Un Altro Ottimo Disco Per Questo “Fuorilegge” degli Anni Duemila. Whitey Morgan & The 78’s – Hard Times And White Lines

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Whitey Morgan & The 78’s – Hard Times And White Lines – Whitey Morgan/Thirty Tigers CD

Negli ultimi anni si è notata una rinascita di un filone all’interno del genere country che può essere equiparato al movimento degli Outlaws negli anni settanta, e che ha certamente le sue punte di diamante in Chris Stapleton e Jamey Johnson, con esponenti che rispondono ai nomi di Shooter Jennings (uno che un Outlaw originale ce l’aveva in casa), Cody Jinks, Sturgill Simpson (che però con l’ultimo disco ha deciso di esplorare altre strade) e Whitey Morgan. Proprio di quest’ultimo ci andiamo ad occupare oggi: country-rocker del pelo duro e con una grinta notevole, Morgan è uno dei migliori esponenti del genere venuti fuori nell’ultimo decennio, con già tre album di ottimo country elettrico (più uno acustico e cantautorale, Grandpa’s Guitar), un suono strettamente imparentato con il rock e con la musica del Sud. Ad ascoltarlo sembra un texano doc, ma in realtà viene dal profondo nord, esattamente da Flint, in Michigan (località nella quale ha registrato anche un eccellente live album, Born, Raised And Live From Flint, uscito nel 2014), una zona degli States che non è certo rinomata per la musica country. Hard Times And White Lines segue a tre anni di distanza il validissimo Sonic Ranch https://discoclub.myblog.it/2016/02/10/le-due-facce-moderno-outlaw-whitey-morgan/ , e si mantiene sullo stesso livello elevato, una musica grintosa, elettrica, forte e molto più rock che country, ricca di ritmo e feeling.

Morgan è accompagnato come sempre dai fidi 78’s (Joey Spina alle chitarre, Brett Robinson, bravissimo, alla steel, Alex Lyon al basso e Tony DiCello alla batteria), ed in questo disco è aiutato anche da altri sessionmen, tra i quali spiccano i nomi del bravo Jesse Dayton, già valido songwriter e chitarrista a proprio nome, del pianista ed organista Jim “Moose” Brown (di recente con Willie Nelson e Bob Seger), e soprattutto del noto polistrumentista Larry Campbell, qui impiegato alla steel e violino. Il suono di questo Hard Times And White Lines (ispirato dalle truckin’ songs, le canzoni per camionisti che occupano quasi un genere a parte nell’ambito del country made in U.S.A.) è davvero spettacolare, forte, nitido e potente, e le canzoni fanno il resto. Il disco si apre con Honky Tonk Hell, una possente ballata, lenta e cadenzata, che dà la misura dell’approccio musicale del nostro: un brano dalla struttura melodica chiaramente country ma suonata con piglio da vero rocker, ed un’intensità che si tocca quasi con mano, con chitarre elettriche e steel che vanno a braccetto. Con Bourbon And The Blues sembra quasi di sentire una outtake di Waylon degli anni settanta, una canzone in cui tutto, dalla melodia alla voce al ritmo, ricorda lo stile del grande texano: ottima ancora la steel ed anche il piano elettrico che aggiunge un sapore southern, e con la ciliegina di una splendida coda strumentale.

Ancora ritmo elevato con la goduriosa Around Here, un country-rock diretto e grintoso che conferma l’eccellente stato di forma del nostro anche dal punto di vista del songwriting, mentre Hard To Get High è una ballatona di stampo western, che non si muove da sonorità vigorose di chiaro stampo texano. La lenta ed evocativa Fiddler’s Inn fa venire in mente cowboys accampati al crepuscolo, con cavallo, falò, chitarra e whisky come unica compagnia (splendida anche qua la steel), ma Tired Of The Rain è ancora più intima e malinconica, con un feeling enorme, mentre con Wild And Reckless Whitey riprende in mano il pallino del puro country con una cristallina honky-tonk ballad alla George Jones. Nel CD trovano posto anche tre cover di varia estrazione, a partire dalla deliziosa What Am I Supposed To Do del poco conosciuto cantautore Don Duprie, una country song ariosa e solare dal motivo davvero bello ed immediato (anche quando non mostra i muscoli Morgan si conferma un musicista coi fiocchi), e seguita da una gustosa versione tra honky-tonk e rock di Carryin’ On di Dale Watson, uno che già di suo ha i cromosomi del countryman di razza. Ma la rilettura in un certo senso più inattesa è quella, decisamente robusta e bluesata, di Just Got Paid degli ZZ Top, che mantiene la tensione elettrica dell’originale aggiungendo un pizzico di country (ma neanche troppo), con strepitosi interventi chitarristici nel finale.

Gran bel disco, tra i migliori esempi di country elettrico usciti quest’anno.

Marco Verdi

Le Due Facce Di Un Moderno Outlaw! – Whitey Morgan

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Whitey Morgan And The 78’s – Sonic Ranch – Whitey Morgan CD

Whitey Morgan – Grandpa’s Guitar – Whitey Morgan CD

Prima di affrontare la recensione volevo fare una precisazione: non è che Whitey Morgan abbia pubblicato due dischi contemporaneamente, anzi, a ben vedere nessuno dei due è nuovo, ma siccome di Sonic Ranch (che è dello scorso anno) questo blog non se ne era occupato (ed è un gran bel disco) e che Grandpa’s Guitar è addirittura della fine del 2014, ma arriva solo ora dalle nostre parti, ed entrambi sono di difficile reperibilità, credo sia venuto il momento di omaggiare un countryman che sta contribuendo a rinvigorire, insieme a gente come Jackson Taylor, Jamey Johnson e Sturgill Simpson, il movimento Outlaw, in auge negli anni settanta. Morgan (vero nome Eric David Allen) è di Flint, Michigan, un posto che ben poco ha da spartire con la musica country, ma sembra un texano fatto e finito: fin dagli esordi (Honky Tonk & Cheap Motels del 2008 e soprattutto Whitey Morgan & The 78’s del 2010) il nostro ha infatti proposto un country robusto, chitarristico e maschio, diretto discendente di leggende quali Waylon Jennings (il suo riferimento più marcato), Willie Nelson e Merle Haggard, una musica non soltanto muscolare ma capace anche di far vibrare le corde giuste, grazie ad un songwriting maturo e ad una band solida e rocciosa (la line-up corrente vede Brett Robinson alla steel, Alex Lyon al basso, Joey Spina alla solista e Fred Eltringham alla batteria).

Sonic Ranch è stato pubblicato lo scorso anno, a ben cinque anni di distanza dal lavoro precedente (in mezzo, l’ottimo live Born, Raised And Live From Flint, uscito nel 2014 ma registrato nel 2011, ed il già citato Grandpa’s Guitar che però ha avuto una distribuzione, per usare un eufemismo, un po’ lenta), ma dimostra che Whitey non ha perso smalto, anzi è maturato e la gavetta on the road è servita, in quanto il disco è un ottimo esempio di vera country music, senza fronzoli e sdolcinature di sorta, arrangiato in modo diretto e con una bella serie di canzoni originali e qualche cover di vaglia: l’album è prodotto da Ryan Hewitt e vede tra gli ospiti, entrambi alla steel, Dan Dugmore e soprattutto l’ottimo Larry Campbell.  

Apre il disco Me And The Whiskey, robusto outlaw country con il vocione di Morgan a dominare, tempo cadenzato e chitarre in gran spolvero; Low Down On The Backstreets è puro Waylon, atmosfera leggermente più country, un piano da saloon che fa capolino ed una melodia decisamente anni settanta; Waitin’ Round To Die è uno dei brani più drammatici di Townes Van Zandt (uno la cui musica di solito non veniva suonata alle feste), e l’interpretazione del nostro è tesa ed affilata come una lama, e, grazie anche ad un arrangiamento rock, rende pienamente giustizia all’originale. Still Drunk, Still Crazy, Still Blue è una ballata distesa, ancora con Jennings (ma anche Willie) ben in mente (e pure il titolo fa molto Waylon), grande pathos e nessuna concessione “radiofonica” nel suono; Leavin’ Again è invece un honky-tonk classico, che si distacca da quanto sentito finora: il mood è meno teso, più rilassato (siamo più dalle parti di Haggard), ma Whitey risulta credibile, e godibile, anche in questa veste. La mossa Goin’ Down Rockin’ è proprio una delle ultime canzoni scritte da Waylon (insieme a Tony Joe White) prima di morire, ed è inutile dire che la memoria del barbuto texano è onorata al meglio; Good Timin’ Man è un intenso intermezzo di base acustica, poi entrano anche gli altri strumenti ed il brano si tramuta in una sontuosa ballata crepuscolare. L’album si chiude con due covers, Drunken Nights In The City di Frankie Miller, un altro slow pieno di feeling, e la splendida That’s How I Got To Memphis di Tom T. Hall, un brano terso e limpido, tra i migliori del CD, ed un pezzo originale (Ain’t Gonna Take It Anymore, un rockin’ country roboante e diretto).

whitey morgan grandpa's guitar

Grandpa’s Guitar è invece un album particolare: intanto è acustico (ma Whitey non è solo, ci sono anche Dugmore e Robinson alla steel e Jason Roberts al violino), ed è un lavoro che il nostro ha dedicato al nonno (musicista anche lui), del quale aveva trovato in cantina una cassetta con una serie di incisioni di brani da lui amati, un reperto che Morgan ha sempre custodito gelosamente tra i suoi ricordi più cari e che, parole sue, ha ispirato tutto quello che ha fatto negli ultimi quindici anni.    L’album contiene in maggioranza covers, a partire da una languida interpretazione della malinconica You’re Still On My Mind (un successo di George Jones), per poi mettere in fila una bella serie di classici, tra i quali spiccano il consueto omaggio a Waylon (Just To Satisfy You), uno Springsteen d’annata (la sempre splendida Highway Patrolman), un paio di pezzi di Haggard (I’ll Leave The Bottle On The Bar e la nota Today I Started Loving You Again), una bella ripresa del purtroppo quasi dimenticato Lee Clayton (If You Could Touch Her At All), e la grandissima Dead Flowers dei Rolling Stones, una canzone che farebbe bella figura anche nelle mani di Gigi D’Alessio (…forse ho esagerato…); per chiudere con due brani originali (le intense Grandpa’s Guitar e Another Wine) ed il traditional I Know You preso direttamente dalla cassetta del nonno William.

Se non avete nulla di Whitey Morgan forse Grandpa’s Guitar non è quello da cui cominciare (Sonic Ranch invece è indicatissimo), ma se già lo conoscete può essere un’aggiunta più che interessante.

Marco Verdi