Un’Altra Cosa Da Fare A Denver…Nathaniel Rateliff – In Memory Of Loss

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Nathaniel Rateliff – In Memory Of Loss – Rounder/Decca-Universal

Come avrete intuito dal titolo, questo signore vive a Denver, Colorado dove svolge l’attività di giardiniere, ma è anche uno dei nuovi (giovane non gli si addice, avendo già superato la trentina) talenti nell’arte del cantautore, Singer-Songwriter suona più fascinoso. In effetti il “gruppo”, come dice lui in alcune interviste, sarebbe Nathaniel Rateliff and the Wheel, ma il suono che fuoriesce dalle casse del mio impianto è indubitabilmente quello di un solista, oserei dire addirittura di un folksinger, per quanto dotato di una bellissima voce.

Già, la voce è la prima cosa che si nota ascoltando questo In Memory Of Loss: nelle anticipazioni parlavo di voce “strana”, quella che ti colpisce fin dalle prime note di Once In A Great While, il brano di apertura di questo album e che poi ti accompagna in un viaggio lungo tredici canzoni. Brani morbidi, di impianto acustico, ma con una bella tessitura sonora costruita con la collaborazione del produttore Brian Deck (vi parlavo di Califone e Iron and Wine, tra i suoi clienti ma ha prodotto anche Modest Mouse e Josh Ritter nei suoi studi di Chicago), piccoli particolari sonori, oltre all’immancabile chitarra acustica arpeggiata, un piano qui, un violino là, una sezione ritmica discreta ma presente (e qui mi ha ricordato vagamente un’altro gruppo, i Swell Season), una voce femminile, Julie Davis che suona anche il contrabbasso (come nel brano d’apertura e nei video che potete vedere è co-protagonista con Rateliff), l’armonica, quando serve anche delle chitarre elettriche e il risultato è affascinante.

Devo ancora decidere se il disco mi piace soltanto o mi piace molto ma non fa molta differenza. Il filone, se volete, è quello del neo-folk che vede tra i suoi nuovi luminari i mai troppo incensati Mumford And Sons che continuano imperterriti a scalare le classifiche in tutto il mondo e che al momento sono in tournée proprio con Rateliff, ma anche i Low Anthem, i già citati Iron Wine (tutti gruppi caratterizzati da un cantante con una voce “particolare”) ma non mancano influenze indirette, tra gli artisti ascoltati in gioventù nella cittadina di 60 anime nel Missouri dove viveva Rateliff cita Van Morrison, e qualcosa si sente, Muddy Waters e Beatles, anche in questo caso, la conclusiva Happy Just to Be sembra la gemella separata alla nascita di Across The Universe, almeno nella parte iniziale e nel ritornello il tema ritorna ma il brano è talmente bello che non puoi arrabbiarti.

La critica inglese, provvida di 4 stellette ha ricordato la voce di Johnny Cash, ma anche quelle di Tim Hardin e Guy Clark, quindi non si vola bassi. Al sottoscritto ricorda anche qualcosa del Cat Stevens di Catch Bull At Four e, per le atmosfere, i grandi Mark-Almond (quelli con la K, da non confondere, Jon Mark e Johnny Almond) nei loro momenti più rarefatti.

Il disco è stato scritto come “offerta d’amore” per una donna che voleva conquistare (e come dice in una intervista è andata bene perché l’ha sposata) e quindi pur nella sua malinconia splende un fondo di ottimismo, come ad esempio nella bellissima Every Spring Still con i suoi improvvisi crescendi strumentali che ricordano i citati Mumford and Sons e il cantato a più voci mutuato dal folk più tradizionale.

Ma poi a ben vedere il disco in un certo senso è quasi autoreferenziale, quando in certi momenti ti trovi a dire, “ma questa la conosco”, mi ricorda qualcosa, poi riflettendo concludi “ma certo, o pirla, ti ricorda un brano precedente, ma sempre suo!). Ci sono momenti assai rarefatti, quasi scarni come in We Never Win, solo voce e un organo di coloritura, altri più espansivi (sempre con quel raddoppio di voci affascinanti) come la trascinante Brakeman (che è quella che mi ha ricordato il citato Cat Stevens).

Un’altra caratteristica del disco è che le canzoni sono quasi tutte molto brevi, non fai in tempo ad annoiarti anche nei brani meno memorizzabili, come la triste Longing and Losing, molto minimalista. Oil And Lavender con la sua voce risonante e profonda ti ricorda mille cose che non riesci ad afferrare e anche questo è il merito di un grande autore(il recensore di Mojo, ha parlato di musica dei silenzi). Poi improvvisamente quando credi di avere capito tutto la musica diventa più complessa, entra un’armonica e ti trovi a cavallo tra il country più nobile e Dylan, come nella stupenda You’ve Should’ve Seen The Other Guy, con i vocalizzi improvvisi nel finale.

Altro brano di grande spessore e con un arrangiamento molto più grintoso, Whimper and Wail, si avvale anche di un violino sinuoso, oltre che di una sezione ritmica più presente e ci riporta ai signori già citati più volte che non dirò nuovamente ma già sapete. Boil and fight sempre raccolta ma espansiva (l’uso di più voci, come gia detto, aiuta) introduce anche il suono di un vibrafono che si aggiunge ai soliti strumenti appena accennati. When We Could mi ha lanciato un flash (un’impressione brevissima e sfuggente) di You’ve Got A Friend, ma il filone è quello, singer-songwriters acustici.

A lamb on the stone con le sue immagini bucoliche ci rimanda ai grandi spazi dell’America ma anche ad un mondo che non c’è più, e qui una citazione per il Van Morrison pastorale del periodo Californiano è d’obbligo, il brano scivola via che è un piacere su una sezione ritmica agile e vagamente jazzata e con piano e una chitarra elettrica che aprono il suono verso sonorità tipicamente americane, assolutamente una piccola delizia sonora.

Prima della conclusione Beatlesiana c’è spazio ancora per un piccolo acquarello sonoro folk, i due minuti scarsi di When You’re Here solo voce e chitarra acustica, dolcissima.

Sì, direi che mi piace molto, e poi ha anche una bella faccia, sincera, non so se c’entra ma aiuta.

Bruno Conti

Un’Altra Cosa Da Fare A Denver…Nathaniel Rateliff – In Memory Of Lossultima modifica: 2010-09-26T18:53:00+02:00da bruno_conti
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