Dalla Louisiana A Nashville, Tra Country E Southern. Frank Foster – Boots On The Ground

frank foster boots on the ground

Frank Foster – Boots On The Ground – Lone Chief/Malaco Records 

Voce profonda e risonante, ben al di là delle sue 34 primavere compiute da poco, cappello d’ordinanza, Frank Foster, da Cypress Bottom, Louisiana, ma residente da tempo a Nashville, è il prototipo perfetto dell’outlaw singer. I dischi se li scrive (tutte le canzoni sono sue), adesso se li produce anche, con l’aiuto della sua ottima band, è il risultato è un rockin’ country energico, con ampie spruzzate di southern rock, la giusta dose di honky tonk e nessuna concessione al country commerciale e fiacco, misto a pop, che domina in molte recenti produzioni della Music City. Insomma siamo dalle parti del vecchio Waylon Jennings, di Hank Williams Jr., perfino di Steve Earle, senza dimenticare il lato più country del southern, e penso a Charlie Daniels. In definitiva uno di quelli bravi e questo nuovo Boots On The Ground conferma le sensazioni positive che avevano dato i quattro precedenti dischi, tutti rigorosamente pubblicati a livello indipendente, come anche il nuovo album. Registrato ai Welcome To 1979 Studios di Nashville, Tennessee (ma forse come sound si risale ancora più indietro del nome degli studi) il disco ha i canonici dieci brani del classico album country, 37 minuti di musica, forse non molti, ma il giusto per gustare questo disco, che non avrà le stimmate del capolavoro o brani particolarmente memorabili, ma tutta una serie di solide canzoni con una qualità media decisamente buona.

Al tutto giova sicuramente la band di Foster, dove si distinguono i due chitarristi, Rob O’Block e Topher Petersen, entrambi sia all’elettrica come all’acustica, e che sono protagonisti alla pari con la bella voce, maschia ed espressiva del nostro. Si parte subito bene con una Redneck Rock’n’Roll, che tenendo fede al proprio nome è una scarica di energia, con le chitarre a tutto riff, su una ritmica molto southern boogie e la voce potente di Frank, tra Waylon e Charlie Daniels, che si fa largo tra le sferzate soliste dei due chitarristi. Anche Blue Collar Boys, più bluesata e sinuosa, ha comunque energia da vendere, una costruzione più vicina al country classico, che poi si estrinseca a fondo in I-20 Troubadour, dove grazie agli interventi della pedal steel dell’ospite Kyle Everson si vira decisamente verso il puro outlaw country a tempo di honky-tonk. Outlaw Run è una bella ballata, sempre con uso di pedal steel, e con un riff iniziale che ricorda Games People Play di Joe South, per poi diventare un brano avvolgente e di grande pathos, tra i migliori del CD.

In Tuff le chitarre tornano a ruggire, in un pezzo che non ha nulla da invidiare ai migliori ZZ Top (neanche il titolo), con la voce di Foster che assume tonalità alla Billy Gibbons (e pure le chitarre non scherzano), gagliarda. Build A Fire, anche con un bel organo sullo sfondo, ma sempre con le chitarre, pure in modalità slide, pronte a graffiare, è un mid-tempo che entra in circolo subito grazie alla sua grinta. Di nuovo outlaw country per la suggestiva Dear Heroes, evocativa ed incalzante grazie ad un ritornello vincente e alla pedal steel che si prende i suoi spazi insieme alle altre chitarre. Romance In The South, come lascia intuire il titolo è un’altra bella ballata, solo voce e chitarra acustica, con la band che rientra per l’ottima Blow My High (Turkey Song), un altro brano in bilico tra rock classico e country di classe, dal ritmo meno incalzante di altre canzoni ma sempre molto piacevole da ascoltare grazie all’eccellente lavoro dei musicisti di Foster, che ci congeda con la title track, una Boots On The Ground che gli stivali li pianta sempre solidamente sul terreno della buona country music, per un lavoro solido ed onesto.

Bruno Conti