Grazie Di Tutto Comunque! I R.E.M. Annunciano Lo Scioglimento Della Band Sul Loro Sito

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Dopo 31 anni, 24 album pubblicati, 15 di studio, 2 live e sette raccolte i R.E.M. “Call It A Day” come dicono nel comunicato nel loro sito news_story.php?id=1446. Indubbiamente dispiace considerando che il loro ultimo album Collapse Into Now mostrava segni di rinascita ma se era destino doveva finire così.

Ma…quell’immagine che vedete è quella provvisoria che annuncia nei siti di vendita l’uscita di un doppio Greatest Hits per la Warner il 14 novembre, e allora?

Lasciamoci con un brano che sintetizza come si sentono i fans dei R.e.m. sparsi per il mondo in questo momento. Everybody hurts: uno dei più belli da uno dei loro dischi migliori.

Il video originale non si può “caricare” nel Blog. Ma comunque grazie!

Bruno Conti

Giovani Talenti Si Confermano! Laura Marling – A Creature I Don’t Know

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Laura Marling – A Creature I Don’t Know – V2/Coop

Per completare la trilogia dedicata alle “ventunenni” che recentemente hanno pubblicato un nuovo disco arriviamo a Laura Marling e a questo A Creature I Don’t Know, suo terzo album e quello della consacrazione definitiva di un talento sicuramente superiore alla media dei cantautori (e cantautrici) in circolazione, giovani ed affermati indifferentemente. Per intenderci (esagerando un po’!) non so se Joni Mitchell  a 21 anni fosse così brava, non credo, anche se per essere onesti il primo disco della Mitchell uscì nel 1968 quando di anni ne aveva già 25 e quindi era molto più matura della nostra amica Laura che di album ne ha pubblicati tre. Non voglio fare paragoni perchè Joni Mitchell sia a livello vocale che compositivo è stata unica ma la Marling mi sembra sulla buona strada, un’ottima discepola, almeno nelle intenzioni.

Intanto facendo una musica “non facile” i suoi dischi vendono, e parecchio. Questo in particolare ha esordito in settimana direttamente al 4° posto delle classifiche inglesi, sicuramente aiutato da questo florilegio del fenomeno “neo-folk” inglese guidato dai Mumford and Sons dell (ex?) fidanzato Michael Mumford, che di dischi ne vendono a pacchi in giro per il mondo e sono presenti anche in questo A Creature I Don’t Know anche se in misura meno massiccia che nel precedente I Speak Because I Can. La produzione del nuovo album è affidata a Ethan Johns, degno figlio di tanto padre, e ai controlli in molti dei migliori dischi di Ryan Adams e Ray Lamontagne (per citare un paio dei suoi “clienti”), che ha mediato lo stile folk inglese della Marling aggiungendo “tocchi americani” ma senza snaturare troppo il sound.

E quindi i primi due brani The Muse e I Was Just A Card hanno quel piglio swing tra jazz, blues e folk con improvvise aperture di mandolino, banjo e gli occasionali fiati che uniscono il suono alla Mumford con quello di Joni Mitchell o Suzanne Vega con le quali la Marling condivide una impronta vocale, soprattutto nelle note medio-basse, perchè quando cerca di aprire la voce verso le tonalità più alte affiora ancora una certa acerbità, oppure semplicemente il suo range è quello. Comunque averne di musiciste così brave come è dimostrato dalla parte centrale dell’album che è veramente fantastica.

La sequenza di brani che si apre con Don’t Ask Me Why, piccola meraviglia di lirismo folk-rock a tempo di un valzer dolce e anche orecchiabile, che ricorda il meglio della California anni ’70, prosegue con la stupenda Salinas che nella costruzione sonora, ricorda la miglior Mitchell del periodo di mezzo in modo impressionante, e lo considero un grande complimento perchè anche quella della Marling è grande musica, cantata con passione e ricca di continue variazioni anche nelle sezioni strumentali. Se possibile The Beast è anche meglio, un brano che si apre su un arpeggio di chitarra acustica che ricorda la Suzanne Vega del primo album e poi in un crescendo inarrestabile si trasforma in un brano elettrico e vibrante, dove le pennate violente di una chitarra elettrica e le atmosfere torbide si possono accostare a quelle di PJ Harvey o Patti Smith, mantenendo comunque una loro unicità. Sapete che il “gioco” dei rimandi a questo e a quello è uno dei preferiti dei critici, ma serve per inquadrare la materia.

Molto bella anche Night After Night con quella vena acustica malinconica che ricorda Nick Drake o Sandy Denny dei tempi d’oro, con una semplicità e una intensità vincenti. Con My Friends, dall’arrangiamento più complesso si ritorna a quel folk “arricchito” di effetti vocali dei primi brani, con il banjo in primo piano e quei crescendi improvvisi tipici delle canzoni più intriganti di Mumford and Sons. Anche Rest In My Bed ha quell’aria malinconica che non è tristezza dei brani di Nick Drake mentre Sophia è un’altra piccola gemma di british folk dei tempi che furono con un testo che racconta di un amore finito con un lirismo inconsueto per una ragazza di 21 anni. E pensate che questa piccola meraviglia è il nuovo singolo dell’album, a dimostrazione che si può tentare il successo anche facendo buona musica. Si conclude con All My rage altro brano dalle sonorità transatlantiche che si ricollega ai “cugini” Mumford in un tripudio di mandolini, chitarre acustiche, percussioni, violini e dulcimer(o autoharp?) che virano anche verso sonorità orientali e regala una dalle interpretazioni vocali più convincenti di Laura Marling che si “arrampica” verso tonalità più alte.

Sarà anche nata nel 1990 ma dischi così belli li facevano soprattutto a cavallo tra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70 nel periodo d’oro della musica dei cantautori folk-rock. Molto molto bello, che altro dire?

Bruno Conti

Questi Ci Danno Dentro Alla Grande! Moreland & Arbuckle – Just A Dream

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 Moreland And Arbuckle – Just A Dream – Telarc   

Capitolo terzo per il trio del Kansas, Moreland And Arbuckle che pubblicano questo Just A Flood il loro secondo album per la Telarc dopo l’esordio su NorthernBlues con 1861, e si confermano una delle migliori formazioni in circolazione con il loro Blues fortemente venato di rock. Come saprete non c’è un bassista nella formazione anche se il chitarrista Aaron Moreland (con chitarra modellata alla Bo Diddley), almeno su disco, si cimenta anche al basso. Dustin Arbuckle oltre ad essere la voce solista è anche un’armonicista di quelli “cattivi” con un suono sporco e distorto che spesso applica anche nelle parti cantate. Brad Horner picchia con gusto e varietà sui tamburi e, se devo essere sincero, il suono del gruppo, in molti brani mi ha ricordato quello del post British Blues, gruppi come Ten Years After, Savoy Brown, i Chicken Shack di Stan Webb, ma anche il John Mayall più tirato e persino i Cream. Sarà una mia impressione ma il suono roots che viene evocato o “affinità elettive” con ZZTop, Thorogood e gli alunni della Fat Possum, che indubbiamente ci sono, sono meno evidenti di quelle citate. Se proprio vogliamo avvicinarli a qualcuno di “moderno” pensate a dei Black Keys più “disciplinati” per quanto picchino sempre duro.

Dal travolgente inizio di The Brown Bomber con il pianino in overdrive di Scott Mackey che si aggiunge alla slide devastante di Moreland e alla voce e all’armonica distorte di Arbuckle è evidente che gli affari sono seri.

Just A Dream è forse il brano che più si avvicina a quel suono roots, tipo i Black Crowes o i Los Lobos in deriva blues ma con la giusta dose di radici e una chitarra dal suono pungente. Purgatory addirittura ha qualche aggancio con il sound dei primi Sabbath con un’armonica e un organo aggiunti mentre Travel Every Mile con un basso molto profondo in evidenza potrebbe essere un brano dei Cream a guida Jack Bruce, poderosa come sempre la slide di Moreland. Il suono che esce dalle casse nella cover di Heartattack and Vine di Tom Waits ricorda quello dei Bluesbreakers di Mayall anche nell’uso dell’organo e l’effetto è quello di una Help Me leggermente accelerata. Rispetto ai due dischi precedenti gli assoli di Moreland sono più frequenti e più articolati. L’hard slow blues di Troll quasi vira verso sonorità psichedeliche con l’organo di Tyson Hummel ad aumentare ancora una volta lo spettro sonoro. La brevissima Gypsy Violin privilegia scelte sonore inconsuete con uno strano call and response delle due voci.

Shadow Never Changes è “semplicemente” (sembra facile) una bella canzone dall’andatura ondivaga che nel dualismo chitarra/armonica ricorda i primi Blues Traveler, quelli più ispirati. Good Love a tempo di boogie potrebbe essere degli ZZTop, di Thorogood ma anche dei vecchi Canned Heat. Who Will Be Next è un brano scritto da Mel London, lo stesso di Manish Boy, Poison Ivy e altri successi di Waters e Howlin’ Wolf e ha un suono Chicago Blues “moderno”. Molto bella l’accoppiata finale con una tirata So Low dal suono agile e saltellante e una cover selvaggia di White Lightnin’ con l’autore Steve Cropper presente alla chitarra solista.

Bravi e “originali”. Si fa per dire! Nel piattume che ci propongono molte band troppo convenzionali che suonano blues al giorno d’oggi questi Moreland And Arbuckle si elevano sopra la media.

Bruno Conti      

Novità Di Settembre Parte III. Tori Amos, Leslie West, Kevin Costner, Calvin Russell, Umphrey’s McGee, Eleanor McEvoy, Melissa Ferrick, Roy Harper, Gourds

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Proseguiamo con l’aggiornamento delle uscite, che, detto per inciso, sono una delle rubriche più visitate del Blog e quindi arricchiamola! Come faccio a saperlo? Leggo le statistiche, che voi non vedete, ma questa volta mi scappa di dire che in meno di due anni dalla sua apertura ufficiale (il 1° di novembre 2009) questo Blog ha avuto circa 450.000 pagine visitate e più di 200.000 visite. Quindi grazie! Questo lo dico solo perchè vedo Blog musicali più osannati con Counters in bella evidenza che sbandierano 130.000/150.000 visite in 3 o 5 anni e qualche Post inserito quando gira il vento probabilmente perché troppo impegnati con i loro profili Facebook. Si dice il peccato ma non il peccatore, neanche sotto tortura! Io mi sforzo di inserire un Post al giorno e per il momento ci riesco, anzi, per la precisione sono 703 in 688 giorni. Non è solo mera statistica ma rispetto per chi legge, inserire sempre qualche nuovo argomento. Quindi di nuovo grazie e scusate e proseguiamo.

Anzi, prima una precisazione, il doppio Europe ’72 part 2 dei Grateful Dead, almeno in Europa slitta più avanti come uscita ma negli States è uscito regolarmente.

Tori Amos pubblica il nuovo album Night Of Hunters oggi 20 settembre per la Deutsche Grammophone!! C’è anche l’immancabile edizione Deluxe CD+DVD con quest’ultimo che oltre al Making of contiene due Videoclip di Carry e Nautical Twilight. Questo album in futuro potrebbe diventare un musical quindi attendiamo prossimi sviluppi.

Leslie West recentemente non ha attraversato un buon periodo di salute, il diabete che lo affligge da tempo ha costretto i medici ad amputargli la parte bassa della gamba destra ma la vecchia “montagna” continua per la sua strada. In questi giorni (non ho capito bene la data perchè in rete ne riportano molte diverse ma dovrebbe essere oggi) esce il nuovo album Unusual Suspects per la Provogue e si dice che sia il suo migliore da molto tempo a questa parte. Ospiti Slash, Zakk Wylde, Steve Lukather, Billy Gibbons e Joe Bonamassa (strano era un po’ che non si sentiva, ma dorme ogni tanto?). Il duetto West/Bonamassa è una torrida versione di Third Degree di Eddie Boyd. C’è anche I Feel Fine dei Beatles. Non so chi sia Joseph M. Pizza che scrive parecchi brani!

Anche Kevin Costner ci ha preso gusto alla sua carriera parallela come musicista. Questo From Where I Stand è il terzo album con i Modern West dal 2008. I primi due non erano male, su questo ho letto giudizi contrastanti ma gli ottimi John Coinman e Teddy Morgan sono sempre della partita e ad un ascolto veloce non mi sembra malvagio. Etichetta earMUSIC/Edel.

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Questo degli Umphrey’s McGee, Death By Stereo, pubblicato dalla ATO Records il 13 settembre dovrebbe essere l’11° della serie o forse il 12° per la jam band americana. D’altronde un gruppo che ha esordito con un album che si intitolava Greatest Hits Vol.III è forse normale?

Eleanor McEvoy rimarrà legata per tutta la vita al suo brano più celebre Only A Woman’s Heart, bellissimo peraltro anche nella versione di Mary Black. E infatti c’è anche in questo nuovo album Alone che è uscito in Inghilterra il 13 settembre per la piccola etichetta Moscodisc. Si tratta, come dice il titolo, di un album acustico dove la McEvoy rivisita molti brani del suo catalogo solo voce e piano o chitarra. Il risultato è molto piacevole, alla Eva Cassidy per intenderci. Bella la versione di Eve Of Destruction.

Il buon Calvino ci ha lasciato qualche mese fa e ora la piccola etichetta francese XIII Bis Records, che aveva edito anche i tre album precedenti, pubblica questo CD+DVD dal vivo postumo, Calvin Russell The Last Call In The Heat Of A Night… di cui stavo cercando disperatamente delle informazioni in rete senza trovarle quando mi sono ricordato che avevo il CD, quando uno è pirla! Il CD è stato registrato il 19 giugno del 2009 a l’Atabal di Biarritz mentre il DVD contiene anche una sessione unplugged registrata a l’Espace Icare di Issy-Les-Molineaux registrato il 28 giugno 2009 + vari extra. Comunque per saperne di più recensione di Marco Verdi la settimana prossima (ogni tanto sfrutto gli “ospiti” del Blog, visto che non ce la faccio a fare tutto!).

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Melissa Ferrick è una cantautrice americana indipendente (e lesbica dichiarata) con una discografia notevole di oltre quindici album, alcuni molto belli. Voce molto espressiva, musicalità notevole, potrebbe ricordare Ferron (una delle mie preferite tra le cantautrici “sconosciute”) o Ani DiFranco ma lei cita anche Springsteen, Joni Mitchell, Simon & Garfunkel tra le sue fonti di ispirazione. Comunque una molto brava: questo nuovo album si chiama Still Right Here viene pubbicato dalla MPress Records, prodotto da Alex Wong (quello di Vienna Teng per intenderci) e vede come ospiti Kaki King e Ani DiFranco.

La presentazione del Sun di Roy Harper era troppo bella per cui gliela frego: “Kate Bush ha cantato con lui. I Led Zeppelin hanno cantato di lui. I Pink Floyd una volta gli hanno chiesto di cantare per loro. I Fleet Foxes e Joanna Newsom lo adorano!” E, aggiungo io, Jonathan Wilson gli ha dedicato un tributo dove suonano e cantano moltissimi degli artisti che appaiono nel suo ultimo ottimo album Gentle Spirit. Ma soprattutto Roy Harper è uno dei più grandi cantautori inglesi di sempre con una discografia sterminata che ha ripubblicato per la sua etichetta Science Friction e che vende sul suo sito http://www.royharper.co.uk/. La Salvo Records, dopo le ristampe di Procol Harum e Nazareth, pubblica questa doppia antologia a prezzo speciale, Songs Of Love And Loss che non dovrebbe mancare in ogni discoteca che si rispetti e anche in tutte le altre. Anche lui ha compiuto 70 anni quest’anno come Dylan ma è stato celebrato molto meno, per usare un eufemismo. E Have A Cigar il brano che canta su Wish You Were Here dei Pink Floyd lo avete sentito tutti. Qui ci sono altri 23 brani tratti da 11 album della sua discografia, molto belli, ma secondo il sottoscritto ne mancano una valanga, soprattutto di quelli più lunghi dove suonano Jimmy Page, John Paul Jones, David Gilmour, Paul McCartney, Keith Moon tanto per citarne alcuni. Una meraviglia comunque, per iniziare.

The Gourds sono un quintetto texano guidato da Kevin Russell e Jimmy Smith che fanno dischi roots bellissimi nel più puro spirito della Band e di Bob Dylan con mille altre influenze gettate nel calderone sonoro, country, rock, folk, soul, zydeco, quello che vi viene in mente c’è tutto. Questo nuovo Old Mad Joy che è uscito per la Vanguard il 13 settembre è stato prodotto da Larry Campbell, il sideman di Bob Dylan e registrato a “The barn” ovvero gli studi di proprietà di Levon Helm. E si sente!

Alla prossima.

Bruno Conti

Novità Di Settembre Parte II.Waterboys, June Tabor & Oyster Band, Pearl Jam, Nick Lowe, JJ Grey & Mofro, Reckless Kelly, Tony Bennett, Grateful Dead, Eccetera

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 In questi giorni mi sono dedicato alle recensioni per cui ho accumulato una mole di uscite impressionanti per la rubrica delle anticipazioni (ed alcune, essendo nel frattempo uscite, non lo sono più) per cui vai con il recupero, diviso in due o tre post, perché c’é veramente molto materiale, scelto, ovviamente tra quello che reputo più interessante e le uscite più importanti.

Dopo l’album di demo e di materiale d’archivio i Waterboys di Mike Scott pubblicano un nuovo CD finalmente degno della loro fama. Si chiama An Appointment With Mr. Yeats, esce domani martedì 20 settembre per la Proper e si tratta, come dice il titolo, dell’adattamento di liriche di WB Yeats messe in musica solo oggi, perché recentemente sono scaduti i diritti d’autore e prosaicamente quel risparmio è importante per dischi che non hanno budgets stratosferici. Mike Scott aveva già musicato due poemi di Yeats, uno The Stolen Child per Fisherman’s Blues (e quello è l’album più musicalmente vicino a questo, quindi buone nuove) e l’altro Love and death che appariva in Dream harder. Altri fattori positivi? C’è di nuovo Steve Wickham al violino, c’è Kate St.John, una vocalist irlandese che si chiama Katie Kim, altri due fiatisti oltre alla St.John e una manciata di belle canzoni.

A proposito di musica celtica e dintorni questo è il secondo disco di June Tabor nel 2011 e si annuncia come un evento. Oltre a sancire una nuova collaborazione con la Oyster Band a distanza di 21 anni dal precedente Freedom and Rain, questo Ragged Kingdom edito come di consueto dalla Topic Records ha ricevuto una recensione da 5 stellette sulla rivista Mojo (ma anche il Guardian) che si riserva solo ai capolavori. Inoltre nel disco ci sono alcune cover da antologia: dalla ripresa di The Bonny Bunch Of Roses passando per una bellissima versione di That Was My Veil di P.J.Harvey per arrivare ad una rivisitazione acustica di Love Will Tear Us Apart dei Joy Division. Nuovi e vecchi “classici”, anche American Civil War di Shel Silverstein e molte altre chicche. Appena ce l’ho recensione.

I Pearl Jam proseguono nella loro “infinita” serie di pubblicazione di materiale inedito e raro, in studio e dal vivo. Questo doppio Pearl Jam Twenty in uscita sempre il 20 settembre per la Columbia raccoglie nel primo CD materiale dal vivo e nel secondo un misto di live, demo e strumentali ed è la colonna sonora del film che Cameron Crowe ha curato per festeggiare i 20 anni della band, per fare prima questa è lista dei contenuti:

Disc 1

  1. Release (Arena di Verona – Verona, Italy 9/16/2006)
  2. Alive (Mookie Blaylock – The Moore Theatre – Seattle, WA 12/22/1990)
  3. Garden (Albani Bar of Music – Winterthur, Zurich, Switzerland 2/19/1992)
  4. Why Go (Markthalle – Hamburg, Germany 3/10/1992)
  5. Black (Kaufman Astoria Studios – MTV Unplugged – New York, NY 3/16/1992)
  6. Blood (Mt Smart Stadium – Auckland, New Zealand 3/25/1995)
  7. Last Exit (Taipei International Convention Center – Taipei, Taiwan 2/24/1995)
  8. Not For You (Folk Arts Theater – Manila, Philippines 2/26/1995)
  9. Do The Evolution (Monkeywrench Radio – Seattle, WA 1/31/1998)
  10. Thumbing My Way (Chop Suey, Seattle, WA 9/6/2002)
  11. Crown of Thorns (10th Anniversary Show – MGM Grand – Las Vegas, NV 10/22/2000)
  12. Let Me Sleep (It’s Christmas Time) (Arena di Verona steps – Verona, Italy 9/16/2006)
  13. Walk With Me (Bridge School – Shoreline Amphitheatre – Mountain View, CA 10/23/2010)
  14. Just Breathe (30 Rock, Studio 8H – Saturday Night Live – New York, NY 3/13/2010)

Disc 2

  1. Say Hello 2 Heaven (Temple of the Dog demo 1990)
  2. Times of Trouble (demo 1990)
  3. Acoustic #1 (demo 1991)
  4. It Ain’t Like That (demo 1990)
  5. Need To Know (Matt Cameron demo 2007)
  6. Be Like Wind (Mike McCready score 2010)
  7. Given To Fly (Mike McCready acoustic instrumental 7/29/2010)
  8. Nothing As It Seems (Jeff Ament Montana demo 1999)
  9. Nothing As It Seems (Key Arena, Seattle, WA 10/22/2001)
  10. Indifference (PalaMalaguti – Bologna, Italy 9/14/2006)
  11. Of The Girl (Instrumental 2000)
  12. Faithfull (Duomo Square – Pistoia, Italy – soundcheck 9/20/2006)
  13. Bu$hleaguer (Nassau Coliseum – Uniondale, NY 4/30/2003)
  14. Better Man (Madison Square Garden – New York, NY 5/21/2010)
  15. Rearviewmirror (Gibson Amphitheatre, Universal City, CA 10/01/2009)            

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Nick Lowe, (the old) Codger, “il vecchio strambo”, come lo chiamano in Inghilterra, pubblica questo The Old Magic per la Proper, che dovrebbe essere se non ho fatto male i conti il suo tredicesimo da solista senza contare Brinsley Schwarz, Rockpile e collaborazioni varie oltre ad antologie e live. E’ sempre “Pure Pop For Now People” anche se più maturo e meditativo del solito (a 61 anni) ma con i soliti sprazzi di classe e un brano, Poisoned Love, scritto dal vecchio pard Elvis Costello. In questo caso, Mojo a parte, una pioggia di 4 stellette. Questo è già uscito la scorsa settimana.

E anche il nuovo, terzo album, di St. Vincent, Strange Mercy è già stato pubblicato dalla 4AD il 13 settembre. La nuova prova di Annie Clark, nome all’anagrafe di St.Vincent la conferma come una della cantautrici più interessanti ed originali in circolazione, tra chitarre, tastiere ed una voce che galleggia sognante e l’occasionale brano pop con relativo video.

JJ Grey & Mofro incidono per la Alligator Records e quindi il genere si può immaginare, anche se questa confezione CD+DVD di materiale dal vivo, Brighter Days, mette in evidenza le consuete contaminazioni con funky, soul, southern rock e belle canzoni degli album di studio. Una sorta di Little Feat per i nostri tempi. Anche questo è uscito il 13 settembre e dovrebbe costare poco di più di un singolo album.

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Tony Bennett ormai veleggia verso i 100 anni (meno? Mi dicono 85!) e ormai siamo oltre i 70 album pubblicati, questo è il secondo disco di duetti, Duets II, lo dice anche il titolo e contiene il famoso brano cantato con Amy Winehouse. Esce domani, 20 settembre, per la Columbia e poteva mancare la versione Deluxe con il DVD con il making of dell’album? Certo che no. In iTunes è disponibile dal 2 agosto e la grande catena americana Target ne pubblica una versione con 19 brani. Per tutti gli altri questo è il contenuto.

  1. The Lady Is A Tramp (with Lady Gaga)
  2. One For My Baby (And One More For The Road) (with John Mayer)
  3. Body And Soul (with Amy Winehouse)
  4. Don’t Get Around Much Anymore (with Michael Bublé)
  5. Blue Velvet (with k.d. lang)
  6. How Do You Keep The Music Playing (with Aretha Franklin)
  7. The Girl I Love (with Sheryl Crow)
  8. On The Sunny Side of the Street (Willie Nelson)
  9. Who Can I Turn To (When Nobody Needs Me) (with Queen Latifah)
  10. Speak Low (with Norah Jones)
  11. This Is All I Ask (with Josh Groban)
  12. Watch What Happens (with Natalie Cole)
  13. Stranger In Paradise (with Andrea Bocelli)
  14. The Way You Look Tonight (with Faith Hill)
  15. Yesterday I Heard The Rain (with Alejandro Sanz)
  16. It Had To Be You (with Carrie Underwood)
  17. When Do The Bells Ring For Me (with Mariah Carey)

Se non avevate i 450 dollari per la edizione da 72 CD (che comunque è esaurita da illo tempore) la Rhino/Warner pubblica domani questo Grateful Dead Europe ’72 Volume 2, doppio a prezzo speciale con altri 19 pezzi registrati in quel mitico tour. Dicono che la qualità sonora sia spettacolare in HDCD.

Solo 19 brani? Sì, ma The Other One dura 30 minuti e Dark Star quasi 20. Listina…

  1. Bertha – Tivolis Koncertsal, Copenhagen (4/14/72)
  2. Me And My Uncle – Wembley Empire Pool, Wembley (4/7/72)
  3. Chinatown Shuffle – Tivolis Koncertsal, Copenhagen (4/14/72)
  4. Sugaree – Olympia Theatre, Paris (5/3/72)
  5. Beat It On Down The Line – Theatre Hall, Luxembourg (5/16/72)
  6. Loser – Tivolis Koncertsal, Copenhagen (4/14/72)
  7. Next Time You See Me – Olympia Theatre, Paris (5/4/72)
  8. Black-Throated Wind – Tivolis Koncertsal, Copenhagen (4/14/72)
  9. Dire Wolf – Jahrhundert Halle, Frankfurt (4/26/72)
  10. Greatest Story Ever Told – Olympia Theatre, Paris (5/3/72)
  11. Deal – Olympia Theatre, Paris (5/4/72)
  12. Good Lovin’ – Jahrhundert Halle, Frankfurt (4/26/72)
  13. Playing In The Band – Strand Lyceum, London (5/24/72)

Disc 2

  1. Dark Star- Bickershaw Festival, Wigan (5/7/72)
  2. Drums – Bickershaw Festival, Wigan (5/7/72)
  3. The Other One -Bickershaw Festival, Wigan (5/7/72)
  4. Sing Me Back Home – Strand Lyceum, London (5/26/72)
  5. Not Fade Away – Wembley Empire Pool, Wembley (4/7/72)
  6. Goin’ Down The Road Feeling Bad – Wembley Empire Pool, Wembley (4/7/72)
  7. Not Fade Away – Wembley Empire Pool, Wembley (4/7/72)

Per oggi (ma ce ne sono ancora una valanga usciti e in uscita per i prossimi giorni) finiamo con il nuovo album dei Reckless Kelly Good Luck And True Love disponibile dal 13 settembre su etichetta No Big Deal. “Solito” ottimo country-rock e roots music per il quintetto texano, uno dei migliori del genere.

A domani!

Bruno Conti

Una Cantante Blues “Particolare”! Candye Kane – Sister Vagabond

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Candye Kane – Sister Vagabond – Deltagroove Music

Candye Kane è una “robusta ragazzona” di 46 anni con una lunga carriera alle spalle e una lunga vita davanti (nel 2009 ha avuto un cancro al pancreas, battuto come altre avversità incontrate sul suo percorso). Dalla fine degli anni ’80 a oggi ha pubblicato undici album di blues nelle sue varie forme, è stata una delle partecipanti in quella leggendaria compilation che si chiamava A Town South Of Bakersfield dove c’erano anche Dwight Yoakam, Rosie Flores, Lucinda Williams e altre future stelle del country alternativo. Ha rischiato di essere una stella del country per la CBS ma è stata mollata quando hanno scoperto che era stata una stripper e una pornostar, ha avuto un figlio a 17 anni (che fa il batterista nella sua touring band) e poi un altro con il primo marito Thomas Yearsley, bassista dei Paladins, che con Dave Gonzales della stessa band e Cesar Rosas dei Los Lobos ha prodotto il suo primo album per l’Antones Records. E’stata prodotta e ha suonato con Dave Alvin e Derek O’Brien. Ha fatto swing con la Sire di Seymour Stein sotto la produzione di Mike Vernon. Ha inciso per la Bullseye e quattro album per la Ruf Records, da un paio di dischi si è accasata con la Deltagroove e la sua musica ha sempre riflesso il suo carattere e la sua vita.

Questo blues sanguigno e un po’ ribaldo, cantato con voce ammiccante ma più che adeguata alla bisogna. Anche questo nuovo Sister Vagabond non smentisce le premesse: si passa da I Love To Love You di Johnny Guitar Watson che da un classico del funky si trasforma in un blues classico punteggiato dalla chitarra di Laura Chavez. Quando entrano i fiati come in Love Insurance le atmosfere si fanno più rilassate e divertenti, ricche di rhythm and blues. Sweet Nothin’s in teoria sarebbe una cover di un vecchio brano di Brenda Lee ma qui viene reinventato come un blues del Delta con la chitarra vagamente swamp alla Creedence della Chavez. Walkin’ Talkin’ Haunted House è un tosto slow blues ispirato dalle storie più “fosche” della Disney (vedi copertina del CD) cantato con impeto e passione dalla Kane che non sarà una delle grandi voci del Blues ma ha una “signora” voce.

Divertente anche la swingata You Never Cross My Mind deliziosamente retrò mentre Everybody’s Gonna Love Somebody Tonight è un brano inedito firmato dalla coppia Glenn Frey/Jack Tempchin (quest’ultimo grande amico della Kane che sostiene di avere inciso un brano di Tempchin in quasi tutti i suoi dischi, non ho verificato). Per chi non lo conosce si tratta di uno dei segreti meglio custoditi, purtroppo, della scena americana, ha scritto, tra le altre, Already Gone e Peaceful Easy Feeling e inciso alcuni dischi molto belli, fine della digressione. Questo brano diventa un blues puro con l’armonica di James Harman in grande spolvero. Blues che come avrete capito domina le procedure anche in You Can’t Take It Back From Here, sempre firmato dalla coppia Kane- Laura Chavez che viene citata come co-titolare sulla copertina del disco. Devo dire che mi piacciono molto le deviazioni nello swing come nella divertente Side Dish in duetto con il profondo baritono di David Mosby o nel New Orleans Cajun in Have A Nice Day che aggiungono pepe e ritmo al disco. Molto buone anche Down With The Blues semplicemente una bella canzone dalla struttura acustica firmata da Steve White poco prima della sua scomparsa e la conclusiva I Deserve Love con l’armonica di Billy Watson in primo piano.

Indicato per amanti del Blues. In Europa esce il 4 ottobre.

Bruno Conti

Non Solo “Superheavy”, SuperReggae & Bollywood Ma…

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Superheavy – Normal & Deluxe Editions – A&M/Universal 20-09-2011

Ma…Lo ammetto, dopo il primo ascolto di questo CD dei Superheavy nella versione Deluxe (16 brani), la mia prima tentazione sarebbe stata quella di prendere a calci nel culo (si può dire calci?) tutti i componenti della “Superband” e rispedirli nei rispettivi stati e continenti, India, Giamaica, Inghilterra e Stati Uniti (anche quelli di adozione)! Poi mi sono detto, prima di scrivere qualsiasi cosa proviamo un secondo ascolto, magari con le cuffiette dei Walkman, che è probabilmente il supporto con il quale questo album verrà ascoltato con maggiore frequenza e poi di nuovo con l’impianto per scorgere eventuali particolari sfuggiti nei primi giri. E la pazienza ha dato i suoi frutti, il disco, che paventavo “una cagata pazzesca” di dimensioni fantozziane, non dico che mi piaccia moltissimo, ma aldilà dei quattro o cinque brani con cui avrei potuto fare un discreto EP ed archiviarlo a futura memoria insieme a tutta la discografia solista di Mick Jagger, ha “svelato” un suo progetto unitario, democratico, commerciale ma migliore di quello semplicemente “supermodernista” di Goddess In The Doorway, che, come avrebbe detto dell’Ignazio Larussa Fiorello, era veramente brutto.

Il disco veleggia in un ambito sonoro Super reggae e Bollywood, sostenuto dalla sezione ritmica abituale di Damian Marley, i cosidetti Distant Relatives, Courtney Diedrick e Shiah Coore, che assieme alla violinista Ann Marie Calhoun e alle tastiere di A.R. Rahman (il “Morricone indiano”, ma mi faccia il piacere!), viene mitigato dal plotone occidentale capitanato da Jagger e Stewart, che sono i due produttori e dalla voce soul “della madonna” (non alla Madonna o Nicole Scherzinger come nella versione dance del soundtrack del Milionario) di Joss Stone, che come direbbe la Marchesini è anche una “bella faiga”!

Alla fine ho raggiunto un compromesso con me stesso: non sarà quel capolavoro che molti quotidiani, soprattutto italiani, vi vorranno far credere ma rimane un dignitoso lavoro, commerciale e piacevole da ascoltare, soprattutto se vi piace il reggae, nelle sue forme più moderne e contaminate con rap e hip-hop, con la presenza del “toaster” (che non è la macchinetta per fare i toast, ma tradotto all’impronta per i profani si potrebbe definire un incrocio tra un dj e un rapper, quelli che “cantano parlando”, e allora dillo!) Damien Marley, che a mio parere, ma a me il reggae non piace molto, lo riabadisco, è tra i figli di Bob uno dei meno talentuosi, e non è che gli altri abbiano incendiato il mondo della musica. Anche la Bollywood dance ha una sua forte presenza, ma rock, soul e ballate, mescolate a tutto quanto cercano di emergere dall’impasto democratico del gruppo, con le voci di Jagger e Joss Stone (con il suo cognome quasi predestinata)che spesso si incrociano efficamente in una tradizione che da Lisa Fischer, passando per Tina Turner risale fino a Merry Clayton tra quelle che hanno misurato le loro ugole frenetiche con Mick.

Si parte con una Superheavy corale caratterizzata dal toasting di Marley, dal cantato della Stone, dall’ipnotismo indiano di A.r. Rahman, ma anche dagli intermezzi rock della chitarra di Dave Stewart (che dalla sua residenza giamaicana è stato l’istigatore di questa “operazione) per uno stile dancehall rock-reggae che poi si perpetua in Unbelievable cantata da Mick Jagger che in questo disco ha abbandonato quello stile vocale “finto” giamaicano che aveva adottato per le collaborazioni anni ’70 con Peter Tosh, passi per Joss Stone ma gli intermezzi vocali falsamente etnoindiani li trovo un po’ fasulli. Miracle Worker, la conoscono un po’ tutti, è il singolo che da qualche mese si sente ovunque, un superreggaeone molto piacevole cantato a turno dai vari componenti del gruppo ma con la voce guida di Joss Stone, un esempio di pop music intesa nel senso di “popolare”, con il violino quasi country della Calhon e la chitarrina riffata di Stewart che si integrano alla perfezione con la sezione ritmica reggae e Damian che non rompe troppo le balle. Ma in Energy ci ammolla una lunga introduzione che poi, per fortuna, diventa un bel brano dal taglio rock con Jagger che si cimenta brevemente anche lui nel toasting sostenuto dalla voce a piena gola della Stone e dalla chitarra di Stewart e dall’armonica dello stesso Mick che cercano di ricreare sonorità alla Black & Blue piuttosto che alla Emotional Rescue, per fortuna!

Satyameva Jayathe è il famoso brano cantato in sanscrito con una introduzione vocale corale, poi una parte cantata (presumo da Rahman) fino all’ingresso della Stone che è la vocalist principale e l’immancabile Marley per convergere in una parte strumentale interessante dove le tastiere e il violino si mettono in evidenza prima della parte finale di nuovo corale. Questo è uno di quelli che al primo giro non mi era piaciuto per nulla e poi ho rivalutato. I due brani che seguono sono due delle migliori cose di Mick Jagger degli ultimi 30 anni, la prima One Day One Night, una ballata neo soul in crescendo ancora percorsa da un violino struggente e con delle tastiere di nuovo alla Black & Blue, che ci conferma che per quanti sforzi faccia (e noi apprezziamo) Damian Marley non è un cantante, come è confermato dallo strepitoso intervento vocale nella parte finale di Joss Stone. La seconda, una piccola perla dall’inizio acustico Never Gonna Change, che in alcune interviste Jagger ha paragonato a As Tears Go By, al sottoscritto ha ricordato molto brani come Far Away Eyes e non gli sta distante anche a livello qualitativo. Beautiful People è il secondo potenziale singolo dell’album, un bel duetto tra la Stone che la guida e Jagger che la segue con gran classe, con il terzo incomodo Marley che si intromette ogni tanto, comunque nel complesso un pezzo di pop-reggae commerciale che nella spazzatura radiofonica che si ascolta risalterà sicuramente. Rock me Gently, se si può dire, è un blue-eyed reggae-soul con Marley, Stone e Jagger che si integrano alla perfezione e piacciono pure a me che non amo il reggae, ripeto se non si era capito (ognuno ha i suoi gusti, o no, io ascolto tutti i generi come avrà capito chi legge questo Blog, ma il reggae non lo reggo). Bello l’assolo nella parte centrale della chitarra di Dave Stewart, che ove possibile si ritaglia i suoi spazi.

Introdotto da un “What The Fuck Is Goin’ On” urlato a gran voce dalla Stone, I Can’t Take It No More è il pezzo rock “politico” dell’album scritto e cantato da Jagger e ne potrebbe essere il manifesto anche a livello musicale: “Che caspita sta succedendo, cazzo!” (sempre se si può dire caspita) come definizione del genere dei Superheavy potrebbe andare! Un po’ ruffiano ma pieno di energia. Non male anche la simil-soul ballad I Don’t Mind ancora cantata in coppia con libidine dalla Stone e da Jagger che si intendono a meraviglia senza terzi incomodi se non il violino della Calhoun, o almeno si sperava perché nel finale la presenza di Marley è inesorabile con tanto di citazioni di Just my Imagination e Sweet Dreams nel classico stile toasting. World Keeps Turning è un altro ballatone cantato con gusto dalla Stone con gli altri, Jagger in testa, che la seguono coralmente, e lei ha una gran voce, magari non ancora un repertorio. E a questo punto finisce la versione normale, almeno per l’Italia, dove la versione Deluxe con 16 brani non verrà pubblicata. A proposito vorrei sapere chi è l’inventore di queste doppie versioni: a quelle con CD o DVD aggiunto ci eravamo abituati, ma questo fatto dell’album che esce in una versione, sempre singola prego notare, ma con alcuni pezzi in più, in questo caso 4, ad un prezzo maggiorato francamente non lo capisco. Se uno potesse scegliere chi direbbe “Vorrei quella con meno canzoni, grazie!”, misteri della discografia.

Di Mahiya un pezzo in puro stile Bollywood che uno si immagina con migliaia di indiani che si muovono a tempo con qualche coreografia pacchiana se ne poteva anche fare a meno. Il rock-reggae-dance-bollywood di Warring cantato da Mick Jagger col supporto della Stone è meglio ma non imprescindibile. Meglio il reggae-soul divertente di Common Ground cantato con voce potente dalla brava Joss Stone con l’immancabile Damian Marley che in questo brano mi ricorda molto (e anche in altri per la verità) l’ineffabile Shaggy, mi aspetto sempre, da un momento all’altro un “mister lovva lovva”. Buona anche la parte di Jagger e l’ottimo violino quasy country della Calhoun merito forse delle visite a Nashville del co-produttore Dave Stewart. Non mi piace la conclusione di Hey Captain, che è come come paventavo sarebbe stato l’album, una accozzaglia di dance, reggae, soul e rock con intermezzi “indiani”.

Non salverà il rock, ma forse, per il momento, con le sue vendite, la discografia sì, in definitiva un album commerciale e piacevole molto meno peggio di quello che mi aspettavo, da tre stellette, sei e mezzo, nel suo genere. Non so se lo comprerei ma ammetto che sbagliavo nel mio primo giudizio e quindi i fans degli Stones questa volta saranno forse costretti a sborsare. Comunque dal 20 sarà nei negozi e vi potrete fare la vostra idea.

I supergruppi di una volta erano un’altra cosa ma…

Bruno Conti

Occasioni Mancate, Occasioni Ritrovate. Gathering Field – Live 11.20.2010

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The Gathering Field – Live 11.20.2010 – Gathering Field 2 CD

Ci capitano spesso nella vita occasioni diverse che per una ragione qualsiasi non riusciamo catturare, e ci accorgiamo della mancanza successivamente, quando ormai il ritardo è diventato tale da non permetterci più di rimediare alle scelte sbagliate. Capita anche per i CD: ci si perde un’uscita decente e quindi bisogna sbattersi per recuperare il dischetto da un amico che previdentemente lo ha acquistato, oppure fare ricerche spesso inutili nei vari negozi specializzati. Quando poi si parla di personaggi più o meno sconosciuti come il gruppo in questione, i Gathering Field, potrebbe essere veramente un’ardua impresa il recupero della occasione persa. Non so quanti estimatori possano contare i Gathering Field nel nostro paese, pochini suppongo. Negli States questa band originaria di Pittsburgh ( la città dei grandissimi Rusted Root) è piuttosto nota in quanto negli anni novanta incise quattro ottimi lavori, a partire dal debutto omonimo nel 1994, seguito da Lost in America nel 1996, Reliance nel 1999, e So close to home nel 2001. Oggi dopo dieci anni in cui si erano perse le loro tracce, e ormai avevo perso ogni speranza di ritrovarli in pista, me li ritrovo sul palco del Club Diesel nella loro città natale, per questa performance dal vivo avvenuta il 20 Novembre dello scorso anno.

La band guidata dal leader e songwriter Bill Deasy, con Dave Brown chitarra solista, Ray DeFade alla batteria, Eric Riebling al basso e John “The Junkman” Burgh all’organo hammond, e la special guest Laura Shay background vocals ci propone un suono robusto e ben strutturato tipicamente americano, simile a quello di altre band del settore uscite da quel grande contenitore di talenti che è il sottobosco del mercato americano. Il concerto si apre con un heartland rock di vaglia One way or the other con chitarre al vento che poi si sviluppa come una classica ballata roots.

Stesso tempo di base per l’elettrica Complicated Me dove la voce di Deasy ha un timbro basso e sensuale, seguita da Are you an Angel brano elettrico che richiama artisti che abbiamo amato in passato. City by the sea ballata inedita con una melodia di fondo molto ben strutturata, tra le migliori dell’album, e Better off without me mettono in risalto la voce del leader. Si alza il ritmo con una Baby’s Mannequin che sembra uscita dai primi lavori di Tom Petty, Slightly Aimless e My Serenity sono brani lenti e cadenzati con la voce della bella e brava Laura Shay al controcanto.Si chiude la prima parte del concerto con due brani spudoratamente alla Counting Crows come The heart of everything che si avvale del contributo all’armonica di Clark Slater e una Rhapsody in Blue (che non è quella di Gershwin) si tratta di un rock’n’roll piacevole, ma che non porta nulla di più, uno dei brani meno riusciti del lavoro.

Dopo aver bevuto e mangiato (presumo), la seconda parte inizia con Lost in the Sun che prende il via con un chitarrone alla Duane Eddy, e si sviluppa poi come una classica ballata roots. Un rullo di batteria da vita ad un’altra ballata intimista Midnight Ghost, cui fa seguito uno dei cavalli di battaglia del gruppo Lost in America cantato anche dal pubblico in sala. Nuovamente si cambia registro musicale, con una I’d Believe In God for you con chitarre e organo stile anni ’70, seguita da un’altra ballata di spessore Bound to be dove la voce calda da “balladeer” di Deasy e la voce angelica al controcanto della Shay toccano forse artisticamente il punto più alto del concerto. Dopo un minuto di raccoglimento per la bellezza del brano precedente, si ritorna con una solida Divine Intervention, cui fa seguito una Dylan Thomas Days (in omaggio ad uno dei miei amori giovanili in letteratura, il poeta gallese Dylan Thomas) in perfetto stile Dave Matthews Band, come il brano successivo Border Town con il ritornello che si fischietta dopo tre ascolti. Ci si avvia alla fine del concerto con Who We Are dove tutti i componenti dimostrano di essere dei validissimi musicisti, per chiudere sorprendentemente con una Rough Road di non facile lettura.

In conclusione un CD ben fatto, solido pur con qualche sbavatura, suonato benissimo a confronto con altre uscite recenti di artisti più blasonati, che conferma i Gathering Field una roots-rock band classica tra le più interessanti con un ottimo vocalist Bill Deasy, anche autore di canzoni valide sia dal punto di vista melodico che lirico, e, in ogni caso, quello che li differenzia da altre band più osannate e di successo,  è il fatto che sono sempre le canzoni ad essere messe in primo piano, con tutto il gruppo che lavora in funzione di esse senza assoli strappa applausi o inutili virtuosismi. Mi auguro solamente di non dover aspettare altri dieci anni per risentirli e magari scriverne, perché in fondo anch’io ho una certa età.

Tino Montanari

Più Stevie Ray Che Jimi Ma Sempre Chris Duarte Group – Blues In The Afterburner

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Chris Duarte Group – Blues In The Afterburner – Blues Bureau/Provogue/Edel              

Se Infinite Energy dello scorso anno segnalava un deciso ritorno in forma per Chris Duarte, questo nuovo Blues In The Afterburner mi sembra il suo migliore in assoluto dai tempi di Texas Sugar/Strat Magick quello che lo aveva segnalato come il migliore contendente per il trono vacante di erede di Stevie Ray Vaughan. Lo so che l’ho già scritto altre volte, ma che volete farci, sono monotono, mi ripeto, anche se questa volta la qualità dell’album giustifica la fiducia. Decimo album della sua discografia (anche se esisterebbe un Chris Duarte & The Bad Boys pubblicato nel 1987 in una tiratura di 1100 copie!) segnala l’uscita del vecchio batterista della formazione, Chris Burroughs e l’utilizzo di due musicisti di studio per la registrazione del disco.

Non si direbbe perché il CD che ne è risultato è quello più coeso e riuscito dai tempi dell’esordio discografico. Duarte in una intervista parla anche di “Americana” per alcuni momenti dell’album ma mi sembra che in effetti il buon Chris abbia alzato il volume della chitarra a 11 e realizzato i suoi migliori assoli a livello discografico in tutti i brani contenuti in questo Blues In The Afterburner che tiene fede al suo titolo e mi sembra nettamente superiore al suo quasi omonimo Afterburner degli ZZTop in ambito Texas Blues.

Pronti:via, Another Man è una partenza sparata nel migliore stile alla SRV con la chitarra di Duarte che comincia a mulinare note e assoli alla grande con la sezione ritmica che ricrea il classico groove ciondolante alla Vaughan (non sarà originale ma suona un gran bene e per vie indirette si risale fino a Jimi). Make Me Feel So Right ha tempi più accelerati, vagamente rock and roll alla Johnny Winter con le mani che scorrono velocissime sul manico della chitarra. Bottle Blues è appunto un torrenziale hard blues texano che avrebbe incontrato l’approvazione di Stevie Ray mentre Milwaukee Blue  nonostante il titolo è  uno di quei brani con derive country/Americana ma sempre con “tiro” da rocker. Hold Back The Tears è una lunga traccia di stampo psichedelic/hendrixiano dove Duarte improvvisa liberamente alla pari con i migliori chitarristi in circolazione. Summer’s Child ha delle sonorità jazz latine più raffinate mentre Searching For you è un ferocissimo hard-rock che non lascia cadere la tensione chitarristica di questo disco che non ha momenti di stanca a differenza di altre sue prove discografiche nel passato, la chitarra rilancia continuamente i suoi temi con verve ed inventiva e una grande tecnica. Grana grossa nei suoni ma finezza nello stile.

Black Clouds Rolling è un fantastico slow blues tra Red House e Texas Flood dove Chris Duarte instilla tutta la sua passione per i due musicisti citati e il risultato ripaga l’ascoltatore appassionato di chitarra. Don’t Cha Drive Me Crazy è un R&R leggerino redento dal solito notevole lavoro della solista. Born To Race è un’altra feroce cavalcata di stampo rock-blues  con il nuovo batterista Aron Haggerty che utilizza il suo miglior groove alla Mitch Mitchell. I’ve Been A Fool è l’altra escursione in territori country che interrompe la tensione emotiva del disco (e non c’entra molto con il resto, ma son ragazzi, del 1963, lasciamoli divertire). Gran finale pirotecnico con lo strumentale jazzato Prairie Jelly dove tutti e tre gli strumentisti improvvisano in piena libertà.

Come dicevo nella recensione dell’album precedente chris%20duarte (sono monotono): per amanti della chitarra! Esce tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre.

Bruno Conti

Giovani Talenti Crescono! Samantha Fish – Runaway

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Samantha Fish – Runaway – Ruf Records          

Ormai i dischi con ragazze chitarriste (e cantanti) che si cimentano con il Blues sono tantissimi. L’ultima della lista è questa Samantha Fish che esordisce come solista con questo Runaway ma già pochi mesi orsono aveva pubblicato, sempre per la Ruf, un Girls With Guitars insieme a Dani Wilde, inglese e Cassie Taylor, americana. Anche la Fish viene dagli States, Kansas City, Missouri come i fratelli Schnebelen dei Trampled Under Foot che per il sottoscritto rimangono un gradino più in alto.

Comunque la giovane Samantha Fish (21 anni), ha grinta, classe, una bella voce anche se non memorabile, scrive le sue canzoni, si è scelta un ottimo produttore nella persona di Mike Zito e anche nell’unica cover presente nell’album, Louisiana Rain denota buoni gusti musicali. Proprio la ballata sudista di Tom Petty con una bella slide che la percorre denota un percorso diverso dal blues più canonico che compone gran parte del disco, insieme al duetto con Zito nel solido rock tra southern e Stones di Push Comes To Shove, firmata da entrambi, indica un percorso più variegato alla Susan Tedeschi o Bonnie Raitt, vedremo.

Nel frattempo giovani talenti crescono con il minaccioso groove di Down In The Swamp dove l’acerbità parziale della voce è compensata da un notevole lavoro chitarristico mentre nella title-track Runaway a ritmo di boogie à la Hooker denota una varietà di stili e modalità all’interno di un percorso Blues di fondo. Nello slow Today’s My day alterna acustica ed elettrica slide e canta con passione mentre in Money To Burn una bella atmosfera sospesa con improvvise aperture della solista dimostra che la ragazza ha talento.

L’hanno definita l’Ana Popovic americana e direi che ci sta: quando sfodera il wah-wah d’ordinanza nella grintosa Leavin’ Kind le analogie ci sono anche se l’altra, anche in questo caso, ha una classe superiore. Qualche brano non brilla, ad esempio Otherside of The Bottle è abbastanza superfluo e la conclusiva Feelin’ Allright con la sua atmosfera da jazz after hours non c’entra molto con il resto e la sua statura di vocalist non può fare la differenza.

Globalmente la ragazza se la cava brillantemente e le consiglierei di insistere su quello stile rock and soul dei due brani citati all’inizio e dell’ottima Soft And Slow.

Bruno Conti