Novità Agosto Parte III E Ultima (Forse) – David Gray, Heart, Ryan Bingham, Miles Davis, Goo Goo Dolls, Leonard Cohen, Eels

eels tomorrow morning.jpgDavid_Gray_-_Foundling.jpgheart red velvet car.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Un paio di cose veloci, per iniziare, la telenovela John Mellencamp No better than this (che esce la settimana prossima il 17 agosto in Usa e il 24 agosto in Europa) raggiunge la sua ingloriosa fine! Dopo un glorioso tentativo abortito di pubblicarlo in anticipo per il mercato italiano il 27 luglio, “giustamente” la data fissata per la pubblicazione in Italia è il 28 settembre, per ora! (mah)

Su una nota più lieta sto ascoltando il nuovo Ray Lamontagne God Willin’ and the creek don’t rise: sì non è male, ma non mi convince a fondo, visto che però lui mi piace e parecchio, insisto e poi riferisco nei prossimi giorni. Tra l’altro come vi dicevo pochi giorni orsono tra l’uscita americana del 17 agosto e quella europea del 6 settembre, in Italia (dove comunque aldilà delle mie pessimistiche previsioni uscirà) si è deciso per un solomonico 31 agosto.

David Gray che sarà in tournée in America con Ray Lamontagne (vedete i collegamenti), esce a sorpresa la prossima settimana con il nuovo Foundling (evidentemente c’è un epidemia di “Trovatelli”, dopo quello autobiografico di Mary Gauthier, ecco quello che di Gray che è riferito a questo disco). Questo album doveva essere una sorta di compendio a Draw the Line ma poi strada facendo si è evoluto in un progetto a sé stante anzi si è espanso fino a formare addirittura una Deluxe Edition doppia. Il disco, registrato nei ritagli di tempo della registrazione del disco precedente, è stato completato nei mesi a seguire ma ha mantenuto un suono scarno e sobrio, un ritorno alle sonorità della prima produzione di Gray, quella migliore prima del megasuccesso internazionale. La versione doppia, undici brani + 8 nel bonus CD, dura comunque meno di settanta minuti, spero che non lo faranno pagare come un doppio. Dai pezzettini sentiti in rete pare molto bello.

Anche per gli Eels nuovo album Tomorrow Morning in uscita internazionale il 24 agosto, da noi uscirà il 7 settembre. Occhio, perché anche in questo caso non manca la “maledetta” Limited Edition doppia con quattro brani in più.

Le Heart, negli ultimi anni, a parte qualche disco o DVD dal vivo non mi avevano più appassionato molto. Questo nuovo Red velvet car che esce, per la Eagle/Edel in contemporanea con l’uscita americana anche da noi il 31 agosto segnalerebbe (prima sentire, per il momento al condizionale!) un ritorno alla forma migliore per le sorelle canadesi Ann & Nancy Wilson, con sonorità che ci riportano al suono più acustico dei primi album e la produzione di Ben Mink, a lungo con KD Lang, sembrerebbe confermarlo, vedremo.

miles davis bitches brew.jpgmiles davis bitches brew box set.jpgleonard cohen bird on a wire dvd.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Per la serie “Che Palle!” esce anche l’edizione per il 40ennale di Bitches Brew di Miles Davis. Non certo per il valore del disco, una vera pietra miliare del jazz e del rock, quanto per il fatto che era già uscita una versione quadrupla del disco, prima nella scatoletta metallica e poi nel box allungato di cartone e si chiamava, “cazzarola”, The Complete Bitches Brew Sessions, quindi? Quindi, ne escono non una ma due versioni nuove come vedete dalle immaginette qua sopra: quella tripla per poveri, con l’album diviso nei primi 2 Cd con alcune alternate takes + 1 DVD con un concerto a Copenaghen nel 1969, quella per collezionisti ricchi e poveri cristi incaz…ti in formato sestuplo, prezzo intorno ai 90 euro, con gli stessi 2 cd + dvd della precedente, un terzo cd dal vivo registrato a Inglewood, 2 brani più l’introduzione di Bill Graham (ah bè, però), libro lussuoso e memorabilia vari. Esce il 31 agosto. Manca qualcosa? Ah già, i due vinili nel box di lusso.

Quello che vedete sempre qui in alto è uno “strano” DVD di Leonard Cohen Bird On A Wire, firmato e filmato dal noto regista Tony Palmer durante il tour europeo del 1972 e che vide la luce in quegli anni solo per il cinema e la televisione e poi sembrava perduto. Invece sono stati ritrovati i nastri originali e viene pubblicato per la prima volta in Dvd il 31 agosto, giusto 14 giorni prima dell’uscita del CD+DVD “ufficiale”  Songs From The Road della Sony che contiene 12 brani, gli stessi nelle due versioni (non si sono sprecati) registrati nel corso dell’ultimo tour mondiale. Per completezza il Dvd di Palmer contiene 17 brani e 4 poemi più vari dietro le quinte, è in digipack e contiene una riproduzione del poster originale del 1972, quindi sembra molto interessante.

goo goo dolls.jpgryan bingham junky star.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Sempre il 31 agosto esce il nuovo disco dei rockers americani Goo Goo Dolls Something For The Rest Of Us che interrompe un silenzio durato 4 anni (per i meno attenti sono quelli di Iris), etichetta Warner Bros. In teoria ( e in pratica) il 31 agosto esce negli States il nuovo, attesissimo (almeno da me, ma spero di non essere il solo) album di Ryan Bingham Junky Star, prodotto da T-Bone Burnett dovrebbe confermare l’ottimo successo dei dischi precedenti. Da noi uscirà il 7 settembre con una bonus track per l’edizione europea, The Weary Kind, esatto quella che ha vinto l’Oscar e che era presente nella colonna sonora di Crazy Heart. Etichetta Lost Highwat/Universal.

Se avessi dimenticato qualcosa, sono sempre qua, alla prossima.

Bruno Conti

Fantastici Quegli Anni! Old Grey Whistle Test – BBC

old grey whistle test uk.jpgold grey whistle test usa.jpg

 

 

 

 

 

 

 

The Old Grey Whistle Vol.1 – BBC 2DVD Uk – Warner 1 DVD Usa

Parafrasando il titolo di un’opera del buon Mario Capanna (ma la politica non c’entra niente), qui ci vogliamo riferire al periodo tra il 1971 e il 1987 in cui la BBC” mandò in onda la “mitica e leggendaria” (per mancanza di aggettivi più magniloquenti) trasmissione Old Grey Whiste Test. All’inizio la presentava “Whispering” Bob Harris (se vi capiterà di vedere qualche episodio capirete perché aveva quel soprannome) e poi fu seguito da altri cinque presentatori che si sono alternati negli anni e qui ricordano i bei tempi passati.

Se vi ho incuriosito o attizzato con il riferimento inserito nel post dedicato a Lesley Duncan la realtà è addiritura superiore alla fantasia: versione doppio DVD per l’Inghilterra, versione singola per gli States (ma sono comunque più di tre ore di musica e interviste), versione non pervenuta per il mercato italiano (e te pareva? Ma comunque in rete o usato, qualche sciamannato o bisognoso che lo vende si trova sempre!).

Perché è cosi fondamentale ed importante averlo o comunque vederlo? Innanzitutto è tutto dal vivo, con o senza pubblico, ma tutte le versioni dei brani e le interviste sono rigorosamente inedite e realizzate appositamente per la trasmissione e poi, spesso, le versioni sono eccellenti, in alcuni casi meglio degli originali. Infine ce n’è per tutti i gusti e si spazia in tutti i generi. Questo di cui vi parlo brevemente (ma non troppo) è il volume 1 ma esistono anche un volume 2 e 3 e in ogni caso, non dovrei dirvelo io, ma girando in rete si trovano centinaia di filmati tratti dalla trasmissione.

Si parte e siamo nel 1971: il primo brano è Under My Wheels di Alice Cooper tratta da Killer e il rock del noto golfista in privato e trasgressiva rock star in pubblico è ancora graffiante e vibrante. Elton John, solo voce e pianoforte, ci regala una bellissima versione di Tiny Dancer tratta da Madman Across The Water, quando era uno dei musicisti più validi in circolazione e non sbagliava un disco (vediamo se l’annunciata e imminente collaborazione con Leon Russell prodotta da T-Bone Burnett confermerà quei segnali di ripresa degli ultimi dischi). A seguire una strepitosa versione di We Gotta Have Peace di Curtis Mayfield uno dei più grandi cantanti soul della storia e che meriterebbe un posto negli annali solo per People Get Ready se non ne avesse scritte altre decine altrettanto belle.

Randy Newman esegue una sardonica Political Science uno dei più straordinari brani di critica alla politica Usa di intervento nel mondo dove soavemente invita il suo governo a lanciare una bella bomba atomica (Let’s drop the big one) illustrando anche perché farlo: “Nessuno ci ama e non capisco perché…Lanciamo quella grossa e polverizziamoli…L’Asia è troppo affollata, l’Europa troppo vecchia, l’Africa è fin troppo calda e il Canada troppo freddo, il Sud America ci ha fregato il nome, lanciamo quella grossa così non ci sarà più nessuno a incolparci…”. Fantastica e di una levità assoluta. Una caratteristica che balza all’occhio in questo, come in tutti i filmati che precedono e seguono, è quanto sono giovani tutti i protagonisti, ma giovani proprio e quanto sono bravi. Uno dei DJ dice, giustamente, che gran parte dei personaggi che appaiono in questo video sono ancora rilevanti e vivi ai giorni nostri, la loro musica non finisce mai di stupire.

Bill Withers con Ain’t No Sunshine, Rory Gallagher debordante con la sua vecchia Fender arruginita e la solita camiciona a quadretti (l’ho visto anch’io in quegli anni e aveva la stessa camicia e la stessa chitarra), i Wailers (che non erano ancora Bob Marley & The Wailers) con Peter Tosh e Bunny Wailer in una strepitosa e piena di soul Stir it up, anche loro giovvani (con 2 v). I Roxy Music ancora con Brian Eno in una tiratissima Do The Strand. watch?v=TWfXqae1NzA Edgar Winter e il suo gruppo in una pirotecnica Frankenstein dove il fratello pure lui albino di Johnny strapazza qualsiasi tipo di tastiera compreso un primitivo synth con un virtuosismo sbalorditivo. Captain Beefheart con la sua grande Magic Band gigioneggia in una relativamente sobria Upon the my o my, i Little Feat di Lowell George sono all’apice della loro carriera in una debordante versione di Rock and roll doctor con la slide del leader che taglia l’aria. John Lennon ci regala una delle sue ultime grandi esibizioni con una bella versione di Stand by me. Ronnie Van Zant scatena i suoi fidi chitarristi Allen Collins e Gary Rossington, giovanissimi e belli pure loro, in una pantagruelica versione di Free Bird.

Emmylou Harris giovane e bellissima ancora con i suoi capelli corvini e una Hot Band con Rodney Crowell al seguito ci regala una pimpante Amarillo. Bonnie Raitt, con la voce ancora quasi libera da quella sexy raucedine che avrebbe caratterizzato gli anni a venire è già grande con una ottima Too Long At The Fair. Tom Waits seduto al suo piano e con una band con solo contrabbasso, sax e batteria con le spazzole è assolutamente devastante in una eccezionale versione di Tom Traubert’s Blues, quella ballata accorata dedicata a Waltzing Matilda. watch?v=9ZmqbcBsTAw Qui ci avviamo alla fine degli anni ’70 (e che anni sono stati e che musica e che personaggi!) e arrivano il punk e la new wave con qualche eccezione.

I Talking Heads con, indovinate, una giovanissima, e bravissima, Tina Weymouth con il suo basso pulsante e le chitarre sghembe di David Byrne (va bene, non lo dico più!) e Jerry Harrison eseguono il loro primo cavallo di battaglia Psycho Killer “Qu’est-ce que c’est?”.  Gli Xtc ancora lontani dalle fantasie sixties-psichedeliche (e fantastiche) degli anni futuri eseguono una punkissima Statue of Liberty. Debbie Harry e i suoi Blondie sono la quintessenza del cool in una non notissima (I’m always touched by your) Presence Dear. Tom Petty è gia Tom Petty, uno dei grandi del rock, in una antemica American Girl. I Police con un occhialuto Sting causa incidente, sono alle prese con Can’t Stand Losing You mentre Bruce Springsteen, assediato e baciato dalle sue fans, è gia strabordante in una versione pirotecnica di Rosalita. watch?v=BLxgkTYWE6U

Cosa rimane? O come direbbe l’amico George, what else? Iggy Pop è a torso nudo in cinque secondi per eseguire una feroce I’m Bored, gli Specials sono l’epitome del boom del Two Tone/Ska con A Message to you Rudi e i Damned molto compresi nella loro versione di Who del punk disintegrano gli studi della BBC in un medley di Smash It Up/I Just can’t be happy today, i Ramones sono, come dire, i Ramones con Rock’n’Roll High School e gli U2, occhio alla pettinatura fantastica di Bono e The Edge con i capelli hanno una freschezza e una grinta invidiabili in una bella versione di I Will Follow. Concludono i R.e.m. con Peter Buck snello e slanciato e con Michael Stipe anche lui con i capelli, ma tanti capelli, lunghi sulle spalle, addirittura con i boccoli ma già carismatico in una notevole versione di Moon River/Pretty Persuasion. watch?v=_QTFKOnGWto

Se tutto questo non bastasse alla fine ci sono delle interviste rilassate, amichevoli, interessanti, piacevoli, fondamentali in una parola con dei, lo so avevo promesso, giovani Bernie Taupin e Elton John, Mick Jagger e Keith Richards separati, Robert Plant, John Lennon che parla senza problemi anche dei Beatles e Bruce Sprinsgteen che dopo tre ore di concerto è ancora vivo e disponibile a parlare di musica, come tutti gli altri, perchè di musica si parla in queste interviste, dopo averla vista.

Vi ho infilato qualche link per verificare, ma fidatevi!

Bruno Conti

Cassaforte Sulla Sabbia! Prego?!? Great Big Sea – Safe Upon The Shore

great big sea.jpg

 

 

 

 

 

Great Big Sea – Safe Upon The Shore – Warner Music Canada

Ogni tanto in rete si trovano degli esempi di umorismo involontario quando i programmi di traduzione istantanea si sbizzarriscono in ilari alzate d’ingegno: certo che da “Sicuro sulla riva” a “Cassaforte sulla spiaggia” c’è una leggerissima differenza.

Comunque niente paura, in ogni caso stiamo parlando del nono album di studio (live, DVD e compilations escluse) dei Great Big Sea, canadesi di Newfoundland che approdano a questo Safe Upon The Shore dopo 17 anni di onorata carriera. Ricca di soddisfazioni nel loro paese d’origine (dove l’album, uscito a metà luglio, è andato direttamente al 2° posto delle classifiche canadesi) e negli States, un po’ più di culto, ma sempre apprezzati a livello critico, nel vecchio continente. Questo album (sempre ammesso che qualche volonterosa etichetta lo pubblichi pure da noi) non farà nulla per cambiare lo cose, ma rimane comunque un bel sentire.

I Great Big Sea che fin dal loro apparire con un omonimo album nel 1993, seguito dagli ottimi Up nel 1995 e Play nel 1997, si sono prefissati di realizzare una sorta di ibrido tra le “sea shanties” che pescano a piene mani dalla musica popolare delle loro zone che deriva dal folk britannico, irlandese e francese tradizionale unito a un rock, quasi punk, grintoso, veloce, antemico anche facilmente assimilabile ma suonato con grande glasse e gusto, una sorta di Pogues misti ai Waterboys della “Big Music” di Mike Scott con abbondanti spruzzate di country, bluegrass e musica popolare americana.

Ebbene direi che in questo nuovo album ci sono riusciti alla perfezione. Lasciate le virate pop-rock dell’ultimo Fortune’s Favour si sono lanciati decisamente verso lidi (o spiagge) più orientate alla roots music e sotto la produzione di Steve Berlin (in libera uscita dai Los Lobos) e registrando questo materiale tra St.John nel Newfoundland canadese e le “paludi” della Lousiana e di New Orleans, hanno realizzato, forse, il loro miglior album.

Già dall’iniziale Long Life (where did you go) con la slide fantastica dell’ospite Sonny Landreth ad impreziosire le trame sonore dell’ottimo Sean Mc Cann, uno dei tre leader e vocalist del gruppo, per intenderci quello con la voce più roca e vissuta, si respira ottima musica.

Alan Doyle, quello con la voce più antemica e da hit singles, canta l’ottimo singolo Nothing But A Song e qui i pugnettini in concerto inevitabilmente si alzeranno.

Se vogliamo, i nostri amici canadesi e in particolare Alan Doyle sono anche un po’ ruffiani e si tengono stretti i “vicini Americani” nella quasi traditional Yankee Sailor (con flautini, fisarmoniche, violini e mille altri strumenti del folk) e un testo che recita “You say America is beautiful /And I sure hope you’re right/ If I could see you across the water/ I’d say America is beautiful tonight” senza neppure sembrare troppo retorici.

Good People è una piacevole country-folk song di Sean McCann con delle pregevoli armonie vocali, che non aggiungerà nulla al canone del genere ma è assai ben eseguita e si lascia ascoltare con piacere mentre Dear Home Town con un tema di armonica ricorrente è una collaborazione con il connazionale Randy Bachman (proprio quello di Guess Who e Bachman Turner Overdrive) e Alan Doyle rivela le sue abilità pop rinforzate dalle virtù orecchiabili di Bachman. Over The Hills And Far Away è un tradizionale celtico arrangiato dal terzo vocalist del gruppo, Bob Hallett, polistrumentista di classe, che in questo brano e nell’album in generale si cimenta con accordion, concertina, whistle, armonica, bouzouki, mandolino, violino, banjo e cornamuse, alla faccia dell’ecelettismo e canta pure bene!

Il co-autore con Alan Doyle di Hit The Ground and Run non è un omonimo è proprio “quel” Russell Crowe, e sapete una cosa? Si tratta di un fantastico e travolgente bluegrass con il gruppo che diverte e si diverte alla grande con un frenetico tourbillon di voci e strumenti nella migliore tradizione del genere. Safe Upon The Shore uno straordinario brano cantato a cappella da Doyle e dal gruppo si inserisce in quel gruppo di canzoni dedicate al mare nel corso degli anni e cha fa onore al loro nome, non è un antico canto perso nelle nebbie del tempo ma una canzone scritta oggi per rinverdire una grande tradizione.

Have A Cuppa Tea è una cover dal repertorio del Kink Ray Davies, che subisce piacevolmente il trattamento GBS per trasformarsi in un divertertente brano che avrebbe potuto tranquillamente far parte del repertorio della Albion Dance Band, folk rock allo stato puro. Wandering Ways che viaggia a mille all’ora avrebbero potuto farla i Pogues ma la trovate in questo album e non per questo è meno bella e coinvolgente.

Follow me back è una sonnacchiosa ballata cantata da Hallett in duetto con la cantante Jeen O’Brien e francamente mi sembra abbastanza superflua. Road to ruin è un altro invito alle danze celtiche, vogliamo chiamarla giga?

L’ultima cover è fantastica: già si trattava di un traditional riarrangiato e infatti all’inizio mi sono detto, ohibò ma questa la conosco! In effetti si tratta di Gallows Pole, firmata Page-Plant faceva il suo figurone su Led Zeppelin III, non potendo competere con la potenza della batteria di Bonham i Great Big Sea la buttano sul folk ma poi non resistono al ritmo irresistibile del brano e ci regalano un finale travolgente.

Finale leggero con la piacevole I Don’t Wanna Go Home. Al solito le versioni per iTunes hanno un paio di bonus tracks tra cui una ottima Protest song. Non salveranno la crisi mondiale del disco ma quei tre quarti d’ora di buona musica sicuramente te li regalano.

Bruno Conti

Per Associazione Di Idee… Lesley Duncan – Sing Children Sing

lesley duncan.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Lesley Duncan – Sing Children Sing – Cbs 1971 – CD Edsel Uk 2000

D’estate mi piace, ogni tanto, andare a riascoltare o rivedere vecchi CD e DVD (alcuni ancora con la loro bella plastichina), ai quali per ragioni di tempo non ho dedicato una sia pur minima attenzione.

L’altro giorno mi stavo, quindi, guardando un fantastico DVD intitolato The Old Grey Whiste Test (Vol. 1, ne esistono anche un volume 2 e 3 che non conosco, per quanto in rete…) che raccoglie filmati realizzati per la BBC dal 1971 al 1987, uno più straordinario dell’altro, ma oggi non parliamo di questo (ma uno dei prossimi giorni sicuramente sì): ad ogni buon conto alla fine del DVD ci sono una serie di interviste esclusive con Mick Jagger, John Lennon, Keith Richards, Robert Plant e anche una con Bernie Taupin e Elton John (giovani ma giovani, era il 1971…) in cui discutono del loro nuovo album Madman Across The Water, un capolavoro, e un Elton John infastidito per non dire inc…to per le critiche alla sua musica cita il disco di Lesley Duncan in cui ha suonato dicendo, più o meno, “Ho letto che il suo nuovo disco è stato accolto bene anche se nel disco suona un certo Elton John…”.

A quel punto qualcosa è scattato nella mia memoria, ma io ce l’ho quel disco, me lo ricordo, copertina gatefold, etichetta CBS primi anni ’70. Ammetto che saranno almeno trent’anni che non lo sentivo (anche se all’inizio degli anni 2000 era uscito in CD per i tipi della Edsel, ma ho visto che su Amazon Uk si trova solo usato a 150 sterline).

Morale della favola, mi ricordavo che era bello, ma sono andato a risentirlo ed è molto bello: si chiama Sing Children Children, è stato prodotto dal tastierista e arrangiatore Jimmy Horowitz (che allora era suo marito) con la collaborazione del “mitico” chitarrista Chris Spedding. Al piano, in alcuni brani, naturalmente, c’è anche Elton John, ma non nella versione di Love Song, un pezzo scritto da Lesley Duncan che appare sul disco Tumbleweed Connection e che è uno dei rarissimi brani non composti da Elton John che appare nei suoi primi dischi.

Un passo indietro o avanti, a seconda dei punti di vista: la discografia della Duncan consta di 5 CD pubblicati negli anni 1970 (i migliori i primi due, questo e Earth Mother del 1972) e non quindi gli 8 indicati dall'(in)fallibile Wikipedia, oltre ad una serie di illustri collaborazioni iniziate negli anni ’60 come vocalist di supporto di Dusty Springfield e Walker Brothers, appare poi, sempre come corista, nella prima versione di Jesus Christ Superstar del 1970, quella con Ian Gillan per intenderci e da lì inizia la sua lunga collaborazione con Elton John. Appare in Elton John, Tumbleweed Connection e Madman Across the Water, una magica trilogia e nel live Here and There pubblicato nel 1976 ma registrato nel 1974 dove duetta con Elton John nella sua Love Song. Nel frattempo, nel 1973, è una delle voci femminili che appaiono in Dark Side of The Moon dei Pink Floyd. Per collegamento, poi apparirà, come cantante, in If I Could Change Your Mind in Eve dell’Alan Parsons Project, ma ha cantato anche con Donovan, Kiki Dee, Ringo Starr e mille altri.

Il disco è molto bello, tipico del sound dei cantautori di quegli anni: la voce è dolce e potente allo stesso tempo, malinconica e vissuta, le canzoni sono come dire, fataliste, con il sound tipico dei seventies, tastiere e molte chitarre, anche elettriche, Spedding e la stessa Duncan. C’è uno straordinario Terry Cox, proprio quello dei Pentangle, alla batteria, che illumina con la sua performance un lungo brano Mr. Rubin, già fantastico di suo, con il suo incredibile crescendo vocale e strumentale che rivaleggia con alcuni brani del Van Morrison di quegli anni e che nella parte di batteria mi ha ricordato l’assolo all’interno di un brano di Steve Gadd in Aja degli Steely Dan ma 6 anni prima. Notevole anche l’iniziale Chain Of Love, l’emozionante Lullaby e la vivace Help Me Jesus. Ma tutto il disco meriterebbe di essere sentito e rivalutato.

Lesley Duncan è morta il 12 marzo del 2010, lo stesso giorno del compleanno di mia mamma, per le coincidenze della vita.

Questo era un piccolo ricordo di uno di quei Beautiful Losers che popolano gli annali della Musica con la M maiuscola.

Bruno Conti

Tornano I “Lupi” D’Estate! Non Ci Sono Più Le Mezze Stagioni Di Una Volta! Los Lobos – Tin Can Trust

los lobos tin can trust.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Los Lobos – Tin Can Trust – Proper/Shout Factory

L’hanno giustamente esaltato tutti (meno, misteriosamente, Mojo). Mi volevo unire al coro.

Uno dei dischi dell’anno? Sì!

I Los Lobos rendono omaggio a Jimi Hendrix nel 40° anniversario della sua morte con una delle più belle canzoni di tutti tempi!

Bruno Conti

Un Piccolo Supergruppo! Red Horse – Gilkyson, Gorka & Kaplansky

red horse.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Red Horse – Eliza Gilkyson, John Gorka, Lucy Kaplansky – Red House Records

Ogni tanto i cantautori hanno la tendenza a unire loro forze e soprattutto le loro voci per creare dei gruppi o (super)gruppi di musicisti: i primi sono stati Crosby, Stills & Nash (e Neil Young) ma poi negli anni, non frequentemente, capita che alcuni di loro decidano di creare dei dischi a “più voci”. Gli ultimi della serie sono questi Red Horse (che è anche il nome di uno dei capi Sioux che parteciparono alla battaglia del Little Bighorn, quella del Generale Custer per intenderci), ma in anni recenti c’erano stati anche i Redbird (Kris Delmhorst, Jeffrey Foucault e Peter Mulvey) autori di un bellissimo disco nel 2005 e, prima ancora, nel 1998 i Cry Cry Cry (di nuovo Lucy Kaplansky, che è quindi recidiva, con Richard Shindell e Dar Williams). Tanto per citarne un paio.

La formula è variabile, anche se prevale leggermente quella delle due voci femminili con un pard maschile, i risultati sono spesso assai soddisfacenti, come è il caso di questo Red Horse, pubblicato, per assonanza, dalla Red House nel mese di luglio del 2010.

Sono quei “piccoli” dischi di musica prevalentemente acustica, di derivazione folk, che spesso ti danno della grandi soddisfazioni.

I nostri tre amici sono ormai dei signori sulla cinquantina con una gloriosa carriera di nicchia alle spalle e, tra tutti e tre, hanno pubblicato, giustamente, quasi una cinquantina di dischi, oltre ad innumerevoli collaborazioni e partecipazioni a dischi di altri e degli altri (soprattutto John Gorka e Lucy Kaplansky la cui carriera si è incrociata più volte).

Il termine tre ricorre spesso in questo disco: ognuno ha scritto tre pezzi e ci sono tre cover, inoltre le voci si amalgano splendidamente in armonie vocali a tre voci (alla C S N per capirci). Per completare il summit di “cervelloni” i dipinti in copertina del disco sono di Tom Russell. Il disco si apre, simbolicamente, con una fantastica cover version di uno dei capolavori di Neil Young, I Am A Child, cantata da Eliza Gilkyson e con le voci degli altri due che si armonizzano alla perfezione, su un tappeto di percussioni, una chitarra acustica ed una elettrica a creare un sound che fa della semplicità la sua arma vincente.

L’altra particolarità del disco è che ognuno canta le canzoni scritte dagli altri, con tre eccezioni (vedete che il tre ritorna): una è Scorpion firmata e cantata da Lucy Kaplansky, con il supporto fondamentale della chitarra elettrica di Duke Levine, compagno di tante canzoni di Mary Chapin Carpenter, il suono è sempre molto “caldo” e amichevole e le voci riempiono gioiosamente i canali del nostro stereo. Oltre a tutto da quello che mi è dato capire leggendo tra le righe nelle note del disco (che sono sempre importanti e non nozionistiche perchè ti illustrano le caratteristiche della musica), sembrerebbe che i tre non abbiamo registrato il disco insieme, visto che a seconda dei brani si parla di additional recordings fatte in Texas (patria adottiva della Gilkyson, che ha registrato; per inciso, anche un bel Live At Austin City Limits) o in quel di New York (per gli altri due) a seconda di chi è la voce guida nei singoli brani.

Red Horse che dà il titolo alla raccolta, scritta dalla Gilkyson, è suonata e cantata in solitario da John Gorka, con la sua bella voce alla Eric Andersen, solo un minimo di armonie in questo caso a due voci. proseguendo nell’interscambio Promise me scritta dalla Kaplansky è cantata dalla Gilkyson, che in questo brano ha una voce che ricorda vagamente quella della Alanis Morissette meno feroce, con l’accompagnamento minimale di una elettrica e di una pedal steel e qualche percussione, oltre alle voci di Gorka e Kaplansky, meno in evidenza rispetto ad altri brani. Don’t mind me, Kaplansky per Gorka, con un bell’organo di supporto ha una andatura più vivace mentre Sanctuary firmata dalla Eliza per Lucy Kaplansky è l’unico brano che si avvale solo dell’accompagnamento di un solitario pianoforte oltre alle immancabili voci di supporto.

Coshieville è un brano scritto da un poeta e cantautore scozzese minore, tale Stuart McGregor, scomparso una quarantina di anni fa e che faceva parte del repertorio del grande folksinger Archie Fisher, qui presente in una bella versione cantata da Gorka. Blue Chalk scritta da Gorka è uno dei brani più belli di questo disco, cantata dalla Kaplansky con la sua bellissima voce leggermente nasale e ben supportata dalla Gilkyson e dalla chitarra di Levine, mentre il ruolo di Gorka è più marginale. Molto bella anche Forget To Breathe di John Gorka cantata dalla Gilkyson la cui voce è quasi interscambiabile con quella della Kaplansky che armonizza naturalmente anche in questo brano. If These Walls Could Talk è l’inedito composto e cantato da Gorka, con un banjo aggiunto alla solita acustica, se volete investigare sull’opera del cantautore, il bellissimo So Dark You See dello scorso anno potrebbe essere un ottimo punto di partenza.

Non dimentichiamo che, pur restando il folk il punto di partenza per tutti e tre, spesso gli arrangiamenti dei loro dischi hanno un suono molto più pieno ed “espansivo” rispetto a questo Red Horse. Torniamo al disco: penultimo brano Walk Away From Love è il brano scritto e cantato dalla Eliza Gilkyson, una bellissima dolce ballata dolente caratterizzata dallo struggente suono del violino nelle mani dell’ottimo Warren Hood e dal dobro di Mike Hardwick che danno alla canzone un country flavor molto peculiare.

Come si usa dire “Last but not least” una bellissima versione del traditional Wayfaring stranger, con Levine che suona qualsiasi tipo di strumento a corda e Lucy Kaplansky che guida le voci dei suoi due amici verso vette di armonizzazione vocale di grande fascino e conclude in gloria un piccolo grande disco. Per chi ama le emozioni semplici e dirette e la buona musica.

Bruno Conti

Indigenous – Acoustic Sessions

indigenous.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Indigenous – The Acoustic Sessions – Vanguard

Se vi piace il blues elettrico, quello tosto e non conoscete gli Indigenous è una grave pecca. Ma forse non è questo il disco per colmare la lacuna. Se li conoscete, leggete attentamente prima di decidere.

Se vogliamo considerarlo come il primo capitolo della fase 3 della carriera degli Indigenous o come il primo album solista della carriera di Mato Nanji, il leader del gruppo oppure, come viene presentato, una sorta di summa, di best of dei primi dieci anni di carriera, rivisitati in una chiave acustica, direi unplugged, questo Acoustic Sessions non mi soddisfa appieno.

Non è per niente brutto, ma dopo dieci anni di selvagge cavalcate chitarristiche rock-blues ispirate dalla musica di Hendrix, Santana e Stevie Ray Vaughan ti ritrovi un po’ spiazzato: un lato più gentile quasi cantautorale è stato sempre presente nella musica di questo musicista nativo americano della tribù Nakota ma un album intero non sempre regge alla prova finestra.

A questo proposito ricordo sempre Endangered Species dei Lynyrd Skynyrd che alla sua uscita era stato salutato come una sorta di minicapolavoro e alla prova del tempo non ha retto molto, certo l’Unplugged di Clapton rimane un album notevole ma nell’ambito della sua discografia dove lo collochiamo? Al 15° o 20° posto a voler essere di manica larga!

Già perché questo album, come al solito, non è proprio un album acustico tradizionale, voce e chitarra, ti concedo un’armonica, ma ha una strumentazione, essenziale, ma ricca: il produttore Jamie Candiloro si occupa anche di batteria, percussioni, basso e tastiere (acustiche per l’amor di Dio), Mato Nanji si occupa di uno stuolo di chitarre acustiche, la moglie Leah delle armonie vocali e Lisa Germano appare come ospite al violino.

Quindi il suono vira verso tonalità latineggianti, l’iniziale Now That You’re Gone con l’organo alla Gregg Rolie e un tappeto di chitarre acustiche arpeggiate ricorda molto i Santana “senza spina” ma non entusiasma. Anche Things We Do utilizza la stessa formula, piccole percussioni, organo, un basso appena accennato, assoli all’acustica di Nanji, bravo anche in questo caso e la voce del leader da rocker intemerato trattenuta su sentieri meno combattivi. Al terzo brano, Little Time, cominci ad avvertire una sensazione, come dire, senza essere offensivo, di noia.  Rest Of my days, ricorda vagamente, ma molto vagamente, nel riff almeno, I shot the sheriff, qualcosina di più vivace ma niente di trascendentale.

Non dobbiamo dimenticarci che tutti questi brani apparivano in versioni elettriche e vibranti nei precedenti dischi di studio della band, quindi è difficile dimenticare gli originali e il confronto risulta impietoso, per il sottoscritto, giudizio personale.

Fool Me Again, che già era una ballata non soffre molto del trattamento acustico, anzi evidenzia l’andamento melodico del brano e anche Come on Home, dopo i cinque brani iniziali quasi in fotocopia, risulta una bel brano di impronta southern con la voce di Nanji che assume tonalità alla Greg Allman dei tempi d’oro, una bella accoppiata che evidenzia le qualità positive di Mato Nanji. ( questa è la versione elettrica watch?v=ECe5NJxqHh8) Anche Leaving gode di questo risveglio a metà CD e senza evidenziare straordinari voli pindarici di fantasia regge il confronto con la controparte che appariva in Chasing The Sun, sarà il violino strapazzato da Lisa Germano, sarà una maggiore convinzione nel reparto vocale, comunque piace.

Anche Should I Stay (dal penultimo Broken Lands, i brani sono in ordine cronologico) non è male, o forse mi sto abituando al sound del disco dopo qualche ascolto. E non mi dispiace neppure Eyes of a child dallo stesso disco, anche questa, come la precedente, firmata con la moglie Leah. L’unico brano “inedito” è una cover di You Got It il brano scritto da Tom Petty e Jeff Lynne con e per Roy Orbison, per l’album Mystery Girl, l’originale è un’altra cosa ma la canzone conclude su una nota di allegria il disco.

Ripeto, se siete dei fans prendetelo in considerazione, se no, alla larga, c’è di meglio in giro o si può pescare dai loro dischi vecchi, senti che roba.

Bruno Conti

Novità Agosto Parte II. Richard Thompson, Ray LaMontagne, Ringo Starr, JJ Grey & Mofro, Brian Wilson, Marty Stuart

richard thompson dream attic.jpgray lamontagne.jpgjjj grey mofro georgia warhorse.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Come promesso e minacciato ancora alcune nuove ed interessanti novità in uscita ad agosto.

Prima le dolenti note: mi sono informato e purtroppo il Box di 19 CD dedicato a Sandy Denny, per problemi di diritti, sarà disponibile solo per il mercato inglese. Quindi rimane confermata la data del 4 ottobre (che per inciso è anche il 40° anniversario della morte di Janis Joplin), ma la reperibilità sarà piuttosto difficoltosa e il prezzo schizza a vette incredibili (oltre alle 150 sterline già citate, l’unico sito che porta il prezzo in euro parla di oltre 260 euro).

Il 31 agosto esce il nuovo CD di quello che è stato grande partner della Denny nei Fairport Convention e che da molti anni è uno dei più straordinari cantautori e chitarristi della scena mondiale: il nuovo album di Richard Thompson si chiama Dream Attic ed è stato registrato dal vivo alla Great American Music Hall di San Francisco, ma, attenzione, i 13 brani che lo compongono sono tutti nuovi e creati lì al momento. O meglio, esistevano sotto forma di demo e i più rapidi e fortunati avranno occasione di verificarlo perché nella prima tiratura del CD su etichetta Proper per il mercato inglese (e distribuito in Italia dalla Ird), sarà allegato un 2° cd con tutte le versioni demo dei tredici brani. In inghilterra esce anche il giorno prima, il 30 agosto, quindi ocio.

Ray LaMontagne è uno dei più bravi e talentuosi cantautori delle ultime generazioni e non sbaglia un colpo: il suo nuovo album registrato con i Pariah Dogs si chiama God Willin’ and the Creek Don’t Rise. Qui la data è un po’ controversa, il 17 agosto in America e il 6 Settembre in Europa (in Italia non si sa, magari non viene pubblicato neppure, ma import si troverà sicuramente), su etichetta Columbia o Rca a seconda del continente. I Pariah Dogs sono una sorta di mini supergruppo con Jay Bellerose alla batteria, Jennifer Condos al basso, Patrick Warren alle tastiere e Greg Leisz e Eric Heywood alle chitarre. Da quel poco che si può sentire in rete al momento suona molto promettente.

Il disco nuovo di JJ Grey & Mofro Georgia Warhorse in teoria uscirebbe il 24 agosto su etichetta Alligator ma in pratica in Italia è già in circolazione da una decina di giorni, io stesso ne sono felice possessore (quindi recensione nei prossimi giorni). Si conferma il solito eccellente misto di rock, blues, southern rock e funky dal nord della Florida con la partecipazione come autore di Chuck Prophet e come musicisti di Toots Hibbert (proprio quello di Toots and the Maytals, i più soul dei gruppi reggae) e, alla slide, del conterraneo Derek Trucks.

ring starr live greek theater.jpgbrian wilson reimagines gerhwin.jpgmarty stuart ghost train.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Il 7 luglio ha compiuto 70 anni e a gennaio aveva già pubblicato Y Not forse il suo miglior album di sempre. Stiamo parlando di Ringo Starr che, per la serie meglio battere il ferro finché è caldo, pubblica (anzi negli States è già uscito) un nuovo CD o DVD dal vivo con la All Starr Band Live At The Greek Theatre 2008. Quest’anno, il 9 ottobre, avrebbe compiuto 70 anni anche John Lennon e il 2010 è anche il trentesimo dalla sua prematura scomparsa. Già si comincia a parlare di un box con la sua opera omnia da solista (in effetti è già programmato per un uscita all’inizio di ottobre, appena ho i dettagli vi faccio sapere).

Sempre parlando di giovincelli, ma lui ne ha compiuti appena 68, nel mese di giugno, anche Brian Wilson che sta vivendo una seconda giovinezza artistica il 31 agosto pubblica un nuovo disco Reimagines Gershwin (anche questo in America esce il 17 agosto ma in Italia è tutto chiuso per ferie mentre negli States è uno dei periodi più proficui discograficamente parlando, come è sempre stato e pure nel resto del mondo). E’ uno strano album dove interpreta brani del repertorio di Gershwin rivisti nella sua ottica ma ha anche completato alcuni frammenti di canzoni rimaste incompiute e quindi vedremo la strana accoppiata Gershwin/Wilson nelle firme degli autori.

Marty Stuart è uno dei più interessanti interpreti e autori di country, quello delle radici e della grande tradizone, il suo nuovo lavoro si chiama Ghost Train (The Studio B Sessions) e si preannuncia molto interessante con la partecipazione di Connie Smith una delle grandi icone delle voci femminili della musica country americana che incidentalmente, ma non troppo, è anche la moglie di Stuart che ha 17 anni meno del marito e credo sia il quarto o il quinto che sposa, ma ragazzi questa è l’America.

Qualche titolo interessante in uscita in agosto c’è ancora, ne parliamo la prossima volta e alcuni ve li recensisco direttamente.

Bruno Conti

Non C’è Il Due Senza Il Tre. Isobel Campbell & Mark Lanegan – Hawk

isobel campbell mark lanegan Hawk-cover.jpeg

 

 

 

 

 

 

 

Isobel Campbell & Mark Lanegan – Hawk – V2/Coop/Self 24-08 USA/UK 03-09 ITA

Ormai andiamo per proverbi, anche se a voler essere pignoli prima dei due album precedenti c’era stato anche un’EP, Ramblin’ Man nel 2005, ma se ci mettiamo a contare anche i mini-album le discografie degli artisti si ampliano a dismisura (anche se per fans e ammiratori occasionali contano eccome). Quindi siamo al terzo disco della premiata ditta Isobel Campbell e Mark Lanegan, una scozzese e un americano, lei componente “marginale” dei Belle and Sebastian, lui colonna portante degli Screaming Trees e di mille altre avventure.

Bisogna dire che la coppia funziona e questo nuovo album mi sembra il loro migliore in assoluto. Il baricentro musicale si è spostato verso la musica americana, tra Blues, country e folk ma con delle spuzzatine dalla terra di Albione.

Contrariamente a quanto si può pensare, l’architetto sonoro del duo è la Campbell, che cura anche la produzione del disco, ma chi ci mette la faccia, e la voce soprattutto, è Mark Lanegan.

Si parte con la ballata folk minimale, quasi narcotica, come nell’iniziale We die and see beauty again, le due voci ben amalgamate (in questo caso è addirittura più sussurrata quella di Lanegan), una chitarra acustica e un leggero feedback sullo sfondo che fa le veci degli archi, per passare a You won’t Let Me down again, un energico brano dai connotati vagamente psichedelici, con il classico vocione vissuto di Lanegan ben sostenuto dalla chitarra solista fuzzy di James Iha.

Snake è la prima delle due cover dal repertorio di Townes Van Zandt, resa in una versione che pesca dalla tradizione del folk tradizionale inglese, dall blues e da certa musica modale orientale, il risultato è molto interessante e affascinante.

L’attacco di Come Undone mi ha ricordato tantissimo quello di Nights in White Satin dei Moody Blues (per i non anglofili Ho difeso il mio amore) soprattutto per l’uso degli archi che si riverberano sul tema blues del brano che ricorda certi duetti atmosferici di Nick Cave con varie partner femminili oppure quelli tra Mark Lanegan e Isobel Campbell, appunto!

Quando un brano è un capolavoro non ci puoi pasticciare troppo e quindi la versione di No place to fall, nuovamente di Townes Van Zandt, è molto vicina all’originale, quel country-folk malinconico che ha sempre caratterizzato la produzione del geniale texano, un violino gentile e la voce “vissuta” dell’ottimo cantautore Willy Mason (non è Lanegan che ha cambiato voce) aggiungono profondità al fascino di questa bella versione.

Get Behind Me con la sua andatura saltellante si sposta addirittura su versanti honky-tonk, sporchi e bluesati ma tradizionali nello svolgimento e le voci duettanti si avvicinano a quelle di Lee Hazlewwod e Nancy Sinatra, o un Johnny Cash/June Carter dei giorni nostri. Time of the season, più dolce e malinconica, con un bel arrangiamento di archi, una batteria “spazzolata” e le voci perfette, è uno degli episodi migliori dell’album, la brava Isobell si lancia addirittura in qualche sprazzo più vivace rispetto al consueto, per quanto affascinante, sussurro.

Hawk è un bluesaccio strumentale viscerale e distorto, con chitarre e sax incattiviti che spezzano le atmosfere bucoliche del disco e ci ricordano che Lanegan era stato tra gli “inventori” del grunge, episodio anomalo. Tutto ritorna alla normalità con Sunrise, una chitarra elettrica arpeggiata e la voce sussurrata di Isobel Campbell, devo dire non particolarmente memorabile, non rimarrà negli annali del rock e neanche del folk. To hell and back again, l’altro brano cantato in solitario dalla Campbell, sempre dolce e soffusa si avvale di un arrangiamento sempre minimale ma più vario e risulta meno soporifero di certi brani della sua produzione solista.

In Cool Water Lanegan estrae dal cilindro una voce particolare, molto da cantautore, magari texano, folk ma vissuto, con una chitarra acustica e un contrabbasso e le armonie vocali ad hoc della Campbell ne risulta un brano molto ruspante. Eyes of green con le sue chitarre acustiche, violini e fisarmoniche ci fa fare un tuffo in atmosfere celtiche, inconsuete ma non per questo meno affascinanti, breve ma succoso, Lanegan in versione celtic folk mi mancava.

Lately è una bellissima country-gospel song dalle atmosfere alla Pat Garrett & Bill The Kid, con la voce di Mark Lanegan sostenuta e spronata da alcune voci femminili in puro stile gospel che evocano addirittura certi passaggi musicali à la Band, qualcuno ci ha visto addirittura echi springsteeniani, come la metti comunque ottima musica che finisce in gloria questo piacevole album.

Le date di uscita sono importanti per cui, ove possibile, ve le indico sempre, per evitare di girare per negozi come dei “pisquani” (termine lombardo che si può usare in alternativa al più noto “pirla”). Anteprime va bene,ma senza esagerare.

Bruno Conti

Un “Grande Chitarrista”. In Tutti I Sensi! Walter Trout – Common Ground

walter trout.jpgwalter trout common ground.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Walter Trout – Common Ground – Provogue/Edel

Ogni giorno, settimana, mese, escono decine, centinaia di dischi di blues e rock-blues, quelli veramente interessanti alla resa dei conti non sono poi moltissimi (più di quello che si crede): poi c’è una ristretta cerchia di musicisti che opera ai margini di questo filone: gente come gli Allman Brothers, i Gov’t Mule, i North Mississippi Allstars o i Black Crowes, tanto per citare qualche nome, non sono sicuramente Blues anche se sono blues oriented.

Ultimamente anche Walter Trout (l’ultimo grande chitarrista a uscire dai Bluesbreakers di John Mayall) ha spostato l’asse della sua musica dal blues-rock assatanato dei primi dischi verso un genere più roots-oriented o rock classico.

Questo è avvenuto in coincidenza con la nascita della nuova versione della sua band che non è più la Walter Trout Band o Walter Trout and the Radicals ma semplicemente Walter Trout: l’occasione è avvenuta con la pubblicazione di The Outsider l’album del 2008, sarà la presenza del produttore  John Porter, uno dei migliori in circolazione, sarà la consistenza dei musicisti che formano la nuova sezione ritmica, con il fantastico Kenny “Pestaduro” Aronoff e con il travolgente James “Hutch” Hutchinson al basso, l’unico punto debole poteva essere il tastierista Sam Avila, detto fatto in questo Common Ground sul sedile del tastierista è salito il grandissimo Jon Cleary.
Praticamente con due musicisti della vecchia band di Bonnie Raitt più il batterista di Mellencamp era lecito attendersi un ulteriore salto di qualità rispetto al già ottimo The Outsider e in effetti questo CD rivaleggia con i nomi citati in quanto a consistenza della musica.

Walter Trout ci mette molto di suo, con una voce forte e vibrante e una chitarra in grado di spaziare in tutto lo spettro del rock, da momenti acustici a violentissimi assalti chitarristici quasi hendrixiani, passando per raffinati passaggi alla Little Feat o alla Band e incursioni sonore in quel di New Orleans, con il pianino impazzito di Cleary.

Volete ascoltare una band in grado di rivaleggiare con gli Experience di Hendrix con organo di Winwood al seguito (sempre con le dovute prospettive temporali)? Andatevi a sentire la travolgente No regrets con la chitarra di Trout in overdrive, la batteria di Aronoff allo stato puro e gli altri due che impazzano in libertà come se gli anni ’60 non fossero finiti mai. Volete risentire gli Allman degli anni d’oro (lo so che ci sono ancora, si fa per discutere), Danger Zone potrebbe fare al caso vostro, Trout ispiratissimo a voce e chitarra, Aronoff devastante (d’altronde deve fare la parte di due batteristi).

La Band era il vostro gruppo preferito ma anche i Little Feat non erano male? Pronta per voi una ottima Hudson Had Help. Ma anche Loaded Gun dove il quartetto prende un drive fenomenale con il piano di Cleary a fiancheggiare i devastanti interventi della solista di Trout che canta anche alla grandissima.
Se i nomi dei brani (a parte i riferimenti sonori) non vi dicono nulla è perché trattasi di materiale originale tutto farina del sacco di Walter Trout che si conferma anche ottimo compositore, sarà anche musica derivativa ma scusate l’interiezione lombarda, minchia se suonano!

Ci sono anche fior di ballate, ballate rock ma pur sempre ballate, come l’ottima Her Other Man con le chitarre acustiche ed elettriche del leader a disegnare traiettorie rock di gran classe con il supporto dell’organo di Jon Cleary (è proprio quel gran musicista di New Orleans che ogni tanto si cimenta anche in proprio) e la musica che continua a rilanciare verso nuove vette sonore come nel migliore rock classico di derivazione vagamente southern. La title-track Common Gound è una ulteriore variazione sul tema della ballata rock, grande impatto d’insieme del gruppo e assolo molto lirico della solista di Trout.

Non manca il devastante slow blues classico nel repertorio di Trout e Excess Baggage svolge perfettamente il suo compito, ma non manca neppure il classico rock-blues che ti aspetti sempre in un disco del nostro amico, in questo caso Wrapped Up In The Blues.
Ma tutti i dodici brani soddisferanno le brame degli amanti del buon rock: caldamente consigliato.
Bruno Conti