E Fanno Nove! Drive-by Truckers – Go-Go Boots

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Drive-By Truckers – Go-Go Boots – Ato Records/Pias

Martedì prossimo, il 15 febbraio esce il nuovo e nono album in studio dei Drive-by Truckers. Si chiama Go-Go Boots ed è stato registrato nel corso delle stesse sessioni che avevano dato vita al precedente The Big To-Do (adesso hanno preso la mania di infilare questo trattino anche nei titoli degli album oltre che nel loro nome) ma come è stato scritto da altri e come noterete ascoltandolo è “abbastanza” differente dal suo predecessore. Ma, contrariamente a quanto hanno scritto alcuni si tratta di un “signor disco”. Sicuramente con un suono più “morbido” rispetto agli altri album della loro discografia ma sempre un bellissimo disco di rock, o preferite di country got soul? D’altronde tre di loro provengono proprio da Muscle Shoals nella zona del nord Alabama che è il luogo fondativo di questo stile. E sono i tre “autori”,  quelli che scrivono le canzoni, Patterson Hood (figlio di quel David che era proprio il bassista della Muscle Shoals Rhythm Section), Mike Cooley e Shonna Tucker.

Proprio quest’ultima sarebbe la fonte di ispirazione di questo nuovo disco con il suo amore totale ed incondizionato per la musica soul (con ampie spruzzate di country) e che ha coagulato questo processo di nascita di un disco “diverso” dagli altri, volutamente più vicino ad un suono che risale alle radici del movimento “country got soul” e a uno dei suoi originatori che viene omaggiato con ben due brani, quell’Eddie Hinton, compianto Otis Redding “bianco” e tra i musicisti ed autori più influenti nello sviluppo di questo tipo di sound (che poi si è anche contaminato con il southern rock). E non per nulla la sede dei Drive-by Truckers è a Athens, Georgia.

Ma veniamo a questi due brani di Hinton che sono stati la molla che ha dato l’impulso a questo nuovo album (registrato nelle stesse sessions del precedente, come detto, ma volutamente con un progetto sonoro differente, ed unitario, rispetto a quello di The Big To-Do): i due brani in questione sono Where’s Eddie, cantato da Shonna Tucker (che non trovo affatto scolastica e misera come è stato scritto, tutt’altro, semplicemente una voce differente che si è aggiunta al già notevole appeal della band), una dolce ballata country-soul con chitarre e tastiere che si amalgano alla perfezione (forse troppo corta, se vogliamo trovare un difetto) e la stupenda (e qui non si può definirla in altro modo) Everybody Needs Love una delle più belle canzoni di Hinton, deep soul della più bell’acqua, cantata con grande trasporto da Patterson Hood e percorsa dal suono di un dobro, dall’organo del nuovo arrivato Jay Gonzalez e un breve intervento dell’elettrica. Questi due brani costituiscono il punto di partenza di questo disco (ed erano stati pubblicati in precedenza in un vinile come tributo a Hinton lo scorso anno) e da lì si dipana un album che secondo me (magari sbaglio ma preferisco esprimere il mio parere) ha molti punti di contatto con un altro album classico degli anni ’70, quell’On The Beach di Neil Young che molti ricordano tra i più belli della sua carriera. Si percepisce la stessa atmosfera rilassata, laid-back in molti brani, quel contrasto/fusione tra il country e soul e blues che erano la caratteristica di quel disco, con tastiere in evidenza, ritmica secca e marcata (soprattutto il basso), la voce sottile di Young (e quella di Hood ha molti punti in comune), tocchi di pedal steel e le chitarre presenti ma più trattenute rispetto al solito. Questo vale soprattutto per alcuni brani di Patterson Hood: canzoni come Assholes (dedicata all’industria discografica, e vai!), l’iniziale bellissima I Do Believe, la bluesata Go-Go Boots con una slide da brividi in contrasto con il piano elettrico che fa molto On The Beach e Young in generale e il ritmo metronomico volutamente ripetitivo con basso e batteria che viaggiano all’unisono per permettere alle chitarre (là del canadese, qui di Hood e Cooley) le loro divagazioni.

Ma anche il brano di Shonna Tucker Dancin’ Ricky si appoggia su questi ritmi scanditi e gode di un bel tappeto chitarristico, con la steel di John Neff che si alterna a quelle degli altri solisti e all’organo di Gonzalez per creare un brano delizioso che ben si adatta alla vocalità della bassista. Mike Cooley è l’anima più country del gruppo (quando non strapazza la sua chitarra) e in questo disco brani come Cartoon Gold (con banjo al seguito) potrebbero provenire dalla penna del Willie Nelson più ispirato o di altri “Outlaws” che furono. Ray’s Automatic Weapon è una delle country&soul murder ballads che popolano questo disco, cantata da Hood e caratterizzata ancora una volta da una slide “pericolosa” e dal piano di Gonzalez è un’altra piccola perla di equilibri sonori. The weakest man è un’altra galoppante country-song guidata dalla voce sonnacchiosa di Cooley (non l’avrei vista male nel repertorio di Johnny Cash).

Used To Be A Cop era uno dei due brani contenuti nel 10 pollici in vinile pubblicato per il Giorno del Ringraziamento, una ennesima storia di violenza e frustrazione dalla penna di Patterson Hood che si dipana su un arrangiamento complesso e frastagliato, sempre molto bella, con le chitarre che ruggiscono brevemente nel finale in perfetto stile southern.Dopo i 7 minuti del brano precedente The Fireplace Poker che è la stessa storia della title-track, ma vista da un altro punto di vista, si allunga fino a otto per raccontare la sua storia e forse, anche se comunque non mi dispiace, avrebbe giovato una maggiore concisione. The Thanksgiving Filter, era l’altro lato del 10 pollici, un ulteriore brano di Hood (che rimane l’autore principale) contrassegnato dalla lap steel di John Neff che guida le operazioni e da continue aperture melodiche che squarciano l’atmosfera claustrofobica del brano, peraltro molto evocativo.

Pulaski è l’ultimo contributo di Mike Cooley, una ulteriore variazione sulla sue tematiche country, una storia contro i “poteri” in quel di Hollywood. Lo si dice spesso ma evidentemente ci sarà un motivo, “last but not least” rimane la conclusiva Mercy Buckets una gagliarda cavalcata chitarristica che farà la gioia di chi ama i Drive-by Truckers più sanguigni e ruspanti e che conclude in gloria questo, mi ripeto, ottimo, ulteriore capitolo della saga “sudista” di uno dei migliori gruppi del rock americano attuale.

Bruno Conti

E Fanno Nove! Drive-by Truckers – Go-Go Bootsultima modifica: 2011-02-07T18:54:00+01:00da bruno_conti
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