Adesso lo sapete! Parte II

Ci eravamo lasciati una settimana fa con gli Stones, ma i Beach Boys dove li vogliamo mettere?  (attenti!) Chi è quel “grande autore” che ha firmato con loro Never Learn Not to Love? Il filmato è delizioso.

Purtroppo, e sottolineo purtroppo, l’autore è Charles Manson.

Largo ai giovani.

Sapete a chi è dedicata questa, peraltro stupenda, ballata al vetriolo di Martha Wainwright? Il titolo è Bloody Mother Fucking Asshole.

martha-wainwright.html

Al Babbo, Loudon Wainwright III, grandissimo cantautore, uno dei tantissimi nuovi Dylan degli anni ’70 (ricordatemelo che poi ci torniamo, tra l’altro, apro parentesi, come dite? è già aperta, se volete commentare il blog o dare suggerimenti sugli argomenti non è vietato, chiusa parentesi), nonché genitore anche di Rufus Wainwright.

Questa non è facile. Tanto ve lo dico io! Sapete quale è stato il primo singolo a raggiungere il primo posto delle classifiche inglesi solo in virtù dei dowloads?

Jesse Malin è un ottimo rocker che vi consiglio, nel 2007 ha fatto un album di sano rock Glitter in the Gutter, che conteneva anche un duetto con chi?
Esatto, con il nostro grande amico Bruce, brano bellissimo.
E per finire, sapete chi è finito nei top ten inglesi nel 2004, con un remix (!?!?!) di un suo brano?
Questa versione è veramente orrenda, se la sente il mio quasi omonimo Carlo Conti c’è il rischio che scambiandolo per un divo della disco music degli anni ’70 lo inviti in qualche sua trasmissione. Sotto c’è l’originale di Lou Reed, quello vero.

Bruno Conti

Southern Men. “Rock delle radici” dal profondo Sud (della Lombardia): Lowlands

Prima il dovere, poi il piacere!

I Lowlands saranno in trasferta “su al Nord”, a Milano per la precisione, il 10 dicembre 2009 ore 21,30 Le Scimmie, ma saranno anche il 16 dicembre al Teatro al Parco di Parma alle 21.00 e il 31 dicembre per un bel veglione allo Spaziomusica di Pavia, ore 23,45, questo per la cronaca e per un po’ di sana promozione!

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Questo era per la categoria non tutti sanno che, ora veniamo ai Carbonari: se i nostri amici fossero nati a Lodi (pronunciato Lodai), Southern California, tutto avrebbe avuto più senso, ma vengono dal Profondo Sud della Lombardia, da Pavia, grande terra di fermenti rock, prima i Mandolin Brothers, poi Fabrizio Poggi Chicken Mambo, ma anche i Southlands vengono da lì, ecchessaràmai, l’aria buona, le vibrazioni del terreno, affinità elettive inconsce (ma si conoscono tra loro? Mi sa di sì!). Comunque veniamo alle cose piacevoli, una breve cronistoria.

Partiamo dalla fine, estate 2009, esce il nuovo mini dei Lowlands, si chiama Ep vol.1, titolo breve ma circostanziato, il contenuto è fulminante, il viiolino di Chiara Giacobbe ha assunto un ruolo decisivo, ma è la scrittura della voce, leader ed autore del gruppo, Edward Abbiati a far fare un ulteriore salto di qualità alla musica del settetto (dieci, con la panchina, però!): Leevee Man ha un incipit che è puro blues, poi si sviluppa con sicurezza nei meandri della musica americana, meglio della Americana, quella strana fusione tra country, folk e rock che tanto ci piace, il violino disegna arzigogoli sonori su un tappeto country e l’appassionato di buona musica gode. Lowlands, un nome, un programma, è ancora meglio, scritta all’origine da Kevin Russell dei Gourds (un grande gruppo americano similBand), il gruppo l’ha fatta propria trasformandola in un’epica canzone rock, tra piano, violino e la solista di Roberto Diana, unico difetto, finisce troppo presto, ma come…My prison walls, un mini duetto familiare si direbbe dalla note (backing vocals Louise Abbiati), folk-country-blues direbbero quelli che parlano bene. Walking Down the Blues era già uscita nel 2008 in un raro pezzo della loro discografia, un mini cd con due soli brani, lato A e B, ma la  nuova versione suona molto meglio, un suono più pimpante, col violino ancora una volta in grande evidenza, una piccola chicca di equilibri sonori tra atmosfere irlandesi (Waterboys?) e classico suono americano. La conclusiva Lullaby, lo dice il titolo, è una piccola ninnananna country-folk. Gran bel disco, l’hanno detto in tanti, in Italia e all’estero.

Passo indietro, In Between, nel mezzo: marzo 2009, esce un articolo sul Corriere della Sera!?! sui Lowlands, il passaparola all around the world, prima all’estero, ma anche la stampa specializzata italiana, li ha fatti piombare sulle pagine del Corrierone, un bell’articolo che racconta le gesta e le genesi del gruppo pavese, nato dall’unione tra Edward Abbiati, artista giramondo di madrelingua inglese (nel senso che la mamma è inglese) e un manipolo di musicisti pavesi, uniti dall’amore per la musica anglosassone.

Ulteriore passo indietro: nel 2008 era uscito il loro primo album, The Last Call, sempre rigorosamente sulla loro etichetta Gypsy Chld Records, distribuita intrepidamente, come direbbe Fantozzi, “brevi mani”. Come è, come non è il disco è diventato un album di culto, mertitamente aggiunge il sottoscritto.

La tripletta folgorante che lo apre merita di essere ascoltata: le pennate di acustica che introducono l’hard country-roots di Ghosts in this town, chiarificano le intenzioni sin dall’inizio, folate di slide, weeping pedal-steels e ritmi alla Green on red dei tempi d’oro elaborano il tessuto sonoro. La successiva What Can I do è anche meglio, l’allegra malinconia che ne pervade i solchi (lo so è un cd ma i suoni sono quelli dei gloriosi vinili americani anni ’70), al sottoscritto ha ricordato una outtake, un inedito da Travelin’ Wilburys vol.2, quello mai uscito ( e forse mai inciso), Orbison, Dylan, il Beatle George Harrison (la slide), Petty, roba seria, ma i Lowlands, anzi divertono nel continuo rilancio sonoro del brano, un piccolo bijou. You can never go back mi ha fatto rivivere l’epico country-rock di un paio di Beautiful Losers degli anni ’70, Guthrie Thomas e Tom Jans, due meravigliosi musicisti che dubito qualcuno ricordi (ma forse sì), che pubblicarono i loro album su Capitol e Columbia, quando le majors non avevano paura di rischiare ed erano guidate da appassionati da musica (anche se questo non li esimeva, ove possibile, dal cercare di metterlo in quel posto ai musicisti!).

Attualmente le possibilità per i Lowlands di un contratto con una major sono legate a tre possibiltà: partecipazione al Festival di Sanremo, possibilità scarse, partecipazione a X-Factor, anche qui visti i giudici direi poche; terza possibiltà partecipazione a X-Factor, cantando Hallelujah, e qui forse forse, se ha funzionato in tutto mondo…hai visto mai, e quindi vi consiglierei di studiarla.

Per ulteriori informazioni, nel loro sito trovate tutto quello che c’è da sapere.

http://www.lowlandsband.com/

Buon ascolto.

Bruno Conti

Tom Petty & the Heartbreakers Live Anthology

tom petty live anthology.jpgtom petty.jpgTom Petty & the Heartbreakers – The Live Anthology

In una scala da uno a cinque, sei stellette!. Rock and Roll Sesquipedale.

Scusate se mi sono dilungato (sono tredici parole).


 

 

 

Più che mistico, mitico!

Voto 9

Bruno Conti

The Masked Marauders. Mick Jagger, Bob Dylan, Paul McCartney, John Lennon, George Harrison. Ma sarà vero?

 

Masked_Marauders.JPGPer essere vero è vero, la copertina dell’album originale del 1969 la vedete qua di fianco, sui contenuti e sui partecipanti ho qualche dubbio, o meglio sui contenuti no, sugli artisti coinvolti qualche “piccola” perplessità.

Qualche settimana fa, in un posto precedente, vi ho parlato del “mitico” Sequoia di CSN&Y, uscito un 1° di aprile di metà anni ’70 e mai tornato (nel senso che non esiste, pesce d’aprile), creato in Italia. Negli States dove notoriamente sono molto più avanti, nel 1969 tale T.M. Christian recensisce per la rivista Rolling Stones un doppio bootleg di un nuovo supergruppo chiamato The Masked Marauders – I Masnadieri Mascherati, ma per favore! – formato da, nomi e cognomi, Mick Jagger, Bob Dylan, Paul McCartney, John Lennon e George Harrison, se la devi sparare, sparala grossa.

Questo doppio disco pirata, un bootleg per intenderci, rivaleggiava con il Great White Wonder di Dylan per la sua mitica introvabilità ma gli “eroici” giornalisti di Rolling Stone erano riusciti a recuperarne una copia. Il disco, sempre secondo la recensione, si apre con una lunghissima versione, oltre diciotto minuti di Season of the Witch di Donovan cantata da Dylan che imita superbamente lo stile vocale del primo Donovan. Il disco, prodotto da Al Kooper viene registrato in una località secreta del Canada in una serie di jam session, da ricordare una grande versione di The Duke of Earl, un classico della canzone americana, cantato ancora alla grande da Bob Dylan con la sua nuova voce profonda. E’ proprio Dylan, reduce dalla lunga pausa dopo l’incidente in moto?!?, il grande protagonista del disco.

T.M. Christian, sta per The Magic Christian, titolo di un libro, ma anche di un film interpretato da Peter Sellers con la partecipazione di Ringo Starr, che a causa di questo impegno non aveva potuto partecipare alla registrazione del disco (Capito!?! Scherzo nello scherzo), in effetti il gionalista era Greil Marcus, mica cotica, una delle firme più autorevoli della storia del giornalismo musicale, autore di fior di biografie su Elvis, Dylan (toh!) e decine di altri libri serissimi (allora un giovane pirlone).

Fin qui lo scherzo iniziale, esce la rivista e tutti capiscono? Nemmeno per sogno, arrivano telefonate da Allen Klein, manager di Beatles e Stones e dal manager di Dylan, Albert Grossman che chiedono spiegazioni sulla provenienza di questi nastri pirata dei loro protetti. A questo punto i giornalisti della rivista scoprono di avere tra le mani qualcosa di grosso, tutto era partito come una parodia dei supergruppi, qualcuno ha detto Blind Faith e CSNY?, ma ora assumeva una vita propria. Quindi Marcus e un altro giornalista di Rolling Stone convocano un gruppo di oscuri musicisti californiani loro amici, i Cleanliness & Godliness Skiffle Band, per fargli registrare il tutto, detto fatto il disco è pronto, viene mandato ad alcune radio di Los Angeles che lo trasmettono, scoppia la guerra tra le case discografiche per decidere chi deve pubblicarlo. Vince la Warner Bros che con un anticipo di 15.000 dollari (nel 1969) si aggiudica il diritto a pubblicare l’album.

Il disco esce nel novembre di quell’anno, venderà più di centomila copie, arrivando fino al n.114 delle classifiche e restando nelle stesse per dodici settimane.

Fine della storia? Ma stiamo scherzando (!!), nel 2003 la Rhino Handmade pubblica un bel cd in 2000 copie, con i risultati di quelle sessioni.

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Detto per inciso, I Can’t get no nookie cantata da Jagger, e Seasons of the witch, oltre dieci minuti e molto simile alla versione della Supersession di Bloomfield, Kooper and Stills e The Duke of Earl cantata da Dylan non sono niente male, divertentissimo il siparietto finale dove un tipo incavolatissimo si lamenta di essere stato preso per i fondelli e chiede dove siano i veri Dylan, Lennon, Harrison.

Il cd non è di facile reperibilità e costa un pacco di soldi, se volete nel solito Amazon potete sentirvi, per curiosità, i primi 30 secondi dei vari brani.

Bruno Conti

Come gemelli separati alla nascita. Plagio! Chi, io? Anche Mozart copiava

 

Se volete dare un’occhiata!

Anche a questo

Se volete approfondire e passare un quarto d’ora piacevole c’è un sito molto divertente e istruttivo che si chiama, un nome, un programma, www.plagimusicali.net. con molti clienti assidui tra cui un paio di cantanti italiani che sono i recordmen, a voi scoprirli, uno è alquanto incazzoso.

Non ci sarebbe niente di male, ma qualcuno esagera: c’è anche un bel libro sull’argomento. Anche Mozart copiava.

anche mozart copiava.jpg

 

 

 

 

 

 

Buon divertimento.

Bruno Conti

 

Saw Doctors To Win Just Once The best of

saw doctors to win just once.jpgSe con una domanda brutale a bruciapelo vi chiedessero qual’è il gruppo irlandese che ha avuto il maggior successo all time nelle classifiche irlandesi immagino già i vostri cervelli al ripasso della discografia degli U2.

Ovviamente non è il caso se no non sareste finiti in questo post: ebbene sì i Saw Doctors con I Useta a lover sono i detentori con ben nove settimane al primo posto delle Irish charts. Immagino che pochi sappiano chi diavolo siano costoro, anche se molti lettori di questo blog so che sanno!

Un istituzione in Irlanda, in attività da circa vent’anni, una discografia di sette album di studio, un paio di live e un paio di antologie, un’intensa attività dal vivo, una carriera con picchi e valli: un inizio clamorosamente ricco di successi, un lungo periodo oscuro di ritorno al settore “cult bands” e di nuovo ai vertici delle classifiche negli ultimi due anni. La musica però è rimasta sempre di buona qualità, orecchiabile, antemica, fortemente e ovviamente influenzata dalla musica celtica, ma anche dal punk, dai Clash, da Springsteen, tutte sane qualità.

Con questa nuova antologia sono andati sparati al primo posto delle classifiche irlandesi: ventidue brani contenuti in un CD pubblicato dalla Universal Irlandese e quindi non facilmente reperibile, come il resto della discografia, nelle nostre lande. Varrebbe la pena di fare lo sforzo e sareste premiati da un album che apre con il celtic punk dell’iniziale About you now, numero uno nel 2008, velocissima, sparatissima, immaginate i Pogues in overdrive, o i Sex Pistols alle prese con delle melodie celtiche, per i più colti Undertones o Stiff Little Fingers, o i Doll by Doll del giovane Jackie Leven, e siamo solo al primo brano.

Si prosegue con la deliziosa e coinvolgente N17, fisa, ritmo e pubblico che canta all’unisono con la band, dal vivo, questa versione è spettacolare. Last Summer in New York è rock allo stato puro, qualcuno li ha accomunati a Bruce Springsteen dicendo che fanno musica locale con uno spirito universale, perfetto e quel sax profuma di New Jersey. She loves me she loves me not è la più recente, estate 2009, solo numero 2, un altro singolo perfetto, pura musica pop con quel piccolo quid in più. Il lato folklorico è illustrato perfettamente dall’evocativa Green and Red of Mayo, arie celtiche, cornamuse e un sitar elettrico fusi alle perfezione con le voci di Leo Moran e Davy Carton, i due leader del gruppo, che vanta nelle sue fila anche Anthony Thistlethwaite, al basso e sax, già con i Waterboys (strade che si incrociano i Saw Doctors avevano iniziato come gruppo di supporto della band di Mike Scott).

I useta a lover un valzerone orecchiabilissimo non manca all’appello così come la dolce ballad Red Cortina e l’altro brano al numero 1, Hay wrap, uno strano miscuglio tra una giga, un pezzo alla Clash e vaghe influenze disco.

Nella raccolta, che rimane comunque una cornucopia di delizie sonore. manca I’d love to kiss the Bangles, uno dei brani più divertenti della loro discografia, dove raccontano cosa farebbero alle Bangles, ve lo faccio vedere qua sotto.

A seguire trovate anche la discografia, testi e un bel po’ di video: occhio al titolo del primo album If this is Rock and Roll, I want my old job back, mica male, titolo e musica.

saw-doctors.html

Bruno Conti