Giugno 2010. Novità E Anticipazioni. U2, Jack Johnson, Steve Miller Band, Judy Collins, Bruce Springsteen, Sarah McLachlan, Macy Gray, Christina Aguilera Eccetera

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Prima di partire perché le uscite sono veramente tante e molto interessanti (una la vedete già qui sopra) alcune precisazioni: come vedete cerco sempre di non pubblicare sterili liste di decine o centinaia di titoli che poi non escono o vengono rimandati alle calende greche, anche se ogni tanto qualcosa scappa, per cui… Il nuovo CD/DVD dal vivo di James Taylor e Carole King dovrebbe (esce) finalmente uscire il 25 maggio, come pure il nuovo Bettye Lavette e il nuovo Micah P. Hinson (gli ultimi due in Italia il 28 maggio), sempre il 25 maggio esce il nuovo Widespread Panic Dirty Side Down e il nuovo John Prine In person & On Stage. Rinviata di una settimana la Deluxe di Disintegration dei Cure (mentre esce il vinile). Sempre martedì (magari anche lunedì) escono il nuovo di Susan Cowsill, proprio lei, si chiama Lighthouse, ci sono i fratelli sopravvissuti, Jackson Browne, Vicki Peterson delle Bangles (ma anche dei Continental Drifters dove militano entrambe), e il mitico Waddy Watchel e del primo CD degli Slummers, il nuovo gruppo di Dan Stuart dei Green Red, non vogliamo parlare. Esce anche lui, si chiama Love Of The Amateur ed è molto bello, un ritorno ai vecchi splendori.

Ma veniamo a giugno: negli States esce il 3 giugno, da noi l’8 giugno. O meglio escono, le varie edizioni, del nuovo DVD degli U2 360° At The Rose Bowl, dal vivo nella famosa Arena di Pasadena, California con il famoso megapalco che dà il titolo al progetto. Versione singola, 23 brani 122 minuti, versione doppia digipack, nel secondo DVD, 120 minuti circa, documentari, bonus, extra tracks, dietro le quinte e quant’altro, all over the world, Ialia compresa. C’è anche il BluRay. La Versione Superdeluxe, che costerà all’incirca come quella di Exile on Main Street, quindi preparatevi ad un altro salasso oltre i 100 euro, contiene quanto segue, per la precisione: oltre ai due DVD in digipack, 1 BlueRay in digipack, 1 vinile a 45 giri colorato con copertina, libro di 32 pagine con hardcover, 3 plettri in custodia con bassorilievi (non so cosa vuol dire ma riporto, ci saranno dentro degli Assiri!), programma del tour, stampa progetto tecnico del palco e, pfui, 5 stampe fotografiche, il tutto in una custodia esterna chiusa con nastro.

Ci sono veramente molto novità per cui ne ho selezionate alcune. Per esempio non vi parlo del nuovo Gaslight Anthem perché l’ho già recensito, così come del nuovo Cowboy Junkies Renmin’ Park, recensione a giorni, entrambi in uscita il 15 giugno. Ogni tanto non resisto! Anche il nuovo David Ford Let The Hard Times che esce addirittura il 5 luglio, bellissimo, so già che non resisterò, quindi nei prossimi giorni, insieme ad altro che ancora non so, recensione garantita. Esce, finalmente, a metà giugno, anche il nuovo Suzanne Vega, recensito mesi orsono.

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Il primo in uscita, il 1° giugno, è Jack Johnson. il disco si chiama To The Sea. L’8 giugno, negli States, quindi occhio alla reperibiltà, esce un nuovo disco in studio di Judy Collins, si chiama Paradise e sono della partita Joan Baez e Stephen Stills (per inciso, nonostante il tour estivo, il nuovo disco con Crosby e Nash non esce prima di fine anno). Il nostro amico Bruce Springsteen dopo averci fatto soffrire per anni in attesa di dischi nuovi per non parlare di Live, sembra averci preso gusto, oltre cha a farli, a pubblicarli pure: London Calling Live In Hyde Park, 2 DVD 163 minuti, è il resoconto del concerto tenuto il 28 giugno dello scorso anno nell’ambito dell’Hard Rock Calling Festival nel parco di Londra. Tra i 26 brani, cover strepitose di London Calling (poteva mancare?), Trapped di Jimmy Cliff, Good Lovin’ degli Young Rascals, Raise Your Hand di Eddie Floyd dal lontano passato, Hard Times (Come Again No More) scritta da Stephen Foster nel 1854 e un duetto con Brian Fallon dei Gaslight Anthem in No Surrender. Esce il 22 giugno, magari uno dei prossimi giorni vi do la lista completa (ci sono anche delle bonus).

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Su una nota più leggera, escono anche il nuovo Macy Gray The Sellout il 22 giugno e Chrstina Aguilera Bionic l’8 giugno anche in versione Deluxe. Torna con un nuovo album di studio, dopo 17 anni, la Steve Miller Band, è un ritorno al blues delle origini, registrato negli studi di George Lucas con Andy Johns che produce, la grafica della copertina è curata da Storm Thorgerson, esatto quello delle mitiche copertine dei Pink Floyd. Anche in questo caso c’è una versione deluxe con 4 tracce extra.

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Last but not least: secondo la Warner Italiana l’8 giugno, più probabilmente il 15 giugno come dicono negli Stati Uniti esce il nuovo Tom Petty di nuovo riunito con gli Heartbreakers, si chiama Mojo e promette un gran bene. Il 15 giugno, prima di partire a fine mese con la nuova edizione di Lilith Fair il festival itinerante tutto al femminile, Sarah McLachlan pubblica il nuovo disco Laws of illusion, anche in questo caso disponibile una versione Deluxe con un Dvd con 5 brani registrati dal vivo in studio. Tutte le informazioni sulle Deluxe Edition per evitarvi in…zature alla Gioele Dix quando ne scoprite l’esistenza dopo avere acquistato la versione normale.

E’ veramente “tutto”.

Alla prossima.

Bruno Conti

The Jersey Shore Devils. Gaslight Anthem – American Slang

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The Gaslight Anthem – American Slang – Side One Dummy Records – 15-06-2010

Sarà nei negozi il 15 giugno ma non ho resistito, ve ne parlo con un “leggero” anticipo, il vantaggio dei Blog, non occorre aspettare l’uscita del mensile preferito!

Terzo album per il quartetto del New Jersey, conterranei e non solo del grande Bruce Springsteen, pupilli ed allievi nonché grandi fans del Boss con il quale lo scorso anno hanno diviso il palcoscenico a Glastonbury.

E’ il secondo album della Side One Dummy di cui vi parlo in un breve lasso di tempo dopo quello di Audra Mae. Non sbagliano un colpo! Anche i Flogging Molly sono della stessa parrocchia. Terzo album, scusate, dimenticavo Jesse Malin, qualche tempo prima, Tutti dischi prodotti da Ted Hutt che naturalmente produce anche questo American Slang. Il nuovo Re Mida dei produttori visto che anche il disco dei Lucero porta la sua firma?

Può essere! Comunque questo CD è, ancora una volta, una vera festa del Rock. I “soliti noti”, nel senso di influenze, sono sempre presenti: quindi Springsteen in primis, i Clash del periodo americano, la “velocità” dei Ramones, la voce del frontman Brian Fallon ricorda quello del giovane Bono e anche la sua urgenza, in questo album e nei brani più lenti qualcosa anche dei Counting Crows di Adam Duritz e il Tom Petty più rock. Tutti nomi “importanti” ma i Gaslight Anthem sono assolutamente all’altezza delle aspettative di chi aveva apprezzato The ’59 Sound, anzi rilanciano. Dieci pezzi, meno di trentacinque minuti di musica, ma che musica ragazzi! La rivista Rolling Stone li ha inseriti tra i 40 dischi da seguire dell’anno. Nel 2008, Kerrang (sì, quella dei metallari), li ha messi in copertina senza avere mai parlato prima di loro e li ha proclamati “gruppo dell’anno”.

Con tutte queste credenziali a loro credito era difficile fallire (o facile!), ma non è questo il caso. I Gaslight Anthem sono dei “citazionisti”, nel senso che amano citare versi, piccole frasi, sensazioni e musiche dei musicisti che ammirano. Di questo album non ho avuto ancora occasione di leggere i testi per cui vado a naso, ma la citazione del “Wait a Minute, Wait A Minute” ripetuto e reiterato da Please, Mr. Postman dei Beatles è troppo clamorosa per non notarla. Nel precedente album venivano citati versi di Bruce Springsteen (ripetutamente), Bob Dylan, Tom Waits, Tom Petty, Counting Crows, Otis Redding, Bob Seger, Sam Cooke, Gary U.S Bonds, Warren Zevon, una vera enciclopedia del rock che conta e un omaggio convinto alle radici del R&R.

L’album si apre con American Slang, il singolo, un vero “inno”, con oh-oh come piovesse, ritmi incalzanti, un riff di chitarra fantastico, un ritornello irresistibile, la perfetta pop song, come quelle che Springsteen sfornava all’impronta nei primi anni di carriera con aggiunta l’urgenza del punk melodico più intelligente e coinvolgente, non si poteva iniziare meglio. Stay Lucky raddoppia ritmi e velocità, sembrano quasi gli Stiff Little Fingers, ma senza perdere quel gusto per la melodia che è una loro prerogativa. Bring It On è quella che cita i Beatles nel finale, ma parte come una outtake di Springsteen degli anni ’70, con citazioni di Romeos vari e le chitarre che sfiorano le sonorità dei primi Big Country, l’arrangiamento vocale è fantastico nella sua semplicità, gli oh oh non mancano qui come ovunque nell’album. Dal vivo deve essere una vera goduria.

The Diamond Street Choir esce a viva forza dai solchi di Greetings… o The Wild… e si immerge in quelli dei primi Mink De Ville passando per gli U2 di Boy e citando i Counting Crows di August. Queen Of Lower Chelsea viaggia su ritmi reggae tipo i primi Costello o Parker o gli stessi Clash degli esordi, poi deflagra  in un finale travolgente. Orphans torna ai ritmi supersonici degli esordi, le analogie con altri “nuovi eroi” del R&R come Hold Steady e Jesse Malin sono evidenti ma molto gradite, una volta si chiamava Blue-Collar Rock, lo facevano anche gli Iron City Houserockers di Joe Grushecky o i Del-lords e prima i Dictators. Anche la devastante Boxer è un perfetto esempio della dirompente energia che emanerebbe dai solchi del disco se esistesse, ma esisterà perché il disco, per gli amanti, esce anche in vinile.

All’inizio e all’interno di Old haunts mi è sembrato di cogliere anche delle citazioni di Cherry Bomb di Mellencamp, ma bisogna stare molto in campana e sono solo dei brevi flash, delle impressioni che non deviano troppo dallo stile dei Gaslight Anthem.

Con la conclusiva We Did It When We Were Young affrontano anche, superandoli, i perigli della canzone lenta anche se qui devono ancora perfezionarsi, ma il crescendo conclusivo lascia ben sperare e questa versione acustica lascia intravede ulteriori sviluppi. Take a look.

Qui Brian Fallon parla del disco e di altro, se masticate l’inglese è la parte uno di quattro watch?v=sPK65AzzxIA

Ho visto il futuro del Rock and Roll e il suo nome era Gaslight Anthem? Adesso non esageriamo, accontentiamoci del presente.

Bruno Conti

ISSA.E Chi E’ Costei?

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Issa – With What Shall I Keep Warm? – Sheeba Records

Niente preoccupazioni, non sono andato fuori di melone! Le due copertine che vedete sono i due ultimi dischi di Issa.

Mi faccio la battuta da solo, così vi risparmio tempo e fatica: “Oh, issa”.

Facezie a parte, se vi dicessi che il suo vero nome (al quale è tornata recentemente) è Jane Siberry questo vi risveglierebbe dei lontani o recenti ricordi? No, eh. Pazienza.

Nel lontano 1981 esordisce con un album omonimo che già lascia intravedere enormi possibilità, vocali e musicali. e ottiiene le prime critiche molto positive. Da lì in avanti è un continuo crescendo che culmina con l’album When I Was A Boy del 1993, prodotto da Michael Brook e Brian Eno, quello che contiene il brano Calling All Angels cantato in duetto con K.D. Lang e che verrà anche inserito nella colonna sonora del film Fino alla fine del mondo di Wim Wenders, brano peraltro bellissimo, una delle più belle canzoni degli anni ’90 e di cui in Youtube trovate decine di versioni. Questa è la versione originale.

Dopo la pubblicazione dell’album Maria nel 1995, l’ultimo per una major, fonda la propria etichetta, la Sheeba Records, attraverso la quale negli anni successivi pubblicherà parecchio materiale di tipo diciamo più spiriituale, legato a varie religioni soprattutto orientali. Questa fase si conclude nel 2006 quando chiude la propria etichetta, vende tutti i propri strumenti musicali meno una chitarra preferita, la casa e le sue altre proprietà e regala tutto salvo alcune cose tra cui la propria collezione di CD di Miles Davis che viene riposta in un magazzino. Cambia anche il proprio nome in Issa.

Questa parte della sua vita produce i due album che vedete raffigurati all’inizio del post, parte 1 e 2 di una trilogia che deve raggiungere la sua conclusione. Fortunatamente alla fine del 2009 si è riappropriata del proprio nome e cognone e ha ripreso a suonare dal vivo con una lunga tournée che l’ha portata in tutto il mondo: prima Canada, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e adesso, Europa fino alla fine di giugno.

A questo punto vi aspetterete che vi parli dell’ultimo album With What Shall I Keep Warm?, peraltro molto bello e che segna in parte un ritorno ai livelli qualitativi del passato: ci sono tre o quattro ballate pianistiche stupende che sono illuminate dalla sua bellissima voce come ai tempi d’oro, penso in particolare a Walk On Water e Then We Heard A Shout, ma ce ne sono altre molto belle. D’altronde per una musicista che è stata spesso paragonata a Kate Bush, Joni Mitchell e Laurie Anderson in termini più che favorevoli (se Joni Mitchell vale 100 lei si attesta a 90-95: sì è così brava!) e che ha citato come fonte di ispirazione Miles Davis e Van Morrison ( e aggiungo io perchè ricordo di averlo letto in una sua intervista di inizio anni ’80 conosceva e stimava Lucio Dalla e Fabrizio De André, ricambiata), dicevo che per una musicista così era un vero delitto questo parziale abbandono delle scene musicali.

Molti si chiederanno, ma se gli ultimi sviluppi sono stati a novembre dello scorso anno perché diavolo hai aspettato fino ad ora per parlarne? Perchè non avevo sentito gli ultimi album che erano di difficilissima reperibilità, ma ora, colpo di scena, la Siberry “rinsavita” (si spera) sul suo sito, dove vi accoglie con uno splendido You Are Beautiful, ha reso disponibili tutti i suoi album, ma proprio tutti, per il dowload gratuito, qui music.html, con la seguente motivazione: ” E’ Tutto gratis, un dono da Jane, fatene un buon uso”. Io condivido con voi la notizia e vi esorto anche a spargere la buona novella. La musica che troverete, in ordine cronologico, spesso è fantastica ma in generale di grande qualità. Unica avvertenza perchè già sperimentata (niente paura non si paga nulla e non bisogna iscriversi o altro), potete scaricare un solo album alla volta, attendere e poi passare al successivo. Buon Ascolto e fatemi sapere!

Bruno Conti

Un Disco Di Gran Classe. Shelby Lynne – Tears, Lies And Alibis

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Shelby Lynne – Tears, Lies And Alibis – Everso Records

Questa meraviglia umana (in tutti i sensi) è in possesso di una voce molto bella che ha saputo toccare tanti punti nella sua carriera: dall’iniziale country puro di Nashvile, anche troppo commerciale, dei primi tre album, al western swing e big band sound di Temptation, poi il country pop di Restless. Nel 1999/2000 ha registrato I Am Shelby Lynne un album che iniettava nella sua musica una massiccia dose di R&B, sorprendentemente vincendo un Grammy, non perché non meritato, ma in quanto assegnatole come Miglior Esordiente, dopo più di dieci anni di carriera! Con il successivo Love, Shelby del 2001 ha tentato la strada del pop, con la p minuscola, con scarsi risultati. Finalmente nel 2003 ha realizzato quello che finora era considerato il suo disco migliore Identity Crisis, veramente molto bello. Nello stesso anno ha partecipato alla registrazione del disco live della sorella Allison Moorer, Show un cd con DVD molto bello dove, per oscure ragioni, appare anche Kid Rock (si chiama marketing, baby! Ah già, scusate!).

A questo punto una piccola digressione: il vero nome della nostra amica è Shelby Lynn Moorer quindi spiegato il mistero della parentela. Una tragedia che ha colpito le due sorelle va comunque raccontata: nel 1985, quando Shelby aveva diciassette anni, il padre, che era stato un piccolo direttore di complessi musicali, con la madre insegnante di canto, si è presentato in casa dalla moglie, dalla quale si era appena diviso per problemi di alcolismo e, alla presenza delle due figlie, l’ha uccisa con un colpo di pistola e poi si è suicidato, non aggiungo commenti, ci vuole un coraggio enorme per continuare la propria vita ma le due sorelle Moorer l’hanno avuto, diventando due delle migliori cantanti che calcano i palcoscenici americani.

Torniamo alla discografia della Lynne (che ad oggi vanta undici album più due raccolte, non male, in ventidue anni di carriera), dopo il picco di Identity Crisis con il successivo Suit Yourself tenta anche la strada del rock con discreti risultati. Nel 2008, approdata alla Lost Highway, pubblica Just A Little Lovin’, un disco molto bello dedicato alla musica di Dusty Springfield, ancora accolto da ottime critiche. E siamo arrivati al 2010: questo nuovo album viene rifiutato dalla sua casa discografica (non si capisce perché, visto che per le strane alchimie delle majors, verra poi distribuito dalla Fontana, un’altra etichetta del gruppo Universal). In ogni caso, perché scoraggiarsi, si fonda la propria etichetta, si chiamano gli amici, David Hood e Spooner Oldham dei Muscle Shoals, Mark Jordan, Kenny Malone, John Jackson ed altri, si registra la base di chitarra acustica, spesso molto presente, e la voce nel proprio studio poi si va in uno studio professionale di Nashville e si realizza un signor disco, forse il migliore della propria carriera e così ha fatto Shelby Lynne. Per la legge del “Poco E’ Meglio” il disco ha volutamente un suono scarno, quasi minimale ma allo stesso tempo molto “espansivo” nelle tonalità e mischia tutti gli stili toccati negli anni, country, rock, soul, blues, folk, un pizzico di jazz e Pop (questa volta con la P Maiuscola), realizzando uno stile personale che ha rari precedenti nella scena musicale americana.

Dieci brani, poco più di trentacinque minuti di durata, questo Tears, Lies and Alibis può avvalersi anche del traino creato dalla partecipazione di Shelby Lynne all’ultimo disco di Peter Wolf, il meraviglioso Midnight Souvenirs dove i due duettano nella deliziosa Tragedy: i due brani iniziali sono quelli più mossi, Rains Came sulla rarità e la meraviglia delle piogge in California dove la Lynne abita è una movimentata canzone con chitarre, organo, un sax e la voce matura della nostra amica che fanno muovere il piedino, Why Didn’t You Call Me è un brevissimo mid-tempo dai retrogusti R&B molto sapido. Like A Fool è un lento cantautorale (ogni tanto mi rinfacciano l’uso di questo termine, ma ho controllato sul dizionario, si può usare e comunque rende l’idea), con chitarre, acustica ed elettrica, un basso, delle spruzzate di tastiere e la voce appassionata della Lynne, folk-soul direi, se si potesse usare. Alibi è un’altra piccola meraviglia di equilibri sonori, quel pop di gran classe che citavo prima che qualcosa deve alla magnifica Dusty Springfield ma anche alla scuola di cantautrici come Carole King e Laura Nyro che sembrano tornate di moda. Something To Be Said About Airstreams (che titolo), è una variazione sul tema, con un dobro e una pedal steel, che aggiungono tonalità country-folk di gran classe.

Family Tree è una folk ballad quasi Dylaniana nel suo rigore acustico e ci presenta una ulteriore nuance delle notevoli capacità vocali della bionda Shelby, bello il finale dal fervore quasi gospel. Loser Dreamer è un malinconico “lamento d’amore” dalle sonorità rarefatte e sempre assai raffinate, c’è anche il piccolo tocco di una armonica che aggiunge calore all’arrangiamento del brano, oltre alla solita voce partecipe della cantante. Old # 7 è un valzerone country delicato alle “gioie” dell’alcol e delle bevande, ancora con quella pedal steel ideale alle finalità della canzone. Old Dog, questa volta ci porta in territori country-blues, acustica, con una voce maschile, che non ho riconosciuto, a sostenere quella di Shelby Lynne, mi ha ricordato il John Hiatt più riflessivo, molto bella, è l’unico brano che supera i cinque minuti di durata. Conclude le operazioni la romantica ballata Home Sweeet Home, un altro tassello che ci consegna l’opera più matura di questa bravissima e misconosciuta cantante americana, lo so, si dice sempre così, ma in questo caso nulla di più vero. Sentire, please. Se avete tempo, stasera, 19 maggio, canta alla St. David’s Episcopal Church  di Austin, Texas, son due passi.

Se avete bisogno di un incoraggiamento questa non è nuova ma senti che vocewatch?v=2QbHPMwnS6c

Bruno Conti

La Più Bella Voce D’Irlanda. Mary Black Twenty-Five Years Twenty Five Songs

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Mary Black – 25 Twenty-five years Twenty-five songs DVD 3ù Records/2CD – 3ù Records

Capita la mattina di svegliarsi e di avere voglia di parlare di qualcosa o qualcuno, perché se no tenere un Blog. Oggi ho sentito un impellente bisogno di parlarvi di Mary Black: per molti, almeno in Italia,una perfetta sconosciuta, in tutto il resto del mondo, per fortuna, una delle più brave e rispettate cantanti in circolazione, in possesso di una voce straordinaria. Quel titolo che campeggia all’inizio del post, giustamente, non utilizza punti interrogativi: La più bella voce d’Irlanda è una mera constatazione della verità!

E’ stata definita la quintessenza delle voci femminili irlandesi, profonda, pura, leggermente eterea, al di là di qualsivoglia moda o tendenza. Dirò di più, per alcuni anni la rivista What Hi-Fi? ha considerato la voce di Mary Black così pura da essere utlizzata come termine di paragone ideale per la qualità sonora degli impianti di Alta Fedeltà, quindi niente dischi prova ma un disco di Mary Black.

Nel corso degli anni mi è capitato varie volte di recensire entusiasticamente sul Buscadero i suoi album; purtroppo nella prima decade degli anni 2000, i noughties come li chiamano gli inglesi, ha molto diradato la sua produzione. L’ultimo album in studio Full Tide risale al 2005 ed era stato preceduto da una confezione CD+DVD Mary Black Live nel 2003, questo molto bello mentre l’ultimo, per quanto buono, non aveva raggiunto le vette della produzione precedente.

Tornando un attimo alla perfezione e bellezza incredibile della voce di Mary Black, non per niente Mastro Van Morrison, uno che di voci se ne intende, l’ha voluta al suo fianco, insieme all’altrettanto brava Maura O’Connell (da anni espatriata in America), per la registrazione del suo disco di musica irlandese con i Chieftains, Celtic Heartbeat che sono sicuro molti di voi conosceranno e apprezzeranno.

Cosa ha scatenato questo desiderio di parlare di questa cantante? Oltre all’astinenza da nuovi prodotti, il fatto che un mio amico, Tino, che ringrazio, mi ha fatto avere questo DVD strepitoso che è una summa della sua carriera, uscito per il mercato irlandese nel lontano 2008 ma mai approdato nelle nostre lande e avendo come gemello separato alla nascita, ma con altri contenuti, anche un doppio CD che è una antologia del meglio della sua carriera con due brani incisi per l’occasione. Il fatto che rende il DVD tanto più interessante è che si tratta di materiale dal vivo, tutto inciso per la televisione, irlandese e inglese, e, per la quasi totalità inedito.

25 brani per 25 anni recita il titolo, ma poi ce ne sono altri 5 nelle bonus tracks e, volendo, è possibile ascoltare una traccia aggiunta, brano per brano, dove la stessa Mary Black commenta contenuti musicali, pettinature, abbigliamenti e quant’altro. Altra stranezza è il fattore temporale: la carriera della nostra amica inizia nel 1976 come cantante dei General Humbert, poi si sviluppa in varie collaborazioni, prosegue con l’ingresso nella formazione dei mitici (in tutti i sensi) De Danann e, dal 1982, con il primo omonimo album da solista. Qui il periodo coperto va dal 1979 al 2005, anche se il video è stato assemblato nel 2008. Ma a noi in fondo che ce ne frega? E’ bello? Ma di più, bellissimo! Quindi veniamo ai contenuti.

Si parte dal 1989, con l’anteprima mondiale televisiva di No Frontiers uno dei brani più belli scritti da Jimmy McCarthy per lei e qui ripreso, in un collage video, prima alla televisione iralndese con il grande Declan Sinnott alla chitarra, con pettinatura alla “Brunetta dei Ricchi e Poveri” e poi alla Royal Albert Hall nel 1991 con una band molto ampia che vede alla seconda voce, l’esordiente Eleanor McEvoy, quella di Only A Woman’s Heart. Tutto bellissimo. RTE Late Late Show 1986 con fratelli e familiari, The Black Family, in una strepitosa versione solo vocale del tradizionale Colcannon.

Poi si salta al 1995, Mary Black è sulla terrazza del palazzo presidenziale di Dublino, e accompagnata da un solitario pianoforte, canta Song For Ireland mentre qualche milione di irlandesi (alcune centinaia di migliaia per la Questura) assiste all’evento, in occasione della visita ufficiale di Clinton in Irlanda. La scena sfuma, il brano rimane, siamo nel 1997, in occasione di una reunion con i De Danann. Dalle Transatlantic Sessions del 1994, una emozionante versione di Farewell, Farewell di Richard Simpson con Declan Sinnott (quello dei Moving Hearts) alla chitarra. Il brano più vecchio, del 1979, è una bellissima versione di Heart Like A Wheel scritta dalle sorelle McGarrigle, ma resa celebre da Linda Ronstadt, qui Mary Black è molto giovane ma già in possesso di una voce di una purezza assoluta e di grande carisma (gli occhi sembrano verdi come l’Irlanda). As I Leave Behind Neidin è un duetto emozionante del 1988 con il suo autore preferito, Jimmy McCarthy, un cantautore misconosciuto nella grande tradizione della musica irlandese. Saltiamo al 1995 per Carolina Rua, un brano brioso e trascinante, una delle sue canzoni più conosciute tratta dalla trasmissione Mary Black Special.

Dovete sapere che in Irlanda Mary Black è popolarissima, i suoi dischi vanno regolarmente al primo posto delle classifiche: per fare un paragone, con la sua controparte maschile, Christy Moore si possono considerare l’equivalente irlandese, come popolarità, di Mina e Celentano in Italia. Mo Ghile Mear è un tradizionale in gaelico cantato con l’orchestra. sempre in gaelico il duetto con Seamus Begley Bruach Na Carraige Baine accompagnata, tra gli altri, da Donal Lunny dei Planxty e Moving Hearts.

Mi rendo conto che la lista si fa lunga, non c’è un brano brutto, comunque, selezionando, ricordiamo ancora la sua versione di The Moon and St. Christopher di Mary Chapin Carpenter, di una bellezza sconvolgente, il trio, fantastico, con Dolores Keane e Emmylou Harris in Bringing It All Back Home, una versione stratosferica di By The Time It Gets Dark di Sandy Denny (di cui si può considerare l’erede, almeno a livello vocale). Bellissime anche The Dimming Of The Day di Richard Thompson, Columbus di Noel Brazil, One And Only a New York nel 1997 con una band di musicisti rock, Jerry Marotta, Larry Klein, Michael Landau e Greg Leisz tanto per citare i più noti.

E ancora Ring Them Bells di Bob Dylan in un grande duetto con Joan Baez per la televisione irlandese, un altro duetto con Emmylou Harris sempre nel 1994. Di Dylan è il brano più recente, siamo nel 2005, il brano è Lay Down Your Weary Tune. Un balzo nel passato per il brano conclusivo Anachie Gordon con Christy Moore and Friends, siamo nel 1980. poi come detto ci sono cinque bonus nei contenuti extra. Se riuscite a trovarlo non fatevelo sfuggire, in caso contrario scongiurate qualche amico di passaggio in Irlanda, ne vale assolutamente la pena.

Questa non c’è.

Bruno Conti

Uscite di Maggio, Un’Aggiunta Ultravox – Return To Eden – Live At The Roundhouse

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Ultravox – Return To Eden Live At The Roundhouse

Questo me lo ero proprio “dimenticato”. Comunque esce anche questo il 18 maggio! 2CD+DVD. Registrato al Roundhouse di Londra il 30 aprile 2009 con la formazione originale Mark II. Quindi Midge Ure, Billy Currie, Criss Cross e Warren Cann.

Bruno Conti

Adesso Lo Sapete Parte X

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Ho fatto tornare, eccezionalmente, il mio alter ego per la decima parte di questa rubrica ricorrente e periodica che festeggia anche il post n.200 di questo Blog: per il momento resisto. Uno al giorno leva il medico di torno. Questa non faceva parte delle curiosità, per quanto…ma veniamo al “lavoro”!

Lo sapevate che la Tamla Motown ha annoverato tra le sue fila anche un Premio Nobel? No, non è Bob Dylan, anche se lo avrebbe meritato e neppure Bono, anche so lo avrebbe voluto!

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Esatto! Non era facile, ma è stato proprio il Reverendo Martin Luther King e quella è la copertina del disco originale. Esiste anche un CD che raccoglie i suoi discorsi.

Passando a cose più leggere, oltre a quella Mexico di James Taylor, tra una miriade di brani con il nome dello stato nord-americano, ce ne è stata una nel 1968 che fu la canzone ufficiale della squadra della Gran Bretagna alle Olimpiadi di Città del Messico di quell’anno, sapete chi la cantava?

Non credo proprio, rispondo io per voi! Comunque, era il primo datore di lavoro di Elton John e Rod Stewart, il famoso bluesman e cantante Long John Baldry che non passerà certo alla storia per questo brano watch?v=eZpzl5Tmrq0, sentire per credere!

Chi è invece passato alla storia per avere avuto (tra le altre cose) due album al numero 1 delle classifiche inglesi nel 1967 nello spazio di quattro mesi? Bei tempi!

Dopo essere stati vilipesi per anni, in tempi recenti sono stati molto rivalutati per essere stati, per un breve periodo, i grandi rivali americani dei Beatles nelle classifiche dei singoli più venduti. Non i Beach Boys. Ebbene sì, proprio i Monkees.

Questa non era inferiore ai brani di Byrds e Beatles di quegli anni!

Venendo a tempi più recenti, lo sapevate che un famoso Chitarrista (e qui c’è l’aiutino) ha collaborato nel 2006 alla stesura del testo accademico Bang! The Complete History Of The Universe. Non credo lo abbiano tradotto in italiano. Chi era costui?

E’ stato dottore in Fisica e Astronomia, con dottorato in Astrofisica ottenuto nel 2007, Brian May. Ma il dottorato in chitarra glielo avranno dato? Speriamo. Senti che roba! watch?v=qFhIoB8CrWA.

Venendo ad una nota “triste” ma allegra al tempo stesso. Martedì 18, esce, finalmente, la ristampa di Exile On Main Street dei Rolling Stones. E fin qua tutto bene! Ma sapete quale è stato l’ultimo brano degli Stones a entrare nei Top Ten inglesi e americani?

Correva l’anno 1981 !?!, praticamente una vita fa, e Start Me Up faceva il suo trionfale ingresso nelle classifiche di mezzo mondo. Nessuno, e men che meno i Rolling, avrebbe immaginato che era “The Last Time”. Grande brano! watch?v=ed36UQX8kXQ

Visto che siamo in argomento Stones, sapete quale voce femminile, dopo parecchi anni, è stata accreditata come co-autrice di un brano di Sticky Fingers?

Una che la canzone l’ha vissuta quasi fino alle estreme conseguenze, Mrs. Marianne Faithfull.

Fra tre giorni, martedì 18 maggio 2010, fanno 30 anni dalla morte per suicidio di Ian Curtis, il tormentato leader dei Joy Division. Non aveva ancora compiuto ventiquattro anni.

Non avevo ancora avuto occasione di citarlo ma mi sembra giusto ricordarla. Il 23 marzo di quest’anno è morta a New Orleans, dove era anche nata 62 anni prima, Marva Wright, una delle più grandi e misconosciute voci nell’ambito soul, blues e gospel “The Blues Queen of New Orleans”, così era chiamata. Una cantante straordinaria. Scusate il ritardo!

Bruno Conti

Hard-Rock-blues Dal Canada. Philip Sayce – Inner Revolution

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Philip Sayce – Inner Revolution – Provogue/Edel CD/DVD

Philip Sayce è un chitarrista-cantante non ancora 34enne, nato in Galles e che ha poi vissuto per molti anni con la sua famiglia in Canada. Perché proprio lui tra tante uscite discografiche? Francamente non lo so! Oltre a tutto non è che questo disco mi piaccia poi in modo particolare. Sarà forse perchè lo stavo sentendo oggi per recensirlo sul Buscadero? Mi sa di sì!

Comunque al di là della genesi di questo post veniamo al nostro amico: bravo è bravo, anche se il blues con la b minuscola nel titolo ha un suo perché. Nel senso che in questo disco ce n’è veramente poco. Viceversa di rock e hard stile FM Americano anni ’80 decisamente molto di più, ma anche tanto Lenny Kravitz style e quindi di rimbalzo l’amore, sano, per Jimi Hendrix prende il sopravvento. Qualcuno lo ha anche paragonato, soprattutto in Inghilterra, a Joe Bonamassa, in modo più che favorevole.

Per il momento, oltre ai suoi due dischi ( di cui uno, solo per il mercato giapponese), il motivo della sua fama risiede nel fatto di essere stato per quattro anni, dal 2004 al 2008, il chitarrista della band di Melissa Etheridge.

Potrà questo nuovo Inner Revolution cambiare la situazione?

Temo di no. Anche se, il disco, per chi ama il suo rock bello hard e tosto è decisamente notevole. Sayce è un guitar hero di quelli fluenti e vigorosi. Non si sa poi per quale strano motivo ha l’abitudine di porre i brani migliori dei suoi CD in coda agli stessi.

Anche stavolta, i migliori brani, per il sottoscritto, sono alla fine e sono quelli, guarda caso, più Hendrixiani: Gimme Some More, breve e nervosa, è una sorta di Fire riveduta e corretta mentre la lunga Little Miss America, molto funky e alla Band Of Gypsys è l’occasione per sentire la chitarra con wah-wah di Philip Sayce in piena libertà, una serie di assoli liberatori e tecnicamente impeccabili che ne illustrano le migliori qualità e la fantasia.

Il resto del disco vira decisamente verso territori AOR, alla Toto o Journey per intenderci e per gli amanti del genere, anche perchè uno dei co-autori dell’album è il noto rocker melodico americano Richard Marx. Quindi gli appassionati del genere stiano in campana perché in questo campo, come si usa dire c’è “Trips for cats – trippa per gatti”, mentre per chi vi scrive, pur con tutto il rispetto, all’inglese direi che “it’s not my cup of tea”. Per chi non lo conosce, un piccolo reminder di Philip Sayce watch?v=iaeJVPxTy2M, perché per suonare, suona!

Questo è il primo brano del nuovo album, Changes.

Non male! Il Cd nella prima tiratura ha un DVD in omaggio con quattro pezzi Live, e direi che sul palco trova la sua vera dimensione.

Bruno Conti

Una Voce Molto “Sciccosa” Dal Canada. Elizabeth Shepherd – Heavy Falls The Night

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Elizabeth Shepherd – Heavy Falls The Night – Do It Right Music

Per chi viene dal Canada è inevitabile il raffronto con Joni Mitchell, e anche la Shepherd non può sfuggire il paragone. Naturalmente qui si può accostare solo il periodo jazz della Mitchell, quello molto ricercato e raffinato (ma in che periodo non lo è stata) della seconda metà degli anni ’70. La Elizabeth Shepherd formalmente andrebbe definita una cantante jazz, ma indubbiamente siamo di fronte ad un jazz “strano”, modern jazz qualcuno lo ha definito, con una forte caratterizzazione ritmica, l’uso di strumenti a percussione, il pianoforte elettrico, Fender Rhodes o Wurlitzer che sia con quel suono particolare molto ritmico e l’uso della voce, bella ma non straordinaria, però usata in modo inconsueto con continue sovvrapposizioni di vari strati vocali, sempre usando la propria voce per creare un affascinante “sound” molto avvolgente con tante Elizabeth che ti assalgono, dolcemente, dai canali dello stereo. Un altra influenza musicale potrebbe essere Rickie Lee Jones, andate ad ascoltarvi (se lo trovate visto che siamo sempre nell’ambito dei dischi “strani”) la stupenda cover di Danny’s Song, il pezzo di Kenny Loggins che si trovava su Sittin’ in di Loggins & Messina (la faceva anche Anne Murray) e che la Shepherd ha posto in conclusione dell’album: è una piccola meraviglia di dolcissimi equilibri sonori, con la voce carezzevole di Elizabeth che coccola in modo sexy il vostro sistema uditivo, accompagnata dal minino sindacale strumentale, un contrabbasso pizzicato e una chitarra elettrica molto discreta, il risultato è la quintessenza del pop e del jazz fusi insieme.

Ma prima ci sono altri dieci brani, completamente diversi dal brano finale e tra loro: dall’iniziale What Else (niente a che vedere con il buon George!), con il piano elettrico, le percussioni e la sezione ritmica che creano un tappeto sonoro per gli “assoli vocali” della nostra amica, una moltitudine di voci che ti avvolgono e ti sorprendono con la loro originalità. The Taking, sempre con queste voci sovraincise più e più volte, ad insinuarsi tra le pieghe del piano elettrico, in un raro assolo e di una sezione ritmica decisamente jazzata ma sempre fuori dagli schemi. La title track è un ulteriore avventura sonora: le mille voci della Shepherd in questo caso sono accompagnate da un solitario contrabbasso pizzicato e creano sia la parte melodica che quella ritmica, nonché l’assolo di voce nella parte centrale, affascinante.

Forse, ma dico forse, si potrebbe anche citare come raffronto il suono del primo periodo di Cassandra Wilson ma meno caratterizzato dal jazz che è sempre presente ma con sfumature, jazz, pop, soul come nella delicata Numbers. Che altro? What Else? Seven Bucks, con ritmi latineggianti ha un suono più lussureggiante e godurioso watch?v=lbKxawcRSnM mentre One More Day nonostante il titolo è un brano notturno, anzi serale, una cena con la vostra Bella e la voce carezzevole della Shepherd ad intrattenervi in modo conviviale. A song for Dinah Washington, è un sentito omaggio a una delle grandi icone della musica “nera” americana, tra jazz, R&B e canzone popolare, ancora una volta solo contrabbasso e le voci multiformi anche in modalità scat. High, uno dei brani più ritmati e coinvolgenti ancora con il piano elettrico in evidenza watch?v=3c5Fblzae6E, It’s Coming, questa molto Mitchelliana con un vibrafono ad ampliare lo spettro sonoro e On The insufficiency Of Words, molto charmante, con quel pizzico franco-canadese di influenza musicale concludono in gloria questo album. O meglio prima della stoccata finale di Danny’s Song.

Che dire, molto brava, questo è il suo terzo album, più uno di remix e demos a confermare “l’antica modernità” del suo sound.

Bruno Conti

Che Storia! Audra Mae – The Happiest Lamb

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Audra Mae – The Happiest Lamb – Side One Dummy Records – 18-05-2010

Il titolo non fa riferimento ad eventuali problemi di tossicodipendenza di questa giovane donzella, semplicemente mi sembrava simpatico.

Già, la storia: Audra Mae nasce ventincinque anni fa in quel di Oklahoma City, figlia maggiore di una famiglia numerosa e fin da piccola rivela velleità artistiche. D’altronde per la bisnipote (se ho fatto i conti bene, è la figlia della sorella di Frances Ethel Gumm, mentre la sorella Virginia era la mamma di sua nonna, che casino!) di Judy Garland, nome d’arte di Frances, quindi Liza Minnelli sarebbe la prozia.

Ma bando alle genealogie: verso i diciassette anni, avendo imparato da autodidatta a suonare piano e chitarra, comincia a comporre le prime canzoni e inizia il solito percorso dei veri musicisti, quindi concerti, concerti, concerti, nastri, nastri, nastri, tutta la trafila di chi non vuole passare per i cosiddetti talent show o reality che dir si voglia (anche se… ma lo vediamo fra poco). A questo punto va a studiare alla Middle Tennessee State University, ma ci rimane poco visto che invece di studiare le sue priorità erano scrivere canzoni e fare festa (un bel programmino). Molla tutto e, secondo la sua biografia, arriva in California l’8 gennaio 2004, il giorno del compleanno di Elvis con venti dollari in tasca e questi sono i racconti che alzano l’audience. Da lì inizia il classico peregrinare tra le varie etichette discografiche, ma secondo le sue parole, tutti volevano cambiare il suo modo di cantare e fare musica.

Nel frattempo firma un contratto per la Warner Chappell come autrice e, tramite questo contatto, viene chiamata dagli autori di una serie televisiva americana “Sons of Anarchy” per cantare una cover di Forever Young di Dylan watch?v=VDzJbmZe2rw e con la voce che si ritrova (ne parliamo subito) viene notata da molti. In particolare dai boss di una etichetta indipendente americana, la Side One Dummy (la stessa di Gaslight Anthem, Flogging Molly, Gogol Bordello e altri), che le propongono un contratto. Per farla breve, la nostra amica ha pubblicato nel 2009, due Ep digitali, in particolare uno intitolato Haunt è uscito anche in CD; tramite la casa discografica e la Warner Chappell è stata contattata da un team di autori musicali svedesi, Play Productions per comporre un brano da proporre ad una cantante esordiente. Fin qua niente di strano, se non che la cantante esordiente è tale Susan Boyle (da qui l’aggancio con i talent), il brano Who I Was Born To Be, l’unica composizione originale in un disco di cover viene accettato e inciso e ora, Audra Mae, dopo nove milioni di dischi venduti (e non è finita), potrebbe fare una vita da “ricca” e vivere di rendita. Invece ha deciso di capitalizzare il successo e pubblicare questo The Happiest Lamb il 18 maggio.

Un’ultima curiosità carina raccontata da lei stessa in una intervista. Qualche tempo fa Rufus Wainwright ha fatto un tour e poi inciso un disco dove reinterpreta Judy At Carnegie Hall. La nostra amica Audra, che è una fan di Rufus, è andata ad una manifestazione dove il giovine Wainwright firmava autografi e, porgendogli il suo notebook, gli ha detto “Un giorno farò da spalla ai tuoi concerti”, beccandosi un “really” tra l’ironico il rassegnato. Due particolari, il notebook in questione, oltre a contenere i testi delle sue canzoni era tutto dedicato a Harry Potter di cui la Mae si definisce una scatenata fan 25enne e quindi ha fatto un po’ la figura della cretina e, secondo, non gli detto di essere la pronipote di Judy Garland, di sicuro avrebbe vinto molti punti!

Ma due parole sul disco non le vogliamo dire? Certo che sì. Una Meraviglia! Sono due parole.

Prodotto da Ted Hutt (come già detto per Jesse Malin, il produttore di Gaslight Anthem, Lucero, Flogging Molly e molti altri) il disco ci presenta una deliziosa cantante dalla voce forte e sicura, molto “old Wave” se vogliamo ma meglio direi “senza tempo”, quei talenti naturali che ogni tanto appaiono dal nulla e ci regalano dei bellissimi dischi e poi non sempre si ripetono. Dico questo perché la Audra Mae, tra le altre voci è stata paragonata anche a Mary Margaret O’Hara autrice di quell’unico stupendo disco e poi scomparsa, purtroppo, nel nulla (più o meno).

Qui il sound è volutamente minimale: chitarre acustiche e qualche raro sprazzo elettrico, piano, mandolino, qualche tocco fatato di fisarmonica, una sezione ritmica discreta ma anche swingante, nel senso di leggermente jazzata (ma giusto un tocco). Ma soprattutto tante belle canzoni: dall’iniziale The Happiest Lamb che potrebbe ricordare una Duffy infinitamente più sofisticata ma sempre molto sixties e piacevole passando per la riverberata The Millionaire dove la voce sexy e leggermente rauca della Mae, aiutata da un tappeto di voci di supporto ci regala un piccolo classico di pop music senza tempo. The River è il singolo dell’album, una ritmica vagamente sincopata, una voce pura e vagamente ammiccante e voilà, una Norah Jones meno ingessata nel suo stile. The Snake Bite addirittura ci riporta agli anni ’50, sempre in bilico tra jazz, folk e canzone d’autore e sempre delicatamente fuori moda ma allo stesso tempo attuale. My Lonely Worry è una stupenda ballatona che avrebbe fatto la gioia della K.d. Lang di Ingenue ( e dei suoi ascoltatori); The Fable, con una fisarmonica malandrina, ci porta in quei territori raffinati e rarefatti tanto cari alla O’Hara ma anche alla stessa k.d. Lang, la nostra amica canta con un trasporto fantastico, raggiungendo momenti strepitosi nel ritornello dove la voce si libra verso vette vocali da brivido e goduria estreme, che meraviglia!

Ma è tutto un tripudio di belle canzoni: Lightning in A Bottle, ancora arricchita dalla fisarmonica e da questa voce incredibile, ma anche Sulliivan’s Letter e Smoke sono brani decisamente superiori a quello che si ascolta in giro. Come il folk quasi puro di Bandida con mandolino e atmosfere celtiche e la voce che trova nuove sfumature. La conclusione è affidata a Little Sparrow, solo voce e piano, il brano più “difficile” del disco e altra occasione per ascoltare questa voce in piena libertà.

Segnatevi il nome e ricordate dove lo avete letto una delle prime volte, almeno in Italia. Ormai nella ricerca di “nomi strani” mi mancherebbe un bel disco di musica dei Boscimani del Kalahari ma ho deciso di risparmiarvi.

Bruno Conti