L’Erba (Tagliata) Del Vicino E’ Sempre Più…Blu! Sturgill Simpson – Cuttin’ Grass Vol. 2

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Sturgill Simpson – Cuttin’ Grass Vol. 2 – High Top Mountain/Thirty Tigers CD

A pochi mesi dal primo volume https://discoclub.myblog.it/2021/01/08/meno-male-che-i-dischi-belli-li-sa-ancora-fare-sturgill-simpson-cuttin-grass-vol-1/  (ma per il download era già disponibile da fine 2020) esce il secondo episodio del progetto Cuttin’ Grass, due album nei quali l’ormai noto singer-songwriter Sturgill Simpson reinterpreta una serie di brani del suo songbook in chiave bluegrass. E quando dico bluegrass intendo il termine nella sua accezione più pura e tradizionale, senza la benché minima traccia di contaminazione rock o di altro genere: Sturgill ha scelto canzoni dal suo passato anche remoto (ma non recente: il pessimo Sound & Fury è ignorato anche in questo secondo volume) e le ha totalmente reinventate secondo i canoni della mountain music di settanta e passa anni fa, con una strumentazione totalmente acustica e con la batteria usata col contagocce.

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Cuttin’ Grass Vol. 2 è quindi il logico prosieguo della prima parte, con gli stessi musicisti (Stuart Duncan al violino, Mark Howard e Tim O’Brien alle chitarre, Mike Bub al basso, Sierra Hull al mandolino, Scott Vestal al banjo e Miles Miller alle percussioni, e tutti quanti alle armonie vocali) ma diversa location di registrazione: se infatti il primo episodio era stato inciso ai piccoli Butcher Shoppe Studios di Nashville, per il seguito la combriccola si è spostata ai Cowboy Arms Studios, che erano di proprietà del grande Cowboy Jack Clement e di recente sono stati trasferiti ad un nuovo indirizzo ma sempre a Nashville. L’album, assolutamente gradevole e suonato benissimo così come il precedente, vede Simpson omaggiare soltanto due album della sua discografia, arrotondando il tutto come vedremo a breve con un inedito assoluto e due “quasi”: il disco a cui attinge maggiormente con sei pezzi su dodici è A Sailor’s Guide To Earth del 2016, con canzoni che se originariamente riflettevano il mood soul-pop-errebi di quel lavoro, qui si trasformano in perfette bluegrass songs, tra pezzi suonati a velocità supersonica con assoli a raffica (Call To Armshttps://www.youtube.com/watch?v=P7VYILfhh3w , brani cadenzati tra country e folk (Brace For Impact, la deliziosa Sea Stories, e la vibrante Keep It Between The Lines, dalla struttura melodica contemporanea) e limpide e cristalline ballate dal sapore bucolico (Oh Sarah, dal ritmo comunque sostenuto, e Welcome To Earth (Polliwog), lenta e struggente ma con una notevole accelerata dalla metà in avanti).

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Dal suo primo album, High Top Mountain, Sturgill riprende tre canzoni: le bellissime Hero e You Can Have The Crown https://www.youtube.com/watch?v=gRk4-sIaL7Y , che mantengono la struttura country originale anche se in veste “unplugged”, e Some Days, energica nel ritmo e dal motivo diretto ed immediato. Ci sono anche due pezzi risalenti al periodo dei Sunday Valley, la prima band del nostro che però non ha lasciato testimonianze su disco: Jesus Boogie, che a dispetto del titolo inizia come uno slow decisamente suggestivo, salvo poi crescere nel ritmo dopo un minuto grazie al banjo che dà il via alle danze, e la fulgida country ballad Tennessee https://www.youtube.com/watch?v=bo8DDMFC-9Q . Dulcis in fundo, Simpson propone l’inedita Hobo Cartoon, pezzo scritto insieme nientemeno che a Merle Haggard ma rimasto nei cassetti fino ad oggi, una splendida ed intensa ballata western che ha in ogni nota della toccante melodia i cromosomi del grande Hag https://www.youtube.com/watch?v=85c9-9UBazo . Un ottimo modo per concludere un secondo volume allo stesso livello del primo, e che ci fa sperare ancora di più che Sound & Fury sia stato soltanto un brutto incidente di percorso.

Marco Verdi

Meno Male Che I Dischi Belli Li Sa Ancora Fare! Sturgill Simpson – Cuttin’ Grass Vol. 1

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Sturgill Simpson – Cuttin’ Grass Vol. 1 – High Top Mountain/Thirty Tigers CD

Dire che Sturgill Simpson, dopo gli esordi con i Sunday Valley (con i quali comunque non ha mai pubblicato alcunché), ha avuto una carriera qualitativamente altalenante è usare un eufemismo. Infatti dopo i primi due ottimi album di puro Outlaw Country il musicista del Kentucky ha spiazzato un po’ tutti nel 2016 con A Sailor’s Guide To Earth, nel quale deviava decisamente verso un pop-errebi dal suono fine anni sessanta, un lavoro più sulla falsariga di Anderson East e Nathaniel Rateliff senza però essere a quei livelli. Non un brutto disco, ma una digressione inattesa che poteva far venire qualche dubbio su chi fosse il vero Simpson; le incertezze sono poi cresciute a dismisura nel 2019, quando Sturgill ha pubblicato il pessimo Sound & Fury, un album orripilante a base di hard rock, grunge, dance e rock elettronico che lo aveva ancora più allontanato dai fans della prima ora senza peraltro fargliene acquisire di nuovi https://discoclub.myblog.it/2019/11/08/probabilmente-uno-dei-dischi-piu-brutti-dellanno-sturgill-simpson-sound-fury/ .

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Quest’anno il nostro ha prodotto l’eccellente terzo album di Margo Price, That’s How Rumors Get Started https://discoclub.myblog.it/2020/07/11/nuovi-e-splendidi-album-al-femminile-parte-1-margo-price-thats-how-rumors-get-started/ , e poche settimane fa ha dato alle stampe un po’ a sorpresa un album di puro bluegrass, inciso nei piccoli Butcher Shoppe Studios di Nashville insieme ad un manipolo di accompagnatori noti (Stuart Duncan al violino, Mark Howard e Tim O’Brien alle chitarre, la cantautrice Sierra Hull alla voce e mandolino) e meno noti (Mike Bub al basso, Scott Vestal al banjo e Miles Miller alle percussioni). Cuttin’ Grass Vol. 1 è un disco assolutamente sorprendente, che ci rivela l’ennesimo lato musicale di Sturgill: non si tratta infatti di un album di country music moderna con elementi bluegrass, bensì un lavoro di puro bluegrass al 100%, suonato e cantato come si faceva in mezzo alle montagne circa 60-70 anni fa. E, cosa più importante, il disco risulta bello e credibile, suonato benissimo e cantato in maniera ottima dal leader che dimostra quindi di non avere abbandonato la retta via.

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Non ci sono canzoni nuove in Cuttin’ Grass Vol. 1 (mentre scrivo queste righe è già uscito il secondo volume, ma solo in streaming, per il fisico bisognerà aspettare l’aprile 2021), né brani appartenenti alla tradizione: Simpson infatti ha scelto venti canzoni dai suoi dischi passati (ma niente da Sound & Fury), aggiungendo perfino qualche cosa dei Sunday Valley, e le ha riarrangiate in stile bluegrass facendole sembrare composizioni scritte apposta per questo progetto e dimostrando anche di avere una voce decisamente duttile ed un’attitudine da vero tradizionalista. Nel CD trovano spazio ballate cristalline come All Around You https://www.youtube.com/watch?v=kXGugEWmnSg , Breakers Roar (ariosa e splendida), le nostalgiche I Don’t Mind https://www.youtube.com/watch?v=xYcmf9cRp7A  e I Wonder, il valzer d’altri tempi Old King Coal, la western-oriented Voices e la malinconica Water In A Well.

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Ma soprattutto ci sono brani dal ritmo coinvolgente (sia con che senza le percussioni) e gran dispendio di assoli di chitarre, violino, mandolino e banjo, come All The Pretty Colors, Just Let Go, Life Ain’t Fair And The World Is Mean (deliziosa) https://www.youtube.com/watch?v=HQ2i54in27Q , A Little Light, puro esempio di mountain music con elementi gospel, la super-tradizionale Long White Line (unica non scritta da Sturgill ma da Buford Abner, uno dei padri del bluegrass), che sembra quasi fondersi con la scintillante Living The Dream, Sometimes Wine, che conta su strepitose performance strumentali https://www.youtube.com/watch?v=_oTovhnxDg4 , o pezzi ritmicamente forsennati come Railroad Of Sin e The Storm. Senza tralasciare Time After All e Turtles All The Way Down che hanno due tra le melodie più dirette ed orecchiabili del CD.

Con Cuttin’ Grass Vol. 1 Sturgill Simpson ha dunque dimostrato di essere ancora in grado di dire la sua, anche se questo saltare di palo in frasca non mi lascia del tutto tranquillo per il futuro.

Marco Verdi

Novità Di Ottobre Parte IIb. Trey Anastasio, Benjamin Gibbard, Neil Young, Tame Impala, Beth Nielsen Chapman, A Fine Frenzy, Show Of Hands, Tim O’Brien & Darrell Scott, Blackmore’s Night, Holly Golightly & The Brokeoffs, John McLaughlin, Eccetera

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Riprendiamo l’esame delle uscite discografiche del periodo 9-16 ottobre.

Disco solista per Trey Anastasio, chitarrista e leader dei Phish (dei quali è appena uscito un bel sestuplo CD, Chicago ’94). Il disco si chiama Traveler, viene pubblicato dalla Rubber Jungle distribuz. Ato Records, esce il 16 ottobre, co-prodotto da Peter Katis (Interpol, Jonsi, National) e oltre alla solita band vede la partecipazione di due componenti dei National, Bryan Devendorf e Matt Berninger, il percussionista islandese Samuli Kosminen (che deve essere un oriundo, perché non ha il cognome che finsice per …son), Rob Moose dei Bon Iver e la voce femminile di Kori Gardner dei Mates Of State. Più funky e rock del solito, con parecchi brani anche più canzone che jam, senza dimenticare che pure i Phish in studio sono meno torrenziali che nella dimensione Live. Troviamo, tra gli altri brani, una cover di Clint Eastwood dei Gorillaz. Non male!

Anche Benjamin Gibbard pubblica il suo primo disco da solista, Former Lives per la Barsuk Records. L’ex (?) Death Cab For Cutie aveva già pubblicato nel 2009 un bel disco in coppia con Jay Farrar. I brani raccontano gli ultimi 8 anni della sua vita, dei problemi di alcolismo, la vita sentimentale (è stato sposato 2 anni con Zooey Deschanel, ma si sono già divisi). Il disco mi sembra molto bello, con un suono in bilico tra pop raffinato, roots rock, folk e ballate malinconiche. C’è anche un bel duetto con Aimee Mann, Bigger Than Love. Una delle piacevoli sorprese di questa fine anno, esce la settimana prossima anche in Europa per la City Slang.

A fine mese esce Psychedelic Pill di Neil Young con i Crazy Horse e se ne parlerà molto, con un brano di oltre 27 minuti questa volta Neil si è superato. Nel frattempo negli States per la Sony Pictures, in Blu-Ray e DVD, esce questo Journeys, che è il documentario che gli ha dedicato Jonathan Demme, una novantina di minuti sulla vita del “loner” canadese, ricco però anche di momenti musicali, con un paio di brani inediti tanto per gradire. Ma quante canzoni ha scritto?

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Pubblicato lo scorso 9 ottobre per la Modular Records Lonerism è il secondo album di studio per i Tame Impala. Il trio australiano propone una sorta di pop-rock psichedelico assai interessante e dalle sonorità “moderne”, ma ricco anche di suggestioni anni ’70. Per questo album è stato citato il sound di Todd Rundgren dei primi anni ’70 ed in effetti, a ben sentire, qualche analogia c’è. Comunque sono interessanti. 

Beth Nielsen Chapman è una brava cantautrice americana (con una voce che ricorda Joni Mitchell) di cui mi sono già occupato sul Blog per il precedente album beth-nielsen-chapman-back-to-love.html  di un paio di anni fa, ora sempre per la propria etichetta, la BNC Records, pubblica il suo undicesimo CD, in una carriera più che trentennale. Si chiama The Mighty Sky e nella presentazione del disco, uscito la scorsa settimana in Inghilterra, viene definito “una collezione di canzoni sull’astronomia per bambini di tutte le età”. In effetti i testi del disco sono tutti ispirati a questa scienza, vista come una sorta di metafora per la vita. Da quello che ho potuto sentire il disco ha un suo fascino particolare e si ascolta con molto piacere. In Italia noi ai bambini diamo Antonellina Clerici, altrove riescono a creare qualcosa di più interessante e di qualità.

Anche A Fine Frenzy, al secolo Allison Sudol (chissà perché uno pensa che si chiami A Fine di nome e Frenzy di cognome) ci regala un disco inconsueto, Pines, che proprio di quello tratta: un album che racconta della vita proprio di un pino, anche in questo caso visto come una metafora della decadenza della natura e delle foreste in particolare. Il disco è “strano” ma non più del solito, A Fine Frenzy propone sempre quel suo pop raffinato con elementi elettronici non fastidiosi, illuminato anche da canzoni commerciali, radiofoniche perfino, ma di qualità, con elementi favolistici e un ampio uso del piano in cui la Sudol se la cava alla grande. E il tutto esce il 16 ottobre per una major come la Virgin US EMI, non per nulla i due dischi preedenti erano entrambi entrati nelle classifiche di vendita di vari paesi.

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Molto popolare in Australia dove è attualmente forse la numero uno in assoluto, Kasey Chambers alterna dischi a nome proprio ad altri registrati in coppia con il marito Shane Nicholson, questo nuovo Wreck And Ruin è già uscito down under il 18 settembre ma uscirà per il mercato americano ed europeo il prossimo 23 ottobre. Il disco viene pubblicato dalla Sugar Hill anche in una versione doppia Deluxe ed è proprio bello, country ma ricco di roots rock, una serie di duetti che permettono di gustare la voce della Chambers che a cavallo del secolo aveva pubblicato una sequenza di album con un ottimo riscontro di critica. Non escludo che se ne parli sul Blog, magari l’amico Tino che ha una particolare predilezione per questa cantautrice.

Non mi ricordo se si era già parlato di questo CD (o DVD) dei Blackmore’s Night A Knight In York, che era già stato pubblicato la scorsa estate in Europa (Italia compresa), ma visto che questa settimana esce negli Stati Uniti e il vecchio gruppo del chitarrista inglese festeggia i 40 anni di Machine Head ne approfitto per (ri) segnalarlo. Si tratta della registrazione di un concerto tenutosi nell’autunno del 2011 alla Opera House di York in Inghilterra. La voce, come di consueto, è quella della moglie Candice Knight e lo stile è il particolare folk-rock sognante del duo.

A proposito di folk britannico, un’altra delle formazioni storiche britanniche (oltre ai Bellowhead di cui si parlava nel Post di ieri) è quella degli Show Of Hands, un duo di musicisti poco conosciuto dalle nostre parti ma bravissimi. Steve Knightley e Phil Beer, tra cassette, dischi di studio e dal vivo, compilations e altro, hanno abbondantemente superato i 25 titoli nella loro discografia. Questo Wake The Union che esce oggi per la loro etichetta omonima è l’occasione per ascoltare un folk celtico intriso anche di radici americane e con la partecipazione di una valanga di ospiti: Martin Simpson, Seth Lakeman, Bj Cole, Andy Cutting, Paul Sartin dei Bellowhead e molti altri, tra i quali non manca la contrabassista Miranda Sykes, che è il terzo componente del gruppo e che aggiunge spesso le sue splendide armonie vocali. Se non conoscete già e amate il genere, assolutamente consigliati.

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Tim O’Brien e Darrell Scott stanno registrando un nuovo album di studio che uscirà nei primi mesi del 2013, ma nel frattempo pubblicano questo Live dal titolo autoironico, We’re Usually A Lot BetterThan This, registrato dal vivo in una serie di esibizioni tenute tra il 2005 e il 2006 e pubblicato la scorsa settimana, anche in Europa, dalla Full Light Records. I concerti erano per promuovere il loro precedente disco di studio in coppia ( Real Time, uscito nel 2000), ma anche no, visti gli anni passati. Entrambi sono cantatutori e pluristrumentisti dell’area country/bluegrass, bravissimi e con delle copiose  discografie. Darrell Scott, per i più distratti, era quello che divideva le parti strumentali con Buddy Miller nel disco e nei concerti della Band Of Joy di Robert Plant e Patty Griffin, grande musicista.

Un’altra coppia, più pazzerellona, basta vedere l’abbigliamento sulla copertina del CD, è quella di Holly Golighty & The Brokeoffs. Nonostante lei sia inglese, fanno una sorta di Americana music sgangherata, con elementi alternative rock e in particolare con ampi squarci di melodia e altrettanti di stranezza. Il marito Lawyer Dave si occupa, da solo, principalmente della parte strumentale. Da soli o in coppia, da metà anni ’90 hanno pubblicato all’incirca una trentina di dischi. Forse ho dimenticato di dire il titolo, Someday Run Me Over, etichetta 12Th Street Records, esce oggi 16 ottobre.

Jason Lytle, il vecchio leader dei Grandaddy, dopo una serie di dischi solisti non memorabili esce con questo nuovo album che si intitola Dept Of Disappeareance, sempre per la Anti Records, il 16 ottobre e le critiche non sono state proprio positive, a parte qualche parente o amico. Ma il mondo è bello perché è vario, per cui ognuno è libero di dire quello che vuole, soprattutto i fans, però se vi fidate, state alla larga.

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E con questo trio di chitarristi concludiamo il giro di segnalazioni odierne.

John McLaughlin, anche lui ha compiuto 70 anni quest’anno, è stato, prima con Miles Davis e poi con la sua Mahavishnu Orchestra uno dei fondatori del cosiddetto movimento jazz-rock poi divenuto fusion. Ma già prima aveva suonato nella Graham Bond Organisation con Jack Bruce, Ginger Baker e Dick Heckstall Smith (a proposito, il cofanetto della Repertoire con l’opera omnia del gruppo continua a venire posticipato, ora è previsto per fine ottobre). McLaughlin ha suonato anche con il Tony Williams Lifetime e con gli Shakti ha fuso la musica indiana e il jazz. Per non parlare dei bellissimi dischi in trio acustici con Al Di Meola e Paco De Lucia. Quindi un musicista di quelli super importanti. Da qualche anno, con i bravissimi musicisti dei 4Th Dimension, ha ripreso a fare quel jazz-rock furioso dei tempi d’oro della Mahavishnu Orchestra. Il nuovo album edito in questi giorni dalla Abstract Logix si chiama Now Here This, ed è molto bello, lo sto sentendo in questo periodo perché gli amici della IRD mi hanno chiesto di recensirlo. Spero di trovare il tempo di farlo, in ogni caso lo consiglio vivamente a chi ama questo tipo di musica.

Ian Siegal, eccellente chitarrista inglese di blues, lo scorso anno aveva pubblicato per la Nugene Records un ottimo disco insieme ai “figli di…”, The Youngest Son, registrato negli Stati Uniti The Skinny era uno dei migliori dischi di blues-rock del 2011. Ora, con la stessa etichetta, quasi gli stessi musicisti, ma un nome nuovo per il gruppo, Mississippi Mudbloods, esce in questi giorni Candy Store Kid che mi sembra, più o meno, sugli stessi livelli, quindi molto buono. Appena possibile recensione!

Per finire, a proposito di chitarristi, esce un doppio CD con l’opera omnia, inediti a go-gò compresi, dei texani Moving Sidewalks. Forse senza barba e cappellaccio non lo riconoscete, ma si tratta della prima band, come definirla, psychedelic blues, di Billy Gibbons, il futuro ZZ Top. Jimi Hendrix, per cui all’epoca avevano aperto alcuni concerti, spesso, in quei giorni, li citava come musicisti da tenere d’occhio. In questa confezione doppia The Complete Moving Sidewalks Collection ,che esce per la Rockbeat Records, etichetta americana specializzata nelle ristampe e rarità, troviamo il disco originale Flash, che era già uscito in varie versioni, nel primo CD e altri 16 brani, di cui 9 inediti, nel secondo, alcuni della formazione pre-Moving The Coachmen. Si tratta, fondamentalmente, di un disco per maniaci e completisti, perché alcuni dei brani nel secondo CD sono gli stessi, ripetuti in più versioni, però è interessante segnalarlo ai lettori di questo Blog, almeno penso.

That’s All, alla prossima.

Bruno Conti

Lungo Il Fiume Del Country Blues. Malcolm Holcombe – Down The River

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Malcolm Holcombe – Down The River – Gispy Eyes Music 2012

Vita dura per i folksingers di talento come Malcolm Holcombe: il “nostro” nasce e cresce a Weaverville, un paesino dei monti Appalachi nella Carolina del Nord, e in gioventù impara a suonare la chitarra tra i boscaioli del posto. Dopo la morte di entrambi i genitori, Malcolm, nella migliore tradizione americana, si mette “on the road” con una rock band, i Redwing, e la strada lo porta a Nashville, dove si esibisce nelle caffetterie e gli avventori sono conquistati dal suo stile innovativo, grezzo, carico di blues e soul. Dopo il promettente esordio con A Far Cry From Here, nel ’96 firma un contratto con la Geffen Records, sembra la svolta della sua carriera, ma per gravi problemi di alcolismo, non riesce a tenere fede ai suoi impegni e la casa discografica rinuncia a pubblicare il suo disco, che uscirà soltanto nel ’99, lo stupendo A Hundred Lies. Segue un periodo buio, che si manifesta in sbronze e una forte depressione, poi il ritorno in North Carolina e il taglio netto con l’alcool, lo rimettono sulla giusta via e nel periodo successivo autoproduce una serie di dischi di ottima qualità a partire da Another Wisdorn (2003), I Never Heard You Knocking (2005) e Not Forgotten (2006), che lo riabilitano all’onore dell’ambiente musicale. Con Gamblin’ House (2007) riceve finalmente l’apprezzamento della critica , con ottime recensioni sulle riviste del settore (Rolling Stone e Billboard Magazine), e partecipazioni ai più importanti programmi radio e TV americanei Sull’onda del tardivo successo, seguono For The Mission Baby (2009) che ospita partecipazioni importanti (come Tim O’Brien e Mary Gauthier) e To Drink The Rain (2011).

A breve distanza dall’ultimo lavoro, Holcombe si riunisce con Ray Kennedy (produttore degli ultimi dischi) negli Room & Board Studios di Nashville, e affiancato da musicisti di valore, tra i quali Ken Coomer batteria e percussioni (ex Uncle Tupelo e Wilco), Victor Krauss al basso, Russ Pahl al banjo e pedal-steel, più una serie di “personcine” in qualità di ospiti come Tammy Rogers al violino e mandolino, Steve Earle all’armonica, Darrell Scott alle chitarre, e ai cori la moglie del produttore Siobhan Kennedy, Perry Coleman e due promesse che scommetto faranno strada, Kim Richey e una certa Emmylou Harris.  Down The River  ha sfumature elettriche più accentuate ed un fascino multiforme, cercando di unire le diverse anime del suo songwriting, e brani come il country-blues delle iniziali Butcher in Town e I Call the Shots ne sono la testimonianza.

La purezza folk-rock della sua scrittura è tutta nell’apertura di Gone Away At Last, mentre The Crossing, The Door e The Empty Jar (con lo straziante violino di Tammy Rogers) sono dolci ballate rurali cantate con la voce ruvida e malinconica di Malcolm. Si ritorna ad alzare il ritmo con Twisted Arms, cui fa seguito una splendida In Your Mercy con la dolce voce di  Emmylou Harris al controcanto, mentre Whitewash Job è un ringhioso sincopato country-blues. L’armonica di Steve Earle introduce Trail O’Money cantata in duetto con il protagonista, per chiudere con il capolavoro del disco una Down The River dove tutti gli strumenti dei musicisti (chitarre, dobro, violino, banjo) disegnano un multiforme tessuto sonoro, arricchito dai cori, per uno dei momenti più emozionanti del disco.

Malcolm Holcombe è uno “storyteller” di prima grandezza, racchiude in sé il fascino rude di un Greg Brown, l’asprezza bluesy di Dylan , l’intensità lirica di texani come Townes Van Zandt o Guy Clark, miscelato con lo spirito di chi vive tra boschi e baracche. Down The River è il lavoro (per il vostro umile recensore) più riuscito ed equilibrato dai tempi indimenticabili degli esordi, una piccola gemma cantautorale che non merita di passare inosservata, al cospetto di tanti songwriters (erroneamente) celebrati.

Tino Montanari