Frazey Ford – Obadiah – Nettwerk/Self
Frazey Ford è una delle fondatrici della band canadese Be Good Tanyas che tra il 2000 e il 2008 ci ha regalato tre bei dischi di country, folk, bluegrass e poi nel 2008 ha annunciato di prendersi una pausa sabbatica per riposarsi dagli stress del continuo girare il mondo per concerti e dedicarsi ai loro progetti personali (in effetti Trish Klein aveva già un progetto collaterale le Po’Girl che, a oggi, hanno realizzato tre album, mentre Jolie Holland se ne era andata da parecchi anni sostituita da Samantha Parton che è l’unica a non avere ancora dato notizia di sé). La nostra amica stava lavorando a questo nuovo CD da un paio di anni e il risultato finale (disponibile nei negozi dal 20 luglio, anche, incredibile, in Italia) è un disco molto piacevole, pieno di belle canzoni, solido, pervaso da uno spirito indipendente e dalla bella voce di Frazey che potrebbe ricordare vagamente quella di Feist (forse più di gola) se quest’ultima non fosse apparsa sulle scene molto dopo la Ford. Ma lo spirito è quello, un folk-pop-rock molto lineare arricchito dalla chitarra di Jess Klein (che collabora fattivamente all’album) e da nuove coloriture soul nel suono finale.
La voce della Ford fluttua sul background musicale con grande morbidezza e una misura quasi maniacale nei particolari e quel tocco vocale “esotico” che già caratterizzava le Be Good Tanyas ma si è aggiunto questo retrogusto soul (Frazey Ford ha citato Ann Peebles, Robert Flack e Donny Hathaway tra le fonti di ispirazione, tre maestri del soul più mellifluo e vocalmente in punta d’ugola ma dalla grande qualità finale): un percorso non dissimile da quello seguito dalla collega Cat Power anche lei approdata ad un genere che attinge dalla grande musica nera. Un brano come Bird Of paradise, con il suo basso funky, una chitarrina ritmica molto presente, il batterista che si “lavora” il ritmo, un assolo di tromba cristallino e una seconda voce femminile che supporta il falsetto di Frazey e quei piccoli tocchi di percussioni e battiti di mani e odo forse anche una marimba, è lontano anni luce dal suono della Be Good Tanyas o forse no? Lo spirito è quello, il recupero di una tradizione musicale, allora country e bluegrass, oggi soul ma sempre visto in una ottica da cantante folk.
L’iniziale Firecracker, con il banjo strumento guida che abbellisce un groove molto Younghiano (sempre nel senso di Neil) è un esempio dello stile molto laid-back del disco, anche l’organo e le tastiere in generale illustrano i particolari di una musica semplice ma curata nei minimi particolari per valorizzare la voce non potente ma affascinante e coinvolgente della Frazer. Anche il suono minimale ma curato della chitarra elettrica di Jess Klein disegna giri armonici elementari e concentrici che uniti all’organo donano un carattere ipnotico alla voce della nostra amica, come nella dolce e malinconica If You Gonna Go dai registri folk-soul con la sua piccola bella sezioni di fiati e il sempre “misurato” crescendo finale. Un lavoro artigianale e certosino che supplisce ad una certa ripetitività di fondo: dovete ascoltare con attenzione per carpire i particolari e non sempre i risultati sono completamente soddisfacenti come nella vagamente funky Blue Streak Mama che non decolla nonostante l’uso della doppia voce.
Lost Together vicerversa ha un suo pathos, una intensità che si percepisce nella forma della ballata classica mentre I Like You Better con quello che sembra un brano fretless a caratterizzare il sound è di nuovo lanciata verso quelle modalità soul che sembrauno dei fari musicali del disco, anche il piano elettrico rievoca le atmosfere di Hathaway e Flack forse senza la grande classe vocale di quei cantanti, anche senza il forse. Ogni tanto riaffora lo spirito folk del suo vecchio gruppo come nella delicata Hey Little Mama, arricchita da una nuova vena pop che rende più gioioso lo spirito del brano, quasi radiofonico e non è una offesa. Lo spirito di Neil Young (ma anche quello di Al Green) aleggiano sulle operazioni, come nella evocativa e sofferta The Gospel Song, dove la voce di gola della Ford sempre molto misurata e quasi calibrata si lancia in vocalizzi non spericolati ma significativi mentre i suoi musicisti misurano i ritmi e la coloritura con grande abilità.
Anche Going Over musicalmente proviene da quei più volte citati primi anni ’70, l’era dei cantautori intimisti e nella sua semplicità ti regala piccoli brividi di piacere, l’interscambio tra la chitarra elettrica, il contrabbasso e la voce è quasi telepatico nella sua precisione ma c’è anche molta passione. Per la serie “ma questa la conosco!” c’è anche una bella cover di One More Cup Of Coffee di Bob Dylan, tratta da Desire, che se nulla aggiunge all’originale nemmeno toglie e spesso anche questo non è un risultato facile da ottenere, fedele nei secoli dicevano dell’Arma! Un bel dischetto, gradevole, ben cantato, suonato anche meglio, fondamentalmente uno quei dischetti piacevolmente superflui ma che è bello avere!
Poteva non esserci al Lilith Fair, il Festival tutto al femminile organizzato da Sarah McLachlan? Certo che no…
Bruno Conti