Tutti A Bordo Del Jeb Loy Nichols Special!

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Jeb Loy Nichols – The Jeb Loy Nichols Special – City Country City/Universal

Ci sono, di tanto in tanto, quei dischi che pigramente si insinuano nel tuo inconscio di ascoltatore e lo catturano, questo The Jeb Loy Nichols Special fa parte della categoria. Si tratta del nono album di questo signore americano del Missouri, ma che da undici anni vive in una piccola città del Galles, che lui stesso definisce molto simile come attitudine, panorama e modo di vivere alla provincia americana da cui proviene.

Quando la Decca attraverso la City Country City gli ha fatto questa “proposta che non si poteva rifiutare” (suona un po’ mafioso ma ovviamente non lo è), Jeb Loy Nichols aveva già tentato la strada della fortuna con una major, la Capitol, nel 1997, con un album Lovers Knot che era quietamente scivolato nell’oblio: ma già prima, con la moglie, in un gruppo chiamato Fellow Travellers ad inzio anni ’90 e poi in seguito con un consistente numero di altri dischetti pubblicati per etichette come la Rough Trade, la Rykodisc e ultimamente la Tuition, Nichols aveva imperterrito continuato a pubblicare buona musica senza mai creare quel piccolo capolavoro che è questo …Special. (c’è anche un suo brano nella colonna sonora di Good Will Hunting).

Si tratta del classico album che gli americani (e JJ Cale) definirebbero laid-back, ovvero leggendo la traduzione: calmo, rilassato, tranquillo, tutti aggettivi che si adattano a meraviglia a questo CD. In effetti il genere a cui lo si puo accostare è quel famoso Country Got Soul di cui tra l’altro proprio Jeb Loy Nichols è uno degli “inventori”. Se leggete i credits delle due compilation con lo stesso nome pubblicate dalla Normal Records nella scorsa decade, noterete che il nome del curatore di quelle due antologie prodotte da Dan Penn era proprio Nichols.

Ma i 37 minuti di questo disco, strutturato attraverso 12 brani e una breve intro nella quale Jeb Loy vi invita a bordo per questo viaggio musicale, toccano un po’ tutti i generi. Accompagnato dai Nostalgia ’77, un gruppo di musicisti jazz assolutamente sconosciuti ma bravissimi e con la produzione di tale Benedic Lamdin, alttrettanto ignoto a chi scrive, l’album è stato registrato negli studi analogici di Dollis Hill come se fossimo in pieni anni ’70, gli anni in cui si potevano fondere country, soul, jazz, perfino la disco senza preoccuparsi delle conseguenze sulla critica perché il mercato discografico era nei suoi anni più “gloriosi”. Ora che la crisi si è fatta nera le etichette discografiche sono alla disperata ricerca di musica buona e quindi accettano, anzi cercano, dischi come questo, difficilmente catalogabili.

Nichols è uno che si guarda anche intorno, su quello che succede nel mondo che lo circonda e i testi dei suoi brani sono sintomatici di questo suo sguardo verso una società che non gli piace:

“I Wanna talk less, drive less / spend less and waste less /Go to town less, hang around less / I wanna watch less TV /Say yes less, wanna eat less / want less and use less / Consume less, throw away less / buy less and own less” . Così recita Different Ways For Different Days la prima canzone di questo viaggio, il tutto con una musica che potrebbe provenire da un disco registrato ai Muscle Shoals da Bill Withers o da un, appunto, laidback Marvin Gaye, accompagnati dall’organo sibilante di Spooner Oldham e dal piano jazzy di Ben Sidran con una sezione ritmica raffinata e operosa e impegnata a far finta di nulla nello stesso tempo. Something about the rain è una ballata costruita su pochi elementi, un loop di batteria, un piano in sottofondo, un contrabbasso e la voce sorniona di Nichols che più che alle atmosfere del Tennessee ti fa pensare alle giornate piovose in Galles. Nothing and no-one, solo voce e chitarra acustica, oltre che Nichols avrebbero potuto scriverla solo Nick Drake o John Martyn, due minuti di malinconia perfetta.

Going Where The Lonely Go è il primo piccolo capolavoro di questo album (non che quelle che la precedono e la seguono, siano brutte, tutt’altro): scritta da Merle Haggard e arrangiata in pefetto stile country got soul con organo, piano e una chitarrina insinuante che si dividono la scena con una piccola sezione fiati idealmente arrangiata come un ideale crocevia tra Willie Mitchell e Burt Bacharach. Ain’t It Funny scritta da George Jackson, che non è il Black Panther cantato da Dylan ma un sublime autore “minore” americano, per noi “rockers” nostalgici basterebbe ricordare che è quello che ha scritto Old Time Rock And Roll e Tryin’ To Live My Life Without per Bob Seger, è un altro brano di quelli magici, con i musicisti impegnati a creare atmosfere deliziose su cui Jeb Loy Nichols deposita la sua voce nasale e vagamente Tayloriana (proprio nel senso di James), un altro che conosce bene l’articolo trattato, senza dimenticare le atmosfere del grande Van Morrison dei primi anni ’70, un’altra influenza neppure troppo nascosta o gente come Johnny Rivers e Tony Joe White.

Countrymusicdisco45, tutto attaccato, è proprio la perfetta realizzazione di quello che il titolo recita: prendete un “grasso” giro di basso, tipo quello di Lowdown di Boz Scaggs – un signore che negli anni ’70 si è trasformato in un rappresentante del blue eyed soul più funky-pre disco, partendo dall’essere cantante nella Steve Miller Band e poi autore di un disco omonimo che conteneva Loan Me A Dime, un brano blues dove Duane Allman ha realizzato forse l’assolo più bello della sua pur luminosa carriera, fine della digressione – per i “puristi” del rock era difficile accettare questi “piaceri proibiti”, disco music, orrore! Ma Nichols rende perfetta questa fusione tra i generi, con tanto di sezione archi, piano fender rhodes, chitarra con wah-wah, armonica e la recitazione dei nomi dei grandi del country in una sorta di litania ipnotica, il groove è veramente irresistibile. People Like Me è un bellissimo valzerone country che tanto mi ha ricordato ancora quel James Taylor ricordato prima magari con un pizzico dell’Elton John del periodo americano, il suono della doppia tastiera piano-organo è sempre perfetto e fa tanto Band e l’effetto country got soul non manca mai.

Hard Times all’origine era un brano reggae di un artista inglese, tale Pablo Gad, ma diventa una ballata acustica di stampo soul à la Bill Withers oppure il Bob Marley delle origini acustiche, una vera delizia sonora. Disappointment è un fantastico brano di taglio jazz che potrebbe provenire indifferentemente dal repertorio del Marvin Gaye più raffinato oppure dai suoi figliocci inglesi dei primi anni ’80 come i Working Week o dai brani meno commerciali di Sade con un fluido piano che guida i ritmi alla Dave Brubeck della sezione ritmica. Larry Jon Wilson è un “piccolo grande” cantautore americano degli anni ’70 (e poi tornato per un ultimo album del 2008) che è il perfetto prototipo dell’artista di culto, la sua Things Ain’t What They Used To be si inserisce perfettamente nella filosofia di questo album come pure la bellissima Waiting Round To Die scritta da Townes Van Zandt l’esemplificazione perfetta del Beautiful Loser e pure un grande autore di canzoni, ancora una volta interpretato e arrangiato con un “meno e meglio”, scarno ed accorato. Si chiude con The Quiet Life, il manifesto di vita e musica di questo signore, che si chiama Jeb Loy Nichols e ha realizzato un disco degno di tutti questi altri “signori Cantanti” (maiuscolo) che sono stati nominati nel corso della recensione. Una vera sorpresa e se vi riconoscete in quanto detto potreste ricevere una delle più belle sorprese positive dell’anno, in ambito musicale, naturalmente. Per la serie i piccoli piaceri della vita!

Bruno Conti

Tutti A Bordo Del Jeb Loy Nichols Special!ultima modifica: 2012-05-31T20:21:00+02:00da bruno_conti
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