A Volte I Primi Ascolti Ingannano. Gran Disco! Alejandro Escovedo – Big Station

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Alejandro Escovedo – Big Station – Fantasy/Universal – 05-06-2012

Un paio di giorni fa vi avevo espresso delle perplessità parziali ad un primo ascolto del nuovo album di Alejandro Escovedo Big Station. Ritiro tutto, a volte i primi ascolti ingannano, specie se fatti con una copia promo incisa a basso volume ed ascoltata su un CD walkman. Nella giusta prospettiva di ascolto il disco ri(acquista) tutta la dignità di un buon/ottimo prodotto.

Escovedo è in pista dal 1978, il suo primo gruppo i Nuns aprì l’ultima data del tour americano dei Sex Pistols di quell’anno e i Rank and File e i True Believers, le band successive, hanno, più o meno, rispettivamente, “inventato” il country punk, l’Americana e il Paisley Rock/Neo Psichedelia. Senza contare undici album da solista, compreso questo Big Station. Che è prodotto da Tony Visconti (confermato dai precedenti dischi) e scritto e suonato con Chuck Prophet, anche lui confermato: quello che ad un primo ascolto mi sembrava un fastidioso suono elettronico (soprattutto nella batteria) è il classico sound del grande produttore inglese, molto attento al suono del basso e di una batteria “cavernosa” ma anche alle chitarre ed ai particolari degli arrangiamenti in generale.

L’accoppiata Visconti/Escovedo questa volta non è arricchita, come in Street Songs Of Love, dalla presenza di pezzi da novanta come “l’amico” Springsteen o Ian Hunter, che però sono presenti idealmente nell’approccio musicale del disco. A fianco di una scarica di adrenalina come l’iniziale Man Of The World che potrebbe essere la versione riveduta e corretta di Summertime Blues come la farebbero Petty e Springsteen in una improvvisata jam, ci sono brani come la title-track Big Station che suona come un incrocio tra il sound dei primi Talking Heads, il “vecchio” Bowie e i coretti sixties dei New York Dolls delle origini, probabilmente Karla Manzur e Gina Holton sono le voci femminili che si aggiungono ai Sensitive Boys che suonano nel disco, tiro a indovinare visto che non ho letto il libretto del CD. Sally Was A Cop è una minacciosa ballata futuribile sulle battaglie tra i cartelli della droga nel Messico attuale, con un ritmo incalzante, interventi di una tromba con il “mute” e del sax, piccole percussioni: la nipote Sheila E.? In un’intervista ha detto che vorrebbe collaborare di più con lei! Ma nella stessa intervista si è proposto ai Thievery Corporation per eventuali remix. Lascia perdere Alejandro. Se ognuno ha un suo pubblico una ragione ci sarà!

Bottom Of The World sembra, a chi scrive, una versione moderna di Eve Of Destruction cantata da Bob Dylan ma anche da Petty, Hunter o Springsteen che sono tre grandi ammiratori del citato Bob oltre che punti di riferimento per Escovedo, quindi tutto torna. Anche la tromba “mutata” e il sax tornano in Can’t Make me Run che ha quel groove alla Streets Of Philadelphia, meno minaccioso, più scandito con echi spagnoleggianti e anche un dejà vu sonoro personale di uno dei tanti “new Dylan” di inizio anni ’70, quell’Elliott Murphy che tanto ci (mi) piace. San Antonio Rain è uno di quei brani tipicamente texani che potrebbe provenire dalla penna di Escovedo, come è il caso, ma potrebbero averlo scritto anche Joe Ely o Tom Russell, comunque la si giri una bellissima e struggente ballata con un evocativo controcanto femminile, interventi di violino e di una chitarra vecchio stile, anni ’50, di Chuck Prophet, gran bella musica.

Quando è partita Headstrong Crazy Fools mi sono detto “da dove è uscita questa cover di Tom Petty”, su che disco era? Con citazioni dylaniane nel testo, un ritmo quasi dance, ma allo stesso tempo rock, una volta nelle discoteche si ballava il rock, pensate ai vecchi brani di Bowie! Common Mistake, oltre ad essere quello che stavo commettendo verso questo disco, potrebbe essere un brano tratto dal primo Talking Heads, sincopato e leggermente schizzato fino al cantato alla David Byrne prima maniera. Never Stood a Chance con il “chitarrone” di Prophet a dettare il tema musicale è un’altra ballata atmosferica di grande fascino mentre Party People è una qualche outtake di Bowie che Tony Visconti aveva nel cassetto. Too Many Tears ancora con questo melange di sonorità moderne tra Bowie, echi morriconiani ma anche dei Wall Of Woodoo/Stan Ridgway e il suono dell’ultimo Steve Wynn imbevuti dalle sferzate chitarristiche di Prophet che impazza per tutto il brano. La conclusione, anomala, è affidata a una rivisitazione di Sabor A Mi, la prima volta di Alejandro Escovedo in un brano cantato in spagnolo, un brano di Alvaro Carrillo del 1959 che sarà anche della grande tradizione melodica messicana ma non c’entra molto con il resto, comunque non inficia il giudizio più che positivo per questa nuova fatica del rocker texano: 60 anni, portati molto bene!

Per essere irriverente (citando un grande Lui) non ho avuto neppure bisogno che mi “corigeste”, me se ne sono accorto da solo che era bello.

Bruno Conti

A Volte I Primi Ascolti Ingannano. Gran Disco! Alejandro Escovedo – Big Stationultima modifica: 2012-05-27T15:14:00+02:00da bruno_conti
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