Speravo Meglio! Sheryl Crow – 100 Miles From Memphis

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Sheryl Crow – 100 Miles From Memphis – A&M/Universal

Per dirla tutta sarebbe, “Speravo meglio ma temevo il peggio!”, per questo settimo album di studio di Sheryl Crow dall’esordio avvenuto nel 1993 con il classico Tuesday Night Music Club (che rimane il suo migliore) si erano spese parole più che lusinghiere che annunciavano un ritorno alle origini, sonorità ispirate a Delaney & Bonnie, al soul degli anni ’70, alla musica di Memphis, tutte informazioni che lasciavano presagire un disco fantastico, ma allo stesso tempo si leggeva di collaborazioni con Justin Timberlake, ma anche con Keith Richards, quindi voci contrastanti e avevo sospeso il mio giudizio promettendovi di parlarne non appena lo avessi sentito e quindi eccoci qua!

Il disco esce la settimana prossima, consta di 12 brani, è stato prodotto da Doyle Bramhall II (il pard di Eric Clapton degli ultimi anni) e Justin Stanley (che è uno dei tanti “E chi è costui? che costellano il panorama musicale americano, ex membro dei Noiseworks e marito di Nikka Costa, ha prodotto Jet, Jamie Liddell, Baby Animals e viene accreditato anche come produttore di Ryan Bingham ma non me lo ricordo, forse nel prossimo disco). Sto menando un po’ il can per l’aia? Veniamo al dunque?

Per gradi, con calma, ci arriviamo! Il primo brano Our Love Is Fading, per cominciare, è fantastico, oltre 6 minuti di rock-soul-blues-errebi nella migliore tradizione del Clapton a trazione Delaney & Bonnie dei primi anni ’70, con chitarre, fiati impazziti, organo e tastiere, ritmi rock che vanno a braccetto con il miglior R&B, coretti irresistibili e groove inarrestabile, partenza micidiale con citazioni di classici del soul nel testo e un finale chitarristico che mi fa sospettare una comparsata del buon Eric oppure Doyle Bramhall ha sfoderato la grinta dei giorni migliori.

Il chitarrista nel secondo brano Eye to Eye è il buon Keith Richards senza ombra di dubbio, Sheryl Crow dice di avere subito pensato a lui per questo brano in quanto trattasi dell’unico bianco in grado di creare un riff reggae con l’autenticità di un giamaicano (e poi è suo amico, uno degli Stones, si chiama marketing ragazzi!): devo essere sincero, mmmhh, mmmhh… e non ho il mal di pancia.

Vogliamo parlare della tanto strombazzata (e temuta dal sottoscritto) collaborazione con Justin Timberlake nella cover di Sign Your Name di Terence Trent D’Arby? Sono stati scomodati riferimenti al classico sound degli Studi della Hi-Records quelli dei dischi di Al Green, per il classico thud-thud dei ritmi, a me pare un discreto brano di nu soul dove Timberlake fa i coretti tra tanti altri, niente di memorabile, sembra quasi un brano di Terence Trent D’Arby! Appunto!

Summer Day, il singolo, è un piacevole brano di stampo radiofonico che ricorda le cose migliori di inizio carriera di Sheryl Crow, fiati e archi non troppo invadenti, coretti accattivanti, un ritornello orecchiabile, molto fresco, commerciale ma nella migliore tradizione del classico pop.

L’album è stato registrato parte agli Henson Studios di Los Angeles e parte agli Electric Studios di New York, quindi direi che siamo a più di cento miglia da Memphis, che sarebbero quelle che separano Kennett, Missouri (dove è nata Sheryl Crow) dalla città del Tennessee (dove invece è nato, sorpresa, Justin Timberlake). Long Road Home è un altro brano nello stile tipico della Crow con qualche fiato in più mentre Say What You Want ha un bel groove seventies, ritmi funky con un bel basso che pompa, allla Sly Stone, una armonica reminiscente di Stevie Wonder, fiati esuberanti, non male.

Peaceful Feeling è anche meglio, il basso pompa ancora più alla grande, ci sono riferimenti più o meno velati a Dance to the music e Summer Breeze comunque il piedino fatica a rimanere fermo, qui siamo proprio in un delirio di soul anni ’70 e pure di quello buono. Stop è la prima ballata del disco ed è anche molto bella, molto melodrammatica ma come dovrebbero essere questo tipo di brani, cantata con grande partecipazione, con le sue pause ad effetto, i suoi archi, tutti gli elementi giusti al posto giusto, praticamente perfetta, veramente molto, ma molto bella, uno dei brani migliori nella discografia di Sheryl Crow.

Sydeways è una cover di un grande successo di Citizen Cope (ammetto che con conoscevo, conosco Citizen Kane), che appare pure a duettare nella sua canzone, il brano è un altro lentone ad effetto che ha un suo perché ma non è bella come la precedente comunque molto piacevole e lui ha una bella voce, molto sensuale che ben si accoppia con quella della nostra amica Sheryl.

100 Miles From Memphis, dopo tante promesse, finalmente ci trasporta in quel di Memphis, primi anni ’70 in piena epoca Hi-records con i fantasmi di Al Green, Ann Peebles e Willie Mitchell che aleggiano sulla musica (anche se, per la precisione, solo Mitchell non c’è più), bello l’assolo di chitarra, credo del solito Bramhall che ogni tanto si lascia andare. Roses and Moonlight è un funky vagamente futuribile alla Curtis Mayfield o alla Isaac Hayes, con tanto di wah-wah d’epoca, derivativo ma molto piacevole, forse un tantinello troppo tirata per le lunghe.

Last but not least, anzi, forse il momento migliore, è la cover della leggendaria I want You back dei Jackson 5 dove per l’accasione la Crow sfodera una tonalità che ricorda in modo impressionante il Michael Jackson poco più che bambino di quegli anni: un tributo al musicista con il quale ha iniziato la sua carriera come corista nel Bad Tour della fine anni ’80 e in ogni caso una bella canzone che non perde mai la sua esuberante freschezza con il passare delle decadi. Bella versione che conclude in gloria un disco che ha i suoi alti e bassi ma che nel complesso, pur senza entusiasmare, mi sembra meglio del precedente Detours. Promossa con riserva, da risentire! watch?v=7Y_G5QPFMfs

Bruno Conti

Speravo Meglio! Sheryl Crow – 100 Miles From Memphisultima modifica: 2010-07-14T19:02:00+02:00da bruno_conti
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