Super Heavy = Supergruppo? Mick Jagger, Dave Stewart, Joss Stone, Damian Marley, AR Rahman

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Lo so che i fans degli Stones sono in crisi di astinenza, ma basterà l’unione di questi cinque personaggi a creare i Rolling Wilburys? Ho dei seri dubbi anche se i primi tre hanno già collaborato nella colonna sonora del remake di Alfie e Joss Stone oltre che delle belle gambe (per la serie l’occhio vuole la sua parte) ha anche una bellissima voce, come ha dimostrato nel suo primo album e saltuariamente in quelli successivi. Mick Jagger ha delle belle rughe oltre ad essere “Brenda” per il socio Keith Richards (che nell’attesa sta lavorando al nuovo disco degli X-pensive Winos). Dave Stewart è stato il 50% degli Eurythmics. Damian Marley è uno dei figli del grande Bob. E AR Rahman è un famoso compositore indiano di colonne sonore per Bollywood tra cui il megasuccesso di The Millionaire quello del tormentone con la fidanzata di Hamilton.

Ma questo misto di rock, reggae, soul e niente world music ha detto Jagger anche se pare ci sarà un brano cantato in urdu basterà a fare un buon disco? Quasi per smentirlo Rahman ha detto che sono già pronti 16 o 18 brani tra cui scegliere e che il tutto avrà un world sound! Così parlò il “mozart di Madras” (lo chiamano così e, sì, il minuscolo è voluto). Possiamo solo aspettare, penso, l’autunno e sperare per il meglio.

Anche se questo brano era veramente molto bello!

File under “futile”!

Bruno Conti

L’Ultimo Saluto Di Un “Vecchio Amico”. John Martyn – Heaven and Earth

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John Martyn – Heaven And Earth – Hole In The Rain Ltd

Iain David McGeachy, per tutti semplicemente John Martyn ha lasciato questa terra il 29 gennaio del 2009 in seguito ad una doppia polmonite. Questo Heaven and Earth, il suo testamento sonoro, esce a più di due anni dalla sua morte ed aveva comunque avuto una lunga gestazione. Secondo uno dei produttori Gary Pollitt questo disco esce esattemente come era stato concepito eccettuate delle piccole aggiunte effettuate dopo la scomparsa di Martyn.

Ad esempio l’aggiunta della seconda voce del suo grandissimo amico Phil Collins nell’iniziale Heel Of The Hunt un bel pezzo funky-jazz nello stile inconfondibile della seconda parte della carriera di John Martyn, quel Grace and Danger che narrava la fine della sua storia d’amore con la moglie Beverley, uscito nel 1980 e che vedeva appunto la partecipazione di Phil Collins alla batteria e alle armonie vocali, forse il disco che più di tutti seppe fondere la sua voglia di grande sperimentatore in ambito folk e rock con un suono più “facile” e comprensibile per tutti.

Ovviamente sia in quel disco (che peraltro Martyn considerava il suo migliore) che in questo siamo lontani dalla grandezza dei suoi dischi migliori, tipo Solid Air, Inside Out o One World, dove la sua voce e la sua chitarra spesso filtrata dalla pedaliera dell’Echoplex raggiungevano livelli di raffinatezza e ricerca sonora fantastici.

Il sottoscritto ha avuto un “incontro ravvicinato” con John Martyn nel maggio del 1979 in occasione del suo concerto italiano al Teatro di Porta Romana di Milano. Era un tour in solitaria ma con la sua chitarra e i pedali dell’Echoplex era in grado di creare sonorità ai limiti dell’incredibile. Personaggio “strano” e particolare, in bilico tra la poesia della sua canzoni e la brusca carnalità del suo essere scozzese, ricordo che entrando a metà pomeriggio nella sala deserta del teatro (davo una mano come collaboratore della radio che organizzava il concerto) per uno spuntino con un panino al salame seduto su una poltrona mi sentivo osservato e girandomi vidi un giovane uomo sulla trentina, riccioluto, i cui lineamenti mi dicevano qualcosa ma non sapevo chi era. Dopo avere guardato a lungo il mio panino mi si è avvicinato e mi ha borbottato qualcosa su dove poteva prendere il suddetto e dopo pochi minuti è rientrato con aria soddisfatta con spuntino al seguito e una quantità impressionante di lattine di birra che avrebbe consumato poi durante il concerto iniziando anche una gara di rutti con il pubblico e questo era nel suo personaggio. Naturalmente l’esibizione è stata stupenda!

La sua carriera da allora è stata ancora lunga e gloriosa con alti e bassi (soprattutto negli anni ’90) fino alla malattia del 2003 che lo ho portato all’amputazione della gamba, probabilmente generata dai lunghi anni di eccessi sul suo corpo. Lo spirito era ancora vivo e il suo ultimo album On The Cobbles uscito nel 2004 è stato quello che più di altri lo ha riavvicinato allo spirito dei primi dischi più “acustici” ottenendo anche ottimi riscontri dalla critica.

La sua voce in quel disco, e anche in questo, non era più (o non completamente) quel meraviglioso strumento in grado di spazialità e di “slurring” (ovvero la capacità di scivolare da una nota all’altra senza soluzione di continuità nella stessa emissione vocale che è diverso dal melisma): in questo disco, echi del vecchio splendore (sia pure su note più basse) si riscontrano nella bellissima ballata notturna che dà il titolo a questo CD Heaven and Earth, dove la voce di John Martyn improvvisa quasi fosse un jazzista sul tappeto del basso di Alan Thompson e la batteria di Arran Ahmun, con gli interventi del sax di Martin Winning e delle tastiere di Spencer Cozens quasi come ai vecchi tempi, sette minuti di pura magia che rendono ancora più triste la sua dipartita.

Non tutti i brani sono a questo livello: nove in tutto e abbastanza lunghi, ogni tanto il suono si perde in coordinate più banali, come in Stand Amazed dove la fisarmonica dell’amico Garth Hudson, l’elettrica di John Martyn e sax e piano elettrico non riescono a mascherare una certa ripetitività anche nell’uso di voci femminili di supporto non brillantissime, tra funk morbido quasi soul e voglia di improvvisare quasi a tempo di tango, il tutto un po’ irrisolto e tirato per le lunghe, “rimprovero” finale al cane Gizmo lasciato a testimoniare l’aria “familiare” di queste registrazioni avvenute nella sua casa di Woolengrance Thomastown in Irlanda.

Detto dell’ottima title-track, l’intro pianistico di Bad Company e alcuni interventi pungenti della elettrica di Martyn non sempre salvano il brano dalla “invadenza” delle voci femminili e il suo falsetto non è più vellutato come un tempo. I tempi più mossi di Could’ve Told You Before I Met You ci regalano la voce “legata” (sarebbe la traduzione ma slur rende meglio l’idea)  del nostro amico che si avvicina allo splendore dei tempi andati salendo e scendendo con grande vigore. In Gambler fa capolino anche una chitarra acustica, il basso fretless è in primo piano e i suoni più sommessi e raccolti ricordano il sound anni ’80, non il migliore ma sempre rispettabile nella sua discografia. 

Can’t Turn Back The Years è una cover di un brano di Phil Collins e la voce grave e profonda di John sovrasta dall’alto della sua classe quella di Collins per una ballata che riafferma la malinconia insita nella sua musica, tratto che aveva in comune con il vecchio “amico” Nick Drake con il quale condivideva questa passione per i sentimenti umani più autunnali e tristi. Bella canzone, anche se i coretti del buon Filippo non mi convincono a fondo, ma il brano è suo e quindi…

Un synth ci introduce ad un’altra bella ballata, Colour, ancora con echi del vecchio splendore nelle improvvisazioni vocali di Martyn ma senza raggiungere i vertici della sua produzione migliore, comunque anche nel suo “crepuscolo” si mangiava il 90% dei suoi concorrenti (forse solo con l’eccezione di Van Morrison e pochi altri).

L’ultimo brano, Willing To Work, è forse il migliore del lotto, con derive jazz vocali quasi al limite dello scat con una chitarra elettrica che riprende sonorità care al Martyn di One World o Inside Out. Anche se l’effetto jam ogni tanto prende il sopravvento sulla forma canzone in questo brano la sua capacità improvvisativa e vocale ricorda le sue migliori e uniche qualità.

Non un capolavoro ma un “saluto” a chi ha amato e seguito la sua musica lungo tutti questi anni da uno dei musicisti più “originali” degli ultimi 40 anni. Sarà quello finale?

Bruno Conti

Novità Di Maggio Parte IV. Blasters, John David Souther, My Morning Jacket, Dave Matthews Band, Journey, Eddie Vedder, Death Cab For Cutie, King Crimson, Andrea Corr Eccetera

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Quarto e ultimo appuntamento con le uscite di maggio (appendici e derive escluse) e le proposte sono sempre numerose e variegate. Confermata l’uscita della ristampa Deluxe tripla di In The Land Of Grey and Pink dei Caravan vediamo il resto, tutto (o quasi) esce il 31 maggio.

Partiamo con John David Souther, uno dei migliori alfieri del West Coast Sound che ultimamente pare avere preso nuovo vigore con un’inconsueta regolarità nelle uscite. Tre album compreso questo Natural History più una raccolta negli anni 2000 equivale al resto della sua produzione nei 30 anni precedenti considerando che tre erano usciti negli anni ’70 e uno nel 1984. Etichetta Entertaiment One Records quindi vi raccomando la reperibilità ma per non smentirsi (e smentirni) l’album è in effetti una “ripresa” con nuove versioni dei suoi “classici” tra cui ricorderei You’re Only Lonely, New Kid In Town, The Sad Cafè e Best of My Love. Un disco soffuso ed acustico, molto bello.

Anche il disco dei Blasters Live 1986 raccoglie materiale d’archivio, un CD dal vivo con 17 brani (che integra il mini del 1982 e la reunion del 2002) che li coglie poco prima della fuoriuscita di Dave Alvin dal gruppo. Show incendiario esce per la Rockbeat Records (S’more negli States, non ho capito se è la stessa cosa) quindi solo import.

Nel titolo del Post ho segnalato un nuovo King Crimson in verità si tratta di un CD attribuito a Jakszyk, Fripp & Collins A King Crimson projekct A Scarcity of Miracles. Come tutte le uscite della Panegiric/Discipline esce in 3 versioni: CD, CD+DVDA e LP. Si tratta del risultato dell’incontro nel 2009 di Jakko Jakszyk e Robert Fripp con l’aggiunta del sassofonista Mel Collins per una serie di improvvisazioni chitarristiche. Il risultato è piaciuto, Tony Levin al basso e il batterista dei Porcupine Tree Gavin Harrison hanno aggiunto in seguito le loro parti e questo è il risultato.

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Tornano anche i Journey con il nuovo cantante filippino Arnel Pineda a “rivitalizzare”. secondo i fans, il sound della band. Etichetta Frontiers. Titolo Eclipse, ne esiste anche una versione Deluxe con: CD Ecolbook (qualsiasi cosa voglia dire), 2 LP, T-shirt, Litografia firmata, poster, sticker. Ve la cavate con quei 60 euro circa!

Ennesimo doppio CD dal vivo per la Dave Matthews Band Live At Wrigley Field. Registrato il 18 ottobre del 2010 a Chicago, fa parte degli album “ufficiali” pubblicati dalla RCA, questa è la tracklist:

CD1
1. Die Trying
2. Stay Or Leave
3. Seven
4. Crash
5. Good Good Time
6. #41
7. Tripping Billies
8. Digging A Ditch
9. Squirm
10. Gravedigger
11. Spaceman
12. Stay

CD2
1. Can´t Stop
2. Grey Street
3. Jimi Thing
4. Time Bomb
5. Two Step
6. Christmas Song
7. Corn Bread
8. Last Stop        

Per la serie a volte ritornano, dopo essersi dedicata per alcuni anni al teatro prima a Londra e poi a Dublino Andrea Corr, la voce solista del gruppo, pubblica un nuovo album Lifelines, prodotto da John Reynolds e co-prodotto da Brian Eno. Esce per la AC Records e sono tutte cover: da Pale Blue Eyes dei Velvet Underground passando per Blue Bayou di Roy Orbison, From The Morning di Nick Drake, State Of Indipendence di Jon and Vangelis, N°9 Dream di John Lennon, They Don’t Know di Kirsty MacColl.Ma anche brani di Harry Nilsson, Blue Nile, Ron Sexsmith. Magari è bello (O forse no, la cover di Nick Drake non è il massimo) una volta mi piacevano i Corrs. Disponibile in versione CD+DVD con video live, promo, interviste e making of.

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Torna la band di Ben Gibbard i Death Cab For Cutie con un nuovo album Codes and Keys, l’etichetta è sempre l’Atlantic. Se volete dare una ascoltata first-listen-death-cab-for-cutie-codes-and-keys.

Doppia uscita per Eddie Vedder: la prima è il famoso Ukulele Songs di cui si parla da parecchio tempo con pareri discordanti. Certo, solo voce e ukulele non è una cosa leggerissima, un po’ monocorde ma al sottoscritto non dispiace. C’è un duetto con Glen Hansard dei Swell Seasons e uno con Cat Power. Disponibile anche in edizione con libretto Deluxe. Lo stesso giorno, 31 maggio. esce anche il DVD Water on the road registrato nel corso del tour da solista di Vedder nel 2008, con brani dei Pearl Jam, dalla colonna sonora di Into the Wild, qualche cover tra cui un paio di Dylan, Girl From The North Country e Forever Young e alcune canzoni che escono nel nuovo Ukulele Songs. Etichetta Republic distr. Universal per entrambi.

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Il nuovo dei My Morning Jacket Circuital lo metto solo soletto in coda in quanto ho intenzione di parlarvene nei prossimi giorni, lo sto sentendo spesso e comincia a piacermi, dopo le perplessità iniziali! Esce il 31 maggio negli States, il 7 giugno in Inghilterra e il 14 giugno in Italia.

Bruno Conti

Italiani “Non” Per Caso – Michele Gazich E La Nave Dei Folli – Il Giorno Che La Rosa Fiorì

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Michele Gazich e la Nave dei Folli – Il giorno che la rosa fiorì – Fono Bisanzio Records

La nave è salpata ancora. Michele Gazich giunto al terzo capitolo della trilogia con “La Nave dei Folli”, una sorta di collettivo musicale nato un paio di anni fa e con il quale ha intrapreso un percorso musicale nel quale è convogliata una certa forma cantautorale innovativa ma dove viene messo in risalto anche il suo grande bagaglio musicale.

Il giorno che la rosa fiorì  bellissimo titolo di questo lavoro, che presumo sia nato nelle pause del “tour” europeo che Michele ha intrapreso con il grande Eric Andersen e sua moglie Inge in veste di corista, tour da cui è nato il brillante cd dal vivo registrato il 25 Marzo 2010 al Theater Keller di Colonia, finalmente distribuito in questi giorni.

Accompagnato dagli ottimi Marco Lamberti e Fabrizio Carletto e dalla splendida voce di Anna Petracca ( che ha sostituito Luciana Vaona “vocalist” nei precedenti lavori), si parte con una struggente e poetica Verso Damasco per poi passare al ballo medioevale del brano che dà il titolo all’album.

Marco Lamberti dà voce alla riflessiva L’Ultima Estate con la fisarmonica di Roberto Tentori  in evidenza, come nelle seguenti Scuola di Ballo e La tua mano, il mare, le stelle, cantata quest’ultima a due voci da Anna e Marco, che chiude la prima parte.

La seconda parte inizia con Elogio della Rosa, cui fa seguito uno dei capolavori del disco  Quando tu te ne andrai, un giorno con la soave voce di Anna accompagnata dal pianoforte di Michele. Si ritorna alla ballata con Fuoco nero su Fuoco bianco che rimanda alla scrittura della Bibbia, e Scene da un matrimonio cantata da Marco (citazione  di un film di Ingmar Bergman), per finire con il Mio Mattino splendido brano con una superba melodia, e la voce di Anna con al pianoforte Michele. Il congedo finale del disco Ultima Canzone D’Amore, brano cantato da Gazich con la seconda voce della Petracca, chiude una trilogia di poesia e passione, che si pone alla vette più alte del cantautorato italiano.

P.S. : Per chi fosse interessato, Michele Gazich e La Nave Dei Follihttp://www.michelegazich.it/ suonano Sabato 25 Giugno al Chiostro di San Giovanni (BS), inizio concerto ore 21,00. Accorrete numerosi, ingresso gratuito

Tino Montanari

Bob Dylan At 70, “Piccole” Ma Significative Aggiunte!

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Ovviamente ero stato pessimista e anche se non si può dire che i festeggiamenti fervano per il 70° di Bob Dylan qualcosa si muove (anche se non sul fronte ufficiale della Columbia/Sony).

Studs Terkel’s Wax Museum The Long Lost1963 Radio Broadcast è gia stato pubblicato da qualche giorno per il mercato inglese. L’etichetta è la Left Field Media, la stessa del Live At Main Point di Springsteen, quindi parliamo di materiale, come dire, semi-ufficiale ma di buona qualità. Si potrebbe definirlo un complemento al Brandeis University. Siamo al 26 aprile del 1963, Dylan ha appena terminato le registrazioni di Freewheelin’ e organizza questa trasferta a Chicago per apparire nello spettacolo radiofonico di Studs Terkel nel corso del quale verranno mandati in onda i brani registrati la sera prima in un locale della Windy City, The Bear di cui Albert Grossman era uno dei proprietari.

Tutto il broadcast (e relativo CD) dura 65 minuti: 7 brani per un totale di 28 minuti e 37 minuti di amichevole conversazione tra Dylan e Terkel.  Ovviamente sono tutte versioni “inedite” dal vivo: così ascoltiamo, nell’ordine, Farewell, A hard rain’s gonna fall, Bob Dylan’s Dream, Boots Of Spanish Leather, John Brown, Who Killed Davey Moore e Blowin’ In The Wind.

Come vedete ci sono brani dall’album imminente, da quello successivo e alcuni che non inciderà fino agli anni ’90. Ovviamente, come già detto, la qualità sonora è buona senza essere eccelsa e migliora dopo un paio di brani.

L’altra signora che si occupa di Dylan non è molto conosciuta ma estremamente brava. Si chiama Barb Jungr è inglese di ascendenza cecoslovacca ed ha già pubblicato una decina di album. Questo nuovo disco si chiama Man In The Long Black Coat esce per la Linn Records e si tratta di una “raccolta” di canzoni scritte da Bob Dylan. Non è il primo disco che la Jungr dedica al soggetto in quanto nel 2002 era già uscito Every Grain Of Sand dedicato all’argomento e anche nei dischi successivi qualche cover di Bob ci scappava spesso. Comunque l’album ha anche quattro brani registrati appositamente per l’occasione.

E sapete una cosa, la signora è proprio brava, bella voce, una via di mezzo tra la limpidezza di una Eva Cassidy se fosse arrivata alla maturità e le “sonorità” più vissute dell’irlandese Mary Coughlan. La critica la porta in palmo di mano anche per questa sua caratteristica di rivisitare non l’American Songbook e quindi i classici alla Cole Porter, Gershwin, Rodgers & Hart e gli altri grandi, ma autori più recenti, Dylan in primis, ma anche Leonard Cohen, Springsteen, Neil Diamond, Paul Simon, David Byrne, Presley, Leon Russell e anche autori inglesi come Richard Thompson, Ray Davies e la sua amica Christine Collister con cui ha collaborato varie volte.

Il risultato è molto piacevole, spesso sorprendente, tra chitarre acustiche e pianoforti spesso si insinuano sassofoni, tastiere e fisarmoniche per un sound raffinato, al limite jazzato e di gran classe su cui si libra questa bella voce. Hanno detto di lei: “Una delle principali interpreti del catalogo di Dylan” The Indipendent, “Speriamo che Dylan stesso la ascolti e inizi a scrivere dei brani direttamente per lei” The Observer, tanto per citarne un paio. Se vogliamo trovare un difetto forse il suono non è molto “rock”, contemporaneo ma grazie anche alla audiofilia della Linn Records di grande presenza.

Bruno Conti

Questa E’ Bella! Cathy Jean – In The Remains

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Cathy Jean – In The Remains – Cathy Jean Self-released

Scusate il titolo, ma non ho resistito! E oltre che bella è pure brava.

Ammetto di essere stato attratto dalla copertina, ma ho visto (e sentito) che oltre le apparenze c’è di più. Questo In The Remains è il quinto album della discografia di Cathy Jean e dimostra una volta di più che negli States esiste un mondo intero di musicisti di talento, sconosciuti ai più, che fanno musica di qualità.

Uno, dalla copertina, potrebbe pensare che Lady Gaga è andata un passo oltre nelle sue provocazioni e si è presentata come mamma l’ha fatta. E invece pensate a Janis Joplin, Dana Fuchs, Michelle Malone, rock-blues con ampio uso di chitarra, soul al fulmicotone, ma anche ballate meditative in crescendo con uso di fiati come la title-track in The Remains. Purtroppo non ho trovato video che la riguardano, solo questo che forse non è rappresentativo ma è per avere un’idea della voce…

Se volete ulteriormente approfondire qui CathyJean trovate la sua discografia e potete ascoltare un po’ di brani e leggere una serie di commenti sulla sua musica.

Come al solito la ricerca prosegue!

Bruno Conti

Staffette Indiane. Apache Relay – American Nomad

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The Apache Relay – American Nomad – Nomadic Records

 

Preparate il portafoglio, perchè tra poco vi sentirete più leggeri. Eccellente seconda prova per una giovane band,  gli Apache Relay, quartetto che arriva da Nashville, sdoganati con il disco d’esordio del 2009 con un titolo emblematico 1988, da tale Doug Williams, già collaboratore dei più noti Avett Brothers.

Prodotto da Neilson Hubbard (già negli Strays Don’t Sleep con Matthew Ryan e alla guida del recente Land Like A Bird di Amy Speace), American Nomad ci mostra una band in piena forma, composta dal leader e autore di tutti i brani Michael Ford Jr., con alle chitarre il barbuto (o più degli altri) Mike Harris, alla batteria Brett Moore e il violinista e mandolinista Keller Wenrich, per una musica  calda, avvolgente e dalle melodie irresistibili.

 Bene, fatta questa doverosa presentazione, il CD parte alla grande con Can’t Wake Up e Power Hungry Animals dal finale in crescendo che rimanda ai grandi Arcade Fire. Si prosegue con Sets Me Free e Mission Bells, dalle armonie vocali degne dei migliori Decemberists. Il brano seguente è una cover che farete fatica a riconoscere, State Trooper di Bruce Springsteen, in una versione tirata in stile Walkabouts in una giornata piovosa di Seattle. Lost Kid ha ritmo e scivola in un baleno, e Watering Hole è una ballata degna del miglior Mike Scott dei rimpianti Waterboys.

American Nomad, il brano che è stato scelto come singolo e che viene sparato (sogniamo) in tutte le radio americane con relativo video che si può vedere su Youtube, sembra uscito da una session dei citati Avett Brothers. Chiudono un dischetto esemplare l’acustica When I Come Home, Some People Change e Home Is Not Places che ricordano visto che sono in vena di citazioni un altro grande gruppo che mi porto nel cuore, i National.

Che altro dirvi per incoraggiarvi all’acquisto? Il CD per i canoni del genere è quasi lungo (circa quaranta minuti), estremamente godibile, ben roccato quando serve, cantato con armonie vocali pregevoli, se vi incuriosisce il tema avete trovato quello che cercate, rompete il salvadanaio e correte dal vostro negozio di fiducia, questa è sicuramente la vostra Band!

Tino Montanari

Come avrete notato, proseguono anche le “staffette” degli Ospiti collaboratori. Se avete qualche argomento che vi punge in punta di tastiera contattate il Blog!

Bruno Conti

May You Stay Forever Young. Dylan at 70. Buon Compleanno Bob

 

 

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Anche se le parole del titolo erano state scritte da Dylan nel 1973 per il figlio Jakob si possono “ritorcere” anche su Bob. Come annunciato, in questi ultimi giorni giornali, riviste e rete si sono scatenati sull’avvenimento e una delle headlines più ricorrenti è stata “Dipendevo dall’eroina”. Dato che Dylan spesso ha raccontato “balle” nelle sue interviste (ma quando le ha date?) questa voce è stata considerata attendiibile in quanto proviene da una intervista “vera” data al suo amico giornalista Robert Shelton l’autore della famosa biografia No Direction Home, libro pubblicato nel 1986 (anche se il colloquio è avvenuto nel 1966) e ristampato di recente con alcune significative aggiunte.

E’ interessante perché si tratta dell’unica biografia alla quale Dylan ha “collaborato” (per usare una parola grossa). Occorre dire che nello stesso libro il buon Bob in un’altra intervista afferma che appena arrivato a New York facevo il prostituto cento volte a notte con uomini e donne dalle 4 del pomeriggio alle 4 di notte! Questo nel libro c’era ma la storia dell’eroina no (nella prima versione): il mensile Uncut ha pubblicato un ampio stralcio dell’intervista del 1966 ( o tutta) e ad un certo punto Dylan dice ” A lot of people think that I shoot heroin. But that’s baby talk: I do a lot things. Hey, I’m not going to sit here and lie to you…”.

Sul fatto delle bugie non potremo mai essere sicuri visto che Shelton è morto nel 1995 ma potrei anche dirvi che a proposito di “farsi” probabilmente nel 1941-42 e forse anche ’43 Dylan “se la faceva addosso” e il fatto sarebbe molto più “probabile” e verosimile, comunque back to Bob.

I dischi da avere, in caso di vita o di morte:

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o se avete qualche soldo in più

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Il libro e il DVD che (non) casualmente hanno lo stesso titolo:

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la moglie                                                 

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o meglio

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e visto che Lui non si può perché non vuole…

In ogni caso, tanti auguri!

Bruno Conti

From Seattle With Love. Brandi Carlile – Live At Benaroya Hall

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Brandi Carlile – Live At Benaroya Hall With The Seattle Symphony – Columbia/Sony

Seattle è stata la città che ha dato i natali a Jimi Hendrix e poi è stata la patria del grunge e dei suoi alfieri Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Mudhoney e tanti altri. Sempre a Seattle, anzi nelle immediate vicinanze, Ravensdale, il 1° giugno del 1981 nasceva Brandi Carlile, una delle più brave cantautrici delle ultime generazioni americane. Innamorata delle Indigo Girls e di Elton John, Brandi ha iniziato la sua carriera agli inizi degli anni 2000 con un serie di CD Demo ed EP che l’hanno portata ad essere messa sotto contratto dalla Columbia che nel 2005 ha pubblicato il suo omonimo album d’esordio. Ma è con The Story il disco del 2007 prodotto da T-Bone Burnett, e indubbiamente il suo migliore, che la sua carriera prende un abbrivio notevole. Intanto i suoi brani vengono utilizzati a manetta in varie serie televisive e film, a partire da Grey’s Anatomy, poi l’album entra nelle classifiche americane ma soprattutto riceve, giustamente, critiche entusiastiche in tutto il mondo (qualcuno ha detto 1° posto in Portogallo?). Il successivo Give Up The Ghost, prodotto da Rick Rubin, secondo il sottoscritto rimane a livelli qualitativi molto elevati ma molta parte della critica la abbandona a favore del “Flavor of the month”, il Gusto del Mese del momento.

Questo disco dal vivo chiude il cerchio: registrato alla Benaroya Hall di Seattle (che è un po’ l’equivalente della nostra sala del Conservatorio di Milano anche se è stata fondata solo nel 1998), con l’accompagnamento di una orchestra sinfonica di 30 elementi più il suo gruppo abituale, raccoglie il meglio dei due mondi, rock e raffinatezza, bella voce e belle canzoni, brani originali e cover di qualità.

La giovin signora ha una classe indiscutibile, gusti musicali raffinati, è una delle record women mondiali in quanto a video su YouTube (ma non ha mai pubblicato un DVD) e con una valanga di duetti con i noti e gli ignoti (a partire dal Gregory Alan Isakov citato ieri su questo Blog).

Il disco è dal vivo ma è anche molto “vivo”, sicuramente uno dei migliori live dell’anno e album in generale, la simbiosi tra il gruppo rock e l’orchestra è perfetta, gli arrangiamenti non assurgono a quelle vette di “tamarrità” che ogni tanto affliggono questi tipi di dischi.

Lo si capisce subito dal primo brano. Se negli album precedenti Brandi Carlile si era avvalsa dell’operato di due produttori come Burnett e Rubin questa volta ha chiamato per arrangiare i brani orchestrali un “mito” come Paul Buckmaster, quello di David Bowie, Leonard Cohen, Stones e dei primi album di Elton John. Proprio la partitura originale di Sixty Years On di quest’ultimo viene ripresa per l’inizio di questo album e la versione che ne risulta mantiene inalterata la tensione e il pathos della canzone e la Carlile ci regala una performance vocale di grande intensità. Poi quando i gemelli Hanseroth, Tim & Phil, compagni inseparabili dall’inizio della carriera, danno il via a Looking Out capisci che sei a bordo per un viaggio che si rivelerà ricco di emozioni e buona musica, con chitarre acustiche ed elettriche e gli archi dell’orchestra che si integrano con grande semplicità e senza sforzo, belle armonie vocali, lunghi crescendo ed improvvisi momenti più intimi ed acustici ma senza soluzioni forzate. Il piano di Brandi fa da collante al tutto in brani di grande appeal come la ballata Before It Breaks dove la voce sale e scende con naturalezza (che è in fondo il pregio della sua musica e del suo modo di cantare) ma anche nella stupenda I Will uno dei suoi piccoli capolavori, ricca di melodie che assumono un nuovo fascino negli arrangiamenti orchestrali di Buckmaster.

Shadow On the Wall non è il vecchio brano di Mike Oldfield ma una delle composizioni della Carlile che più si rifanno al canone del “vecchio” Elton John, quello dei primi anni, quando in coppia con Bernie Taupin realizzava alcuni dei suoi dischi più belli, malinconica ed avvolgente ma non triste e lugubre.

Forse i suoi brani assumeranno raramente tempi e modalità rock ma canzoni come Dreams possiedono comunque una energia che si trasmette al pubblico presente, anche se bisogna ammettere che gioca in casa e il pubblico conosce a menadito il repertorio. Come conferma la versione corale della bellissima Turpentine dove gli spettatori sono coinvolti da Brandi Carlile in un singalong di grande effetto in cui ho notato una impressionante somiglianza tra la voce di uno dei gemelli Hanseroth (credo Tim) e quella di Chris Martin dei Coldplay (così, mi scappava di dirlo)!

Poi i due gemelli improvvisano (!?!) una versione “perfetta” di The Sound Of Silence ma la prima versione, quella acustica, per cui se siete lì che aspettate l’entrata della batteria sappiate che non arriverà mai, ma la cover rimane bellissima. Poteva mancare la canzone di maggiore successo e forse anche la più bella del suo repertorio (scritta da Phil Hanseroth)? Certo che no! E allora vai con The Story un brano che ti accoglie nel suo crescendo vocale e ti emoziona in questa nuova possente versione orchestrale che mantiene inalterato l’intervento centrale della chitarra solista.

Molto bella anche la lunga Pride and Joy un altro dei brani migliori della nostra amica che si avvicina ai brani più emozionanti delle Indigo Girls o alla produzione migliore della canadese Sarah McLachlan. L’ultimo brano del CD è una versione stupenda di Hallelujah di Leonard Cohen via Jeff Buckley (riconosciuta dal pubblico al primo nanosecondo), canzone della quale la Carlile è da anni una delle migliori interpreti, la sua cover rivaleggia con quella di kd Lang tra le più riuscite. In effetti c’è una hidden track, la mitica traccia nascosta: si tratta di Forever Young. Quando qualcuno mi ha detto “guarda che alla fine c’è Forever Young” come a dire, mica cotica, pensavo al brano di Dylan. Invece, più prosaicamente, si tratta del brano degli Alphaville, in ogni caso bella versione che non assomiglia per niente all’originale e conclude in gloria un bellissimo disco dal vivo che raccoglie il meglio della sua produzione fino ad oggi.

Nel frattempo la nostra amica ha già registrato il suo nuovo album di studio prima di partire per il tour estivo con Ray Lamontagne (una supplica: visto che l’anno scorso causa vulcano è saltata la data di Milano non si potrebbe fare un altro tentativo, vi giuro che ne vale la pena!).

Bruno Conti

Novità Di Maggio Parte III. Chip Taylor, Romy Mayes, Flogging Molly, Rory Gallagher, Mickey Newbury Eccetera

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Oggi lavoro doppio. Devo recuperare alcune uscite di Maggio visto che ho saltato la rubrica la scorsa settimana oberato dalle recensioni e dagli eventi. Dato per assodato che A Nod To Bob 2 il tributo a Dylan pubblicato dalla Red House rimarrà (è già uscito) l’unico sostanziale segnale dell’industria discografica per i 70 anni del grande Bob e che, come previsto, a pochi giorni dal genetliaco tutti i giornali e le televisioni si affrettano a parlare dell’evento, martedì prossimo 24 maggio sarebbe un giorno “tranquillo” per le uscite discografiche se non fosse che usciranno alcuni dei dischi “fondamentali” della discografia mondiale: il nuovo Lady Gaga, il nuovo Mango e il Best di Paolo Meneguzzi!

Il terzetto che vedete effigiato sopra è già disponibile nei negozi di dischi.

Romy Mayes è una eccellente cantautrice canadese, di Winnipeg per la precisione, questo Lucky Tonight è il suo quinto album e la vede accompagnata da Jay Nowicki, ottimo chitarrista, e dalla band dei Perpetrators. La particolarità è che, come nel caso dell’ultimo Richard Thompson o del super classico Times Fades Away del connazionale Neil Young (a cui è stato accostato), si tratta di un disco registrato dal vivo ma tutto con canzoni nuove. E la ragazza ha una gran grinta e voce.

Chip Taylor, come più volte ricordato in questo Blog, oltre ad essere il fratello di Jon Voight ( e quindi lo zio di Angelina Jolie), uno dei migliori “giocatori di carte” professionisti degli States, ha anche il “vizio” di scrivere belle canzoni. Nel passato ha scritto Wild Thing e Angel Of The Morning ma nell’ultimo ventennio, prima con Carrie Rodriguez, e ora con Kendel Carson e John Platania continua a registrare una serie di bellissimi album e se li pubblica con la sua etichetta, Train Wreck Records. Questo Rock and Roll Joe è l’ultimo della serie: un disco che contiene 16 brani (15 più la ripresa della title-track) dedicati ad alcuni musicisti “minori” che hanno fatto la storia del Rock and roll. Non contento gli ha dedicato un intero sito http://www.rnrjoe.com/, dove alcuni Rock & Roll Joes di oggi hanno scritto su quelli del passato, con ricco contorno di video.

Rory Gallagher se ne è andato ormai da 16 anni ma il fratello Donal che è in un certo senso il suo archivista in questi anni ha mantenuto viva la leggenda di quello che è stato uno dei più grandi artisti e chitarristi irlandesi di tutti i tempi (leggende apocrife narrano che Jimi Hendrix lo considerasse il secondo più grande, come chitarrista, dopo di lui, ma non essendoci più nessuno dei due è “difficile” controllare). Questo doppio CD Notes From San Francisco uscito in questi giorni negli States e che uscirà il 6 giugno anche in Europa è di gran lunga il più interessante delle ristampe dedicate a Gallagher. Si tratta di un disco completo di studio registrato appunto a San Francisco tra il novembre 1977 e il gennaio 1978 con la produzione di Elliot Mazer (proprio quello di Neil Young) e per motivi ignoti (si dice il perfezionismo di Gallagher che non era soddisfatto di alcuni mixaggi) è rimasto nei cassetti fino ad oggi. Ed è un vero peccato perché si tratta di un disco bellissimo, il cui valore è ulteriormente accresciuto per l’aggiunta nel secondo CD di un disco dal vivo con il meglio di 4 concerti registrati nel 1979 all’Old Waldorf dove Rory è in forma strepitosa. Eagle Rock in USA e Capo Records in Europa.

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Ancora un paio di aggiunte, il resto la settimana prossima. La prima è quel “formidabile” Box (anche nel prezzo, sulla settantina di euro) in tiratura limitata di 1.000 copie (quindi non so se si trova ancora) dedicato ancora una volta ad uno degli “unsung heroes” degli anni ’70. Quel Mickey Newbury che rimarrà imperituro nella memoria se non altro per avere scritto (o meglio “arrangiato” visto che si tratta di un medley di tre canzoni popolari americane scritte nel 1800) quella An American Trilogy che dà il titolo alla raccolta e che secondo il sottoscritto è l’ultimo grande brano interpretato da Elvis Presley. Newbury ha scritto anche San Francisco Mable Joy e Frisco Depot, oltre a Funny, Familiar Forgotten Feelings e Sweet Memories e un altro centinaio di brani, nonché pubblicato una ventina di album in una lunga carriera che si è bruscamente interrotta con la sua morte avvenuta nel 2002. Sconosciuto ai più, si tratta di uno dei grandi autori della canzone americana al pari, che so, di un Fred Neil. Ed era anche un ottimo interprete come i pochi fortunati che si accaparreranno questo Box avranno modo di verificare. Etichetta Saint Cecilia Knows/Mountain Retreat. Comunque quasi tutti i suoi dischi sono belli quindi buona ricerca con una preferenza per la produzione anni ’70.

Il disco nuovo dei Flogging Molly Speed Of darkness, il quinto della band americana di Celtic Punk esce il 31 maggio per la Thirty Tigers ma visto che c’ero ve lo segnalo in anticipo.

Vi segnalo anche in breve, poi ci torno con calma nei prossimi giorni un trio di CD di una nuova etichetta, la Rockbeat Records, ovvero le ristampe di Rockpile di Dave Edmunds (con bonus, ma è uguale a quello della Repertoire), il primo omomino dei Quicksilver Messenger Service e un Blasters Live 1986. Tutti e tre in uscita il 31 maggio.

Bruno Conti