Buona Musica Dal Canada! Mae Moore – Folklore

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Mae Moore – Folklore – Poetical License

Nella continua ricerca di buona musica e nomi interessanti da segnalare mi sono imbattuto in questa Mae Moore che non conoscevo e ho investigato. Questo disco Folklore, che esce in questi giorni è il suo 7° album più una antologia Collected Works 1989-1999 che fa desumere che la sua carriera sia lunga e “gloriosa”. Gli inizi risalgono addirittura al 1986 quando Mae Moore piazza un suo brano Heaven In Your Eyes nella colonna sonora di Top Gun cantata dai Loverboy. E questo non depone a suo favore, ma poi si è abbondantemente redenta.

Ha pubblicato tre album negli anni ’90 per la Cbs canadese, tra i quali il secondo, e migliore, Bohemia del 1992, era stato registrato in Australia con la produzione di Steve Kilbey dei Church. Il terzo disco Dragonfly, quello di maggior successo è anche l’ultimo per la CBS. Classica storia degli artisti di talento: contratto con una major, buon successo commerciale, ottimo di critica con nomination ai Juno Awards (i Grammy canadesi) e appena sembra che tutta vada bene ti mollano perché non vendi abbastanza (anche se sei Van Morrison o Joni Mitchell, in questo sono “democratici”)!

A fine secolo, nel 1999 pubblica un album omonimo per l’etichetta personale di Jann Arden, altra musicista canadese con una carriera simile e poi nel 2002 inizia una collaborazione con l’ottimo musicista folk e blues Lester Quitzau (è quello dei Tri-Continental) e già che c’è se lo sposa nel 2003. L’anno successivo pubblicano un album insieme Oh My e poi questo lungo silenzio discografico fino a quest’anno.

Ma com’è, com’è? Devo dire, brava, molto brava, il punto di riferimento è proprio quella Joni Mitchell citata prima: bella voce, ricca di contrasti, arrangiamenti folk, jazz, rock elettroacustici tipo la Mitchell prima metà anni ’70, quella di Court and Spark o i californiani dell’epoca. Aggiungete canzoni molto belle, una notevole abilità alla chitarra come Joni e testi imbevuti anche di ecologia e tematiche amorose. Pensate che attualmente è in tour in giro per il Canada in solitaria e per non inquinare si sposta in treno. Quindi predica bene e razzola meglio.

Qualche copia di questo album è approdata anche sui nostri lidi e anche il nome dell’etichetta è un tutto un programma. Qui per approfondire http://www.maemoore.com/ e qui siamo ad inizio carriera

Missione compiuta (almeno questo CD non è rimasto nella pigna accanto al lettore insieme a tanti altri dischi meritevoli). Il tempo è quello che è, va bene che un Post al giorno leva il medico di torno ma non sempre è facile tenere una cadenza giornaliera. Spero che chi legge il Blog apprezzi. Nel frattempo la ricerca prosegue!

Bruno Conti

Vecchie Glorie 6. Billy C. Farlow – You Better Run

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Billy C. Farlow – You Better Run – SPV/Yellow

Il nome di Billy C. Farlow non è certo uno di quelli che hanno messo a ferro e fuoco la storia del rock ma un posticino nella storia della nostra musica se lo è meritato, come cantante e armonicista di Commander Cody and His Lost Planet Airmen, uno dei gruppi che sotto la guida del “comandante” alias George Frayne seppe meglio fondere il country, il boogie, e il rock and roll/rockabilly in una scoppiettante miscela che soprattutto dal vivo li rendeva una delle band più eccitanti del momento. E poi un gruppo che ha fatto, secondo me, la più bella versione di un brano come Willin’ (nel loro album omonimo del 1975, quello con la copertina “spaziale”) che veniva dal repertorio di Lowell George e che i Little Feat hanno comunque registrato in tre versioni da manuale, rimarrà per sempre imperituro nella memoria degli appassionati della buona musica.

Quando la prima edizione del gruppo si è sciolta verso la seconda metà degli anni ’70, Farlow che veniva anche da molti anni di militanza blues negli anni ’60 aveva mollato quasi del tutto la musica per dedicarsi completamente alla sua fattoria a Lincoln County, Tennessee.

Dopo un certo periodo però il richiamo della musica (e del chitarrista e amico Fred James) si era fatto irresistibile e il buon Billy ha mollato mucche e stivali per tornare a dedicarsi alla sua vera passione. Sono seguiti un nutrito numero di album, alcuni anche per la italiana Appaloosa dell’ottimo Franco Ratti, l’ultimo dei quali è questo You better run che esce per la tedesca SPV e propone la solita miscela di blues, soul, R&R e qualche spruzzata country come in tutte le avventure targate Farlow (e James).

Sono undici composizioni originali e una breve cover di una canzone di John Lee Hooker Don’t you wanna rock dove risalta la voce roca e vissuta di Farlow ben coadiuvata dalle chitarre pimpanti di Fred James che cura anche la produzione nei suoi studi di Nashville. Della partita sono anche l’immancabile Mary-Ann Brandon (moglie di James) alle armonie vocali, l’ottimo bassista Jeff “stick” Davis, esatto proprio quello degli Amazing Rhythm Aces e il batterista Mark Horn di cui ignoro il CV ma che picchia con entusiasmo e competenza sui suoi tamburi.

Tra echi di Chuck Berry, Hey, Nannie May, il citato John Lee Hooker, non solo nella cover della sua canzone ma in molti brani che ne rievocano lo stile come l’ottima Whiskey and Beer, Gin And Wine con la slide di James in evidenza. Non mancano gli slow blues con armonica d’ordinanza come Waitin’ For The Sun To Go Down e comunque in generale il tasso alcolemico è sempre elevato, Good Whiskey, Bad Women e Drunk On Love ne sono esempi lampanti, il riff di quest’ultimo brano mi ha ricordato moltissimo quello di Who Do You Love mentre la lunga Juke House Woman affonda le radici nel blues acustico primigenio.

Blues, boogie e rock and roll quindi, per chi ama sapori semplici e ruspanti, un onesto disco senza grandi pretese ma di buona fattura.

Bruno Conti

Novità Di Aprile Parte II. Ben Waters, Brian Setzer, Chris Barber, Explosions In The Sky, Whitesnake, Gorillaz Eccetera

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Intanto, prima di cominciare, come al solito facciamo la conta dei “bambini presenti e assenti” ovvero delle uscite confermate e di cui vi ho già parlato da tempo. Domani 19 aprile escono il nuovo album di Mike and The Mechanichs, quello della Steve Miller Band normale e Deluxe, quello di The Head and The Heart, la band americana che apriva per l tour europeo dei Low Anthem, kd lang nel Regno Unito, mentre in America era uscito la scorsa settimana e in Italia uscirà la prossima. Tra gli assenti il cofanetto da 8 di Roger Waters che è stato ulteriormente rinviato a fine aprile – inizio maggio. Lo so, avevo promesso di parlare di The Head and The Heart, ma un po’ non ho avuto tempo, un po’ altri argomenti si sono fatti avanti per cui sono in ritardo. Vi confermo che il disco, che in America esce per la Sub Pop e in Europa (Italia compresa) per la V2/Coop Universal, è molto buono, tra i migliori delle proposte dei nuovi gruppi, in quel filone che sta tra Mumford and Sons, Low Anthem e il pop-folk più raffinato con eccellenti armonie vocali. “Qualcuno” ha sparato con assoluta nonchalance Talking Heads, ma non mi pare proprio.

Domani esce per la Eagle/Edel il disco di Ben Waters che ai più (quasi tutti) non dirà molto. Il titolo Boogie 4 Stu – A Tribute To Ian Stewart (a 25 anni dalla sua scomparsa) aiuta molto. Si tratta di un album che un pianista dedica ad un altro pianista, che per inciso era considerato il 6° Rolling Stones, giustamente, essendo stato uno dei membri fondatori del gruppo. Quello che rende assai interessante il disco è la presenza in vari brani di molti (tutti) gli Stones. Anche se i vari musicisti hanno registrato i loro contributi in momenti diversi Watchin’ The River Flow di Bob Dylan è il primo brano che vede riunito (dal 1992) Bill Wyman con i colleghi Mick Jagger, Keith Richards, Ron Wood e Charlie Watts. Il collegamento è fornito proprio da quest’ultimo che suona la batteria nel gruppo di Ben Waters, A,B,C & D Of Boogie Woogie e appare in molti brani. Ci sono amche Pj Harvey che è la cugina di Waters, Jools Holland e molti altri. Vogliamo mettere tracklist e musicisti? Mi sembra una buona idea.

1) BOOGIE WOOGIE STOMP (ALBERT AMMONS) PIANO – BEN WATERS
2) ROOMING HOUSE BOOGIE (AMOS MILBURN) KEITH RICHARDS – GUITAR, BILL WYMAN – BASS
BEN WATERS – PIANO, VOCALS, ADY MILWARD – DRUMS, DEREK NASH – SAX
CLIVE ASHLEY – SAX
3) WORRIED LIFE BLUES (BIG MACEO) CHARLIE WATTS – DRUMS, KEITH RICHARDS – VOCALS
RONNIE WOOD – VOCALS, GUITARS, DAVE GREEN – DOUBLE BASS
JOOLS HOLLAND – HAMMOND ORGAN. WILLY GARNET – SAX
DON WELLOR – SAX, BEN WATERS – PIANO
4) BOOGIE FOR STU (WATERS, HOLLAND) BEN WATERS – PIANO, JOOLS HOLLAND – PIANO
DAVE GREEN – DOUBLE BASS, CHARLIE WATTS – DRUMS, WILLY GARNET – SAX
DON WELLOR – SAX
5) MAKE ME A PALLETT ON YOUR FLOOR (JIMMY YANCEY) JOOLS HOLLAND – PIANO, VOCALS
BEN WATERS – HAMMOND ORGAN, DAVE GREEN – DOUBLE BASS, CHARLIE WATTS – DRUMS
WILLY GARNET – SAX, DON WELLOR – SAX, ALEX GARNET – BARITONE SAX
6) MIDNIGHT BLUES (TRAD) CHARLIE WATTS – DRUMS, JOOLS HOLLAND – PIANO, BEN WATERS – PIANO
7) LONELY AVENUE (RAY CHARLES) RECORDED ON STU’S PIANO PJ HARVEY VOCALS, BV’S SAX
BEN WATERS, PIANO, ORGAN, BV’S,
8) WATCHIN THE RIVER FLOW (BOB DYLAN) KEITH RICHARDS – GUITAR, MICK JAGGER – VOCALS, HARMONICA, CHARLIE WATTS – DRUMS, RONNIE WOOD – GUITAR, BILL WYMAN – BASS
BEN WATERS – PIANO, TOM WATERS – ALTO SAX, WILLY GARNET – SAX, DON WELLOR – SAX
ALEX GARNET – BARITONE SAX, DAVE SWIFT – TAMBOURINE
9) ROLL ‘EM PETE (BIG JOE TURNER)  HAMISH MAXWELL – VOCALS, CHARLIE WATTS – DRUMS
DAVE GREEN – DOUBLE BASS, JOOLS HOLLAND – PIANO, BEN WATERS – PIANO, WILLY GARNET – SAX
DON WELLOR – SAX, TERRY TAYLOR – GUITAR
10 SUITCASE BLUES (ALBERT AMMONNS)  BEN WATERS – PIANO,
11 BRING IT ON HOME TO ME (SAM COOKE) IAN STEWART LIVE FROM MONTREUX JAZZ FESTIVAL WITH ROCKET 88
Produce lo stesso Ben Waters con Glyn Johns, ingegnere del suono, come ai vecchi tempi!

Anche il disco di Chris Barber, annunciato da vari mesi, poi spostato a settembre, “dovrebbe” uscire in questi giorni per la Proper Records. Ieri 17 aprile il grande trombonista, e tra i “padri fondatori” della musica rock (ma soprattutto jazz inglese), ha compiuto 81 anni e quindi il disco sarebbe un giusto tributo al suo compleanno. Si tratta di un doppio CD che raccoglie vario materiale registrato in epoche differenti anche considerando la presenza di molti musicisti che non ci sono più ma Memories of My Trips ha parecchi brani registrati appositamente per l’occasione visto che Barber imperterrito continua a suonare come nulla fosse. Anche i brani più vecchi dovrebbero essere “inediti”, direi che pure in questo caso una bella lista serve all’uopo!

Cd 1
01 brownie mcghee – memories of my trip 2:55
02 ottilie patterson with sonny terry & brownie mcghee with dick, graham, eddie, monty, pat & chri2:45
03 ottilie patterson with sonny terry & brownie mcghee with dick, graham, eddie, monty, pat & chri 2:27
04 eric clapton & chris barber with chris stainton, dave bronze and henry spinetti – weeping willow 3:56
05 the muddy waters blues band with chris barber – kansas city 7:02
06 james cotton, alexis korner, chris barber and keith scott – love me or leave me 4:00
07 rory gallagher with chris barber – can’t be satisfied 4:42
08 lonnie donegan with the chris barber’s jazz & blues band – diggin’ my potatoes 5:38
09 jeff healey and his jazz wizards with chris barber – goin’ up the river 7:49
10 van morrison with the chris barber skiffle group – how long blues3:42
11 van morrison with chris barber’s jazz & blues band – goin’ home 4:33
12 van morrison with chris barber’s jazz band and dr. john – oh didn’t he ramble 5:34
13 ottilie patterson with the chris barber’s jazz band – lonesome road 4:42
14 paul jones with the chris barber jazz & blues band – i’ll be rested 5:34
15 andy fairweather low with the chris barber jazz & blues band – precious lord, take my hand 5:18
16 alex bradford with chris barber’s jazz band and singers – couldn’t keep it to myself 4:50
17 john slaughter’s last blues – another sad one 2:02

Cd 2
01 ottilie paterson with the chris barber band and edmond hall – st. louis blues 10:08
02 chris barber’s jazz band with edmond hall and ian wheeler – high society 4:47
03 keith emerson and the t-bones with chris barber – rock candy 2:57
04 trummy young with the chris barber jazz & blues band – georgia on my mind 10:19
05 joe darensbourg, pat halcox and chris barber – rose room 5:12
06 albert nicholas with the chris barber jazz & blues band – c jam blues 6:03
07 the boston tea party with chris barber and john slaughter – tea party blues 6:30
08 eddie durham with the chris barber jazz & blues band – jack teagarden blues 6:28
09 sammy price, sandy brown, chris barber, ruan – o’lochlainn and keith smith – tailgate boogie 4:25
10 chris barber’s six piece band with jools holland – sunny side of the street 2:54
11 chris barber’s six piece band with jools holland – winin’ boy blues 4:43
12 mark knopfler with the chris barber jazz band – blues stay away from me 3:44
13 mark knopfler with the chris barber jazz band – ragtime piece 2:48
14 mark knopfler with the chris barber jazz band – the next time i’m in town 3:27

Il nuovo, 4° album, della creatura di Damon Albarn The Fall esce domani 19 aprile per la EMI/Parlophone (ma il vinile era già disponibile il 16 aprile nel Record Store Day) in versione CD e download digitale. Sono 15 nuovi brani prodotti dai Gorillaz e Stephen Sedgwick.

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Addirittura una trilogia di “a volte ritornano”. I Whitesnake di David Coverdale pubblicano per la Frontiers Records un nuovo album Forevermore (in alcuni paesi, Italia inclusa è già uscito) disponibile anche in versione CD+DVD. Quello degli Uriah Heep Into The Wild viene pubblicato, sempre dalla Frontiers, domani 19 aprile, mentre il nuovo Nazareth (di cui la Salvo sta ripubblicando tutto il vecchio catalogo rimasterizzato e con bonus) si chiama Big Dogz ed esce per la Ear Music.

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I Texani Explosions In The Sky giungono al 6° disco (il primo da 4 anni a questa parte) con questo Take Care, Take Care, Take Care che esce domani in Europa (ma non in Italia, più avanti) per la V2. Se non li conoscete si tratta di una delle formazioni “sperimentali” e strumentali più interessanti, cavalcate chitarristiche tra psichedelia e post-rock, ma senza troppe etichette sono semplicemente bravi. Il disco dura 45 minuti e considerando che una traccia dura 3 minuti e mezzo e in totale sono sei brani avete già un’idea di cosa aspettarvi, se no provate a pensare ai primi Pink Floyd.

L’ex leader degli Stray Cats, Brian Setzer abbandona il suono Big band e pubblica questo album tutto strumentale Setzer Goes Instru-Mental! Classici e Rock and Roll a tutta velocità per la Surfdog (in Italia per la Edel dal 26 aprile).

Torna uno dei gruppi più interessanti degli anni ’80, i Feelies della coppia Glenn Mercer e Bill Million tornano a incrociare le loro chitarre in uno stile che deve molto ai migliori Television ma anche con moltissime altre influenze. Ai tempi mi piacevano moltissimo, dal poco che ho sentito velocemente del nuovo disco Here Before mi sembra che la classe di dischi come Crazy Rhythms, The Good Earth e Only Life (tutti e tre da avere) sia rimasta immutata anche a venti anni dall’ultimo disco Time For a Witness (così li abbiamo detti tutti). Etichetta Bar None, quindi import.

Credo sia tutto per questa settimana.

Bruno Conti

Magia Pura! Fairport Convention – Ebbets Field 1974 (2)

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Fairport Convention – Ebbets Field 1974 – ItsAboutMusic.Com

Potremmo definirla la Take 2 del Post del 1° Aprile l-incredibile-saga-dei-fairport-convention-sandy-denny-ebbet.html, comunque è arrivato, l’ho sentito e vi confermo che (nonostante le difficoltà nel reperirlo) questo Ebbets Field 1974 è un disco assolutamente da avere, fondamentale per chi, come me, considera la trinità Fairport Convention/Sandy Denny/Richard Thompson, nei Top Ten della musica rock di tutti i tempi, ma anche per un novizio o un semplice amante della buona musica, poter partire da questo CD per avvicinarsi a questo “Magico Universo” non sarebbe affatto una cattiva idea, anzi!

Intanto sgombriamo dal campo alcune presunte critiche: la qualità sonora dell’album è più che dignitosa, direi buona, dopo l’eccellente lavoro di Jerry Donahue e del presidente dell’etichetta ItsAboutMusic Dean Sciarra, che partendo da un misero nastrino Dat hanno migliorato in modo esponenziale quella del doppio Before The Moon. Anche l’idea di mettere in sequenza i brani tratti dalle due serate del 23/24 maggio del 1974 come fossero un concerto “vero” risulta convincente e verosimile.

La stessa diceria di alcuni “presunti fans” che Sandy Denny non fosse al massimo delle sue possibilità risulta destituita di qualsiasi fondamento: Sandy e il gruppo tutto sono in una serata di “grazia” e questo, esagero ma è la verita, è forse il miglior disco dal vivo di sempre dei Fairport Convention nettamente superiore al Live Convention pubblicato ufficialmente dalla Island e se la batte (vincendo, anche se lì c’è Richard Thompson ma non Sandy) con House Full e il Live at LA Troubadour e con i vari Cropredy per il riconoscimento di album fondamentale nella loro discografia.

Racconta nelle note Jerry Donahue (grande chitarrista americano che ha più volte incrociato la sua strada con quella di Sandy Denny, e poi Joan Armatrading, accompagnando le due migliori voci prodotte dalla musica inglese negli anni ’70) che lui e la stessa Sandy erano arrivati in quel di Denver, Colorado la sera prima dei due concerti e che avendo del tempo libero avevano deciso di recarsi all’Ebbets Field per vedere come era il locale dove si sarebbero esibiti nei giorni successivi. Con loro grande sorpresa quella sera si esibiva Minnie Riperton, una delle voci più originali e straordinarie della musica americana di quegli anni che Donahue già conosceva mentre la Denny non la aveva mai sentita (mi riprometto di parlarne in qualche Post futuro perché è veramente uno dei “tesori nascosti” della musica di quel periodo). Alla fine del concerto una Sandy Denny abbacchiata confidava a Donahue la sua inadeguatezza nel poter competere con una voce così fantastica. Poi rincuorata dallo stesso Jerry che le aveva detto che lei era una delle migliori in assoluto e i suoi fans la adoravano, la sera dopo l’avrebbe dimostrato. Lo stesso Donahue ricorda che questo era uno dei tratti principali del carattere di Sandy, questo suo non tirarsela ma anche l’incertezza nelle sue enormi possibilita vocali e di autrice, bruscamente interrotte dalla sua scomparsa 4 anni dopo all’età di 31 anni.

La sequenza dei brani del concerto (o meglio del CD) è perfetta: si parte con una versione bellissima di Solo, il piano e la voce che scivolano sul tappeto ritmico di Dave Mattacks alla batteria e il grande Dave Pegg al basso (anche nei Jethro Tull), mentre il terzo Dave, Swarbrick cesella con il suo violino e Jerry Donahue riempie gli spazi con la sua solista. Una delle voci più pure e belle, un contralto meraviglioso che delizia i vostri padiglioni auricolari e una melodia malinconica tipica delle canzoni migliori di Sandy Denny.

Hexhamshire Lass è una di quelle vorticose scorribande sonore nella tradizione del folk della terra d’Albione con Swarbrick a menare la danze, è proprio il caso di dirlo, in senso figurato e letterale. Questi sono i Fairport Convention a trazione maschile mentre nella successiva. intensissima versione di John The Gun tornano a essere il gruppo perfetto per accompagnare Sandy, anche con le loro armonie vocali e un assolo con wah-wah tipico dello Swarbrick più sperimentale e elettrico. Anche in Fiddlestix i virtuosismi del grande Swarb si accompagnano a quelli della chitarra di Donahue mentre il basso di Peggy solidamente unisce il tutto con un finale quasi da bluegrass allo stato puro.

Dirty Linen è un altro dei loro capolavori strumentali con la chitarra acustica di Trevor Lucas che si insinua tra le pieghe sonore del violino di Pegg e della chitarra dell’ottimo Donahue. Who Knows Where The Time Goes è semplicemente una delle più belle canzoni che siano mai state scritte, l’hanno interpretata benissimo Judy Collins e Nina Simone, e in anni recenti la sfortunata Eva Cassidy e Mary Black, ma nessuno ha saputo raggiungere i vertici di Sandy Denny, perchè quella è la “Sua Canzone”. In questa serata ce ne regala una delle più belle versioni mai registrate con uno stupendo arrangiamento dei Fairport ai vertici della loro creatività.

L’uno-due è micidiale perché a seguire c’è una versione magistrale del loro cavallo di battaglia Sloth, uno dei capolavori della coppia Swarbrick-Richard Thompson che appariva in origine nell’album Full House e che in questa versione, anche in assenza dell’autore e chitarrista unico nel suo stile, viene degnamente sostituito alla chitarra da un Donahue scatenato e alla voce da un ottimo Trevor Lucas (che per inciso era anche il marito di Sandy Denny). Il duello finale tra il violino di Swarbrick e la chitarra solista è nelle antologie della musica folk ma anche di quella progressiva con il basso trattato di Pegg che assume tonalità quasi psichedeliche, altra versione degnissima!

Se non vi basta la Denny ci regala un’altra perla del suo repertorio, It’ll Take A Long Time dove la musica si avvia su tonalità quasi country sull’abbrivio della chitarra di Donahue mentre la voce dolcissima e forte al tempo stesso galleggia sulla musica del gruppo con preternaturale leggerezza e naturalezza. E non è finita perchè questa sequenza del concerto si completa con una versione ancora meravigliosa di Matty Groves, uno dei loro manifesti sonori, tra classico folk-rock rivisitato (un antica murder ballad del ‘700 sul consueto tragico triangolo amoroso delle canzoni popolari inglesi) e canzone d’autore, con la voce chiara, potente e cadenzata della Denny nella parte della narratrice e il gruppo che sale alla ribalta nella seconda parte strumentale del brano. Grandissima versione pure questa!

The Medley è una sequenza irrefrenabile di gighe e reels condotte a velocità nuovamente supersonica dal gruppo che si conferma in serata di grazia. La conclusione è affidata all’omaggio sentito di Sandy ad uno dei suoi autori preferiti quel Bob Dylan di cui riprende anche vocalmente i tratti sonori in una divertita e divertente Down In The Flood con tanto di (affettuosa) parodia vocale del sommo bardo di Duluth.

Assolutamente da avere!

Bruno Conti

Beatles + Jam Band = BeatleJam – Live At The Keswick Theatre Versione Estesa

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BeatleJam – Live at Keswick Theatre – Floating World

Già ve ne avevo parlato, in breve, il 29 marzo, questa è la versione estesa della recensione!

Avete presente quella serie di CD con le testone dell’Isola di Pasqua raffigurate in copertina in diverse fogge e colori che sono usciti negli scorsi anni? Erano a nome Blue Floyd e riportavano una serie di brani dei Pink Floyd eseguiti in stile jam band da un gruppo che era a sua volta una sorta di quintessenza delle Jam bands con componenti di diversi gruppi che sotto l’egida di Allen Woody (il compianto bassista dei Gov’t Mule) periodicamente si ritrovavano per eseguire appunto brani della band inglese. Ogni tanto nella track list dei concerti ci scappava l’occasionale brano dei Beatles.

Quei concerti avvenivano più o meno a cavallo della fine millennio scorso (Allen Woody è morto nell’agosto del 2000) e i relativi compact venivano venduti inizialmente solo per corrispondenza. Alcuni dei musicisti coinvolti in quel progetto avrebbero poi continuato come Beatle Jam e questo Live at Keswick Theatre dovrebbe essere il primo di una serie di tre album dedicati alla musica dei Beatles. Registrato nel gennaio del 2002 (il 18) contiene 10 brani per quasi 80 minuti di musica.

La formazione vede accanto al bassista Berry Oakley Jr., figlio di e già presente nell’organico della band di Robbie Krieger e nei Bloodline, il chitarrista Slick Aguilar dai Jefferson Starship, il batterista Mat Abts dai Gov’t Mule e il tastierista e cantante Johnny Neel con Gov’t Mule, Allman Brothers e successivamente anche con gli italiani W.i.n.d oltre che con la sua band. L’altro tastierista è Vince Welnick, già con i Tubes e negli ultimi anni della formazione dei Grateful Dead, destinato a fare una brutta fine, morto suicida nel 2006, in un modo brutale che preferisco non approfondire. La qualità sonora è piuttosto buona, si tratta di un sounboard, anche se dovete alzare il volume del vostro impianto a manetta perché il disco ha un volume bassissimo.

Il repertorio dei Beatles come era nel caso di quello dei Pink Floyd viene rivisto in una chiave decisamente blues, soul e perfino con un tocco jazzy come nella versione di Get Back dove il vocione di Johnny Neel si avventura in un rapido scat alla fine di lunghi assoli di organo e piano, un accenno di armonica a bocca e si conclude con la chitarra di Slick Aguilar. Il copione è più o meno sempre quello: dall’iniziale Taxman che all’inconfondibile riff del brano, aggiunge le tastiere del duo Neel/Welnick, le lunghe rullate dei tom-toms di Matt Abts che sono un po’ il marchio di fabbrica del concerto, ripetute in vari momenti e che vivacizzano il lavoro un po’ statico del basso di Oakley, la chitarra di Aguilar dal sound tipicamente rock con ampio uso del wah-wah e vai con lunghe improvvisazioni strumentali.

Anche Come Together, molto fonky e soul con tanto di synth e vocoder ricorda vagamente le sonorità dei Beatles quando Billy Preston era della partita. Ci sono anche brani dove la melodia reclama la giusta attenzione come nella cover del sempreverde di George Harrison Something, abbastanza fedele all’originale ma anche rivisitazioni sorprendenti come quella di Eleanor Rigby dove al quartetto d’archi originale si sostituisce una lunga intro spaziale della chitarra di Aguilar che indirizza decisamente il brano nell’ambito jam band quasi psichedelica rendendola più simile a Tomorrow Never Knows che alla canzone originale, il vocione di Neel, il lavoro delle tastiere e dei tom-toms fa il resto del lavoro.

Diciamo che i brani dei Beatles spesso sono solo dei pretesti per lunghe jam come d’altronde è lecito attendersi visto il carattere del gruppo, comunque è difficile non riconoscere fin dal prime note brani immortali che ormai sono entrati nell’immaginario collettivo anche se di tanto in tanto le scelte sono sorprendenti: Cry baby cry è un brano del repertorio di Lennon che vista la sua aria sognante uno non immaginerebbe in questa veste aggressiva e improvvisata come pure You Can’t Do That che viene viceversa dal primissimo repertorio di John e qui subisce un trattamento molto soul, grazie alla voce di Neel. Per bilanciare, Lady Madonna con il suo pianino scatenato e una lunghissima e scatenata versione di Why Don’t We Do It In The Road riportano l’asse del concerto verso il lato McCartney. Conclusione affidata alla psichedelia di Lucy In the sky with diamonds che riporta lo schema al classico 4-4-2, quattro ciascuno per Lennon/McCartney e due di Harrison.

Piacevole anche se non memorabile, come potrete immaginare gli originali erano meglio ma qui il prodotto è indirizzato più verso chi ama il sound delle Jam Bands!

Bruno Conti

Questa E’ Curiosa! Eurovision Song Contest 2011

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Come forse saprete, o forse no, ma non è importante, ogni anno, immancabilmente, si svolge quello che in Italia eravamo abituati a conoscere come Eurofestival ma in effetti si chiama Eurovision Song Contest. E’ quella gara sonora dove le varie nazioni europee partecipano con un loro concorrente scelto in una manifestazione locale, per l’Italia era il Festival Di Sanremo. Per vari motivi, soprattutto finanziari e di audience l’Italia non partecipava dal 1997 ma quest’anno, colpo di scena, ci siamo di nuovo. La RAI ha deciso che era il momento e il nostro concorrente sarà il vincitore di Sanremo Giovani Raphael Gualazzi.

La cosa curiosa ( o due cose) è che la canzone di Gualazzi mi sembra la migliore tra quelle in concorso (lui è bravino in effetti) e l’altra cosa curiosa nasce dal fatto di come faccio a saperlo (che è la migliore)? Perché a differenza di Sanremo che ha tutta una sua “sacralità” per cui fino a 5 secondi prima di andare in onda nessuno deve avere sentito le canzoni in gara, nel caso dell’Eurofestival già da martedì prossimo 18 aprile sarà in vendita il doppio CD, che vedete qui sopra, con le 43 canzoni partecipanti. Tenete conto che la trasmissione televisiva della manifestazione andrà in onda sabato 14 maggio (presenta Raffaella “Carramba che sorpresa” Carrà per l’Italia).

Ma non solo, sul sito dusseldorf-2011, trovate già tutte le canzoni con relativi video. Se volete passare un paio di orette di gioiosa sofferenza ve le potete sparare tutte in anteprima , compresa quella di Gualazzi che in inglese diventa Madness Of Love (ma è mista inglese/italiano, e quindi anche Follia d’amore). Quasi tutti i brani sono in inglese (ma non mancano il bulgaro, il serbo o il cipriota)!

Come detto, lo stile jazzato di Gualazzi (e la tromba di Bosso) brilla tra 42 eurosongs “fantastiche”.

Se ce la fate, buon ascolto, così potrete votare con cognizione di causa avendo un mese di tempo per ascoltare i vari brani, come in fondo è giusto che sia. L’ultimo italiano a vincere è stato Toto Cutugno nel 1990. Apperò!

Bruno Conti

Scusate Se Insisto! Ma E’ Proprio Brutto. Anche Se… Doug Gray – Soul Of The Soul + Larry Carlton

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Come promesso ecco le ulteriori riflessioni sul disco di Doug Gray (che poi leggerete anche, forse, sul Buscadero) e no, non è un errore la copertina che vedete a fianco di quella dell’ex Marshall Tucker Band, è “l’anche se” dedicato a Larry Carlton…

Il CD, astutamente, nella sua “ragione sociale” riporta The Marshall Tucker Band’s (minuscolo) DOUG GRAY (maiuscolo): come a dire, hey fans della MTB questo è il disco solista del cantante del gruppo, ci sono pure loro! Infatti i nomi di Toy Caldwell, George McCorkle, Jerry Eubanks e Paul Riddle sono in bella vista, in cima alla lista dei musicisti presenti in questo mini album di 8 pezzi.

Ma, c’è un MA grande come un macigno, come una casa: non c’entra un tubo con i dischi della Marshall Tucker Band, neanche con i più brutti, quelli più commerciali, appunto quelli degli anni in esame. Siamo nel 1981, è morto da poco Tommy Caldwell, il gruppo è in pausa sabbatica e Doug Gray entra in studio per incidere un album solista, sotto la guida di Billy Sherrill (quello di George Jones e Tammy Wynette, Johnny Cash, Marty Robbins ma anche Ray Conniff, Andy Williams e Cliff Richard). Il produttore (e Gray che co-produce) si circondano di un gruppo di musicisti dove abbondano le tastiere, con ben due suonatori di synth in formazione, tali Cherry Sisters alle armonie vocali e arrangiamenti penosi, tipici di quegli anni, tra disco-music di seconda mano (altro che il soul citato nelle note di copertina), il rock FM annacquato che andava in quel periodo, non per nulla uno degli autori dei brani è un giovane Michael Bolton, ancora lungo crinito e prima della fase Pavarottiana che sarebbe seguita ma già letale nei suoi brani.

Doug Gray si lancia in falsetti arditi che avrebbero fatto felici i Bee Gees (c’è anche un brano omonimo che si chiama Guilty scritto da Bobby Whitlock non in uno dei suoi momenti di maggiore ispirazione). Avete presente i dischi di Boz Scaggs (ma i più brutti) o del Kenny Loggins più bieco con quelle batterie dal suono orrido, chitarre pseudo rock e coretti invadenti. D’altronde se questo disco non era stato mai completato ed è rimasto negli archivi della casa discografica 30 anni (ed era meglio se ci rimaneva) un motivo ci sarà pure stato.

Che altro posso dirvi, pensate ai dischi di Michael McDonald o dei Doobie Brothers di quel periodo (perché, forse, li conoscete), ma i più brutti, poi però peggiorateli in modo esponenziale e forse avrete un’idea di quello che vi aspetta. La ballata di Bolton Still Thinking of You è proprio l’esempio più fulgido, in senso negativo, di quanto detto. Se poi vi piace il genere o collezionate la Marshall Tucker Band però siete liberi di acquistarlo, almeno costa poco e dura anche poco, per fortuna, de gustibus!

Anche se…spendendo un po’ di soldini perché costa caro e si fatica molto a trovarlo potreste rivolgere le vostre attenzioni all’ultimo disco di Larry Carlton Plays The Sound Of Philadelphia (A Tribute To Kenny Gamble & Leon Huff) 335 Records.

L’etichetta è quella personale di Carlton e il disco, leggero e soffice, ma molto piacevole e ben suonato, è un tributo al leggendario Philly Sound, le ultime propaggini del soul più vellutato derivato da Stax, Motown e Hi Records e prima dell’avvento della disco music più becera. Parliamo dell’etichetta, quella degli MFSB, O’Jays, Billy Paul, Harold Melvin & The Blue Notes dove esordiva Theodore Pendergrass e tanti altri. Anche i Rolling Stones in anni recenti hanno ripreso dal vivo la loro (Gamble & Huff) irresistibile Love Train.

In questo album ce ne sono altre undici (di canzoni) e non tutte, nonostante il sottotitolo del CD, sono del noto duo di autori ma lo spirito musicale è quello. Pensate ai dischi degli anni ’70, i primi e migliori, di George Benson, per avere un’idea del genere, aggiungete la perizia strumentale di Larry Carlton (uno dei membri fondatori dei Crusaders), togliete la voce, perchè l’album è quasi completamente strumentale e avrete un disco gradevole, niente di straordinario ma un capolavoro se confrontato, in generi contigui, con quello di Gray. Parliamo di “fusion” mista a soul music con il pelato chitarrista californiano (ormai una sorta di gemello “postumo” separato alla nascita di James Taylor, almeno a livello fisico) che si circonda di alcuni ottimi musicisti a partire dal tastierista Paul Shaffer, una nutrita sezioni di fiati, uno stuolo di voci femminili che “gorgeggiano” à la Bacharach in alcuni brani mentre l’unico brano “vocale”, Drownin’ In The Sea of Love, è cantato dall’ottimo Bill LaBounty un cantante di culto dall’ugola di velluto molto apprezzato dai cultori del genere e assolutamente sconosciuto ai più!

Per il resto del disco Larry Carlton cesella una serie di assoli sulle note di brani inconfondibili da Could It Be I’m Falling In Love a Back Stabbers alla celeberrima if You Don’t Know Me By Now dove la solista di Carlton assume tonalità pefette. C’è anche I’ll Be Around, il brano degli Spinners che non era Philly Sound e neppure Gamble & Huff ma non per questo è meno bella. Non manca You Make Feel Me Brand New il brano degli Stylistics che è l’epitome del lentone “soul” e un terzetto di brani di Jerry Butler, già negli Impressions con Curtis Mayfield, autore di I’ve Been Loving You Too Long con Otis Redding e questo basterebbe a renderlo immortale, ma che qui ricordiamo soprattutto per  Only The Strong Survive che è l’altro brano cantato. Lo so, avevo detto che c’era un solo brano cantato ma mentivo: tra l’altro cantata alla grande ancora da LaBounty.

Potreste investire le vostre palanche in modi peggiori, anche se lo preferisco quando suona il Blues con l’amico Robben Ford.

Bruno Conti

Un Po’ Mi Mancava! Al Di Meola – Pursuit Of Radical Rhapsody

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Al Di Meola – Pursuit Of Radical Rhapsody – Telarc

Toh chi si rivede! Lo dico per me, non per lui, era da un po’ di anni che le nostre strade non si incrociavano: Al Lawrence Di Meola, nativo di Jersey City, New Jersey, negli anni ’70 (e oltre) era stato un frequentatore abituale del mio giradischi e poi lettore CD, quasi come “l’altro” nativo dello stato del Nord America. In quegli anni si ascoltava, giustamente, di tutto e di più (e tempo permettendo mi piace farlo ancora oggi) e la scena musicale era assai movimentata. Erano gli anni delle fusioni tra diversi tipi di musica: nell’ambito jazz tutto nasceva dalla cosiddetta svolta “elettrica” di Miles Davis.

Senza farla troppo lunga molti dei suoi discepoli avevano fondato i loro gruppi, uno dei più validi ed interessanti erano sicuramente i Return To Forever di Chick Corea che nascono come gruppo acustico/elettrico nella versione con Flora Purim e Airto Moreira e diventano tra gli alfieri del jazz-rock con l’ingresso in formazione prima di Bill Connors e poi di Al Di Meola alla chitarra elettrica (e di gruppi fantastici ce n’erano molti in questo ambito, dalla Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin agli 11th Hour di Larry Coryell passando per la svolta strumentale di Jeff Beck). Musicisti, parliamo dei chitarristi in particolare, che univano il jazz con il rock di Hendrix e Santana (e mille altri), la musica latina, il flamenco e qui penso in modo più specifico a Al Di Meola che entra nei Return To Forever (riuniti proprio nel 2009 per un tour e relativo CD e DVD) nel 1974 con lo scintillante Where I have known you before e ci rimane fino al 1976 di Romantic Warrior.

Tre anni intensi che sfociano nel primo album da solista Land Of the Midnight Sun seguito dall’eccellente Elegant Gipsy e dall’altrettanto buono Casino. Nel secondo album c’era la versione di studio di Mediterranean Sundance quello straordinario duetto acustico con Paco Di Lucia che da lì a poco, con l’aggiunta di John Mc Laughlin, nel 1980, avrebbe dato il via all’epocale Friday Night In San Francisco un disco dove le chitarre acustiche raggiungono vette di virtuosismo e creatività fantastiche.

Devo dire che da quando, anche per problemi di salute dovuti al tinnito, “l’italiano” Di Meola ha abbandonato l’elettrica per dedicarsi ad uno stile ibrido che fondeva la world music, il flamenco, qualcosa di classica, un pizzico di new age come aveva fatto molto meglio agli inizi, me le ero un po’ perso per strada. Sarà la pausa di cinque anni dal precedente Diabolic Inventions And Seduction For Solo Guitar (un titolo, un programma), sarà il ritorno alla chitarra elettrica (celebrata nella reunion con i Return To Forever) alternata o spesso in accoppiata con l’acustica, sarà la scelta del materiale, tra brani originali e azzeccate cover, sarà la presenza di alcuni ospiti di prestigio ma questo Pursuit Of radical rhapsody mi sembra il suo disco migliore da lunga pezza.

Dall’apertura con la lunga suite Siberiana dove la chitarra acustica di Di Meola si misura con la fisarmonica di Fausto Beccalossi (sarà parente del mitico Evaristo? temo di no!) fino all’ingresso delle vibrazioni della chitarra elettrica mentre l’ottima ritmica del batterista Peter Kaszas e del contrabassista Victor Miranda unita alle percussioni di Gumbi Ortiz e alla seconda chitarra di Kevin Seddiki (così li abbiamo nominati tutti), tutti questi elementi ricordano i fasti del “primo” Al Di Meola tra tango, flamenco e jazz-rock come ai vecchi tempi. Paramour’s Lullaby è più melodica ma sempre con la chitarra elettrica (finalmente) in primo piano. Mawazine Pt.1 è il primo di due brevi brani ispirati (anche musicalmente) da una partecipazione a un Festival in Marocco, le percussioni sono di Mino Cinelu.

Michelangelo’s 7th Child è un brano dedicato al padre (e indirettamente al nonno napoletano Michelangelo) e fonde musica popolare, con qualche elemento classico fornito dalla sezione archi dello Sturcz String Quartet. Gumbiero è il primo dei brani più jazz latini che vede la partecipazione del grande pianista Gonzalo Rubalcaba e le percussioni di Gumbi Ortiz in grande evidenza. Fireflies è un flamenco tangato (ma esisterà, l’ho sparata lì) mentre Destination Gonzalo è un altro bel duetto latino con Rubalcaba mentre Bona è un pezzo acustico con il quartetto d’archi. Rimangono Radical Rhapsody di nuovo con Rubalcaba e con l’ottimo Peter Erskine che appare anche in altri due brani. Le due cover finali sono due grandi standard Strawberry Fields dei Beatles e Over The Rainbow, in entrambe appare Charlie Haden al contrabbasso a nobilitare le operazioni e il risultato è ottimo.

Bruno Conti

Non C’é Il Due Senza Il Tre – Johnny Winter – Live At Rockpalast 1979

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Johnny Winter – Rockpalast: Legends Vol.3 – Mig Records

Ultimamente mi capita spesso di occuparmi di Johnny Winter, come recensore e appassionato.
Questo è il terzo disco di archivio che esce in un arco temporale ristretto (meno di un anno) dedicato al grande chitarrista albino texano. A differenza delle Bootleg Series giunte al volume 7 di cui non è sempre chiara la provenienza, questo doppio CD (ma esiste anche il DVD) fa il paio con lo straordinario Live At the Fillmore East 10/3/70 in quanto a qualità sonora (buona) e contenuti. Mentre il concerto del 1970 è uno dei momenti migliori in assoluto della carriera di Winter questo doppio Live è appena un gradino al di sotto.

Siamo alla Grugahalle di Essen, casa del leggendario Rockpalast, nella notte tra il 21 e il 22 aprile del 1979, nella stessa serata hanno già suonato la J Geils band e Patti Smith (non male come programma) che rimane sotto il palco, incantata e munita del suo clarinetto, per eventualmente fare una jam con Winter. Che, come racconta l’organizzatore della serata, chiede di vedere il filmato del concerto registrato da Muddy Waters nella sua apparizione al Rockpalast del 1978 e dichiara la sua soddisfazione per il sound della band di Waters con ben sette elementi e quindi la non necessità di provare lui che di elementi ne ha solo tre nel proprio gruppo. Proprio un paio di anni prima Winter aveva prodotto per la sua Blue Sky una trilogia di album per il veterano di Chicago, a partire dal notevole Hard Again, che rimangono tra le cose migliori della sua discografia. Non solo, con Nothin’ But The Blues aveva realizzato un disco che gli aveva fatto vivere una sorta di seconda giovinezza in parte bissata con il successivo White Hot and Blue.

Quindi il periodo è quello, nella piena maturità del texano che incappa in una serata magica e chiede ed ottiene dagli organizzatori che il suo concerto dagli 80 minuti originali si possa espandere fino alle due ore (come alla RAI, ma solo per le “mitiche” serate dei varietà del sabato sera, per la musica al limite la sfumano). Il trio vede l’immancabile Jon Paris al basso e Bob Torello alla batteria e il repertorio è eclettico e micidiale allo stesso tempo: si parte con una fantastica (e lunghissima) versione del classico di Freddie King Hideway con la chitarra di Johnny Winter che cesella una serie di assoli degni dell’autore del brano.

Si prosegue con una Messin’ With The Kid che fa il paio come potenza di tiro della chitarra e grinta nella voce con quella che faceva il compianto Rory Gallagher. Walkin’ By Myself non è da meno e nei 18 minuti di Mississippi Blues dimostra perché è giustamente considerato uno dei più grandi chitarristi bianchi di tutti i tempi. Lo ribadisce nella cover inconsueta di un brano di Sleepy John Estes Divin’ Duck e nella versione come sempre terrificante del suo cavallo di battaglia Johnny B Goode dove la potenza devastante del riff immortale di Chuck Berry viene sublimata dalla solista inarrestabile di Winter. E questo è solo il 1° CD.

Nel secondo si parte con una versione ipnotica della classica Suzie Q di Dale Hawkins ma che tutti conoscono nella cover (magnifica) che facevano i Creedence. Tanto per gradire 13 minuti, una versione breve!  Segue un brano che si chiama Drum Solo, e che mai sarà? Provate ad indovinare? I’m ready non è quella di Muddy Waters ma una versione a velocità supersonica del brano di Fats Domino, blues e rock and roll dall’impatto devastante. I ritmi invece di rallentare vengono ancora più esasperati con una tiratissima Rockabilly Boogie e con un brano intitolato Medley che è l’occasione per sfoderare la sua proverbiale maestria alla slide guitar. Conclude in gloria una versione nucleare del classico degli Stones Jumpin’ Jack Flash.

E se volete sapere, Patti Smith se l’è proprio dimenticata ai bordi del palco. Ma penso che sarà rimasta comunque soddisfatta come il resto del pubblico.Una cosa che non sapevo, il nome dell’etichetta non riguarda gli aerei, ma sta per Made In Germany, uno pensa le cose più incredibili e poi…

Per la cronaca, il vecchio Johnny non molla, l’avevo visto male al Crossroads Guitar Festival di Clapton ma sembra di nuovo in discrete condizioni, take a look!

Bruno Conti

Uno Strano Caso di Omonimia! Stoney Curtis Band – Cosmic Conn3ction

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Stoney Curtis Band – Cosmic Conn3ction – Blues Bureau/Shrapnel

Se digitate il nome Stoney Curtis in rete il primo risultato che vi appare è “noto attore e regista porno americano”, ma , strano, vuoi dire che mi devo dare alle recensioni di materiale hard? Poi tutto si chiarisce, questa è la Stoney Curtis Band e anche lui prende il nome da un personaggio dei Flintstones perché in effetti il vero nome è Curtis Feliszak come si desume dal fatto che è l’autore di tutti i 12 brani che compongono questo Cosmic Connection. Il suo co-autore e produttore del disco è Mike Varney, fondatore della Shrapnel Records, l’etichetta indipendente americana che sempre di hard si occupa, ma hard-rock, metal persino, e anche nella Blues Bureau di power-trio blues-rock ma molto rock.

Però il Blues, ancorché energico per usare un eufemismo, non manca: se uno si ascolta When The Sweet Turns To Sour uno dei brani di questo album, uno slow blues torrenziale dove la tecnica chitarrististica del buon Stoney non è seconda a nessuno si capisce perché il nostro amico citi tra le sue influenze Hendrix, Thorogood, Steve Ray Vaughan, Clapton e Robin Trower ma anche Buddy Guy, Howlin’ Wolf e Muddy Waters. Poi non sempre predica bene e razzola male o viceversa. In effetti il modo di cantare di Curtis ( e anche gli arrangiamenti di molti brani) si ispirano anche al David Lee Roth dei Van Halen, ad esempio in Mouthful of money o nell’iniziale “manifesto” Blues & Rock’n’roll.

La fluida e torrenziale Headin’ For The City è Stevie Ray Vaughaniana fino al midollo anche nella presenza di un organista, Jesse Bradman, che aggiunge coloriture e spazialità alla solista indiavolata del nostro amico. Non mancano gli episodi psichedelici-Hendrixiani come in Soul Flower dove il wah-wah impazza dai canali dello stereo ma il ritornello e il cantato ricordano il rock FM americano, non quello più bieco ma non siamo al massimo della finezza, Van halen e dintorni.

C’è sempre questa alternanza tra hard-rock e hard blues e la voce di Stoney Curtis non sempre lo assiste, Good Lovin Done Right non è male ma l’arrangiamento non aiuta anche se l’assolo è sempre notevole. Big Beautiful Women è classico ‘70’s hard-rock non proprio originalissimo e raffinato ma la grinta, a chi piace il genere, non manca. Mary Jayne è una via di mezzo tra Hendrix e Van Halen  (un pallino di Varney che nella sua scuderia di chitarristi da sempre è alla ricerca di un suo omologo). Quando i tempi rallentano e le 12 battute prendono il sopravvento come nel melodic blues (me lo sono inventato al momento) di Infatuation Blues le cose migliorano, almeno per il sottoscritto. Ma è questione di un attimo prima del furioso hard rock di Before The Devil Knows You’re Dead e dei vaghi sentori progressivi di Rise Up. Conclude The Letter una sorta di hard ballad melodica in crescendo con ampio uso di chitarra.

Per chi ama i sapori “forti e duri” ma anche i buoni chitarristi, ma ce ne sono tanti così in giro, bravo ma basterà?

I filmati ovviamente sono dello Stoney Curtis “giusto”, con l’altro avrei incontrato il probabile plauso di molti ma rischiato l’arresto!

Bruno Conti