnny Cash, passando per la narrazione di una epica Great American Roadside, raccontando storie vere come Sputnik Monroe (mitico lottatore americano di Memphis), un brano che piacerà sicuramente al buon Billy Bragg, e chiudere la prima parte con la bella ballata Empire Hole, dove la voce di Otis scalda cuore e anima.

Dopo una fetta di torta e del buon vino californiano, la combriccola “festaiola” riparte con la dolce melodia di Blues For Diablo, sulle note di uno straziante violino, il folk-blues “dylaniano” di 800 Miles, per poi passare ad una scarna e tenue Copper Colored Fools, scritta con la sua amata compagna di vita Amy Lashley, entrare nuovamente nella sua sfera personale con Kathleen (il suo primo amore di gioventù), per poi passare alle atmosfere “Appalachiane/Irlandesi” di una struggente Lucy Parsons, e chiudere con il bilancio dei suoi primi cinquant’anni con una country-ballad riflessiva come Wide Awake. Seguendo il percorso di “songwriters” come Woody Guthrie, Pete Seeger e Phil Ochs, i testi di Gibbs come sempre sono diretti ed espliciti con sfumature politiche che raccontano di “losers” e disperati, sia in questo Mount Renraw come in tutte le sue precedenti raccolte.

Otis Gibbs (per chi scrive) è un magnifico narratore di storie, un vero “folksinger” (ed è fiero di esserlo) che non vuole innovare, ma solo proporre la sua musica, un personaggio che scrive canzoni meravigliose, cantandole con una voce aspra e vera come poche (a tratti ricorda quella di Steve Earle), perfetta per le sue ballate dal suono “rurale”, su tematiche che si riscontrano attraversando l’America. Questo autentico outsider vive da anni in cima ad una grande collina dalle parti di Nashville, con vicini di casa artisti, scrittori e soprattutto “disadattati”, un “lupo solitario” che se avrete la costanza di cercare e ascoltare i suoi dischi vi incanterà, e mi auguro, anche se ho forti dubbi, che questo ultimo lavoro Mount Renraw, lo possa portare all’attenzione di un pubblico appena più ampio, un giusto riconoscimento che il suo talento merita!

Tino Montanari

Ricordi Di Gioventù Di Un “Hobo”! Otis Gibbs – Souvenirs Of A Misspent Youth

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* NDB Un breve “cappello” prima di lasciarvi alla recensione del buon Tino. Ogni tanto mi piace prendermi qualche merito, sia pure marginale e destinato ad una ristretta cerchia di appassionati. Credo di essere stato il primo in Italia ( anche se non ne sono certo al 100%, mi pare) a parlare di Otis Gibbs, o per dirla alla Pippo Baudo “questo l’ho scoperto io, l’ho scoperto io!”, come potete rilevare da questo Post del 2010 http://discoclub.myblog.it/2010/04/06/le-ceneri-di-joe-hill-otis-gbbs/.

Otis Gibbs – Souvenirs Of A Misspent Youth – Wanamaker Recording Company

Purtroppo in pochi conoscono Otis Gibbs, pure se il suo nome si sta facendo strada (anche per merito del titolare di questo blog), tramite il passaparola fra gli appassionati della buona musica https://www.youtube.com/watch?v=TJp8o1Sp4VM . Dopo tre dischi assolutamente indipendenti (e introvabili) 49th And Melancholy (02), Once I Dreamed Of Christmas (03), One Day Our Whispers (04), al quarto tentativo con Grandpa Walked A Picketline (08) il corpulento e buon Otis è riuscito finalmente ad ottenere l’attenzione degli addetti ai lavori, facendo ancora meglio con i successivi Joe Hill’s Ashes (10) e Harder Than Hammered Hell (12) http://discoclub.myblog.it/2012/03/21/dopo-joe-hill-s-ashes-il-nuovo-album-di-otis-gibbs-harder-th/ , per giungere ora a questo settimo album della serie, Souvenirs Of A Misspent Youth,  l’occasione ideale per il musicista, e anche fotografo, di Wanamaker, Indiana (ora residente a Nashville) di far conoscere la sua musica, e uscire finalmente da quella “nicchia” che lo vede in compagnia di tanti altri bravi e sottovalutati “songwriters” americani (per citarne uno per tutti, Chris Kinght).

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Otis Gibbs è un classico esponente dell’America rurale, e le dieci canzoni di questa raccolta sono come sempre storie di vita vissuta, ricordi di famiglia e esperienze di gioventù, raccontate con la sua voce asciutta e profonda, che si ispira musicalmente alla grande tradizione americana dei Guthrie. Ad accompagnarlo in questo viaggio di “ricordi di gioventù sprecati”, oltre a Otis, alla voce e chitarra, troviamo il co-produttore Thomm Jutz alla chitarre, Mark Fain al basso, Justin Moses al banjo e violino, Fats Kaplin (autore di buoni lavori con Kevin Welch e Kieran Kane) alla pedal-steel e violino, Paul Griffith alla batteria, e Amy Lashley, sua compagna e valida autrice in proprio, alle armonie vocali, senza dimenticarsi la parte meritoria dei “fans” che hanno permesso di finanziare una buona fetta di questo progetto.

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I ricordi di Otis iniziano con l’intro di ottanta secondi di un violino “appalachiano” in Cuzmina, storia di una tempesta di neve affrontata con i pastori nomadi sui monti Carpazi della Romania, mentre la seguente Ghosts Of Our Fathers è una bellissima “story song” (sulla perdita di un suo vicino di casa nella guerra del Vietnam) sorretta da chitarre e violino https://www.youtube.com/watch?v=Tc4zWf7AnGU , passando per un brano radiofonico come Back In My Day Blues e due storie di “perdenti”,  raccontate con arrangiamento bluegrass in It Was A Train e The Darker Side Of Me, con la pedal-steel di Kaplin (uno dei migliori strumentisti di Nashville) e il banjo di Moses in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=sulwOnz8eX4 . Con la “rootsy” No Rust On My Spade, Gibbs si ricorda dei dieci anni trascorsi a piantare alberi (oltre 7.000), mentre la pista seguente Wrong Side Of  Gallatin è un valzer a ritmo di country firmato dalla compagna Amy Lashley, a cui fanno seguito Nancy Barnett che ricorda la Gallo Del Cielo del grande Tom Russell, e il lento country-blues di Kokomo Bar, con il suono di una batteria spazzolata e di una dolce pedal-steel (ricordo di una ragazza seduta al tavolo ad aspettare un uomo, che forse non arriverà mai), andando a chiudere un lavoro affascinante con una sontuosa ballata “noir” come With A Gun In My Hand, cantata con la sua voce intrisa di sigarette e whisky.

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Sulla vita di Otis Gibbs si potrebbe tranquillamente scrivere un romanzo, un personaggio unico, la cui storia piuttosto travagliata da anni lo porta instancabilmente in giro per il mondo, suonando dove è possibile, un “vagabondo” con la chitarra acustica in spalla che viaggia tra l’America e l’Europa, e vive alla giornata raccontando la sua vita di“hobo”.  Gibbs pubblica questo nuovo Souvenirs Of A Misspent Youth, che si candida (per chi scrive) ad essere quanto di meglio in circolazione per gli amanti di quel cantautorato americano che ha strette connessioni con il folk: una bella voce che richiama molto un altro grande autore di cui colpevolmente ho perso le tracce (Guthrie Thomas), un autentico “outsider”, praticante l’arte del perdente, che continua a vivere e lottare insieme a noi, che scrive ballate semplici, cantandole con una voce aspra e vera come poche, per un album di grande impatto emotivo, il lavoro di un cantastorie originale che forse renderà il nostro mondo un posto migliore e più giusto in cui vivere, perché l’universo musicale ha dannatamente bisogno di personaggi come Otis Gibbs, da aggiungere nei nostri scaffali vicino alla lista dei nuovi “fuorilegge”.

Tino Montanari  

Dopo Joe Hill’s Ashes Il Nuovo Album Di Otis Gibbs – Harder Than Hammered Hell

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Otis Gibbs – Harder Than Hammered Hell – Wanamaker Records 2012

“Quelli” come Otis Gibbs saranno sempre bene accetti in questo Blog: bravi ma conosciuti solo tra i “carbonari” della musica, coloro che oltre ad apprezzare quello che ci propone l’industria discografica ufficiale sono sempre alla ricerca dei cosiddetti “belli ma perdenti” (Oddio, bello…), personaggi minori ma di grande talento che popolano la scena indipendente americana. Credo di essere stato uno dei primi in Italia a parlare di Gibbs e qui potete leggere se volete le-ceneri-di-joe-hill-otis-gbbs.html il piacere per la scoperta di un nuovo talento.

In questi due anni è uscito anche un secondo album solista della sua “fidanzata storica” e collaboratrice musicale Amy Lashley Travels Of A Homebody, del quale Gibbs simpaticamente e onestamente dice (come anche per i propri CD) che i proventi delle vendite verranno utilizzati per “tenerci un tetto sopra la testa”. La coppia, quando non è in tour in giro per l’America e il mondo, vive in quel di Nashville ma nell’ala Est non quella del country tradizionale ma di quello alternativo e dei “talenti veri”. Perchè in fondo, se vogliamo, il nostro amico fa della musica country, sia pure con mille sfumature mai troppo smaccatamente inquadrato nei parametri ma lì siamo. Ci sono poi molte sfaccettature che contribuiscono al complesso della sua musica: la voce grave e “rasposa”, reduce da mille battaglie ma piena di un fascino e una capacità melodica rare anche tra i suoi colleghi migliori, una scrittura semplice ma raffinata che ingloba tra le sue influenze “nascoste” il boom chicka boom di Johnny Cash, lo swamp rock delle paludi dei Creedence, la musica “americana” della Band, le capacità melodiche di Bob Seger, le piccole storie dell’America che non ce la fa mi ci prova di Greg Brown come pure di Steve Earle. Almeno, questo è quello che ci vede e ci sente il sottoscritto, ognuno è libero di inserire le proprie impressioni ma il “cuore” della musica mi sembra definito da questi parametri musicali e poetici.  

Per questo nuovo capitolo della sua saga Otis Gibbs si è affidato come di consueto al suo ristretto circolo di collaboratori: Thomm Jutz, chitarre e tastiere, nonché produttore ed ingegnere del suono, Mark Fain al basso e Paul Griffith alla batteria, oltre alla già citata Amy Lashley, seconda voce e armonie vocali, pochi ma buoni, un manipolo di prodi per regalarci ancora una volta un album dai sapori sapidi e gustosi. Potremmo aggiungere il collega Adam Carroll che ha collaborato alla stesura di un brano come Big Whiskers che è una sorta di brano “apocrifo” di Johnny Cash, una canzone che potrebbe essere stata scrittta dopo la morte e inviata telepaticamente a Gibbs, tanto ricorda il meglio del repertorio dell’Uomo in Nero. Ma ci sono anche le belle melodie di una ballata dolce e malinconica come l’iniziale Never Enough o l’inno ai perdenti ma mai sconfitti di Made To Break, altra perla di alternative country della più bell’acqua e per la quale è stato girato anche un video.

Nei vari brani la chitarra di Jutz è capace di estrarre dal cappello (questa volta niente cilindro, semplice berretto) piccoli interventi solisti, coloriture e arrangiamenti mai scontati e sempre efficaci. Broke And Restless è un brano che non avrebbe sfigurato in qualsiasi album di Seger o Levon Helm o dello Steve Earle più ispirato mentre Don’t Worry Kid è una canzone sui ricordi di un’infanzia, magari non troppo felice, nell’essere “diversi”, non omologati a quanto ti succede intorno, con gusti differenti, nella vita e nella musica, e questo si percepisce anche nell’interplay tra le voci di Otis e Amy con le chitarre e la sezione ritmica molto felpati, in una sorta di quadretto delizioso di un’America che sta scomparendo (forse).

Christ Number Three è un brano dalla struttura musicale molto vicina alla Band dei primi anni, quella per intenderci di canzoni leggendarie come The Weight, lo spirito è quello e il risultato è eccellente. Detroit Steel e la successiva Dear Misery hanno un groove e un suono chitarristico che ricorda il drive da bayou dei brani più “paludosi” dei Creedence. Second Best è country puro alla Willie Nelson cantato però con un vocione glabro e vissuto più tipico di altri Highwaymen, deliziose e misurate come sempre le armonie di Amy Lashley. Finale uptempo con la breve e dylaniana Blues For Mackenzie tra country e canzone d’autore, un po’ come tutto l’album, in fondo. Per chi apprezza i cantautori di “culto”, ricco di talento e povero di mezzi. Vi avviso che si fatica non poco a trovare i suoi album, eventualmente provate sul sito http://otisgibbs.com/

Bruno Conti