Pop In Excelsis Deo! Avett Brothers – The Carpenter

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Avett Brothers – The Carpenter – American Recordings/Universal

La breve premessa è che in questo giorni ho ascoltato molto questo The Carpenter degli Avett Brothers, godendo come un riccio. Il CD è in heavy rotation sul mio lettore in alternativa con Babel dei Mumford and Sons, al quale per il momento, lo preferisco per una breve incollatura (ma i giudizi nel tempo potrebbero cambiare). E quindi ve lo consiglio, e qui potrebbe finire il giudizio critico, per chi ha poco tempo per leggere.

Se avete pazienza vorrei esporvi una mia breve teoria. Gli Avett Brothers, secondo me, sono l’ultimo gruppo in una lunga teoria che prende l’abbrivio a fine anni ’60, primi ’70 con Nitty Gritty Dirt Band e Poco (ma anche i Dillards), per passare attraverso i canadesi Blue Rodeo negli anni’80 e i Jayhawks negli anni ’90 (tutti ancora in attività), che partendo da una base country, chi più chi meno, ha saputo fonderla con una attitudine pop, nel senso più nobile del termine, belle canzoni, armonie vocali, arrangiamenti sempre diversi, praticamente i Beatles, per creare questo ibrido che nel corso delle decadi si è chiamato di volta in volta, country-rock, Americana, alternative country, insurgent country, roots music, nelle sue varie declinazioni, ma che in fondo è l’arte, partendo da un banjo, una chitarra acustica o un mandolino, di creare una bella canzone pop.

Gli Avett Brothers sono uno dei gruppi più versati in questa diificile alchimia. Dagli esordi acustici dei primi anni 2000, quando erano solo i due fratelli Scott e Seth Avett, con il contrabbassista Bob Crawford, e il primo CD del 2002, profeticamente, si chiamava Country Was, da allora hanno fatto parecchia strada, dalla piccola Ramseur sono approdati alla American Recordings di Rick Rubin, che li ha portati dalla Sony all’attuale distributore Universal. Hanno raggiunto il 16° posto delle classifiche di Billboard con il precedente album I And Love And You, il primo prodotto dal “barbudo” e ora con questo The Carpenter, settimo disco in studio, oltre a una sequela di live ed EP, in un mondo alternativo in cui le classifiche sono “serie” e di solito non esistono, ma nel momento in cui scrivo è realtà, debuttano al 4° posto della classifica americana, nella stessa settimana in cui Dave Matthews è 1°, i Little Big Town (un discreto gruppo country) sono secondi, Bob Dylan è 3° con Tempest, e il trio alternativo degli xx e quello non molto alternativo degli ZZ Top, li seguono al 5° e 6° posto. Cose da non credersi! 

Ma torniamo ai nostri amici. I fratelli Avett hanno un raro dono, quello di saper scrivere belle canzoni, aiutati dal fido Crawford, dal violoncellista Joe Kwon, dal batterista Jacob Edwards e da un gruppo di amici tra cui spiccano Lenny Castro che suona le percussioni in tutto l’album, Benmont Tench che suona le tastiere in ben otto brani, Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers alla batteria in tre brani, gli ottimi Doug Wamble e Blake Mills alle chitarre elettriche nella bellissima Live And Die (ma sono tutte belle) e molti altri artisti che sotto la produzione di Rubin ci regalano un Pop raffinato, solare e malinconico, con degli arrangiamenti spesso superbi e delle armonie vocali magiche che ricordano di volta in volta i già citati Beatles, Jayhawks, Poco e persino, a chi scrive, parere molto personale ma provate a sentire in alcuni momenti i Bee Gees dell’era pre-disco, quando facevano della musica semplice ma sublime, che passava dal singolo perfetto ad un album ricercato come Odessa.

La musica pop quando non è fatta da ragazzine ansanti e sospirose o da boy band francamente improponibili è un genere assolutamente da non disprezzare perché ti regala melodie che ti rimangono nel cervello e momenti di puro genio, se a suonarla ci sono musicisti di talento. E tra un disco e l’altro, di Canterbury, di psichedelia, di acid-rock, di alternative, di jazz-rock, di rock-blues o di quant’altro ascoltiate abitualmente è un “piacere proibito” a cui è possibile indulgere senza che il solito critico rompicoglioni vi dica “si però, è musica orecchiabile”! Ovviamente ci sono stati i geni e ci sono gli artigiani di lusso nel genere, gli Avett Brothers fanno parte, con merito, della seconda categoria.

Il disco contiene 12 bellissimi brani (14 nella versione per la catena Target, e ho visto sul loro sito che ce n’è una versione SuperDeluxe, che oltre a memorabilia varia contiene anche un CD con 6 versioni demo inedite, peccato costi sugli 80 dollari ed esca a ottobre): si parte con la bellissima The Once And Future Carpenter che contiene il verso “If I Live The Life I’m Given i Won’t Be Scared To Die”, forse dedicato ai temi della mortalità ed in particolare alla piccola figlia di due anni del bassista Bob Crawford che combatte con un tumore al cervello. La canzone parte con un giro di chitarra acustica, poi entra la sezione ritmica, l’organo di Benmont Tench, il cello di Kwon che aggiunge quella patina di malinconia alle continue aperture melodiche del ritornello, con quegli stupendi crescendi vocali che sono il loro marchio di fabbrica, con le voci che armonizzano deliziosamente. Se possibile, la già citata Live And Die è ancora più bella, aperta da un banjo solitario a cui si aggiungono poco alla volta tutti gli altri strumenti, è il singolo apripista, un esempio di come fare musica pop toccata dal genio, con un refrain irresistibile e quei delicati impasti vocali mentre il banjo guida il tema del brano in alternanza con la slide dell’ospite Doug Wamble. Winter In My Heart con Benmont Tench che si sposta al piano, è una melancolica ode alla stagione invernale, con una costruzione sonora che mi ricorda i Bee Gees citati prima, quelli di brani come New York Mining Disaster 1941, Holiday o l’intro di I’ve A Get A Message to you o To Love Somebody (se le hanno cantate gente come Nina Simone, Leonard Cohen, Janis Joplin e i Blue Rodeo, tanto per citarne alcuni, non doveva essere solo musica pop usa e getta): qui si sente anche la mano di Rubin, con un arrangiamento complesso che mette in evidenza il cello e il saw (in questo caso come strumento e non come sega).

Pretty Girl From Michigan è l’ultima di una serie di canzoni dedicate “alle belle ragazzuole” (che impazziscono per loro), ce n’è una in ogni album, cambia il luogo di provenienza della Pretty Girl. In questo caso c’è ampio spazio per la chitarra elettrica di Seth Avett che punteggia tutto il tema del brano. I Never Knew You con le voci dei fratelli che si rispondono dai canali dello stereo, è molta Beatlesiana ma anche ricorda il country-rock di Jayhawks e Blue Rodeo (che peraltro una o due canzoni dei Beatles devono averle sentite). Il clima è gioioso come ci si aspetta dalla musica pop più classica. February Seven è una classica ballata in quello che molti hanno definito l’Avett Sound, con il cello che si amalgama con le chitarre acustiche prima della consueta esplosione corale delle voci. Through My Prayers è un’altra deliziosa costruzione sonora, con acustiche e cello che ci conducono, insieme alle voci dei fratelli (di nuovo alla Bee Gees, insisto), in una dimensione quasi cameristica, con harmonium, oboe, piano e clarinetto a colorare tenuamente il brano.

Down With The Shine è un’altra bellissima ballata guidata dal banjo di Scott Avett, con le trombe che aggiungono un flavor quasi da border song messicana e le due voci che si alternano alla guida del brano, come nella migliore tradizione del country-rock più epico. Anche Father’s First Spring è un’altra elucubrazione sui temi della paternità, costruita sulla solita base acustica, arricchita da organo e cello e che poi si apre in quelle ricche soluzioni melodiche dove le voci si appoggiano sul tessuto sonoro, delicata e struggente al tempo stesso. Geraldine sono 1 minuto e 38 secondi degli Avett Brothers che si danno al rock, per un brano tra Young e Beatles (le solite armonie) che farà faville nella probabile versione ampliata live.

Ancora chitarre elettriche fumanti e rock per una Paul Newman Vs The Demons, dedicata alla intensa vita del grande attore americano. Questi sono gli Avett degli ultimi anni, con Chad Smith alla batteria, quelli che hanno imparato a convivere anche con la loro anima più “rumorosa” ma non dimenticano mai l’importanza delle loro intricate evoluzioni vocali. La conclusione è affidata ad un’altra strepitosa ballatona di quelle DOC, Life, dove il reparto vocale viene potenziato dalle Magnificent Webb Sisters come le chiamava mastro Leonard Cohen sul palcoscenico dei suoi concerti. Si conclude così in gloria questo disco che conferma il valore del gruppo. D’altronde se sono stati scelti con i “confratelli” d’oltre oceano Mumford And Sons per accompagnare Dylan nella serata dei Grammy un motivo ci sarà pure stato!

C’è di meglio? Sicuramente, ma anche, molto, moltissimo di peggio, osannato senza motivo. Questi almeno sono falegnami e quindi bravi artigiani.

Bruno Conti

Pop In Excelsis Deo! Avett Brothers – The Carpenterultima modifica: 2012-09-22T20:22:00+02:00da bruno_conti
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