Uno Dei Tanti? Jim Sullivan – UFO

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Jim Sullivan – U.F.O – Light In The Attic Records -16-11-2010

Il titolo dovrebbe essere esplicativo del contenuto di questo articolo ma il punto interrogativo posto alla fine pone un quesito che ora vado ad esporvi.

Spesso decido l’argomento di un Post sull’estro del momento, qualcosa che ha sollecitato la mia curiosità, visto che non riuscirei mai a fronteggiare la mole enorme di novità e ristampe che ogni gorno invadono il mio tavolo, pur rimanendo fedele al mio motto “un post al giorno leva il medico di torno” ogni tanto (quasi sempre) devo fare delle scelte. In questo caso sono stato incuriosito da una recensione vista sulla rivista Mojo dedicata a questo disco di Jim Sullivan U.F.O. che già aveva incrociato le mie traiettorie nei mesi ed anni passati. Quattro stellette e una recensione così positiva richiedevano quanto meno di investigare il motivo di tanto interesse.

Innanzitutto l’etichetta, la Light In The Attic, è la stessa che ha ripubblicato il CD Cold Fact di Rodriguez, ma anche Lou Bond, i Monks, il disco dei demo di Kris Kristofferson e Karen Dalton, tanto per citare qualche nome. Secondo me non sempre l’hype, l’interesse suscitato dal disco e dall’artista è proporzionale al valore dello stesso. Mentre Karen Dalton è sicuramente uno dei grandi “tesori perduti” della musica americana e Kris Kristofferson sappiamo tutti chi sia (o no?) altri artisti e i loro dischi che vengono lanciati sul mercato da questa etichetta non sempre sono poi così validi come vengono descritti (da un ufficio stampa evidentemente molto attivo e informato?).

Ad esempio il disco di Rodriguez, al di là dell’eccellente Sugar Man, di Crucify Your Mind e un altro paio di brani che ora non ricordo non mi pareva cosi “straordinario”, sicuramente un buon disco destinato a noi “Carbonari” della musica, interessati dalla presenza di alcuni musicisti del giro Motown, Funk Brothers e da alcune belle canzoni e dal successo del disco in Sud Africa e continente australiano dove era una sorta di stella e del completo disinteresse nel resto del mondo. Ma si tratta di un giudizio personale, posso sbagliarmi. Mentre invece, a proposito di artisti Cult avevo trovato assolutamente validi i due dischi di Jim Ford rieditati dalla Bear Family, country got soul della più bell’acqua sia a livello vocale che a livello di contenuti musicali, un grande talento perduto.

Questo Jim Sullivan mi lascia un po’ sul guado. Mi spiego. La storia è affascinante per quanto nebulosa: siamo in California alla fine degli anni ’60 e Jim Sullivan è uno dei vari personaggi che animano il sottobosco californiano, uno di quelli che vorebbe diventare qualcuno e nel frattempo si arrabatta con particine in Easy Rider e conoscenze occasionali come Harry Dean Stanton e tra i musicisti José Feliciano show (giuro, è nel comunicato stampa, sono gli effetti del copia e incolla senza neppure sapere di cosa si parla). In ogni caso il nostro amico conosce un certo Al Dodds, attore ed amico, che pensa bene di investire un po’ di soldi su Sullivan chiamando alcuni musicisti del giro Wrecking Crew (quelli del giro Spectoriano con cui aveva suonato anche Leon Russell) per registrare un disco per la Monnie Records, etichetta fondata appositamente per l’occasione. Il disco naturalmente viene inghiottito nell’oscurità dove scomparivano decine, centinaia, migliaia di album che uscivano in quei fertili tempi. E fin qua niente di strano, una storia come molte altre, ma nel 1975 mentre è sulla strada per recarsi da LA a Memphis per svolgere un eventuale lavoro come session-man, nei pressi di Santa Rosa, New Mexico, Jim Sullivan, sparisce, proprio in senso letterale, viene trovata la sua Wolkwagen con all’interno il portafoglio, la sua chitarra, cambi d’abito ma nessuna traccia del proprietario. Si pensa si sia perso nel deserto, oppure sia rimasto invischiato in qualche regolazione di conti tra bande malavitose oppure, l’ipotesi più affascinante, che sia stato rapito dagli extraterrestri, quell’UFO che titola l’album ed una canzone. Sono passati 35 anni e di Sullivan non si è più saputo assolutamente nulla. Il disco (si nara di un altro album che secondo alcuni non sarebbe che lo stesso disco con un diverso mixaggio) diventa un must per i collezionisti e con l’avvento della rete la leggenda si è auto-perpetuata per arrivare ai giorni nostri.

Dunque così abbiamo per le mani? Un disco con dieci brani, 28 minuti, dove suonano Don Randi alle tastiere, Jimmy Bond al basso, che cura anche gli arrangiamenti e co-produce e, soprattutto, Earl Palmer alla batteria che, secondo me, è il vero protagonista del disco. I tre fanno parte di quei Wrecking Crew citati prima, le chitarre sono suonate dallo stesso Jim Sullivan. Sono stati tirati in ballo, in ordine sparso, James Taylor e Kris Kristofferson, Jim Croce, Gene Clark, Fred Neil e mille altri, vedete un po’ da voi…

Per me rimane uno dei tanti buoni album che hanno lastricato la musica pop negli anni ( se devo pensare a due grandi talenti che rimangono nel limbo, i primi nomi che mi vengono in mente sono i grandissimi Tom Jans, dalla storia tragica ma dal talento immane e Guthrie Thomas, altro Beautiful Loser di grande impatto): si parte dalla piacevole Jerome, che nei suoi intrecci di chitarre acustiche e archi si dipana su una linea melodica non dissimile da quella di certe canzoni di Jim Croce, con un tamburello in primo piano e i musicisti molto indaffarati, si prosegue con Sandman vagamente bluesata e sempre con la batteria di Earl Palmer in grande evidenza, “spazzolata con estrema cura”. Plain As Your Eyes Can See è una delle piccole gemme dell’album, su un ritmo funky-light, le tastiere di Don Randi e la chitarra di Sullivan disegnano melodie affascinanti mentre la batteria di Palmer lega il tutto. Roll Back The Time era il singolo che uscì all’epoca, un bel mid-tempo country-folk con una acustica che cerca di non farsi inghiottire dall’eccellente lavoro di Palmer alla batteria, come dicono gli americani veramente “all over the place”. Molto bella anche Whistle Stop, altro brano che permette agli eccellenti musicisti di mettersi in evidenza, tra chitarre acustiche, organo e la voce piacevole di Sullivan che ricorda certe atmosfere alla James Taylor. Ho citato alcuni brani un po’ alla rinfusa, un’altra canzone che merita un cenno è Highways, anche se forse è troppo sommersa dagli archi e dai fiati mentre UFO che dà il titolo a questo album ricorda vagamente l’Harry Nilsson di Everybody’s Talkin’ anche se decisamente più ritmata e, indirettamente, il suo autore Fred Neil. In definitiva, un album minore, molto piacevole ma in quegli anni ce ne erano molti così, sicuramente c’era molto di peggio in giro ma anche di meglio, comunque nobilitato veramente, mi ripeto, dal fantastico lavoro del batterista Earl Palmer, vero co-protagonista del disco e in zona Cesarini, vi ricordo ancora il suo contributo alla ritmatissima So natural. Fate le vostre scelte!

Bruno Conti

Uno Dei Tanti? Jim Sullivan – UFOultima modifica: 2010-11-09T19:12:00+01:00da bruno_conti
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