Vecchie Glorie 9. Wishbone Ash – Elegant Stealth

wishbone ash elegant stealth.jpg

 

 

 

 

 

 

 Il reparto “Vecchie Glorie” è sempre pronto, quando serve riapre!

Wishbone Ash – Elegant Stealth – Golden Core/Zyx Records

Vorrei iniziare questa recensione con uno sfoggio di pensiero Veltroniano (il “ma anche”) applicato alla filosofia di Catalano (quello di Arbore, il re dell’ovvietà). Ovvero: questo album non è male ma anche, allo stesso tempo, non mi sembra che dopo oltre 40 anni di onorata (e travagliatissima) carriera i Wishbone Ash abbiamo molto di nuovo da dire (e ti pare). Allo stesso tempo, per continuare con gli stereotipi, si potrebbe dire che dal vivo sono comunque meglio e ancora validi.

Tra gli inventori delle Twin Lead Guitars in Europa, sulla scia (e più meno in contemporanea) con quanto facevano gli Allman Brothers sull’altra sponda dell’Atlantico, il gruppo di Andy Powell (unico membro originario ancora in formazione), Ted Turner, Martin Turner (nessun grado di parentela) e Steve Upton è stato in grado di regalare nella prima parte degli anni ‘70 agli appassionati del rock di qualità una serie di ottimi album, almeno fino a Wishbone Four e anche il superbo doppio Live Dates, poi hanno fatto, con vari cambi di formazione, ancora buona musica fino alla fine della decade, culminata con la pubblicazione del nuovo Live Dates II. Da allora hanno tirato a campare, sempre validi nei concerti dal vivo e con vario interessante materiale d’archivio ripescato da diverse etichette discografiche a rendere interessanti alcune antologie e raccolte pubblicate nell’ultimo trentennio: il loro rock melodico, raffinato, con elementi folk e acustici, unito ad una notevole varietà stilistica e all’indubbia perizia tecnica dei vari chitarristi che si sono succeduti negli anni, li ha resi una delle migliori formazioni del rock britannico.

Era dal 2007 del discreto Power Of Eternity che non pubblicavano un disco nuovo in studio e questo Elegant Stealth non sembra destinato a cambiare le cose, in bilico come sempre, nell’ultimo periodo, tra quel rock melodico tendente all’A.O.R e lo splendore strumentale delle due chitarre soliste (anche se il finlandese Muddy Manninen non sembra sempre all’altezza di chi lo ha preceduto). Ci sono tentativi di spostarsi verso un rock più grintoso come nello strumentale Mud-Slick dove la presenza dell’organo di Don Airey li spinge verso lidi vicini ai Deep Purple con buoni risultati. O di utilizzare sonorità folk-rock come in Can’t Go It Alone con il violino di Pat McManus pronto alla bisogna per cercare di ricreare atmosfere alla Fairport Convention o alla Jethro Tull, ma la voce non memorabile, direi blanda di Powell (si può essere “blandi” facendo rock? Evidentemente sì anche se dovrebbe essere un ossimoro) rovina l’effetto “progressivo” della parte strumentale con aperture melodiche fin troppo orecchiabili nel cantato, sembra John Wetton, che ha fatto parte della formazione, o meglio vorrebbe sembrare.

Eppure i Wishbone Ash hanno sempre saputo creare quel connubio tra acustico ed elettrico: per esempio ricordo una bellissima ballata come Ballad Of The Beacon su Wishbone Four dove la parte iniziale melodica poi si trasformava in sferzate rock quando Andy Powell e Ted Turner intessevano le loro trame chitarristiche, con Man With No Name ritorna con buoni risultati questo mix tra melodia e rock soprattutto quando il buon Andy rispolvera il pedale wah-wah per l’occasione, già sentito ma non male. Anche l’iniziale Reason To Believe (che ritorna alla fine in una versione quasi techno, per fortuna come traccia nascosta) con il suo ritmo galoppante, le belle armonie vocali e le due chitarre soliste all’unisono ha dei momenti dell’antico splendore del gruppo, per la serie “la classe non è acqua”, non preoccupatevi ho quasi esaurito le ovvietà! Warm Tears, ha grinta e un bel lavoro della batteria e delle chitarre che per molti gruppi in ambito rock sarebbe già prodigioso ma tra il cantato poco brillante (per usare un eufemismo) di Powell e una certa ripetitività si perde per strada. Give It Up e Seaching For Satellites fanno parte anche loro del “vorrei ma non posso”, tra rock e interventi melodici, ma senza molto nerbo, solite chitarra dalla timbrica eccellente ma dopo tre secondi te le sei dimenticate. Probabilmente l’altro brano che si può apprezzare, dopo un inizio funky con iun basso alla Another One Bites The Dust , è la lunga, quasi 8 minuti, Big Issues che si redime con la lunga parte centrale strumentale dove l’alternanza delle due soliste (anche con wah-wah) ricorda i bei tempi che furono.

Sufficienza stentata in virtù del loro glorioso passato (e in giro c’è molto di peggio) ma se ne può anche fare tranquillamente a meno oppure comprare qualcuno dei vecchi album!

Bruno Conti

Vecchie Glorie 9. Wishbone Ash – Elegant Stealthultima modifica: 2012-01-17T11:17:00+01:00da bruno_conti
Reposta per primo quest’articolo