Non Solo “Covers”, Ma Molto di Più! Jimmy LaFave – Depending On The Distance

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Jimmy LaFave – Depending On The Distance – Music Road Records 2012

Un inguaribile fan di Bob Dylan (sono oltre venti le cover totali sparse nei vari album) o un autore da prendere sul serio? Questo è l’interrogativo che molti si posero all’indomani dell’ottimo debutto discografico Austin Skyline (1985), ed era più che lecito. In quel disco (che già nel titolo richiama Nashville Skyline) mostrava una solida passione per Dylan, trovavano spazio, accanto a dodici brani originali, ben quattro “covers” dell’autore di Duluth, un’anomalia se fosse accaduta altrove, non certo nel panorama musicale di quel periodo. Dopo il folgorante esordio, LaFave dispensa negli anni altri ottimi lavori, a partire dal seguito Highway Trance (1994), Buffalo Return to the Plains (1995), Road Novel (1997), Trail (1999), seguiti da album più di “routine” come Texoma (2001), Blue Nightfall (2005), Cimarron Manifesto (2007), più l’immancabile raccolta Favorites 1992-2001 del 2010 a chiudere il cerchio.

A cinque anni dall’ultimo lavoro in studio, il buon Jimmy torna con questo Depending On The Distance (ed ai primi ascolti mi sembra sia ritornato ai livelli degli esordi), e aiutato da un gruppo  di straordinari musicisti di Austin, a partire dal fidato pianista Radoslav Lorkovic,  Bobby Kallus, Chip Dolan, Travis Linville, Glenn Scheutz, Bill Chambers, Richard Feridun, John Inmon, Tim Lorsch, e le coriste Carol Young, Tameca Jones e come ospite la brava cantautrice Eliza Gilkyson, registrando il tutto nei famosi Cedar Creek Recordings, centra l’obiettivo.

Le 13 canzoni di questo disco coprono tutto l’universo musicale di LaFave: le immancabili cover di Dylan, a partire dalla lunga ballata Red River Shore (quasi dieci minuti di grande intensità), alla sofferta e pianistica I’ll Remenber You e la splendida Tomorrow Is A Long Time, e già che ci siamo segnalo una magnifica Land Of Hope and Dreams pescata dallo sterminato repertorio del Bruce, e una sorprendente versione della datata (1980) Missing You, hit di John Waite. Gli originali di LaFave rimangono fedeli al suo stile, come l’iniziale Clear Blue Sky una dolce e bellissima canzone d’amore (rafforzata dal suono del pianoforte), ballate come Living In Your Light e Vanished, cantate con tale sentimento che anche in una giornata di sole, ti danno la pelle d’oca. It Just Is Not Right e Red Dirt Night mostrano come Jimmy sia a suo agio anche con il suono del movimento musicale “Red Dirt”, mentre Bring Back The Trains cantata in duetto con Tameca Jones ha più di un riferimento gospel. Chiude, A Place I Have Left Behind, una ballata sottile, una canzone piena di nostalgia, dalla bellezza glaciale.

Jimmy LaFave  non è mai stato un fuoriclasse, e su questo per chi scrive non c’è dubbio, però è un onestissimo interprete, un ottimo “performer”, un discreto songwriter e un cantante romantico che ti punta una pistola al cuore, quando interpreta le sue ballate. Depending On The Distance è un disco piacevolissimo e scorrevole, con una coerenza tutta sua e un gusto che a Jimmy non si può non riconoscere (non c’è un suono fuori posto), che lo rende più che dignitoso. Ma anche se non avesse fatto la carriera che ha fatto, ad un uomo con una voce così, vorrei bene lo stesso.

Tino Montanari

Dal Nostro Corrispondente…Al Cinema. Uno Spettacolo!!! Led Zeppelin – Celebration Day

*NDB. Come in tutti gli articoli che si rispettino, prima di lasciare la parola a Marco, un breve “cappello”, una sorta di di esortazione, ma direi meglio, una implorazione di un fan…

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Led Zeppelin – Celebration Day – Atlantic – Vari Formati*

Circa una decina di giorni fa ho definito in questo blog il nuovo Live In New York City di Paul Simon il disco live dell’anno, ma d’altro canto non posso non affermare che questo Celebration Day dei Led Zeppelin può diventare tranquillamente il live del secolo: sicuramente per quanto riguarda i dodici anni trascorsi dal duemila ad oggi, ma si difende molto bene anche se messo in relazione con cose uscite nel millennio precedente.

Come ormai tutti saprete Celebration Day documenta il famoso concerto di reunion degli Zeppelin che si è tenuto cinque anni fa alla 02 Arena di Londra, in commemorazione dello scomparso Ahmet Ertegun, leggendario fondatore della Atlantic Records e formidabile talent scout (oltre agli Zep, scoprì gente del calibro dei Drifters, Ray Charles, Aretha Franklin, gli Yes, oltre a credere fermamente per primo nel talento dei Rolling Stones, quindi non stiamo parlando di Jovanotti o Laura Pausini), morto nel Dicembre del 2006 all’età di 83 anni, per una banale caduta proprio ad un concerto degli Stones: una serata che definire storica è forse riduttivo (ben sapendo di usare un aggettivo ormai inflazionato), dal momento che, da dopo la tragica morte di John Bonham, i tre Zeppelin superstiti non si erano mai riuniti, se non per un breve e non eclatante set durante il Live Aid del 1985 (ed i soli Page e Plant sporadicamente negli anni ’90).

Il 20 Novembre (in Italia e nel resto del mondo) uscirà dunque questo concerto in un profluvio di formati, come potete vedere qua sotto

*  Standard Editions – 1-DVD/2-CD set and 1-Blu-ray/2-CD set

Deluxe Editions – 2-DVD/2-CD set and 1-Blu-ray/1-DVD/2-CD set featuring exclusive bonus video content including the Shepperton rehearsals, and BBC news footage.
Music Only CD Edition – 2-CD set
Music Only Blu-ray Audio Edition – Blu-ray Audio release featuring high-resolution 48K 24 bit PCM stereo and DTS-HD Master Audio 5.1 surround sound audio only, no video
Vinyl Edition – 3 LPs, 180-gram, audiophile quality vinyl (Available December 11)
Digital Edition – Audio will be available at all digital retail outlets

Ma io ho l’opportunità di parlarne in anteprima, dal momento che sono riuscito a vederlo al cinema il 17 Ottobre, unica data in cui è stato proiettato in selezionate sale italiane.

La prima (piacevole) sorpresa è proprio la sala: praticamente piena, non ho visto così tanta gente neppure alla proiezione dell’ultimo Batman, ed il fermento pochi minuti prima dell’inizio è simile a quello di un vero concerto. Il film non è un documentario, ma la rappresentazione nuda e cruda di quello che è avvenuto in quella serata londinese: quindi il concerto puro, senza interviste o backstage.

I nostri proporranno una scaletta di sedici brani (con qualche sorpresa), scelti un po’ da tutti i loro dischi, tranne il postumo Coda e il poco amato In Through The Out Door, con una predilezione chiaramente per il loro quarto album senza titolo e per Physical Graffiti, ma con stranamente un solo pezzo da III, e niente Celebration Day, che pure dà il titolo al progetto. La cosa che però più importa è che è un concerto straordinario, con i quattro (i tre superstiti più il figlio di Bonham, Jason, grande batterista, anche nei Black Country Communion) in forma strepitosa, una regia (Dick Carruthers) molto classica, ma dinamica e con un grande senso dello spettacolo, una definizione di immagine super ed un audio insuperabile.

Come già detto, i quattro (tre) Zeppelin sono in serata di grazia: Jason Bonham, calvo e muscoloso come si conviene ad un batterista, ha una forza ed una tecnica spaventose, e non è molto distante dal padre, o da grandi delle pelli come Keith Moon e Ian Paice; John Paul Jones, magro come un chiodo, è il prototipo del perfetto bassista: misurato, preciso, puntuale (ma si difende alla grande anche all’organo e tastiere varie); Robert Plant, con i famosi riccioli d’oro e pizzetto d’ordinanza, tira fuori il meglio dalla sua ugola, confermandosi come una delle voci più belle della storia del rock, con sfumature che vanno dall’aggressivo al sexy (ultimamente sapevo di qualche colpo a vuoto da parte sua, ma stasera non ne sbaglia una); Jimmy Page, ovvero quello dei quattro sul quale c’erano più dubbi (è arrugginito, ha l’artrite alle mani, ecc.) si dimostra per quello che è, cioè il più grande chitarrista di tutti i tempi dopo Jimi Hendrix (e appena prima di Stevie Ray Vaughan, almeno per me, ma tutti fanno le classifiche dei chitarristi e quindi perché non io?), che viaggia tra lo strepitoso ed il mostruoso, e solo la zazzera completamente bianca (e un po’ di pancetta) mostrano i segni del tempo.

Il concerto si apre così come il loro primo album, cioè con Good Times, Bad Times: bella versione, sufficientemente tirata, anche se danno ancora l’impressione di essere in rodaggio, così come nella seguente Ramble On (anche se Page e Bonham iniziano a tirare fuori le unghie).

La famosa Black Dog funge da spartiacque tra l’inizio relativamente “tranquillo” ed il seguito del concerto: il traditional In My Time Of Dying (era su Physical Graffiti) fa partire la serata come un treno in corsa, una versione semplicemente da urlo, con Plant che si lavora la folla da marpione qual è, e gli altri tre che imbastiscono la prima jam session della serata.

La cosa incredibile è che il pubblico in sala (non a Londra, ma qui al cinema), si agita, batte le mani ed esulta come ad un vero concerto: le uniche due volte che ho visto il pubblico applaudire al cinema è stato durante Rocky IV, quando Stallone caricava di botte Ivan Drago, e, a New York, in Air Force One, quando il presidente/Harrison Ford butta giù dall’aereo il terrorista/Gary Oldman al grido “Get out of my plane!”.

For Your Life è proposta dal vivo per la prima volta in assoluto (era su Presence, forse il loro disco più sottovalutato) e non è affatto male, anche se con Trampled Under Foot (che Plant introduce come la loro versione di Terraplane Blues di Robert Johnson) siamo su un altro pianeta: Jones si sposta alle tastiere, mentre Page fa i numeri con la sua sei corde (come in tutti i brani d’altronde).

Nobody’s Fault But Mine chiude in maniera sontuosa la parte blues del concerto, con Plant che si cimenta in un riuscito assolo di armonica; la tetra No Quarter vede Page suonare la chitarra con l’archetto, con il quale tira fuori sonorità spaziali, per l’entusiasmo del pubblico, mentre Dazed And Confused non ha bisogno di presentazioni (Plant canta come se fosse l’ultima cosa che fa nella vita).

Stairway To Heaven arriva un po’ a sorpresa, dal momento che Plant non ha mai amato molto farla, ma stasera la canta in omaggio ad Ertegun: versione definitiva di quella che per me è la più bella canzone rock di tutti i tempi, ed il celebre finale con il botta e risposta tra l’ugola di Plant ed i riffs di Page è quasi meglio che sul disco originale.

The Song Remains The Same non è mai stata fra le mie favorite, ma stasera mi piace anche lei; Misty Mountain Hop, potente, fragorosa, vede Plant duettare alla voce con Bonham, mentre Kashmir viene accolta da un vero boato (anche al cinema).

Il brano di punta di Physical Graffiti è proposto in una versione da sballo, con Plant che canta come quando era un ragazzo, per poi osservare compiaciuto gli altri tre che si lanciano in una jam pazzesca: Page suona come un dio, Jones non sbaglia un colpo, e Bonham ci mostra la differenza tra picchiare sui tamburi e suonare la batteria.

I due bis finali, Whole Lotta Love e Rock’n’Roll sono una scelta prevedibile finché volete, ma quando ci troviamo di fronte alla storia del rock dobbiamo solo stare zitti ed ascoltare: degno finale di una serata magnifica.

Peccato solo che non abbiano voluto omaggiare anche il loro lato folk: una a scelta (o anche tutte e tre) tra Going To California, The Battle Of Evermore e Gallows Pole ci sarebbe stata proprio bene.

Bene hanno fatto, alla conferenza stampa di presentazione del film poche settimane fa, ad insistere sul fatto che non ci saranno altre reunion: questo è il finale perfetto di un romanzo splendido, una doverosa postfazione ad una storia che si era conclusa tragicamente con la morte di uno dei componenti del gruppo.

All’uscita del cinema sono tutti in estasi, mancano solo i venditori di magliette ed i chioschi che vendono panini con salamella.

Se questo doppio CD non va in testa a tutte le classifiche del mondo i casi sono due: o gli acquirenti di musica si sono bevuti il cervello, o me lo sono bevuto io.

Marco Verdi

Australiani Di Nashville! Kasey Chambers & Shane Nicholson – Wreck And Ruin

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Kasey Chambers & Shane Nicholson – Wreck & Ruin – Sugar Hill 2012 – Deluxe Edition 2 CD

Capita, talvolta, di sottovalutare personaggi musicali provenienti dalla lontana Australia. E’ il caso per esempio di Kasey Chambers (australiana di nascita ma girovaga per vocazione), che è riuscita a fare breccia negli States, con un suono denso e puramente “americano”, che le è valso il titolo di nuova reginetta del genere, con accostamenti con le grandi Emmylou Harris e Lucinda Williams, prendendo dalla prima l’anima gentile del country, dall’altra il suono elettrico e bluesydi certe sue ballate. Tutte caratteristiche che emergevano forti e chiare nei primi album di Kasey, The Captain (1999), Barricades & Brickwalls (2001), Wayward Angel (2004), per arrivare in seguito a lavori più pop come Carnival (2006) e Little Bird (2011), due album non brutti in senso assoluto, ma privi del temperamento che aveva contraddistinto i loro predecessori. A quasi cinque anni da Rattlin’ Bones (2008), la Chambers e il suo attuale marito Shane Nicholson tornano a ripercorrere le orme del sorprendente esordio in coppia (disco di platino), con questo Wreck & Ruin registrato in otto giorni a Foggy Mountain ai piedi della Hunter Valley.

Kasey e Shane, nei diciotto brani di questo lavoro (5 di bonus), si avvalgono di una nuova “line-up” composta da Steve Fearnley alla batteria, James Gillard al contrabbasso, Jeb Cardwell al banjo e John Bedggood al violino, per un risultato strabiliante considerando la settimana di gestazione, ma nello stesso tempo, assolutamente nella normalità per artisti  cresciuti con le canzoni di Neil Young, Bob Dylan e Gram Parsons. L’album si apre con l’inno ‘Til Death Do Us Part, prima di lanciarsi nella title-track, una miscela di banjo e violino, brano volutamente costruito con influenze country.

Si riparte con il “singolo” Adam & Eve con narrazione fiabesca e biblica, mentre The Quiet Life è una sorta di loro desiderio, di vivere lontano dalle grandi città. Dustbowl è un dialogo tra banjo e mandolino con rifiniture old-timey, seguita da una soave Familiar Strangers cantata in duetto dalla coppia, come in Your Sweet Love dall’arrangiamento scarno e delicato. Si ritorna a respirare aria campestre con Rusted Shoes e Flat Nail Joe imbevute di pedal-steel, banjo e violino, niente di più diverso dalle splendide ballate Have Mercy On Me e Up Or Down, vere “perle” del disco. Chiude il primo disco il country accelerato di Sick As a Dog e la superba ballata dark Troubled Mind, dove la Chambers dimostra anche di possedere un’anima alla Lucinda Williams. Le cinque bonus-tracks, sono dei brani selezionati dai “coniugi” dai loro autori preferiti Australiani, che corrispondono ai nomi di Harry Hookey, Harmony James, Quarry Mountain Dead Rats, Sarah Humphreys e Steve Grady (gente che ammetto di non conoscere), canzoni che rispettano il percorso musicale di Wreck & Ruin.

Con dodici album alle spalle, e migliaia di chilometri sotto le loro ruote, Chambers & Nicholson, si sono creati una nicchia musicale, suonando la loro musica, dimostrando che essere marito e moglie non compromette il fatto di conoscere la disciplina del genere, divulgando i fondamentali in un territorio con le loro voci familiari. Forse un disco che non cambierà mai le sorti della musica, ma capace di rallegrare più di una giornata, questo è sicuro.

Tino Montanari

Torna Il “Cesellatore”, Alcune Impressioni! Donald Fagen – Sunken Condos

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Donald Fagen – Sunken Condos – Reprise

Devo dire che quando ho cominciato a vedere i primi segni dell’imminente uscita di un nuovo album di Donald Fagen, mi sono detto che non era possibile, “solo” sei anni dopo l’uscita di Morph The Cat. Non va mica bene, ventiquattro anni per una trilogia, quella di The Nightfly, che abbiamo scoperto con certezza essere tale, solo quando è uscito il cofanetto retrospettivo, e adesso è già pronto questo Sunken Condos. Ma stiamo scherzando! E invece no, non era uno scherzo, il disco è qui, lo sto ascoltando, è pure bello, genere “Donald Fagen”, nel senso che quando schiacci il bottone Play e parte il primo brano Slinky Thing, lo stile è inconfondibile, al massimo poteva essere un nuovo disco degli Steely Dan, ma Fagen fa parte di quella categoria a parte che è un genere a sè stante. Ok, c’è jazz, c’è funk, c’è rock, soul e persino pop ma il risultato finale è Fageniano, per coniare un nuovo sinonimo, solo per l’occasione nella sua personalità più groovy.

Dopo un disco più rilassato e meditativo come Morph, il nostro amico questa volta ha voluto essere più funky, ma sempre a modo suo, con quella precisione e quella levità che potremmo anche definire classe: in quanti dischi trovi, in brani diversi, tre assoli di armonica e tre di vibrafono. E trovare un tipo come Michael Leonhart, che è anche più pignolo di lui nella produzione e negli arrangiamenti, non deve essere stata una cosa facile. Oltre a tutto questo signore deve avere delle origini italiane celate, perché va bene tenere famiglia, ma tre parenti nello stesso disco costituiscono “raccomandazione”: il babbo Jay, contrabbassista jazz, la moglie Jamie alle armonie vocali e pure la sorella Carolyn ai Vocal Ad-Libs, va bene il nepotismo, ma senza esagerare. Se poi lui pure si sdoppia, e sotto lo pseudonimo di Earl Cooke Jr. si occupa anche delle parti di batteria, siamo di fronte ad un piccolo genietto, tastiere, vibrafono, tromba, fisarmonica, flicorno, glockenspiel, percussioni e che caspita! E tutto suona alla perfezione fin nel minimo particolare.

A rendere più vivace e meno preciso e tassonomico il tutto ci pensa proprio Donald Fagen, che, rigenerato dai suoi tour con la Dukes Of September Rhythm Revue (con Michael McDonald e Boz Scaggs, altri praticanti dell’arte del blue-eyed soul) e prima ancora con la New York Rock And Soul Revue, dove c’era la meravigliosa Phoebe Snow, ha riscoperto una certa passione per il ritmo, il groove, anche il gusto per le cover, e nel disco ce n’è una, inconsueta e intrigante, di un brano di Isaac Hayes del periodo Polydor, la quasi disco di Out Of The Ghetto, con i consueti coretti tipici dei dischi di Fagen e qualche “stranezza”, come un assolo di violino in un brano così funky e qualche inflessione vocale (e musicale) alla Stevie Wonder, che ritorna anche in altri brani (ed è inteso come un complimento perchè nella prima metà degli anni ’70 pochi facevano dischi belli e consistenti come quelli di Wonder), come anche l’uso dell’armonica mi sembra mutuato da quei dischi, mentre il vibrafono o la marimba hanno un che di Zappiano (Ruth Underwood dove sei?). Se poi il caro Donald si autocita e fa una sorta di cover di sè stesso, per esempio in una canzone come Miss Marlene, che è una specie di I.G.Y parte seconda, fa parte sempre di quell’essere una categoria a parte, quelli che hanno un sound. Un disco di Van Morrison o di Richard Thompson lo riconosci subito e lo stesso vale per Fagen, non tradiscono mai i loro ammiratori!

Un altro dei protagonisti del disco è la chitarra di Jon Herington, spesso in evidenza con assoli mai banali e impegnato con un wah-wah insinuante in un brano come Good Stuff che se non arriva ai limiti inarrivabili degli Steely Dan di Aja prova ad avvicinarli con le sue atmosfere avvolgenti (ma in quel disco suonava gente come Wayne Shorter, Steve Gadd, Larry Carlton, Joe Sample e mille altri, che con tutto il rispetto per l’attuale fantastico gruppo di Fagen, erano un’altra cosa). Comunque Herington “costringe” un musicista come Larry Campbell a fare il chitarrista ritmico di supporto nel disco, ma nella conclusiva Planet d’Rhonda ,secondo me, la solista è quella dell’ottimo chitarrista jazz Kurt Rosenwikel, che dà un’aria più raffinata e meno funky al brano, anche se meno immediata, forse.

Senza stare a fare una disamina di tutti i nove brani, il disco mi pare bello, come dicevo in apertura, e ho voluto mettere in questo Post alcune delle impressioni che mi ha suscitato un ascolto attento, ripetuto e molto gratificante del disco, che ad ogni nuovo giro ti rivela particolari unici e sonorità veramente cesellate! E non ho citato neppure una volta Walter Becker (non ho resistito).

Bruno Conti

Eccolo Di Nuovo…A Fine Mese Ritorna! Black Country Communion – Afterglow

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Black Country Communion – Afterglow –  Mascot/Provogue CD/DVD 30-10-2012

Nella musica di Joe Bonamassa hanno sempre convissuto due anime, quella del Bluesman e quella del Rocker, con ampie convergenze tra i due stili che erano sempre presenti in contemporanea nel sound del musicista newyorkese, basta sentire quello splendido DVD (ora anche doppio CD) che è il Live At Beacon Theatre per rendersene conto. Ad un certo punto, anche a causa della sua prolificità quasi compulsiva Joe ha voluto, in un certo senso, scinderle e sono nati i Black Country Communion, una sorta di supergruppo, dove c’è un partner alla pari come Glenn Hughes, che scrive quasi tutti i brani ed è la voce principale e due “soci minoritari”, ma non troppo, come il batterista Jason Bonham e il tastierista Derek Sherinian. Lo stile, inevitabilmente, è una sorta di hard rock anni ’70, in bilico tra rock duro e progressive, tra Led Zeppelin e Deep Purple, con un occhio al rock anni ’80 di Van Halen e altri.

Ora, all’uscita di questo Afterglow, si racconta di attriti tra Hughes e Bonamassa, che è accusato di non contribuire più nuovo materiale al gruppo, e anche causati dalla personalità dell’ex Trapeze e Deep Purple, che pubblicava già dischi quando Joe forse non era ancora una idea nella testa dei suoi genitori. Quindi questo potrebbe essere “il canto del cigno” della band, anche se ascoltandolo non si direbbe, sarà hard rock, sarà scontato, ma loro sono veramente bravi, Joe Bonamassa (come ho detto miriadi di volte) è il chitarrista rock (e blues) più completo della sua generazione, Glenn Hughes ha ancora una voce potente e perfetta per il genere, ricca anche di inflessioni più gentili e percorsa da un amore per il soul, oltre ad essere un ottimo bassista, Jason Bonham ormai ha quasi raggiunto il livello del babbo (come avremo modo di apprezzare nella reunion degli Zeppelin) e l’ex Dream Theater, Derek Sherinian, è un tastierista dalla ricca inventiva.

Tra l’altro, l’ottima produzione di Kevin Shirley mette sempre in evidenza i pregi di tutti i musicisti, cogliendo tutti i particolari, con una nitidezza che va a cercare anche i passaggi acustici della chitarra acustica di Bonamassa o le rullate di Bonham che non hanno nulla da invidiare a quelle del vecchio “Bonzo” o di Keith Moon. L’abbrivio del brano di apertura Big Train, con i riff della chitarra di Bonamassa a duettare con le poderose rullate di Bonham e la voce grintosa di Hughes potrebbe essere un brano degli Zeppelin o dei Purple, ma con la chitarra di Joe dal suono inconfondibile e passaggi più prog e ricercati dove la musica si fa più riflessiva. This Is Your Time, anche per la forte presenza dell’organo di Sherinian e per il cantato enfatico di Hughes sembra un episodio minore dei Deep Purple metà anni ’70, con un formidabile assolo di Bonamassa nella parte centrale. Anche Midnight Sun ci riporta ad illustri progenitori di quell’epoca, i riff di organo ricordano quelli di Won’t Get Fooled Again e la batteria di Bonham non fa rimpiangere le esplosioni parossistiche del citato Moon, mentre Bonamassa ci regala un assolo ficcante alla Jimmy Page prima di una progressione finale nuovamente in puro stile Who. Confessor è una ulteriore variazione sul tema hard classico. con tanto di coretti ricchi di eco e ritmi scanditi da tutta la band.

Cry Freedom, cantata a due voci da Hughes e Bonamassa, sembra un brano dei Bad Company, un bel rock-blues con la slide di Joe a dettare i tempi. La title-track, con le sue atmosfere lente e solenni, ricche però anche di passaggi acustici, ci permette di gustare la bella voce di Hughes e le improvvise accelerazioni hard della musica, in quel clima che potrebbe ricordare i Led Zeppelin di Houses Of The Holy, forse per la presenza molto forte delle tastiere. Dandelion è di nuovo boogie blues rock, con qualche venatura acustica e un ritornello ricorrente, prima dell’assolo di Bonamassa che non si risparmia. The Circle è nuovamente più vicina allo spirito del rock progressivo, inizio sognante con la chitarra arpeggiata e l’organo, sullo sfondo della voce di Hughes che si apre nella sua gamma più alta e poi torna di nuovo calma in un’alternanza di atmosfere, prima dell’assolo in crescendo di Joe. Qualcuno ha creduto di rilevare delle sonorità alla Rush nella intricata Common Man che mi sembra un episodio minore del CD. The Giver, sempre con l’organo di Sherinian molto presente è forse quella che più ricorda i Deep Purple nella versione Mark III, quella di Hughes. Crawl, nuovamente Zeppeliniana, è ancora un festival del riff tipico della band di Page. Niente di nuovo, ma solo del sano buon vecchio rock, suonato come Dio comanda, vedremo se sarà il loro ultimo capitolo. Nella prima tiratura c’è anche un DVD con il making of e quattro video delle canzoni. Quanto dovremo attendere per un nuovo disco di Bonamassa?

Bruno Conti        

Novità Di Ottobre Parte IIb. Trey Anastasio, Benjamin Gibbard, Neil Young, Tame Impala, Beth Nielsen Chapman, A Fine Frenzy, Show Of Hands, Tim O’Brien & Darrell Scott, Blackmore’s Night, Holly Golightly & The Brokeoffs, John McLaughlin, Eccetera

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Riprendiamo l’esame delle uscite discografiche del periodo 9-16 ottobre.

Disco solista per Trey Anastasio, chitarrista e leader dei Phish (dei quali è appena uscito un bel sestuplo CD, Chicago ’94). Il disco si chiama Traveler, viene pubblicato dalla Rubber Jungle distribuz. Ato Records, esce il 16 ottobre, co-prodotto da Peter Katis (Interpol, Jonsi, National) e oltre alla solita band vede la partecipazione di due componenti dei National, Bryan Devendorf e Matt Berninger, il percussionista islandese Samuli Kosminen (che deve essere un oriundo, perché non ha il cognome che finsice per …son), Rob Moose dei Bon Iver e la voce femminile di Kori Gardner dei Mates Of State. Più funky e rock del solito, con parecchi brani anche più canzone che jam, senza dimenticare che pure i Phish in studio sono meno torrenziali che nella dimensione Live. Troviamo, tra gli altri brani, una cover di Clint Eastwood dei Gorillaz. Non male!

Anche Benjamin Gibbard pubblica il suo primo disco da solista, Former Lives per la Barsuk Records. L’ex (?) Death Cab For Cutie aveva già pubblicato nel 2009 un bel disco in coppia con Jay Farrar. I brani raccontano gli ultimi 8 anni della sua vita, dei problemi di alcolismo, la vita sentimentale (è stato sposato 2 anni con Zooey Deschanel, ma si sono già divisi). Il disco mi sembra molto bello, con un suono in bilico tra pop raffinato, roots rock, folk e ballate malinconiche. C’è anche un bel duetto con Aimee Mann, Bigger Than Love. Una delle piacevoli sorprese di questa fine anno, esce la settimana prossima anche in Europa per la City Slang.

A fine mese esce Psychedelic Pill di Neil Young con i Crazy Horse e se ne parlerà molto, con un brano di oltre 27 minuti questa volta Neil si è superato. Nel frattempo negli States per la Sony Pictures, in Blu-Ray e DVD, esce questo Journeys, che è il documentario che gli ha dedicato Jonathan Demme, una novantina di minuti sulla vita del “loner” canadese, ricco però anche di momenti musicali, con un paio di brani inediti tanto per gradire. Ma quante canzoni ha scritto?

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Pubblicato lo scorso 9 ottobre per la Modular Records Lonerism è il secondo album di studio per i Tame Impala. Il trio australiano propone una sorta di pop-rock psichedelico assai interessante e dalle sonorità “moderne”, ma ricco anche di suggestioni anni ’70. Per questo album è stato citato il sound di Todd Rundgren dei primi anni ’70 ed in effetti, a ben sentire, qualche analogia c’è. Comunque sono interessanti. 

Beth Nielsen Chapman è una brava cantautrice americana (con una voce che ricorda Joni Mitchell) di cui mi sono già occupato sul Blog per il precedente album beth-nielsen-chapman-back-to-love.html  di un paio di anni fa, ora sempre per la propria etichetta, la BNC Records, pubblica il suo undicesimo CD, in una carriera più che trentennale. Si chiama The Mighty Sky e nella presentazione del disco, uscito la scorsa settimana in Inghilterra, viene definito “una collezione di canzoni sull’astronomia per bambini di tutte le età”. In effetti i testi del disco sono tutti ispirati a questa scienza, vista come una sorta di metafora per la vita. Da quello che ho potuto sentire il disco ha un suo fascino particolare e si ascolta con molto piacere. In Italia noi ai bambini diamo Antonellina Clerici, altrove riescono a creare qualcosa di più interessante e di qualità.

Anche A Fine Frenzy, al secolo Allison Sudol (chissà perché uno pensa che si chiami A Fine di nome e Frenzy di cognome) ci regala un disco inconsueto, Pines, che proprio di quello tratta: un album che racconta della vita proprio di un pino, anche in questo caso visto come una metafora della decadenza della natura e delle foreste in particolare. Il disco è “strano” ma non più del solito, A Fine Frenzy propone sempre quel suo pop raffinato con elementi elettronici non fastidiosi, illuminato anche da canzoni commerciali, radiofoniche perfino, ma di qualità, con elementi favolistici e un ampio uso del piano in cui la Sudol se la cava alla grande. E il tutto esce il 16 ottobre per una major come la Virgin US EMI, non per nulla i due dischi preedenti erano entrambi entrati nelle classifiche di vendita di vari paesi.

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Molto popolare in Australia dove è attualmente forse la numero uno in assoluto, Kasey Chambers alterna dischi a nome proprio ad altri registrati in coppia con il marito Shane Nicholson, questo nuovo Wreck And Ruin è già uscito down under il 18 settembre ma uscirà per il mercato americano ed europeo il prossimo 23 ottobre. Il disco viene pubblicato dalla Sugar Hill anche in una versione doppia Deluxe ed è proprio bello, country ma ricco di roots rock, una serie di duetti che permettono di gustare la voce della Chambers che a cavallo del secolo aveva pubblicato una sequenza di album con un ottimo riscontro di critica. Non escludo che se ne parli sul Blog, magari l’amico Tino che ha una particolare predilezione per questa cantautrice.

Non mi ricordo se si era già parlato di questo CD (o DVD) dei Blackmore’s Night A Knight In York, che era già stato pubblicato la scorsa estate in Europa (Italia compresa), ma visto che questa settimana esce negli Stati Uniti e il vecchio gruppo del chitarrista inglese festeggia i 40 anni di Machine Head ne approfitto per (ri) segnalarlo. Si tratta della registrazione di un concerto tenutosi nell’autunno del 2011 alla Opera House di York in Inghilterra. La voce, come di consueto, è quella della moglie Candice Knight e lo stile è il particolare folk-rock sognante del duo.

A proposito di folk britannico, un’altra delle formazioni storiche britanniche (oltre ai Bellowhead di cui si parlava nel Post di ieri) è quella degli Show Of Hands, un duo di musicisti poco conosciuto dalle nostre parti ma bravissimi. Steve Knightley e Phil Beer, tra cassette, dischi di studio e dal vivo, compilations e altro, hanno abbondantemente superato i 25 titoli nella loro discografia. Questo Wake The Union che esce oggi per la loro etichetta omonima è l’occasione per ascoltare un folk celtico intriso anche di radici americane e con la partecipazione di una valanga di ospiti: Martin Simpson, Seth Lakeman, Bj Cole, Andy Cutting, Paul Sartin dei Bellowhead e molti altri, tra i quali non manca la contrabassista Miranda Sykes, che è il terzo componente del gruppo e che aggiunge spesso le sue splendide armonie vocali. Se non conoscete già e amate il genere, assolutamente consigliati.

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Tim O’Brien e Darrell Scott stanno registrando un nuovo album di studio che uscirà nei primi mesi del 2013, ma nel frattempo pubblicano questo Live dal titolo autoironico, We’re Usually A Lot BetterThan This, registrato dal vivo in una serie di esibizioni tenute tra il 2005 e il 2006 e pubblicato la scorsa settimana, anche in Europa, dalla Full Light Records. I concerti erano per promuovere il loro precedente disco di studio in coppia ( Real Time, uscito nel 2000), ma anche no, visti gli anni passati. Entrambi sono cantatutori e pluristrumentisti dell’area country/bluegrass, bravissimi e con delle copiose  discografie. Darrell Scott, per i più distratti, era quello che divideva le parti strumentali con Buddy Miller nel disco e nei concerti della Band Of Joy di Robert Plant e Patty Griffin, grande musicista.

Un’altra coppia, più pazzerellona, basta vedere l’abbigliamento sulla copertina del CD, è quella di Holly Golighty & The Brokeoffs. Nonostante lei sia inglese, fanno una sorta di Americana music sgangherata, con elementi alternative rock e in particolare con ampi squarci di melodia e altrettanti di stranezza. Il marito Lawyer Dave si occupa, da solo, principalmente della parte strumentale. Da soli o in coppia, da metà anni ’90 hanno pubblicato all’incirca una trentina di dischi. Forse ho dimenticato di dire il titolo, Someday Run Me Over, etichetta 12Th Street Records, esce oggi 16 ottobre.

Jason Lytle, il vecchio leader dei Grandaddy, dopo una serie di dischi solisti non memorabili esce con questo nuovo album che si intitola Dept Of Disappeareance, sempre per la Anti Records, il 16 ottobre e le critiche non sono state proprio positive, a parte qualche parente o amico. Ma il mondo è bello perché è vario, per cui ognuno è libero di dire quello che vuole, soprattutto i fans, però se vi fidate, state alla larga.

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E con questo trio di chitarristi concludiamo il giro di segnalazioni odierne.

John McLaughlin, anche lui ha compiuto 70 anni quest’anno, è stato, prima con Miles Davis e poi con la sua Mahavishnu Orchestra uno dei fondatori del cosiddetto movimento jazz-rock poi divenuto fusion. Ma già prima aveva suonato nella Graham Bond Organisation con Jack Bruce, Ginger Baker e Dick Heckstall Smith (a proposito, il cofanetto della Repertoire con l’opera omnia del gruppo continua a venire posticipato, ora è previsto per fine ottobre). McLaughlin ha suonato anche con il Tony Williams Lifetime e con gli Shakti ha fuso la musica indiana e il jazz. Per non parlare dei bellissimi dischi in trio acustici con Al Di Meola e Paco De Lucia. Quindi un musicista di quelli super importanti. Da qualche anno, con i bravissimi musicisti dei 4Th Dimension, ha ripreso a fare quel jazz-rock furioso dei tempi d’oro della Mahavishnu Orchestra. Il nuovo album edito in questi giorni dalla Abstract Logix si chiama Now Here This, ed è molto bello, lo sto sentendo in questo periodo perché gli amici della IRD mi hanno chiesto di recensirlo. Spero di trovare il tempo di farlo, in ogni caso lo consiglio vivamente a chi ama questo tipo di musica.

Ian Siegal, eccellente chitarrista inglese di blues, lo scorso anno aveva pubblicato per la Nugene Records un ottimo disco insieme ai “figli di…”, The Youngest Son, registrato negli Stati Uniti The Skinny era uno dei migliori dischi di blues-rock del 2011. Ora, con la stessa etichetta, quasi gli stessi musicisti, ma un nome nuovo per il gruppo, Mississippi Mudbloods, esce in questi giorni Candy Store Kid che mi sembra, più o meno, sugli stessi livelli, quindi molto buono. Appena possibile recensione!

Per finire, a proposito di chitarristi, esce un doppio CD con l’opera omnia, inediti a go-gò compresi, dei texani Moving Sidewalks. Forse senza barba e cappellaccio non lo riconoscete, ma si tratta della prima band, come definirla, psychedelic blues, di Billy Gibbons, il futuro ZZ Top. Jimi Hendrix, per cui all’epoca avevano aperto alcuni concerti, spesso, in quei giorni, li citava come musicisti da tenere d’occhio. In questa confezione doppia The Complete Moving Sidewalks Collection ,che esce per la Rockbeat Records, etichetta americana specializzata nelle ristampe e rarità, troviamo il disco originale Flash, che era già uscito in varie versioni, nel primo CD e altri 16 brani, di cui 9 inediti, nel secondo, alcuni della formazione pre-Moving The Coachmen. Si tratta, fondamentalmente, di un disco per maniaci e completisti, perché alcuni dei brani nel secondo CD sono gli stessi, ripetuti in più versioni, però è interessante segnalarlo ai lettori di questo Blog, almeno penso.

That’s All, alla prossima.

Bruno Conti

Novità Di Ottobre Parte II. Beth Hart, Kaki King, Bellowhead, Hank Williams, Jake Bugg, Don Felder, Gov’t Mule, Widespread Panic, Bat For Lashes, Jamey Johnson, Deep Purple, Ben Harper

 

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Periodicamente controllo il materiale relativo alle ultime uscite discografiche, di cui ho accantonato dati ed informazioni, e magari una piccola recensione. Ad un ultimo controllo mi sono accorto che, a parte quelli già trattati con Post appositi in anticipo, o che lo saranno nei prossimi giorni (alcuni in ritardo, ma si fa quel che si può, magari privilegiando i titoli di cui non hanno già parlato le riviste musicali specializzate o altri siti), c’erano un bel 27 titoli che mi aspettavano. Per cui, diviso in 2 parti, ecco il resoconto degli album più interessanti in uscita questa settimana e qualche arretrato delle uscite del 9 ottobre.

Partiamo con alcuni box o dischi doppi:

Il primo è un cofanetto di 6 CD dei Gov’t Mule The Georgia Bootleg Box, pubblicato dalla Evil Teen il 16 ottobre negli States e a fine mese dalla Provogue/Edel in Europa ad un prezzo più basso, si tratta di 3 concerti completi registrati nel 1996 quando il gruppo aveva registrato solo un album e nella formazione originale c’era ancora Allen Woody al basso. Queste sono le date e il contenuto (notare che in alcuni brani ci sono ospiti Tinsley Ellis e Derek Trucks che si aggiungono al trio originale con Warren Haynes e Matt Abts):

 

4/11/96
Georgia Theatre
Athens, GA

 

  • Disc 1:
  • 1.Blind Man in the Dark 9:30
  • 2. Mother Earth 8:00
  • 3. John the Revelator 1:40
  • 4. Temporary Saint 6:11
  • 5. Game Face 6:22
  • 6. No Need to Suffer 8:09
  • 7. Trane > 7:14
  • 8. Eternity’s Breath Jam > 2:00
  • 9. Thelonius Beck > 4:08
  • 10. Trane > 1:19
  • 11. St. Stephen Jam > 4:30
  • 12. Trane 2:48
  • 13. Don’t Step on the Grass, Sam 8:02

     

  • Disc 2:
  • 1. Presence of the Lord 6:41
  • 2. Birth of the Mule 6:00
  • 3. Left Coast Groovies 6:23
  • 4. Drums > 6:44
  • 5. Mule > 4:54
  • 6. Who Do You Love > 1:35
  • 7. Mule 3:11

     

  • Encores:
  • 8. Goin’ Out West 7:11
  • 9. Spanish Moon* 11:47
  • 10. Gonna Send You Back to Georgia* 7:29

     

  • * With Derek Trucks on guitar

    4/12/96
    The Roxy
    Atlanta, GA

     

  • Disc 1:
  • 1. Blind Man in the Dark 11:00
  • 2. Mother Earth 7:05
  • 3. Mule 5:54
  • 4. Temporary Saint 6:15
  • 5. Game Face 6:27
  • 6. No Need to Suffer 8:19
  • 7. Trane > 6:51
  • 8. Eternity’s Breath Jam > 2:02
  • 9. Thelonius Beck > 3:56
  • 10. Trane > 1:41
  • 11. St. Stephen Jam > 4:37
  • 12. Trane 1:35
  • 13. Painted Silver Light 7:19

     

  • Disc 2:
  • 1. Don’t Step on the Grass, Sam 7:59
  • 2. Birth of the Mule 5:31
  • 3. Just Got Paid 7:32

     

  • Encores:
  • 4. Goin’ Out West 6:16
  • 5. The Same Thing 10:17
  • 6. Gonna Send You Back to Georgia* 8:33
  • 7. Young Man Blues* > 2:35
  • 8. Good Morning Little Schoolgirl* > 7:23
  • 9. Young Man Blues* 1:59

     

  • *With Derek Trucks on guitar

    4/13/96
    Elizabeth Reed Music Hall
    Macon, GA

     

  • Disc 1:
  • 1. Blind Man in the Dark 9:53
  • 2. Mother Earth 9:09
  • 3. John the Revelator 1:42
  • 4. Temporary Saint 5:49
  • 5. Rocking Horse 4:36
  • 6. Game Face 6:47
  • 7. No Need to Suffer 8:41
  • 8. Trane > 8:55
  • 9. Eternity’s Breath Jam > 1:58
  • 10. Thelonius Beck > 4:01
  • 11. Trane > 1:41
  • 12. St. Stephen Jam 5:46

     

  • Disc 2:
  • 1. Presence of the Lord 6:44
  • 2. Birth of the Mule 6:41
  • 3. Monkey Hill > 4:36
  • 4. She’s So Heavy Jam 1:28
  • 5. Mule 7:07

     

  • Encores:
  • 6. Goin’ Out West 7:55
  • 7. She’s 19 Years Old* 10:20
  • 8. Gonna Send You Back to Georgia* 8:20

     

  • * With Tinsley Ellis on guitar

“Solo” un doppio invece Wood dei Widespread Panic, già pubblicato in una versione ridotta in vinile  l’aprile scorso per il Record Store Day. Si tratta di brani registrati nel corso del breve tour acustico di inizio anno. Anche in questo caso,  titoli dei brani, date e ospiti (ospite, uno, Col. Bruce Hampton, in un brano). E’ interessante, perché ci sono molte cover inconsuete:

CD I
The Ballad John and Yoko
(1/25/12 Washington, DC)
Mercy
(1/25/12 Washington, DC)
Imitation Leather Shoes
(1/25/12 Washington, DC)
Clinic Cynic
(1/24/22 Washington, DC)
Tall Boy
(2/11/20 Denver, CO)
Many Rivers to Cross
(2/12/20 Denver, CO)
Good Morning Little School Girl
(2/10/12 Denver, CO)
Pickin’ Up The Pieces
(2/10/12 Denver, CO)
Ain’t Life Grand
(2/12/12 Denver, CO)

CD II
St. Louis
(2/18/12 Aspen, CO)
Time Waits
(2/19/12 Aspen, CO)
Sell Sell
(2/19/12 Aspen, CO)
Tail Dragger
(2/19/12 Aspen, CO)
Tickle The Truth
(1/25/12 Washington, DC)
*Fixin’ to Die
(1/27/12 Atlanta, GA)
Climb to Safety
(1/25/12 Washington, DC)
Counting Train Cars
(1/29/12 Atlanta, GA)
C Brown
(1/29/12 Atlanta, GA)
Blight
(1/29/12 Atlanta, GA)
End of the Show
(1/29/12 Atlanta, GA)

* With Col. Bruce Hampton on vocals

Il quesito relativo al box da 5 dischetti per il 40° Anniversario dall’uscita di Machine Head dei Deep Purple, è, ne vale la pena? Uhm! Giudicate voi:

* CD1: “Machine Head” original album 2012 remaster
* CD2: 1997 remix by Deep Purple bassist Roger Glover
* CD3: Original album Quad SQ stereo (2012 remaster)
* CD4: “In Concert ’72” – 2012 Mix (recorded live at Paris Theatre, London on March 9, 1972)
* DVD: 2012 high-resolution remaster and surround mix

Che tradotto vorrebbe dire: 3  differenti rimasterizzazioni o remix dell’album originale più quella in 5.1 del DVD audio e il 4 cd con il concerto dal vivo a Londra del 1972, che però è il famoso In Concert. Per 50 euro, più o meno, mi sembra indirizzato soprattutto a fans sfegatati dei Deep Purple o dell’alta fedeltà!

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Tre voci femminili (e non solo), in uscita in questi giorni:

Dopo la collaborazione dello scorso anno con Joe Bonamassa, Beth Hart pubblica un nuovo album sempre per la Provogue, Bang Bang Boom Boom. Da quello che ho potuto ascoltare il disco mi sembra molto bello, come al solito tra blues e soul, il rock è sempre presente ma senza gli eccessi del passato. Uno dei suoi migliori dischi in assoluto, insieme al Live e a quello con Bonamassa, le canzoni sono tutte firmate da Beth Hart, da sola o con altri. Suona con lei in pratica tutta la band di Bonamassa, che nel frattempo era impegnato con il disco nuovo dei Black Country Communion (in uscita il 30 ottobre, ma di cui leggerete la recensione nei prossimi giorni): quindi ci sono Anton Fig alla batteria, Michael Rhodes al basso, Arlan Schierbaum alle tastiere e tale Randy Flowers, che non conosco, alla chitarra. Joe Bonamassa appare in una bella blues ballad, There In Your Heart con un assolo dei suoi. Se volete ascoltare una delle più belle voci del rock attuale non dovere andare troppo lontano.

Kaki King pubblica per Velour Records il suo sesto album da solista intitolato Glow. La King è un virtuoso della chitarra, sia elettrica che acustica (molte delle evoluzioni chitarristiche nello score della colonna sonora di Into The Wild, sono sue e di Michael Brook, mentre le canzoni come è noto sono di Eddie Vedder). Negli ultimi album ha inserito anche brani cantati e un maggiore uso di una elettronica molto discreta e di altri strumenti, tra cui una sezione archi.

Terzo album in uscita anche per i Bat For Lashes, ovvero il gruppo inglese di Natasha Khan, che suona anche quasi tutti gli strumenti. Il titolo è Haunted Man, etichetta Parlophone, in uscita in Europa a macchia di leopardo in questi giorni e la settimana prossima negli Stati Uniti. Tra gli ospiti Beck e David Sitek dei TV on The Radio.

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Un terzetto ben assortito di novità.

I Bellowhead sono uno dei miei gruppi preferiti tra quelli del nuovo filone del folk inglese. Con una formazione di undici elementi, tra cui una sezione di fiati di quattro, ma tra tutti suonano più di 35 strumenti, sotto la guida di Joe Boden, propongono un folk trascinante che potrebbe essere considerato una variazione sul tema di quello dei vecchi Pogues (occhio che il 20 novembre tornano anche loro con un bel disco multiplo, CD+DVD, registrato all’Olympia nel mese di settembre). Dopo Hedonism e Hedonism Live dello scorso anno, questo nuovo si chiama Broadside ed è in uscita il 16 ottobre per la Navigator Records. Se amate il genere fatevi un appunto perché sono veramente bravi.

Un altro nuovo nome che sta già facendo gridare al miracolo la stampa britannica: “il nuovo Donovan” “Bob Dylan incrociato con i Beatles”, gli Oasis se non avessero fatto musica rock, eccetera eccetera. Lui, da quello che ho sentito è bravino, più che altro esteriormente (e anche un po’ musicalmente) sembra Paul Weller da giovane. O un Billy Bragg per i giorni nostri, un cantautore classico, ma con una maggiore attenzione per la grande tradizione del pop e del rock britannico (qualche eco dei nomi citati in effetti c’è). Sentirò meglio ma…Il disco di esordio omonimo, Jake Bugg, esce il 16 ottobre per la Mercury/Universal. Non è male, non vorrei dare l’impressione di essere scettico, ma con la montagna di c….te che vengono presentate come oro dall’Inghilterra.

Dopo dieci album di studio, quattro Live, varie collaborazioni anche per Ben Harper è venuto il momento di un disco retrospettivo. Non un greatest hits convenzionale ma una raccolta di materiale scelto tra le sue ballate. C’è una versione in studio di Not Fire Not Ice e una nuova canzone Crazy Amazing. Etichetta Virgin/EMI, in uscita il 16 ottobre. Sarà l’ultimo per la vecchia casa, che come forse saprete sta per essere assorbita dalla Universal. A fine gennaio, per la Stax/Concord è già annunciato il nuovo disco di studio, Get Up, una collaborazione con Charlie Musselwhite. E lì lo vedo bene, meglio che con Jovanotti! Il video non c’entra niente, ma la canzone mi piaceva un casino.

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Un terzetto dall’America:

Il disco nuovo di Jamey Johnson, molto bello, è in effetti una collaborazione con molti altri musicisti (meno un brano) e al tempo stesso un tributo ad uno dei grandi autori della musica country americana. Living For A Song: A Tribute To Hank Cochran, etichetta Mercury/Universal, in uscita il 16 ottobre, se la batte con quello di Dwight Yoakam come miglior disco country del periodo. Ammetto che avevo il promo da tempo ma non ho trovato il tempo per fare la recensione ma sicuramente ci tornerò, insieme ad altri dischi importanti che non hanno avuto lo spazio che meritano nel Blog. Nel frattempo tracklisting e musicisti coinvolti nel processo:

  1. “Make the World Go Away” – Jamey Johnson and Alison Krauss
  2. “I Fall to Pieces” – Jamey Johnson and Merle Haggard
  3. “A Way to Survive” – Jamey Johnson, Vince Gill and Leon Russell
  4. “Don’t Touch Me” – Jamey Johnson and Emmylou Harris
  5. “You Wouldn’t Know Love” – Jamey Johnson and Ray Price
  6. “I Don’t Do Windows” – Jamey Johnson and Asleep at the Wheel
  7. “She’ll Be Back” – Jamey Johnson and Elvis Costello
  8. “Would These Arms Be in Your Way” – Jamey Johnson
  9. “The Eagle” – Jamey Johnson and George Strait
  10. “A-11” – Jamey Johnson and Ronnie Dunn
  11. “I’d Fight the World” – Jamey Johnson and Bobby Bare
  12. “Don’t You Ever Get Tired of Hurting Me” – Jamey Johnson and Willie Nelson
  13. “This Ain’t My First Rodeo” – Jamey Johnson and Lee Ann Womack
  14. “Love Makes a Fool of Us All” – Jamey Johnson and Kris Kristofferson
  15. “Everything But You” – Jamey Johnson, Vince Gill, Willie Nelson and Leon Russell
  16. “Livin’ for a Song” – Jamey Johnson, Hank Cochran, Merle Haggard, Kris Kristofferson and Willie Nelson

Viceversa, quello che è stato sicuramente il più grande musicista della storia della musica country, Hank Williams, a quasi 50 anni dalla morte (avvenuta il 1° gennaio del 1953), continua ad essere oggetto di una serie di pubblicazioni inedite. L’ultima della serie si intitola The Lost Concerts, è uscita la scorsa settimana negli States per la Time Life Entertainment e raccoglie due concerti del 1952, il 4 maggio e il 13 luglio, andati in onda alla radio allora e poi scomparsi nella notte dei tempi (se non in qualche bootleg). Se avete letto che la qualità è sorprendentemente buona, attenzione, perché è vero a metà. Il primo concerto, quello a Niagara Falls ha veramente una qualità sonora eccellente per una registrazione di 50 anni fa, l’altro, registrato a Sunset Park, quella di un discreto bootleg. Certo l’importanza storica di sentire Hank Williams dal vivo, con tanto di presentazioni, non è un fattore trascurabile, ma è sempre meglio avvisare.

 
Per concludere le uscite odierne, il ritorno di un altro musicista, Don Felder, di cui, francamente, almeno il sottoscritto, non sentiva la mancanza. Il suo primo disco Airborne, era uscito nel 1983, e come si diceva dell’ex ministro La Russa, era veramente brutto. Questo nuovo Road To Forever, uscito lo scorso 9 ottobre per la Rocket Science non è che sia molto meglio (appena un po’, contariamente a quello che leggerete dai fans dei vecchi Eagles, è una mezza palla, canzoni bolse e melense, ballate e brani rock che fanno rimpiangere i dischi solisti di Timothy B. Schmit. Non per niente nel gruppo era semplicemente la seconda chitarra solista e quando non se ne occupava Joe Walsh. Coinvolto nella prima reunion degli Eagles, quella di Hell Freezes Over, poi gli è stato dato il benservito ad inizio anni 2000, senza motivo sostiene lui, che ha iniziato varie cause legali poi risolte extragiudizialmente. Probabilmente gli hanno dato un pacco di soldi, con cui ha registrato questo album. Gli assoli di chitarra del disco, soprattutto le parti di slide sono molto buone ma per il resto…se conoscete Airborne sapete cosa aspettarvi. Dell’ottimo “Bland Rock”.
 
Il 16 ottobre escono anche i nuovi album di Donald Fagen e Martha Wainwright (recensioni imminenti per entrambi) e molti altri titoli di cui si parlerà nel Post di domani.
 
Alla prossima.
 
Bruno Conti
 
 

Un Chitarrista “Esagerato”! Stoney Curtis Band – Live

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Stoney Curtis Band – Live – Blues Bureau Int./Shrapnel CD+DVD (Limited Edition)

Nella recensione del precedente CD, Cosmic Conn3ction, della Stoney Curtis Band non ero stato molto tenero, al di là del tributo alla sua consistente perizia tecnica, con la grana eccessivamente grossa di molti episodi che non mi avevano particolarmente convinto (uno-strano-caso-di-omonimia-stoney-curtis-band-cosmic-conn3c.html), ma nella dimensione dal vivo di questo nuovo CD+DVD la componente Blues (molto rock) è più presente, accanto alle solite derive psichedeliche, hendrixiane, alla passione per Stevie Ray Vaughan e per certo Hard-rock nella formula del power trio che è una costante di molti artisti della Shrapnel di Mike Varney e in particolare della etichetta Blues Bureau, dove tra i colleghi di Curtis troviamo gente come Chris Duarte, gli Indigenous, il trio Hidalgo, Nanji e Dickinson, la Blindside Blues Band e tra le vecchie glorie, Leslie West e Rick Derringer, tutta gente che ha sempre saputo coniugare hard rock e blues, ma potrei citare anche gente come Frank Marino o Ted Nugent che negli anni ’70 era molto considerata.

Last Train To Chicago, il primo brano, che appariva nel disco d’esordio della band di Stoney Curtis, ha quel drive ritmico molto tirato e un solismo esagerato, quasi frenetico, dove potrebbe servire una nota, il nostro amico ce ne infila una cinquantina, il pedale del wah-wah è in azione spesso e volentieri, ma la musica è viva e vibrante, già sentita mille volte ma eseguita con passione. Anche Evil Woman in origine appariva sul primo album del gruppo, quell’Acid Blues Experience registrato negli studi di Alan Mirikitani, conosciuto anche come B.B. Chung King e factotum dei Buddaheads, altra band che si cimenta spesso in questo hard blues dalle tinte forti e il cui leader è un altro chitarrista dalla tecnica sopraffina. Stoney Curtis per certi versi si può accostare pure a Bugs Henderson, un altro personaggio che nella dimensione Live (ma pure in studio) ti sommerge sotto una montagna di assoli, uno in fila all’altro senza pause e requie per l’ascoltatore, che se però è un appassionato del genere può solo apprezzare, come nella violentissima American Lady. When The Sweet Turns To Sour è uno slow blues torrenziale, tra i migliori brani di Cosmic Connection, molto ispirato dallo stile di SRV e per conseguenza di Hendrix, la chitarra viaggia ma si gusta anche la costruzione del brano, con i continui picchi qualitativi sottolineati dalla ottima sezione ritmica, Aaron Haggerty alla batteria e Steve Evans al basso. Perché mi dicono qualcosa? Ohibò, ma sono gli stessi dell’ultimo disco di Eric Gales, evidentemente, per risparmiare, in queste registrazioni live destinate a essere pubblicate come combo CD+DVD usano sempre loro. Il risultato è che il suono di molti dei musicisti della scuderia Blues Bureau inevitabilmente finisce per assomigliarsi, ma il genere quello è, più che la varietà contano la bravura e l’energia.

Behind The Sun è il brano che più si avvicina al Jimi Hendrix psichedelico e spaziale, una cavalcata di quasi dieci minuti, ricca di effetti e dalle atmosfere sognanti, mentre That’s Right, dai ritmi veloci e picchiati, è più immediata nelle sue tematiche boogie rock. Un altro slow blues notevole come Blues Without You ci permette di apprezzare ancora una volta la propensione per i lunghi assoli tipica della musica di Stoney Curtis. Rivisitazione delle dodici battute classiche che prosegue in Eli’s Blues, altro esempio del suo stile potente e privo magari di finezza ma non di tecnica, che non sono la stessa cosa. The Letter, forse per smentirmi, è un brano quasi dolce, con una bella costruzione melodica, cantato molto bene e senza smentire le sue propensioni per un rock-blues più tirato mostra una sfaccettatura inconsueta del personaggio. Che poi nella conclusiva Soul Flower innesta ancora il pedale wah-wah a manetta e si sfoga senza pietà. Di Curtis continuo a preferire Tony, ma devo ammettere che questo disco dal vivo, per chi ama il suo Blues molto, ma molto, Rock e pure hard, un suo perché ce l’ha. Basta saperlo!

Bruno Conti       

Chi Cerca Trova, Un Altro Nome Da Tenere D’Occhio! Rick Holmstrom – Cruel Sunrise

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Rick Holmstrom – Cruel Sunrise – M.C. Records

Rick Holmstrom è da cinque anni il chitarrista della band di Mavis Staples, che è poi la sua: Jeff Turmes, l’ex marito di Janiva Magness, al basso, slide e sax, e Stephen Hodges, alla batteria. Con quest’ultimo e con quel pazzoide di John “Juke” Logan aveva registrato nel 2010 un selvaggio disco dal titolo di Twist-O-Lettz di cui vi ho parlato da queste pagine, bellissimo ma unico nel suo stile ( blues-boogie-and-roll-rick-holmstrom-john-juke-logan-stephen.html). Cruel Sunrise è il seguito dell’album del 2007, Late At Night, ma tiene conto degli sviluppi ultimi della carriera di Holmstrom, con la presenza della Staples che canta, manco a dirlo, divinamente, in un paio di brani. Proprio Mavis gli ha fatto il complimento più bello che si può fare ad un musicista che ruota in quell’ambito, che è Blues, ma non solo, dicendo che Rick gli ricorda moltissimo il suo babbo, il grande Pop Staples. E quindi in questo lavoro troviamo un po’ di tutto, rock delle radici, swamp, soul, gospel, canzoni e molto altro, il tutto nobilitato dal tocco leggiadro della chitarra del leader, che ha un timbro e una varietà sonora tra le più valide nel panorama attuale. Quindi tutto perfetto e disco straordinario? Quasi. Perché il difetto, come ho detto altre volte, risiede nella voce di Holmstrom, che è uno strumento adeguato, in alcuni brani molto efficace, in altri abbastanza anonima e lima leggermente la qualità del prodotto finale, che è, in ogni caso, tutt’altro che disprezzabile.

Il disco si apre con una notevole Need To Dream, un brano rock che si colloca a metà strada tra gli Smithereens e Dave Alvin quando lascia viaggiare la sua chitarra, roots-rock di buona fattura e con la voce di Holmstrom, in questo caso, ricca di grinta, gli arrangiamenti e il lavoro della ritmica sono pressoché perfetti. Cruel Sunrise è una sorta di blues “anomalo”, con un ritmo ondeggiante e la solista che cesella note pungenti e vibranti, con il sax di Turmes che ne sottolinea il lavoro, veramente un grande chitarrista, non di quelli “esagerati” ma con una tecnica sopraffina e soprattutto un “tono” fantastico. Owe You Everything è una sorta di swamp blues minaccioso alla Susie Q, percorso dalla voce unica di Mavis Staples che con il passare degli anni non accenna a perdere un briciolo della sua magia, come hanno dimostrato gli ultimi album, di cui questo brano è una sorta di estensione, stessi musicisti, stessa cantante, stesso autore, Rick Holmstrom, che firma anche tutti i brani dell’album, oltre a rilasciare un assolo “cattivo”, incitato dai “come on Rick” di Mavis. You Drive ‘em Crazy è una bella ballata, quasi Stonesiana nel suo incedere, peccato che lui non sia Jagger. It’s Time I Lose è uno di quei bluesacci ribaldi, intrisi di rock, ma penalizzato dal cantato, anche se la parte strumentale è trascinante. Blues che si fa ancora più accentuato in Creepin’ In ma la parte cantata non mi intrippa. A testimoniare la varietà dei temi musicali I’ll Hold You Close è una canzone dalle atmosfere malinconiche con il sax di Turmes che fa capolino di tanto in tanto nelle pieghe del brano, mentre la chitarra di Holmstrom assume timbri lancinanti, quasi alla Neil Young, breve ma intensa.

Lord Please è l’altro brano affidato alla voce di Mavis Staples, che però non si sente moltissimo, canta più che altro all’unisono con Rick, mentre la canzone è prevalentemente strumentale con dei brevi intermezzi vocali e il risultato è notevole. Anche Break It Down è la conferma dell’attuale vena compositiva di Rick Holmstron, che dice di avere scritto molto in questo periodo, per “riposare” dal suo lavoro di padre di due bambine piccole e sfogare la sua ispirazione. I’m Not Afraid di nuovo ricade in quel cantato, a Milano si dice loffio, ma se guardate sul vocabolario trovate la definizione del termine, anche la buona parte strumentale questa volta non salva il tutto. A differenza di By My Side, cantata con più convinzione e con una bella costruzione melodica, come la possiamo definire? Una bella canzone potrebbe andare? Luellie è uno strumentale quasi sperimentale, dove i tre strumentisti possono dare libero sfogo alle loro notevoli capacità tecniche: apre un assolo di sax di Turmes, con la batteria di Hodges in libertà, poi entra la chitarra di Holmstrom, dalle tonalità quasi sognanti, che sviluppa un bellissimo assolo in crescendo. Non c’entra un tubo con il resto del disco ma ha un suo fascino, come tutto il CD!

Bruno Conti

P.s. Esiste anche una versione Deluxe dell’album, con un secondo CD con 12 cover strumentali di classici del soul, del blues e del rock.

“Finalmente” Una Nuova Ristampa Dei Doors – Live At The Bowl ’68

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The Doors – Live At The Bowl ’68 –  Eagle Rock/Edel  DVD o Blu-Ray – Rhino CD 23-10-2012

E’ diventata una consuetudine quella di ricomprare sempre le stesse cose, più e più volte, perché in ogni nuova edizione i discografici ci allettano, una volta con la qualità sonora migliorata, un’altra con i brani in più rispetto alle precedenti versioni, in qualche caso con entrambe le cose. Per questo Live At The Bowl ’68 dei Doors valgono entrambe le opzioni. Però, diversamente da come è stato per il recente Kiko Live dei Los Lobos, non è stata fatta una bella confezione che raccoglie entrambi i supporti, in quanto il CD e il DVD o Blu-Ray escono per etichette differenti.

All’origine, il disco in vinile uscì come Live At the Hollywood Bowl, un mini album con sei brani pubblicato dalla Elektra nel 1987, più una single version abbreviata di Light My Fire, poco più di 22 minuti di musica e con l’aggravante di contenere solo dei brevi estratti della celeberrima Celebration Of The Lizard, il disco più corto della discografia dei Doors (ma fu pubblicato anche in VHS).

Aggravante, perché il concerto, registrato il 5 luglio del 1968 nella famosa location californiana, era veramente bello, uno dei migliori della loro carriera, nonché uno dei pochi di cui esistevano anche le riprese in video. E infatti nel 2000 venne pubblicata dalla Universal Pictures una prima versione pure in DVD, ampliata per contenere 14 tracce e 62 minuti di musica (come nella videocassetta), con qualche problema tecnico qui e là. Ma, ai tempi, il concerto era stato ripreso con quattro cineprese e l’audio catturato in 16 piste, e quindi il massimo di quello che esisteva all’epoca. In questi anni la tecnologia ( e le ricerche negli archivi) hanno fatto ulteriori passi avanti e perciò eccoci a questa ulteriore nuova uscita, pubblicata dalla Eagle Rock, che è stata curata da Bruce Botnick, ovvero l’ingegnere del suono e il co-produttore originale delle registrazioni. Le tracce, sia nelle versioni video che in quella audio, sono diventate 20, ma solo perché alcuni brevi frammenti e introduzioni o finali sono stati contati come brani. In ogni caso ci sono comunque due brani extra aggiunti, The Wasp (Texas Radio And The Big Beat) e Hello I Love You che sono stati re-inseriti come settima e ottava canzone del concerto originale, che quindi ritorna nella sua interezza. La qualità audio e video è fantastica, immagini e suono nitidissimi, non sembra che siano passati 44 anni e Jim Morrison e soci, anche a livello musicale, sono in serata di grazia. The End, oltre i 17 minuti, una versione di Light My Fire di quasi dieci minuti e When The Music’s Over, oltre i dodici minuti, sono tra le migliori versioni mai ascoltate.

Inutile ricordare l’importanza dei Doors, uno dei più grandi gruppi della storia del rock, colti all’apice della loro carriera. Per invogliare ulteriormente l’acquirente, nella versione video c’è circa un’ora di materiale extra, con backstage, interviste e filmati inediti realizzati allora ed oggi, per rendere ancora più appetibile questa nuova uscita. Per una volta, si ricompra qualcosa per cui vale assolutamente l’esborso della cifra richiesta, che è anche abbastanza contenuta, nessuna strana e costosissima edizione Deluxe. Sarebbe un errore in italiano, come mi ammonisce anche il programma di scrittura di Word, ma lo dico lo stesso, nonostante sia la seconda ristampa in un anno (dopo L.A Woman), consigliatissimo! Ed ora vai con Jimi Hendrix, che il 27 novembre avrebbe compiuto 70 anni !

Bruno Conti