Southern Men. “Rock delle radici” dal profondo Sud (della Lombardia): Lowlands

Prima il dovere, poi il piacere!

I Lowlands saranno in trasferta “su al Nord”, a Milano per la precisione, il 10 dicembre 2009 ore 21,30 Le Scimmie, ma saranno anche il 16 dicembre al Teatro al Parco di Parma alle 21.00 e il 31 dicembre per un bel veglione allo Spaziomusica di Pavia, ore 23,45, questo per la cronaca e per un po’ di sana promozione!

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Questo era per la categoria non tutti sanno che, ora veniamo ai Carbonari: se i nostri amici fossero nati a Lodi (pronunciato Lodai), Southern California, tutto avrebbe avuto più senso, ma vengono dal Profondo Sud della Lombardia, da Pavia, grande terra di fermenti rock, prima i Mandolin Brothers, poi Fabrizio Poggi Chicken Mambo, ma anche i Southlands vengono da lì, ecchessaràmai, l’aria buona, le vibrazioni del terreno, affinità elettive inconsce (ma si conoscono tra loro? Mi sa di sì!). Comunque veniamo alle cose piacevoli, una breve cronistoria.

Partiamo dalla fine, estate 2009, esce il nuovo mini dei Lowlands, si chiama Ep vol.1, titolo breve ma circostanziato, il contenuto è fulminante, il viiolino di Chiara Giacobbe ha assunto un ruolo decisivo, ma è la scrittura della voce, leader ed autore del gruppo, Edward Abbiati a far fare un ulteriore salto di qualità alla musica del settetto (dieci, con la panchina, però!): Leevee Man ha un incipit che è puro blues, poi si sviluppa con sicurezza nei meandri della musica americana, meglio della Americana, quella strana fusione tra country, folk e rock che tanto ci piace, il violino disegna arzigogoli sonori su un tappeto country e l’appassionato di buona musica gode. Lowlands, un nome, un programma, è ancora meglio, scritta all’origine da Kevin Russell dei Gourds (un grande gruppo americano similBand), il gruppo l’ha fatta propria trasformandola in un’epica canzone rock, tra piano, violino e la solista di Roberto Diana, unico difetto, finisce troppo presto, ma come…My prison walls, un mini duetto familiare si direbbe dalla note (backing vocals Louise Abbiati), folk-country-blues direbbero quelli che parlano bene. Walking Down the Blues era già uscita nel 2008 in un raro pezzo della loro discografia, un mini cd con due soli brani, lato A e B, ma la  nuova versione suona molto meglio, un suono più pimpante, col violino ancora una volta in grande evidenza, una piccola chicca di equilibri sonori tra atmosfere irlandesi (Waterboys?) e classico suono americano. La conclusiva Lullaby, lo dice il titolo, è una piccola ninnananna country-folk. Gran bel disco, l’hanno detto in tanti, in Italia e all’estero.

Passo indietro, In Between, nel mezzo: marzo 2009, esce un articolo sul Corriere della Sera!?! sui Lowlands, il passaparola all around the world, prima all’estero, ma anche la stampa specializzata italiana, li ha fatti piombare sulle pagine del Corrierone, un bell’articolo che racconta le gesta e le genesi del gruppo pavese, nato dall’unione tra Edward Abbiati, artista giramondo di madrelingua inglese (nel senso che la mamma è inglese) e un manipolo di musicisti pavesi, uniti dall’amore per la musica anglosassone.

Ulteriore passo indietro: nel 2008 era uscito il loro primo album, The Last Call, sempre rigorosamente sulla loro etichetta Gypsy Chld Records, distribuita intrepidamente, come direbbe Fantozzi, “brevi mani”. Come è, come non è il disco è diventato un album di culto, mertitamente aggiunge il sottoscritto.

La tripletta folgorante che lo apre merita di essere ascoltata: le pennate di acustica che introducono l’hard country-roots di Ghosts in this town, chiarificano le intenzioni sin dall’inizio, folate di slide, weeping pedal-steels e ritmi alla Green on red dei tempi d’oro elaborano il tessuto sonoro. La successiva What Can I do è anche meglio, l’allegra malinconia che ne pervade i solchi (lo so è un cd ma i suoni sono quelli dei gloriosi vinili americani anni ’70), al sottoscritto ha ricordato una outtake, un inedito da Travelin’ Wilburys vol.2, quello mai uscito ( e forse mai inciso), Orbison, Dylan, il Beatle George Harrison (la slide), Petty, roba seria, ma i Lowlands, anzi divertono nel continuo rilancio sonoro del brano, un piccolo bijou. You can never go back mi ha fatto rivivere l’epico country-rock di un paio di Beautiful Losers degli anni ’70, Guthrie Thomas e Tom Jans, due meravigliosi musicisti che dubito qualcuno ricordi (ma forse sì), che pubblicarono i loro album su Capitol e Columbia, quando le majors non avevano paura di rischiare ed erano guidate da appassionati da musica (anche se questo non li esimeva, ove possibile, dal cercare di metterlo in quel posto ai musicisti!).

Attualmente le possibilità per i Lowlands di un contratto con una major sono legate a tre possibiltà: partecipazione al Festival di Sanremo, possibilità scarse, partecipazione a X-Factor, anche qui visti i giudici direi poche; terza possibiltà partecipazione a X-Factor, cantando Hallelujah, e qui forse forse, se ha funzionato in tutto mondo…hai visto mai, e quindi vi consiglierei di studiarla.

Per ulteriori informazioni, nel loro sito trovate tutto quello che c’è da sapere.

http://www.lowlandsband.com/

Buon ascolto.

Bruno Conti

Southern Men. “Rock delle radici” dal profondo Sud (della Lombardia): Lowlandsultima modifica: 2009-12-06T19:19:00+01:00da bruno_conti
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