Lo Springsteen Della Domenica: Un Live Bellissimo, Anche Se Con “L’Altra Band”! Bruce Springsteen – Brendan Byrne Arena, New Jersey June 24, 1993

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Bruce Springsteen – Brendan Byrne Arena, New Jersey June 24, 1993 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 4CD – Download

Quando alla fine degli anni ottanta Bruce Springsteen sciolse la E Street Band alla ricerca di nuovi stimoli, furono ben poche le voci di approvazione, e lo sconforto tra i fans si ingigantì quando nel 1992 il Boss pubblicò ben due album con il suo nuovo gruppo, Human Touch e Lucky Town, due dischi dove non mancavano le grandi canzoni, ma neppure diversi riempitivi (sono tuttora del parere che, scegliendo gli episodi migliori, avremmo avuto comunque un ottimo album singolo) e soprattutto con un suono piuttosto nella media, senza quel marchio di fabbrica e quella personalità tipici della sua vecchia band. Le critiche continuarono anche nel successivo tour, con “The Other Band”, come l’avevano soprannominata non senza una punta di disprezzo i fans, che raramente riusciva a catturare la magia degli show leggendari di Bruce, critiche avvalorate dall’album live pubblicato all’epoca, Plugged, decisamente poco riuscito. Questo nuovo episodio degli archivi live di Springsteen, che per brevità chiamerò Live 1993, è però un’altra storia: registrato a pochi passi da casa, alla Brendan Byrne Arena a East Rutherford, nel New Jersey (già teatro di un precedente live della serie, inciso nel 1984), ci fa ritrovare il Boss migliore, ispirato, coinvolgente ed in strepitosa forma vocale, alle prese tra l’altro con una setlist decisamente interessante ed una serie di ospiti a sorpresa che rendono più succulento il piatto.

E poi i musicisti che lo accompagnano, anche se non valgono neanche la metà degli E Streeters, non sono certo scarsi: Shane Fontayne alla chitarra elettrica, Tommy Sims al basso, Zack Alford alla batteria, Crystal Taliefero alla voce e chitarra (unico elemento forse abbastanza inutile), ed una bella serie di backing vocalists, tra cui spiccano Bobby King, per anni con Ry Cooder, e Carol Dennis, ex corista nonché seconda moglie di Bob Dylan. E, last but not least, Roy Bittan alle tastiere, un elemento imprescindibile per il suono del nostro, che evidentemente non se l’è sentita di lasciarlo a casa insieme agli altri ex compagni. Il concerto inizia in maniera intima, con un’intensa versione quasi a cappella (c’è solo una leggera tastiera in sottofondo) del classico di Woody Guthrie I Ain’t Got No Home, in cui Bruce divide le lead vocals con i suoi coristi e con il primo ospite della serata, Joe Ely (pelle d’oca quando tocca a lui). Poi abbiamo un mini-set acustico in cui Bruce propone una splendida e folkeggiante Seeds (quasi irriconoscibile), suonata con grande forza, una Adam Raised A Cain bluesata e completamente reinventata, e l’allora inedita This Hard Land, già bellissima e con una suggestiva fisarmonica. Da qui in poi parte lo show elettrico vero e proprio, con un’alternanza tra canzoni nuove e classici, per una scaletta davvero molto stimolante: i due nuovi album vengono rappresentati dagli episodi migliori (Better Days, la meravigliosa Lucky Town, un capolavoro, il trascinante gospel-rock Leap Of Faith, la potente Living Proof), da quelli più normali (Human Touch, Man’s Job, la dura Souls Of The Departed, che però dal vivo ha un tiro mica male), e purtroppo anche da quelli meno riusciti, come la pessima 57 Channels (And Nothin’ On), una porcheria che all’epoca il nostro ebbe il coraggio di fare uscire anche come singolo.

Poi ci sono gli evergreen, nei quali il gruppo fa il massimo per non far rimpiangere la E Street Band: da citare una splendida Atlantic City elettrica, le sempre trascinanti Badlands e Because The Night, la commovente The River, oltre all’inattesa Does This Bus Stop At 82nd Street? ed una struggente My Hometown, anche meglio dell’originale (mentre Born In The U.S.A. ha stranamente poco mordente, ed impallidisce di fronte a quella nota, che pure aveva un suono un po’ sopra le righe). Non mancano di certo le chicche, come un’intensa Satan’s Jewel Crown, un country-gospel reso popolare da Emmylou Harris (era in Elite Hotel), una solida Who’ll Stop The Rain dei Creedence, e soprattutto la strepitosa Settle For Love di Joe Ely, una delle signature songs del texano (che ha l’onore di cantare senza l’aiuto del Boss, che si limita a fargli da chitarrista), un pezzo che se fosse stato scritto nei primi anni settanta sarebbe entrato di diritto tra i classici rock di sempre. Il quarto CD (questo è l’unico live quadruplo della serie insieme al quello di Helsinki 2012) è una vera e propria festa nella festa, in quanto, dopo una toccante Thunder Road acustica, Bruce viene raggiunto, oltre che dalla moglie Patti Scialfa ed ancora da Ely, dai vecchi compagni Little Steven, Clarence Clemons e Max Weinberg, dalla futura E Streeter Soozie Tyrell, dai Miami Horns e, dulcis in fundo, dal grande compaesano Southside Johnny, che giganteggia da par suo nella travolgente It’s Been A Long Time (strepitosa), nella suggestiva Blowin’ Down This Road (ancora dal repertorio di Guthrie), e nel gran finale, con due classici di Sam Cooke, due irresistibili versioni di Having A Party e It’s All Right, inframezzate da una vibrante rilettura della Jersey Girl di Tom Waits. Confermo che sciogliere la E Street Band fu un grosso errore da parte di Bruce Springsteen, ma in questo Live 1993 c’è comunque un sacco di grande musica, che se non altro rivaluta in parte un periodo controverso della carriera del nostro.

Marco Verdi

Un Album Di Gospel-Soul Ed Una Voce Semplicemente Straordinari! CeCe Winans – Let Them Fall In Love

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CeCe Winans  – Let Them Fall In Love – Pure Springs Gospel/Thirty Tigers

Come fare un grande disco di gospel. Lezione numero uno: prendete un album di “contemporary gospel”, estraete le parti con batteria elettronica, sintetizzatori sibilanti, ritmi sintetici e agitati rappers sullo sfondo, le raccogliete, alzate la tazza del WC e le gettate all’interno. Lezione numero due: questa necessita la presenza di una cantante, con una voce vera, magari un soprano naturale, un nome a caso, CeCe Winans (comunque anche lei, in passato, autrice di qualche piccola nefandezza di tipo “nu soul”), poi le affiancate qualcuno, magari il marito Alvin Love (un nome, un programma), che le scriva una serie di canzoni che elevano le loro preci al Signore e all’amore universale, senza esagerare con lo zucchero, anche se il genere esige questo approccio. Lezione numero tre: affiancate al suddetto marito, che svolge anche la funzione di produttore, un secondo coordinatore musicale, Tommy Sims (anche lui in precedenza ha peccato con gente come Michael Bolton, Kelly Clarkson, Michelle Williams delle Destiny’s Child, ma è stato anche il bassista di Springsteen nel periodo della Other Band, ok non la migliore, ma se confrontata con il resto…e ha collaborato con Clapton, Bonnie Raitt, Susan Tedeschi), e li chiudete in un paio di studi di registrazione, tra New York e Nashville, insieme a una decina di musicisti di vaglia, alcune coriste, tra cui spiccano Wendy Moten, Bekka Bramlett (la figlia di Delaney & Bonnie) e Crystal Taliefero (esatto, quella di Mellencamp, Springsteen e ora con Billy Joel), magari aggiungete una sezione di archi e di fiati, veri!

Poi prendete il tutto, lo frullate con forza, e il risultato è questo Let Them Fall In Love, uno dei migliori dischi di gospel che mi sia capitato di sentire da lunga pezza (anche se cercando con attenzione nel sottobosco della musica americana si trovano solisti e formazioni di sicura classe, ma oggi parliamo di questo)! CeCe, all’anagrafe Priscilla Marie, fa parte di una dinastia, quella dei Winans, le cui origini risalgono a circa 30-35 anni fa, ma prima c’erano anche Mom & Pop, con una serie di fratelli, dieci per la precisione, che in diverse combinazioni, hanno percorso le strade del soul, del R&B e del gospel: quella di miglior successo è stata l’accoppiata BeBe e CeCe Winans, in azione tra il 1982 e il 1996, poi una reunion nel 2009, 3 Grammy, svariati milioni di dischi venduti, poi CeCe ha proseguito da sola, vincendo ancora nove Grammy e vendendo altri 12 milioni di dischi. Però anche lei dal 2010 sembrava ferma, l’etichetta Pure Springs Gospel formata con il marito pareva non trovare una adeguata distribuzione sul territorio degli States. Ed ecco arrivare la Thirty Tigers, che se c’è da distribuire della buona musica, di qualsiasi genere, è subito pronta.

Il risultato, come si diceva poc’anzi, è questo Let Them Fall In Love, dieci splendide canzoni di puro gospel, coniugate nelle migliori forme della musica soul (e non solo soul): si parte con He’s Never Failed Me Yet, splendida canzone che unisce un incipit voce e piano, dove si gusta la voce della Winans (pensate a Whitney Houston giovane o alla mamma Cissy, ma anche la prima Dionne Warwick) poi entrano basso, batteria, percussioni, la sezione di archi, i fiati, le coriste fiammeggianti, in un crescendo spectoriano che lascia senza fiato, una meraviglia di purezza e musica senza tempo. Ma pure la seconda canzone non scherza, Run To Him, altro inno al signore di una bellezza incredibile, un ritmo latineggiante, tra “Girls Group Sound” e gli arrangiamenti di Bacharach per Dionne Warwick, con percussioni deliziose, tamburelli e castanets (nomi desueti), voci celestiali (visto l’argomento) per il call and response d’obbligo, e poi lei che canta come posseduta, pardon, infusa dalla grazia divina, questo non è “solo” gospel, è grande musica. E se si vuole sconfiggere la tentazione, in Hey Devil! si chiamano le Clark Sisters, si dice loro di cantare come le Raelettes e si costruisce un arrangiamento degno del Ray Charles dei tempi d’oro (con tanto di citazione di Hit The Road Jack sul fade della canzone ), che era comunque uno che dalla chiese aveva tratto più di un motivo di ispirazione ( e CeCe Winans e il marito Alvin Love sono entrambi pastori della loro chiesa evangelica in quel di Nashville).

Dopo i primi tre brani straordinari, il resto dell’album è “soltanto” bello, ma ci accontentiamo: Peace From The God è una serena ballata di grande intensità, Why Me è la versione del brano di Kris Kristofferson, altra ballata sontuosa, impreziosita anche dall’intervento di una pedal  steel suonata da Russ Pahl, la Winans canta sempre con il suo timbro cristallino. Lowly è un trascinante gospel-rock che rimanda al suono dei dischi di Delaney & Bonnie o Joe Cocker, corale e splendida ancora una volta. Comincio a pensare, se amate le valutazioni, che questo forse è addirittura un disco da 4 stellette; impressione confermata dalla pianistica Never Have To Be Alone che ricorda le canzoni di Carly Simon o Carole King, oppure dalla travolgente Dancing In The Spirit cantata con l’Hezekiah Walker’s Love Fellowship Choir che pare uscire da qualcuno dei dischi gospel di Aretha Franklin, con il dancing bass di Tommy Sims in grande evidenza. Scende la pace di nuovo con la spirituale (anche nelle altre, ma in questa più di tutte) Marvelous e radiosa pure la conclusiva Let Them Fall In Love, altra notevole ballata con uno sfarzoso arrangiamento di archi e un coro quasi esagerato. Un “articolo” quasi in estinzione, assolutamente consigliato a tutti, da fare sentire a grandi e piccini.

Bruno Conti