Joshua Black Wilkins & The Forty Volts – While You Wait – Joshua Black Wilkins Self released
Il sottobosco musicale americano è talmente fertile e ricco di talenti, che da soli basterebbero a riempire il sempre più vacuo panorama nostrano, con musicisti di spessore e ricchi di talento che fanno della buona musica. Fortunatamente (per loro) in America ci sono un gran numero di locali, in città piccole e grandi che consentono loro di vivere, se non di prosperare, suonando ogni sera la musica che più sentono vicina al loro universo musicale ( nel caso specifico il Rock’n’ Country stradaiolo del primo Steve Earle).
A questa categoria appartiene Joshua Black Wilkins con il suo gruppo The Forty Volts, giunto al quarto album in dieci anni di carriera, dopo l’esordio nel 2005 con Hellbent & Brokenheart, seguito da 17th & Shelby e Pretty as a Junkyard distribuiti entrambi nel 2006. Robusti riff chitarristici, solida base ritmica, voce arrocchita e un po’ vissuta, questi i caratteri primari che il buon “ tatuato” Joshua ci dispensa nelle dodici tracce di questo dischetto.
Accompagnato da musicisti di indubbia bravura, tra cui in veste di ospite al violino e al controcanto Amanda Shires (di cui vi ha parlato in questi giorni, il titolare di questo Blog, che gentilmente mi dà spazio e lo ringrazio), si parte con una Northern Lights che ricorda il primo Bob Seger, seguita da una stradaiola Catch Your Fall e Drunk Before con il violino della Shires in evidenza.
Si picchia duro nella granitica e splendida Backseat Of Her Car, proseguendo nel country della title-track While You Wait, cui fa seguito Halos, brano elettroacustico che rimanda ai migliori Calexico.
La successione dei brani è davvero entusiasmante, Staying up, Sleeping in versione honky-tonk, precede una delle perle del disco, la ballata elettrica Jaded con gli arpeggi strazianti del violino di Amanda, seguita da una crepuscolare I Know Your Route con la pedal-steel in evidenza.
Conclude il trittico finale con una rokkata Tape, una sofferta Picture On the Wall in una versione unplugged, e Duct Tape un country-rock in stile Chris Knight, un tipo di cui da un po’di tempo non si ha notizia. Per concludere un lavoro assolutamente sincero, suonato e cantato magnificamente, che insieme a quanti altri ci indica il potenziale musicale sconosciuto dell’America più operaia di oggi. Impedibile!
Tino Montanari