Un Disco Diverso…Figlio Del Lockdown E Delle Sue Dolorose Conseguenze! Todd Snider – First Agnostic Church Of Hope And Wonder

todd snider first agnostic church

Todd Snider – First Agnostic Church Of Hope And Wonder – Aimless Records

Tutti gli appassionati conoscono Todd Snider come uno dei migliori cantautori del genere Americana emersi negli ormai lontani anni novanta. Nato a Portland, Oregon, girovagò in giovane età tra Houston, Texas, e Santa Rosa, California, di nuovo nel Lone Star State ad Austin, dove assistendo ad un concerto di Jerry Jeff Walker decise che avrebbe fatto quel tipo di carriera, e infine a Memphis, Tennessee, dove fu notato da Keith Sykes, cantautore e produttore che lo presentò all’amico Jimmy Buffett, grazie al quale ottenne il primo contratto discografico con la major MCA. Esordio fulminante nel ’94 con l’ottimo Songs For The Daily Planet, seguito a breve dagli altrettanto positivi Step Right Up e Viva Satellite, in cui oltre alla brillante combinazione di folk, rock e alternative country mise subito in mostra notevoli doti di paroliere, con uno stile ironico e sferzante che non risparmia nessun aspetto dell’establishment a stelle e strisce. Altro incontro determinante fu quello con John Prine, con cui Todd maturò una solida e fruttuosa amicizia, incidendo nella prima decade dei duemila un’altra bella serie di album per l’etichetta personale di Prine, la Oh Boy Records.

Altri ne seguirono, tutti più o meno apprezzati dalla critica specializzata e dal suo fedele zoccolo duro di fans, presente anche in Europa, fino ai giorni nostri ed al fatidico 2020, l’annus horribilis del Covid e del lockdown. Nel giro di poco tempo, Snider perde tre dei suoi migliori amici, mentori e collaboratori, Jerry Jeff Walker (a cui aveva dedicato un ottimo tribute album nel 2012, Time As We Know It), John Prine e Neal Casal, con cui nell’ultimo decennio aveva fondato una band chiamata Hard Working Americans con due dischi all’attivo. Queste gravi perdite devono averlo segnato parecchio e potrebbero essere una chiave di lettura per comprendere la strana svolta stilistica del nuovo lavoro, il cui titolo è già tutto un programma, First Agnostic Church Of Hope And Wonder. Significativa mi sembra questa sua recente dichiarazione: …Dopo il mio precedente album Agnostic Hymns mi sentivo a corto di idee e non sapevo quale direzione prendere …sono arrivato a questo disco sperando di avere qualcosa di nuovo da dire…volevo fare quello che chiamano funk…avevo ascoltato molto i Parliament e James Brown e molta musica reggae…E’ imbarazzante ammetterlo ma ho cercato di pensare a questo suono per tutta la vita!…

E i primi ad essere imbarazzati siamo noi, non appena partono le prime note del brano di apertura, Turn Me Loose (I’ll Never Be The Same), un insistito groove ritmico su cui si sovrappongono la chitarra acustica e l’armonica in un climax funky-blues che rimanda a Sly Stone. La successiva The Get Together è ancora più straniante, sembra il risultato di una session ad alto tasso alcolico, con i pochi strumenti che sembrano andare per conto loro e la voce allucinata del protagonista che pare reduce da un incubo. Non andiamo meglio né con la monotona ed incolore Never Let A Day Go Bye e neppure con l’urticante funky di That Great Pacific Garbage Patch. Date pure un’occhiata anche ai video che accompagnano questa uscita, in cui si non si può fare a meno di notare lo stato dimesso e sofferente del nostro protagonista nella stanza semi buia dello studio di registrazione di Nashville dove queste canzoni sono state incise. Per fortuna tracce della vecchia ispirazione riemergono nel delicato ricordo di John Prine eseguito con piano ed armonica nella malinconica Handsome John e ancor più nell’altra ballad Sail On, My Friend, dedicata alla memoria di un altro amico, Jeff Austin, leader della formazione bluegrass Yonder Mountain String Band, deceduto prematuramente nel 2019.

Battle Hymn Of The Album potrebbe essere un moderno canto destinato ai detenuti nei campi di lavoro forzato, col suo botta e risposta tra voce solista e coro, mentre di Stoner Yodel Number One salverei solo il contenuto sarcastico del testo. Imbarazzante pure Agnostic Preacher’s Lament, che parte come una finta prova di orchestra e si sviluppa sul solito riff iponotico di percussioni e la voce recitante del protagonista. Finalmente nel pezzo conclusivo, The Resignation vs.The Comeback Special, quantomeno si apprezza un discreto lavoro strumentale dei due collaboratori di Todd, il percussionista Robbie Crowell e il polistrumentista Tchad Blake. Può darsi che qualche critico a la page d’oltre oceano decida di tessere le lodi di questa svolta tra Beck e i Funkadelic che Todd Snider ha deciso di intraprendere, io però preferisco aspettare che la grande depressione passi senza fare altri danni e che ce lo restituisca con lavori degni del suo meritevole passato.

Marco Frosi

Purtroppo E’ Arrivato “Quel Tempo”, Da Venerdì Scorso Il Texas E’ Un Po’ Più Povero. A 78 Anni Se Ne E’ Andato Mr. Bojangles Jerry Jeff Walker.

Jerry+Jeff+Walker+jerryjeff - Copyjerry jeff walker

Oggi purtroppo devo dare la notizia di un altro lutto nel mondo della “nostra” musica, e cioè della scomparsa avvenuta venerdì 23 ottobre all’età di 78 anni del grande Jerry Jeff Walker, dovuta alle complicazioni causate da un cancro alla gola diagnosticatogli nel 2017. Pensavi a Walker e pensavi al Texas, in quanto il nostro è stato fin dalla fine degli anni sessanta uno dei più importanti ed influenti singer-songwriters di stampo country del Lone Star State, e facente parte di un immaginario club esclusivo i cui altri soci sono (ed erano) Willie Nelson, Waylon Jennings, Kris Kristofferson, Billy Joe Shaver, Guy Clark e Townes Van Zandt. Autore e performer estremamente divertente e coinvolgente, Walker è stato l’inventore e massimo esponente del cosiddetto “gonzo country”, un tipo di musica assolutamente scanzonata e spesso associata a colossali bevute in compagnia, proposta dal nostro sempre con il sorriso sulle labbra ma che dietro una maschera di disimpegno celava una solida capacità nel songwriting, ed i suoi pezzi venivano eseguiti sempre con l’aiuto di musicisti preparatissimi.

Walker era anche un cantautore atipico, dal momento che alcuni dei suoi brani più noti erano stati scritti da altri artisti all’epoca non ancora famosi (come L.A. Freeway di Clark, Up Against The Wall Redneck Mother di Ray Wylie Hubbard e London Homesick Blues di Gary P. Nunn), mentre la sua canzone più famosa in assoluto, ovvero la splendida Mr. Bojangles (che parlava di un ex ballerino di tip-tap alcolista e galeotto, non si sa se inventato o ispirato ad una persona reale), era stata portata al successo nel 1970 dalla Nitty Gritty Dirt Band. Due cose che molti non sanno sono che Walker in realtà si chiamava Ronald Clyde Crosby e che era texano solo d’adozione, essendo di origini newyorkesi. Nella Grande Mela il giovane Crosby (il nome d’arte lo prenderà solo nel 1966) mosse anche i primi passi artistici dopo una breve parentesi a Philadelphia con un gruppo chiamato The Tones, esibendosi nel Greenwich Village prima come folksinger e poi a capo di una band chiamata Circus Maximus, con la quale pubblicò anche due album.

Stabilistosi ad Austin dopo un pellegrinare che lo aveva portato anche a New Orleans ed in Florida, JJW pubblicò nel 1968 il suo debut album Mr. Bojangles con l’aiuto di David Bromberg ed altri sessionmen di nome, disco che lo fece subito notare come autore di estremo interesse grazie anche alla title track che, oltre che della Nitty Gritty, attirerà le attenzioni anche di un certo Bob Dylan che la inciderà durante le sessions di Self Portrait (e la Columbia la pubblicherà nel 1973 all’interno dell’album-rappresaglia Dylan). In pochi anni Walker divenne una leggenda texana, in parte grazie alle sue imperdibili esibizioni dal vivo con la Lost Gonzo Band (il live Viva Terlingua! del 1973 è ancora oggi il suo disco più famoso) ed in parte per merito di album splendidi come Jerry Jeff Walker, Ridin’ High, A Man Must Carry On, It’s A Good Night For Singin’ e Contrary To Ordinary, tutti usciti all’epoca per la MCA e ristampati di recente dall’australiana Raven.

Dopo un paio di buoni lavori per la Elektra (Jerry Jeff, 1978, e Too Old To Change, 1979) ed il ritorno alla MCA, a metà anni ottanta Jerry fondò una sua etichetta, la Tried & True, mettendo a capo la moglie Susan Streit. Diventato ormai un artista di riferimento per molti musicisti venuti dopo di lui (Todd Snider, che ha pure inciso un intero album con le sue canzoni, credo che abbia una sua foto sul comodino vicino al letto https://www.youtube.com/watch?v=5QdWpab_kFg ), Walker continuerà a pubblicare ottimi dischi di puro country-rock texano, titoli come Viva Lukenbach (1994, seguito ideale di Viva Terlingua ed altro splendido live), Night After Night, Scamp, Gonzo Stew, Jerry Jeff Jazz, il solare e “buffettiano” Cowboy Boots And Bathing Suits (concepito dal nostro nella sua casa di villeggiatura in Belize), fino all’inatteso ritorno It’s About Time di due anni fa, a ben nove anni dall’album precedente https://discoclub.myblog.it/2018/07/21/come-da-titolo-era-ora-jerry-jeff-walker-its-about-time/ .

Il prossimo disco di Jerry Jeff Walker sarà quindi ad esclusivo beneficio di angeli e santi, anche se ho già idea di quale sarà il titolo: Gonzo’s Paradise.

Marco Verdi

Sarebbe Possibile Riprendere In Mano Le Classifiche Del 2019? Chadwick Stokes & The Pintos

chadwick stokes & the pintos

Chadwick Stokes & The Pintos – Chadwick Stokes & The Pintos – Ruff Shod/Thirty Tigers CD

Chad Stokes Urmston, meglio conosciuto come Chadwick Stokes, dalle nostre parti non è molto famoso ma negli Stati Uniti è una piccola celebrità, specie nell’area di Boston della quale è originario. Musicista iperattivo, è titolare di una discografia molto corposa nonostante sia ancora relativamente giovane (è del 1976) tra album, singoli, live ed EP, sia come solista che a capo di ben due gruppi, gli State Radio e i Dispatch. Ma Chadwick è, come dicono in America, “larger than life”, dato che a fianco della carriera musicale ha affiancato una vera e propria attività umanitaria che lo vede impegnato in vari settori; il nostro non si limita però a sparare qualche slogan e a sfilare alle manifestazioni a supporto di questa o quella causa come diversi suoi colleghi (anche illustri), ma ha investito in prima persona tempo e denaro costituendo ben due società non profit: la Elias Fund, che si occupa di fornire sviluppo ed istruzione ai bambini dello Zimbabwe (paese nel quale Chad ha anche vissuto per un anno), e la Calling All Crows, che cerca di aiutare le donne disoccupate di tutto il mondo a trovare lavoro.

Un personaggio tutto d’un pezzo, che gira il mondo ed è occupato in mille progetti diversi ma trova anche il tempo di curare la sua proposta musicale, anzi Chad è uno che vive per la musica, ma non ha atteggiamenti da star e preferisce vivere a contatto con la gente normale: poi però scopriamo che forse non è neppure così sconosciuto, dato che qualche anno fa è riuscito a fare ben tre sold-out consecutivi al Madison Square Garden. Ovviamente anche i testi delle sue canzoni sono profondamente impegnati, mentre dal lato musicale Chad ha assorbito tutte le influenze che ha incontrato nel suo girovagare: di base folk, la sua musica ha infatti diversi elementi che vanno dal country al rock, dai ritmi tribali africani al punk, passando anche per reggae e hip-hop, il tutto con una notevole sensibilità pop per le melodie. Tutto questo melting pot sonoro è riscontrabile nel suo nuovo lavoro Chadwick Stokes & The Pintos (dove i Pintos sono il fratello Willy Urmston al banjo, Jon Reilly alla batteria e Tommy Ng al basso), un disco che già al primo ascolto mi ha letteralmente fulminato per la sua bellezza, i suoi suoni gioiosi e colorati e le sue melodie perfette ed immediatamente fruibili. Non sto esagerando: Chadwick in questo disco dimostra di essere, oltre ad un uomo davanti al quale bisogna solo togliersi il cappello, anche un musicista coi controfiocchi, e del quale a questo punto penso occorra recuperare anche qualche lavoro degli anni passati.

Undici canzoni una più bella dell’altra che iniziano con Joan Of Arc (Cohen non c’entra), un brano stimolante e solare, una sorta di folk-pop diretto e dal refrain decisamente orecchiabile: poche note e ne sono già catturato (ed alla fine vorrei rimetterlo da capo). Un banjo strimpellato con vivacità introduce Chaska, altro pezzo contraddistinto da un gusto melodico non comune e dal ritmo forsennato, tra western e country-punk: irresistibile, a dir poco. Blanket On The Moon è una squisita ballata che fonde vari stili ma in cui prevale uno spiccato sapore pop di stampo beatlesiano, ancora (ma non è più una sorpresa) con la melodia in primo piano, Hit The Bell With Your Elbow è un midtempo dalla bella introduzione per chitarra elettrica ed uno sviluppo fluido, di nuovo contraddistinta da un refrain splendido con tracce di Tom Petty https://www.youtube.com/watch?v=KrfghpXv-lk , mentre Love And War è una semplice ma toccante folk song per voce, chitarra e coro.

La saltellante Lost And Found riporta allegria e vivacità nel disco (una sorta di fusione tra i Lumineers e gli Of Monsters And Men, ma in meglio), What’s It Going To Take è puro reggae, un genere che non mi fa impazzire ma il gusto melodico di Chadwick fa la differenza, brano che si contrappone al folk elettrificato e moderno di Let Me Down Easy, un brano che mi ricorda il primissimo Todd Snider. La lenta ed intensa Sand From San Francisco, altro pezzo senza sbavature (ed ancora con un ritornello corale da applausi) precede le conclusive Mooshiquoinox e Second Favorite Living Drummer, rispettivamente una breve folk tune acustica alla Simon & Garfunkel ed una rock song scorrevole e forse un po’ ruffiana nel refrain ma sempre decisamente piacevole. Dirò una banalità, ma se al mondo ci fossero più persone come Chadwick Stokes il mondo stesso sarebbe un posto migliore. E non solo musicalmente.

Marco Verdi

Novità Prossime Venture Autunno 2016, Parte IV. John Prine, Norah Jones, Melissa Etheridge, Marcus King Band, Phish, Todd Snider, Shovels And Rope

john prine for better, or worse

Prima di passare alle uscite del 7 ottobre, ancora un titolo piuttosto importante che verrà pubblicato il 30 settembre. Una piccola precisazione già fatta in passato, ma che ribadisco: ovviamente nella rubrica, nello specifico ed anche in generale, e sul Blog parliamo solo di quello che ci pare più interessante, o anche delle uscite più importanti, sempre in riferimento ai nostri gusti (e raramente pure di qualcosa che non ci è piaciuto), quindi non di tutte le novità discografiche. Fatta la precisazione, partiamo con il primo album di oggi.

John Prine è uno dei più grandi cantautori americani degli ultimi 50 anni, anche lui, ad inizio carriera, colpito dal “morbo del nuovo Dylan”, di cui fu ed è uno dei più grandi eredi (ammesso che il buon Bob, abbia eredi e voglia mai ritirarsi); dopo una prima parte di carriera in cui era sotto contratto per delle majors (Atalntic ed Asylum, entrambe del gruppo Warner), Prine è stato uno dei primi a distribuirsi in autonomia ed indipendenza, fondando una propria etichetta, la Oh Boy Records, che pubblica i suoi album dal lontano 1984. L’etichetta è attualmente distribuita in Italia dalla Ird, che curerà anche l’uscita del nuovo disco, For Better Or Worse, una sorta di ideale seguito di In Spite Of Ourselves, album del 1999 che presentava una serie di duetti con voci femminili di ambito folk-country: anche il nuovo CD segue lo stesso copione, ed alcune delle voci partecipanti sono le stesse di quel fortunato disco, uno dei migliori in assoluto della discografia di Prine.

Ecco la lista dei brani contenuti, con i musicisti che duettano con John:

1. Who’s Gonna Take The Garbage Out (feat Iris Dement)
2. Storms Never Last (feat Lee Ann Womack)
3. Falling In Love Again (feat Alison Krauss)
4. Color of the Blues (feat Susan Tedeschi)
5. I’m Tellin’ You (feat Holly Williams)
6. Remember Me (When Candlelights Are Gleaming) (feat Kathy Mattea)
7. Look At Us (feat Morgane Stapleton)
8. Dim Lights, Thick Smoke, and Loud, Loud Music (feat Amanda Shires)
9. Fifteen Years Ago (feat Lee Ann Womack)
10. Cold, Cold Heart (feat Miranda Lambert)
11. Dreaming My Dreams With You (feat Kathy Mattea)
12. Mental Cruelty (feat Kacey Musgraves)
13. Mr. & Mrs. Used To Be (feat Iris Dement)
14. My Happiness (feat Fiona Prine)
15. Just Waitin’

Forse ho esagerato con gli “alcuni”,  perché in effetti i nomi ricorrenti sono solo due, Iris Dement Fiona Prine, la terza moglie di John, con la quale vive in quel di Nashville (ma hanno una residenza anche in Florida e una in Irlanda, terra di origine della moglie). Il nostro sembra avere superato i problemi di salute causati da un cancro scoperto nel 2013, e ci regala questo ennesimo splendido album, con la sua voce e il suo stile inconfondibile, arricchito per l’occasione da tante voci affascinanti, e di cui il Blog si occuperà più diffusamente non appena sarà disponibile sul mercato.

norah jones day breaks

Passiamo ora alle uscite del mese di ottobre, iniziando con quelle del 7.

Prima di tutto nuovo album per Norah Jones (oltre alla apparizione nel CD di Doyle Bramhall II, segnalata qualche giorno fa): si chiama Day Breaks, l’etichetta è sempre la Blue Note, anche se ora fa parte del gruppo Universal. Il sesto disco di studio, oltre ad alcuni EP, alla compilation dei duetti Featuring, e ai due dischi con i Little Willies e a quello con le Puss’n’Boots, oltre alle decine, forse centinaia, di collaborazioni ed apparizioni con gli artisti più disparati, spesso in concerti e tributi vari dal vivo. Il disco è prodotto dalla stessa Norah Jones con Eli Wolf, e vede la partecipazione di una quindicina di musicisti, tra cui spiccano i nomi di Wayne Shorter al sax, Lonnie Smith all’organo, Brian Blade alla batteria, John Patitucci al basso, una sezione fiati e le amiche Catherine Popper e Sasha Dobson delle Puss’n’Boots, alle armonie vocali. Oltre a Tony Scherr, già presente nel primo album Come Away With Me, che torna alla chitarra. Una sorta di ritorno alle origini  come suono https://www.youtube.com/watch?v=mmKavvPRmsw

Sono nove brani nuovi, otto firmati dalla Jones, da sola o in compagnia di Peter Remm Sarah Oda, uno dalla Oda da sola, e tre cover, un brano di Duke Ellington, uno di Horace Silver Don’t Be Denied di Neil Young. Ovviamente ci sarà l’immancabile versione Deluxe, con 4 tracce dal vivo, registrate nel 2016, ecco la tracklist completa:

1.Burn
2.Tragedy
3.Flipside
4.It’s A Wonderful Time For Love
5.And Then There Was You
6.Don’t Be Denied
7.Day Breaks
8.Peace
9.Once I Had Laugh
10.Sleeping Wild
11.Carry On
12.Fleurette Africaine (African Flower)
13.Carry On – Live At The Flynn Center For The Performing Arts In Burlington, VT/2016
14.Flipside – Live At The Newport Jazz Festival/2016
15.Peace – Live At The Newport Jazz Festival/2016
16.Don’t Know Why – Live At The Newport Jazz Festival/2016

melissa etheridge MEmphis rock and soul

Anche per Melissa Etheridge una sorta di ritorno ai primi tempi della carriera, un disco dedicato al grande soul e alla musica della Stax, etichetta per la quale viene pubblicato il CD, MEmphis Rock And Soul: Il vecchio studio della Stax dove vennero incisi gli originali non esiste più, ma il disco è stato registrato ai Royal Studios di Memphis, con la produzione di Boo Mitchell, il figlio di Willie Mitchell (quello dei dischi di Al Green e Ann Peebles), e nel disco suonano alcuni dei musicisti che apparivano negli album originali dell’epoca, come i fratelli Hodges.

Si capisce già dal repertorio che finalmente la Etheridge torna a regalarci buona musica:

 1. Memphis Train
2. Respect Yourself (People Stand Up)
3. Who’s Making Love
4. Hold On, I’m Coming
5. I’ve Been Loving You Too Long (To Stop Now)
6. Any Other Way
7. I’m A Lover
8. Rock Me Baby
9. I Forgot To Be Your Lover
10. Wait A Minute
11. Born Under A Bad Sign
12. Dreams To Remember

marcus king band

Al 7 ottobre, su etichetta Fantasy/Universal, esce anche il secondo album per la Marcus King Band. E giustamente voi mi chiederete: e chi cacchio è? Si tratta di un giovane cantante e chitarrista di 21 anni scarsi, originario del South Carolina, il cui primo album, lo scorso anno, era stato pubblicato dalla Evil Teen, l’etichetta dei Gov’t Mule. E già questo spiega alcune cose, se poi aggiungiamo che il nuovo album è prodotto da Warren Haynes, che suona la slide in Virginia, mentre l’ospite Derek Trucks aggiunge la sua solista nel brano Self-Hatred, cominciate a capire di cosa si tratta. La formazione, oltre a KIng, grande voce e ottimo solista, prevede anche Jack Ryan alla batteria, Stephen Campbell  al basso, Matt Jennings alle tastiere, Dean Mitchell al sax e Justin Johnson, tromba e trombone https://www.youtube.com/watch?v=sMTj-I_bU6Q .

Il disco è ottimo, ho già avuto occasione di sentirlo e vi garantisco che il ragazzo è valido. Potrebbe essere un’altra bella sorpresa come i CD dei SIMO e dei Record Company. Qui sotto trovate i titoli dei brani e, prima e dopo, anche un paio di assaggi del disco per avere una idea di cosa vi aspetta:

 1. Ain’t Nothin’ Wrong With That
2. Devil’s Land
3. Rita Is Gone
4. Self-Hatred feat. Derek Trucks
5. Jealous Man
6. The Man You Didn’t Know
7. Plant Your Corn Early
8. Radio Soldier
9. Guitar In My Hands
10. Thespian Espionage
11. Virginia feat. Warren Hayes
12. Sorry Bout Your Lover
13. The Mystery Of Mr. Eads

phish big boat

Sempre lo stesso giorno è in uscita pure il nuovo album dei Phish Big Boat, per la Jemp Records. Dopo il buon album del 2014 Fuego e quello solista di Trey Anastasio dello scorso anno, si conferma l’ottimo momento della jam band americana anche per quello che concerne i dischi di studio.

1. Friends
2. Breath And Burning
3. Home
4. Blaze On
5. Tide Turns
6. Things People Do
7. Waking Up Dead
8. Running Out Of Time
9. No Men In No Man’s Land
10. Miss You
11. I Always Wanted It This Way
12. More
13. Petrichor

Anche in questo caso, sopra leggete i titoli e sotto trovate un breve assaggio, e se volete fidarvi, l’ho sentito e mi sembra ancora, come appena detto, un buon disco,.con la conclusiva Petrichor, oltre tredici minuti, che ci riporta agli splendori del passato.

todd snider eastside bulldog

Eastside Bulldog, il nuovo disco di Todd Snider, in uscita per la Aimless, racconta le vicende dell’alter ego di Todd, Elmo Buzz, un personaggio ossessionato da Hank Williams Jr., ma musicalmente si riallaccia anche agli album solisti di Snider e alla recente produzione degli Hard Working Americans. Nel nuovo disco appaiono anche Elizabeth Cook, Jason Isbell, Amanda Shires, Chris Robinson, Hank Williams III and Shooter Jennings, alcuni presenti anche nel recente eccellente disco di Amanda Shires (la signora Isbell) My Piece Of Land, prodotto da Dave Cobb, che approfitto per segnalarvi, sperando poi di trovare anche il tempo di recensirlo https://www.youtube.com/watch?v=TUsh9CltZcA.

Il disco anche in questo caso sembra molto buono, ecco i titoli dei brani:

1. Hey Pretty Boy
2. 37206
3. The Funky Tomato
4. Eastside Bulldog
5. Check It Out
6. Bocephus
7. Are You With Me
8. Enough Is Enough
9. Ways And Means
10. Come On Up

shovels and rope little seeds

Tutti belli i dischi che escono? Purtroppo no, ve ne segnalo uno che a me pare bruttarello, o quanto meno non c’entra molto con quello che facevano una volta gli Shovels And Rope, un duo di folk-country-bluegrass, autore fino ad ora di tre buoni album, che nel nuovo Little Seeds, etichetta New West,  effettua un voltafaccia sonoro che lascia quantomeno perplessi, passando dallo stile sonoro precedente ad un garage-rock tipo White Stripes (anche se qui cantano entrambi, Michael Trent e Cary-Ann Hearst). T-Rex, iggy Pop. Nulla di male, basta saperlo, ma non c’entra un tubo con quello che facevano prima. Non l’ho sentito tutto e bene, per cui mi riservo il giudizio finale, però a occhio, anche a giudicare dalla comparsata nell’ultimo pessimo album dei Needtobreathe (di cui leggerete la recensione ultranegativa tra breve, nel frattempo evitatelo), non promette nulla di buono. Bah…

1. I Know
2. Botched Execution
3. St Annes Parade
4. The Last Hawk
5. Buffalo Nickel
6. Mourning Song
7. Invisible Man
8. Johnny Come Outside
9. Missionary Ridge
10. San Andreas Fault Line Blues
11. BWYR
12. Eric’s Birthday
13. This Ride

Anche per oggi è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

Recuperi Estivi. Un Gruppetto Di Voci Femminili 3: Se Questo E’ Country, Voglio Solo Dischi Come Questo. Elizabeth Cook – Exodus Of Venus

elizabeth cook exodus of venus

Elizabeth Cook – Exodus Of Venus – Agent Love Records/Thirty Tigers

Ci sono dei dischi che al momento dell’uscita, o anche prima, ascolto e poi metto da parte, ripromettendomi di ritornarci sopra, ma poi tralascio per motivi vari, soprattutto di  tempo (tra Blog e Buscadero mi capita spesso di scrivere più di una recensione al giorno ed i dischi, per parlarne con cognizione, bisogna anche sentirli, e bene) oppure perché me ne dimentico e poi vengono superati da altre uscite. Nella parte centrale dei mesi estivi (ma anche a cavallo della fine dell’anno) faccio una serie di “recuperi”, con relative recensioni di dischi che mi erano parsi meritevoli e avevo magari solo segnalato brevemente nella rubrica delle Anticipazionim oppure avevo saltato brutalmente. In qualche caso mi domando anche come ho fatto ad essere così “pirla” da non averne scritto, perché sono veramente belli, questo Exodus Of Venus di Elizabeth Cook è uno di quei dischi. Come dico nel titolo del Post, se questo è un album di country li voglio tutti così: non è vero, è una iperbole, i dischi country, purché belli, continuano a piacermi, come peraltro quelli di qualsiasi altro genere, ma il disco in questione non lo è, anche se proveniente da una artista da sempre etichettata come country, che pur essendo nata a Wildwood in Florida, ha fatto il suo debutto alla Grand Ole Opry di Nashville nel lontano 2000, anno in cui usciva il suo debutto pubblicato a livello indipendente, The Blue Album, e poi sulla scia di quel disco l’album per la Warner Bros Nashville, Hey Y’All con tutta la solita truppa dei musicisti della Music City, alcuni molto bravi e il marito dell’epoca Tim Carroll, alla chitarra elettrica. Salvo venire mollata dalla major in questione in un battibaleno, come usa in quel mondo perfetto e plastificato.

Però la critica aveva apprezzato i suoi album, i colleghi pure, e nel disco del 2007, Balls, prodotto da Rodney Crowell,  e con una bella cover di Sunday Morning dei Velvet Underground (della serie non solo country, già allora), apparivano Nanci Griffith Bobby Bare Jr, e nel successivo Welder del 2010, prodotto da Don Was, oltre a Crowell di nuovo, c’erano anche Dwight Yoakam Buddy Miller. In seguito le cose hanno iniziato ad andare storte, è morto il padre (e poi anche la madre), ha divorziato dal marito, sono morti altri parenti, qualcuno del suo giro ha avuto problemi di dipendenza, si è incendiata la casa dei suoi genitori: una serie di fatti non ideali per continuare in serenità una carriera che pareva brillante. Eppure in questo periodo, anche senza dischi nuovi, David Letterman, un fan dichiarato, l’ha voluta tre volte nella sua trasmissione, la prima volta con Jason isbell a cantare brani di Townes Van Zandt, la seconda alle prese con un brano di Blind Willie Johnson dal suo Ep Gospel https://www.youtube.com/watch?v=D5NrGOpV5cA e la terza con una cover di Pale Blue Eyes, di nuovo dei VelvetIn mezzo alle sue vicissitudini ha pubblicato nel 2012 un mini album Gospel Plow, ha partecipato al disco dei Great American Taxi, al disco tributo a Jerry Jeff Walker di Todd Snider (che firma con lei uno dei brani del nuovo album), ha cantato con gli Hard Working Americans, con Seasick Steve Carlene Carter, oltre ad apparire nel tributo a Bob Wills con gli Asleep At Wheel e al disco Cayamo Sessions At Sea di Buddy Miller.

elizabeth cook exodus 1

Nel frattempo ha sistemato i suoi affari personali e familiari ed ha iniziato a registrare questo nuovo album, prima autofinanziato, e poi per la stampa e la distribuzione, con l’aiuto delle piattaforme di crowdfunding. Ed il disco che ne è uscito è splendido: con Matt Chamberlain alla batteria, Willie Weeks al basso, Ralph Lofton alle tastiere e soprattutto i due chitarristi, Dexter Green, che è anche il produttore e Jesse Aycock (degli Hard Working Americans) alle prese con lap steel e pedal steel che fa il Greg Leisz della situazione. Tra gli ospiti Kevn Kinney, Buddy Miller alla Mando Guitar e Patty Loveless, alla seconda voce, nel pezzo più country del disco, una Straightjacket Lover che parte lenta e poi diventa immediatamente una sorta di turbinante bluegrass-rock elettrico e vibrante degno delle migliori cose dei Lone Justice. Proprio al sound della prima Maria McKee, o di Lucinda Williams, però con un’altra voce, forse più gentile e impostata, ma pur sempre ricca di grinta, mi viene in mente si rifaccia questo Exodus Of Venus, con brani che hanno titoli come Dyin’ , Slow Pain, Broke Down In London on The M25 Methadone Blues, e influenze varie tra blues, swamp, rock, Americana, ma anche R&B, oullaw country, persino leggera psichedelia e garage, per un album che ha un suono tirato ed elettrico, veramente bello e corposo e una serie di canzoni di grande spessore, decisamente un CD tra i più belli usciti nel 2016 nel genere (se riuscissi a decidere che genere è, quindi diciamo in generale nell’ambito voci femminili)! 

Anche se la Cook è stata inserita in quel ennesimo filone del country e della roots music che è stato definito “Ameripolitan” (siccome non ce n’erano già abbastanza) in questo Exodus Of Venus direi che fa soprattutto rock. Dal primo riff di chitarra di Dexter Green nell’iniziale title-track East Of Venus si capisce dove andremo a parare, un brano bluesy, con tastiere e la lap steel minacciosa di Aycock, ben coadiuvate da quella stellare sezione ritmica, a creare un sound dalle atmosfere swampy, variegate; i testi dei brani, come ricordato poco sopra, sono amari e rancorosi, e anche la musica ha questo substrato sofferente, dove le sferzate elettriche del gruppo sono piccole vendette per Elizabeth; prendiamo la successiva Dyin, con un lavoro chitarristico di nuovo eccellente, e improvvise aperture di organo, mentre la nostra amica vocalmente ricorda quella Maria McKee citata in precedenza, i cui Lone Justice proponevano un country-punk con punte garage-psych qui replicate da una angolatura più meditativa, per restare in tempi più recenti, vicine alle atmosfere di Lucinda Willams. Ancora eccellente il groove rock di Evacuation, con le chitarre di Green e Aycock veramente assatanate nei loro interventi solisti, mentre l’Hammond B3 di Lofton lavora di fino sullo sfondo, e le armonie vocali di Laura Mayo aggiungono ulteriore profondità. Ci sono anche brani più riflessivi come Dharma Gate, ballata sognante e dall’arrangiamento avvolgente https://www.youtube.com/watch?v=5PSnDWMMMAU , o Slow Brain, canzone di impianto quasi psichedelico, graziata anche da un paio di assoli taglienti e cattivi della lap di Aycock e della solista dell’ottimo Green, che firma anche la quasi totalità dei brani con la Cook https://www.youtube.com/watch?v=VmJzfPGdWzI .

Di Straighjacket Love si è detto, il brano che mantiene i legami con il passato country di Elizabeth anche grazie alla chitarra twangy di Green e alla pedal steel di Aycock, mentre Broke Down On The London M25 è di nuovo un bel pezzo rock dal riff aggressivo, con un lavoro eccellente dell’organo e delle chitarre, con Methadone Blues, gemella ideale di una Heroin Addict Sister che appariva su Welder (devono essere le influenze di Lou Reed che emergono), un funky rock con l’eccellente lavoro del Fender Rhodes e dell’organo di Lofton che gli conferiscono sonorità sudiste e swampy, fino all’ingresso delle chitarre sempre protagoniste di interventi notevoli. Cutting Diamonds è il brano scritto con Todd Snider, un altra blues ballad “spaziale” e leggermente psych, degna dei migliori episodi dell’ultima Lucinda Williams (e per la gioia di chi non ne ama la voce, con una cantante dall’impostazione vocale più tradizionale), molto bella la parte centrale strumentale. Orange Blossom Trail, fin dal titolo, è uno dei rari episodi dove lo spirito outlaw country meglio si sposa con le attitudini più rock dell’album, esemplificate dai “soliti” splendidi interventi dei due chitarristi e delle tastiere. Per concludere in gloria il tutto rimane Tabitha Tuder’s Mama, altra bellissima ballata, dove sembra di ascoltare la Emmylou Harris di Wrecking Ball prodotta da Daniel Lanois, fragile e vulnerabile ma dallo spirito indomabile.

Bruno Conti

Una Nuova” Promettente” Artista Di Talento! Loretta Lynn – Full Circle

loretta lynn full circle

Loretta Lynn – Full Circle – Sony Legacy CD

Il titolo del post è volutamente ironico, in quanto ci troviamo di fronte ad una vera e propria leggenda vivente della country music (e non solo): Loretta Lynn (nata Webb), 84 anni il mese prossimo, è sulla breccia da più di cinquant’anni, e la sua serie di successi e di premi meriterebbe un post a parte (basti sapere che è, dati alla mano, l’artista donna più di successo in ambito country di tutti i tempi). Sono già passati dodici anni da quel Van Lear Rose, che ci aveva mostrato un po’ a sorpresa un’artista ancora in grandissima forma, perfettamente a suo agio anche con una produzione non proprio tradizionale, come quella dell’eclettico Jack White: ma la strana coppia aveva funzionato, e l’album era stato uno dei migliori del 2004 in ambito country. Ora Loretta ci riprova, e con Full Circle centra nuovamente il bersaglio: ben bilanciato tra brani originali (alcuni rivisitati), cover e pezzi tratti dalla tradizione, il disco ci mostra una cantante che non ha la minima intenzione di appendere il microfono al chiodo, ed anzi è ancora in possesso di una voce formidabile, pura, limpida e cristallina, di certo non tipica di un’ottuagenaria.

La produzione è più canonica rispetto a Van Lear Rose, ed è nelle mani comunque esperte di John Carter Cash (figlio di Johnny e June), che ha cucito attorno all’ugola di Loretta un suono molto classico, con piano, steel, violini e chitarre acustiche sempre in primo piano: la lunga lista di musicisti presenti comprende alcuni veri e propri luminari come Sam Bush (mandolino), Shawn Camp (chitarra, di recente stretto collaboratore di Guy Clark), Paul Franklin (steel), Ronny McCoury (figlio di Del, al mandolino), Randy Scruggs (chitarra), oltre allo splendido pianoforte di Tony Harrell (già con Don Henley, Johnny Cash, Vince Gill, Sheryl Crow e nel bellissimo Django And Jimmie di Willie Nelson e Merle Haggard). Tredici canzoni, non una nota da buttare, con alcune vere e proprie perle ed un paio di sorprese finali che vedremo.

Con i primi due brani, due lentoni intitolati rispettivamente Whispering Sea e Secret Love, Loretta sembra quasi scaldare la sua ugola ed il gruppo i muscoli, ma già con la seconda delle due la nostra dimostra di essere nel suo elemento naturale, e la voce sembra di una con trent’anni di meno. Who’s Gonna Miss Me? ha una melodia diretta ed il gruppo offre una performance cristallina, grande classe e grande canzone, ma le cose vanno ancora meglio con la splendida Blackjack David, un famoso traditional attribuito alla Carter Family, rilasciato con un arrangiamento da pura mountain music, una versione imperdibile; e che dire di Everybody Wants To Go To Heaven, ritmo spedito, grande assolo di piano, chitarrina elettrica, melodia dalla struttura gospel e Loretta che canta con la grinta di una ventenne.

Always On My Mind è una delle grandi canzoni del songbook americano (ricordo le versioni più famose, ad opera di Elvis Presley e Willie Nelson) e l’arrangiamento pianistico è più vicino a quello di Willie che a quello un po’ pomposo del King: comunque sempre un grande brano, con la Lynn che canta con un’intensità da pelle d’oca. Anche Wine Into Water è una gradevolissima country ballad, suonata alla grande (ma tutto il disco è a questi livelli: è forse brutta la rilettura del traditional In The Pines?); Band Of Gold è un honky-tonk perfetto, che sembra provenire direttamente dalla golden age di questo tipo di musica, così come la mossa Fist City (un vecchio successo rifatto), fulgido esempio di come si possa fare del vero country tradizionale nel 2016.

I Never Will Marry (ancora Carter Family, qui John Carter deve aver detto la sua) precede Everything It Takes, uno scintillante honky-tonk che Loretta ha scritto con Todd Snider, suonato e cantato con la consueta classe, con la partecipazione straordinaria (e riconoscibilissima) di Elvis Costello alle armonie vocali. Chiude il CD la tenue Lay Me Down, un vero e proprio duetto vocale con Willie Nelson (poteva mancare?), due voci superbe, una chitarra, un mandolino, un violino e feeling a palate.

Full Circle è il titolo più appropriato per questo album, in quanto ci riporta una Loretta Lynn in forma Champions (per dirla in termini calcistici), e su territori che conosce a menadito e che ormai le appartengono di diritto.

Ed è ancora la numero uno.

Marco Verdi