Un Disco Che E’ La Fine Del Mondo (Quasi)! An Evening With Dr. Wu And Friends – Live In Texas

an evening with dr. wu.jpg

 

 

 

 

 

 

An Evening With Dr.Wu And Friends feat. The Buddy Whittington Band – Live From Texas CD/DVD Self-released

Questo è uno dei migliori dischi di blues elettrico del 2012, punto stabilito! E’ stato registrato dal vivo a Fort Worth in Texas nell’estate del 2011. I Dr. Wu sono due veterani della scena musicale texana, Jim Ashworth & Bryan Freeze, che cantano (saltuariamente), suonano la chitarra ritmica, producono (Freeze) e compongono gran parte dei brani del repertorio di questo disco, cover di classici esclusi, con uno stile che si appropria liberamente di riff e temi classici del Blues. Il loro “partner nel crimine” è Buddy Whittington, corpulento chitarrista anche lui texano, uno degli ultimi “grandi” solisti che sono passati nella formazione dei Bluebreakers di Mayall, che usa la sua band per tutta la durata del concerto, con un notevole aiuto anche da parte dell’armonicista Gary Grammer, senza dimenticare Mouse Mayes, il secondo chitarrista, che viene dall’area Point Blank/Black Oak Arkansas, quindi heavy southern rock.

La funzione dei due “leader” è per certi versi simile a quella che esercitavano Belushi e Akroyd nei Blues Brothers, quindi i catalizzatori, anche se meno protagonisti dei due “fratelli”. Ma qui lo stile è decisamente ancora più spostato verso un blues elettrico, potente e pirotecnico, molto coinvolgente, non per nulla questo Live From Texas è candidato ai Grammy del prossimo anno come “Miglior Disco Di Blues” e come “Miglior Video A Lunga Durata”. Perché, ebbene sì, nella confezione, oltre al CD, c’è anche un bel DVD con tutta la performance completa. Si chiamano combo. Che altro c’è da dire: beh, per la serie nulla sfugge al vostro attento cronista, potrei aggiungere che, come ricordano nel libretto del CD, il gruppo prende il nome da un famoso brano degli Steely Dan, di cui citano anche alcuni versi, quindi dei fans, direte voi? Se non fosse che, in un caso di umorismo involontario, poi ricordano che il gruppo consisteva, come loro, di due musicisti e compositori, Donald Fagen e Michael Becker!! Prego! E chi è costui? E’ come se qualcuno professasse la sua fede nei Pink Floyd, il famoso gruppo di David Gilmour e Muddy Waters, mah!?!

Lo scopo era quello di dire che, dopo due dischi in studio, anche i Dr. Wu finalmente svelavano il loro potenziale live in un poderoso concerto. E in questo caso il risultato c’è: blues, boogie, southern rock, tantissima energia, sin dalla partenza con una sparatissima I’m A Man, il classico di Bo Diddley, nella versione alla Yardbirds, incontra gli ZZ Top, con Jim Asworth che peraltro se la cava alla grande nell’unico brano che canta nel concerto, con Whittington e Mayes che iniziano a fare i numeri con la chitarre e Grammer che li spalleggia all’armonica: se il buongiorno si vede dal mattino. Ma anche il resto del concerto è poderoso, con Whittington che prende in mano il pallino e guida la band in Why Is It So Hard To Say Goodbye, un classico blues che molto deve alle lezioni del mentore Mayall, con la giusta alternanza tra chitarre tirate e armonica insinuante, e la voce sicura di Buddy che si conferma cantante di vaglia. Anche Jacksboro Highway, un brano di Gary Nicholson, viene dal repertorio della band di Mayall e si avvale di un ottimo lavoro di slide, mentre I Wanna Love You è il classico Texas shuffle cantato con piglio da Bryan Freeze. Le cose tornano serie (nel senso di torride) con il micidiale ritmo di Boogie In The Rain, un John Lee Hooker+Canned Heat meets ZZ Top, ancora propelso da una eccellente slide per l’elemento southern, mentre l’armonica copre il lato Canned Heat.

When I Get To Heaven parte con un bottleneck acustico stile Delta Blues ma poi si trasforma in una traccia alla Nine Below Zero, tutta grinta e ritmo. That Ain’t Right è un blues à la BB King che Whittington aveva già suonato dal vivo con Gary Moore (e lo trovate su YouTube).

Come Back Baby e High Maintenance Baby sono altri esempi dell’ottimo blues-rock che pervade questo live. Non male anche il funky-blues di Can’t Keep A Good Man Down e il duellare tra slide e armonica di I Don’t Care Blues, poi replicato nel mid-tempo di Bryant Irvin Road. I Don’t Need No Woman Like You ci riporta al southern boogie dei migliori ZZ Top poi perfezionato in Slow Rollin’ Train dove Whittington si misura ancora con le evoluzioni chitarristiche del Billy Gibbons più intrippato, per portarci al gran finale, cantato da Mouse Mayes,  del Bo Diddley Tribute, dove il Rock’n’Roll più selvaggio prende il sopravvento per la festa conclusiva. Ma…nei Bonus del DVD c’è una Bar-B-Q, ulteriore omaggio agli ZZ Top, che sarebbe stato un peccato non sentire. Se vi piace il rock-blues tirato e trascinante qui troverete di che soddisfare i vostri appetiti, come sono solito dire, niente di nuovo, ma fatto un gran bene!    

Bruno Conti

P.s. Scusate il titolo ma non ho resistito, anche la copertina era adatta (a proposito sono passate le 11.11, non si sa mai)!

Buone Nuove Dal Sud! Florida Georgia Line – Here’s to The Good Times

florida georgia line.jpg

 

 

 

 

 

 

FLORIDA GEORGIA LINE – Here’s To The Good Times – Republic Nashville CD

Dietro l’intrigante monicker di Florida Georgia Line (FGL da qui in poi, per comodità…) si nasconde in realtà un duo di musicisti originari rispettivamente, per l’appunto, della Florida e della Georgia: Brian Kelley e Tyler Hubbard. Quella del duo è una formula non nuova nella musica country, basti ricordare gli ottimi Foster & Lloyd ed i superseller Brooks & Dunn, ma, dopo un attento ascolto di questo Here’s To The Good Times, posso dire che i FGL offrono qualcosa di diverso. Certo, la loro musica è country al 100%, ma la produzione, ad opera di Joey Moi, è decisamente rock, ed i suoni sono di una pulizia tale da far sembrare questo disco un lavoro di una band di veterani, non certo di un duo all’esordio. Per la verità un esordio totale non è: i due hanno già alle spalle due Ep, uno del 2010 ed uno pubblicato nell’estate di quest’anno, ma posso senza dubbio affermare che, se volete avere una visione più completa della musica del duo, il disco da avere è Here’s To The Good Times (che tra l’altro contiene tutti i brani dell’EP del 2012, rendendolo praticamente inutile).

Kelley e Hubbard hanno due belle voci, un’anima rock con tendenze sudiste (da lì vengono…), al suono di steel e violino preferiscono le chitarre elettriche, ma quel che più conta è che, da soli o con l’aiuto di altri, sanno scrivere brani di buon livello, mai banali e con un gusto melodico non comune. Hanno tutte le carte in regola quindi per sfondare, e credo che se lo meriterebbero pure.
Cruise, che è anche il primo singolo, è un po’ un sunto di quanto detto prima: una country song arrangiata in maniera potente, belle voci all’unisono e grande melodia, che fanno subito venire in mente spazi aperti e cieli azzurri a perdita d’occhio. Round Here prosegue sulla stessa linea, anzi a dire il vero sembra la seconda parte di Cruise, sempre ottima musica comunque; Get Your Shine On ha un suono pieno ed elettrico, ritmo cadenzato ed una pulizia degna di produzioni di alto livello, chitarre in tiro e ritornello immediato.

La title track è più lenta, ma l’elemento rock è sempre ben presente, ed anche qui si fa apprezzare il refrain corale, vero punto di forza del duo; It’z Just What We Do è la più dura del disco, un brano nel quale i nostri lasciano libere le loro radici sudiste. Con Stay rimaniamo in territori southern, ma il brano è più fluido e rilassato, una ballata coi fiocchi; Hell Raisin’ Heat Of The Summer, un’altra rock ballad scintillante, non abbassa il livello del disco, mentre Tell Me How You Like It è un filo troppo levigata nei suoni, anche se sulla canzone niente da dire: potrebbe essere il loro prossimo singolo.

Tip It Back è puro rock, appena stemperato da banjo e dobro, Dayum, Baby (con Sarah Buxton) non è male ma è la meno brillante del lotto, mentre Party People (con ospite Jaren Johnston) chiude l’album con l’ennesimo country-rock dal godibilissimo refrain e dalla pulizia sonora impeccabile. Sentiremo ancora parlare dei Florida Georgia Line, e di certo in termini positivi.

Marco Verdi

Un Altro Alvin Lee, Con Fratelli! Lee Boys – Testify

lee boys testify.jpgalvin lee.jpglee boys.jpg

 

 

 

 

Lee Boys – Testify – Evil Teen Records 

Certo che non si finisce mai di imparare. Ero convinto che Alvin Lee fosse un bianco e chitarrista dei Ten Years After. Ora crollano le mie certezze: pare che sia un nero, anche di quelli tosti come dimensioni, con due fratelli al seguito e tre nipoti che suonano nella sua band, i Lee Boys. Che non sia la stessa persona? Facezie a parte, questi Lee Boys, che provengono da Miami, Florida, fanno parte di quel movimento musicale che viene definito Sacred Steel Music, per intenderci quello da cui proviene anche Robert Randolph: si tratta di quei gruppi che si ispirano alla musica religiosa, gospel e spiritual, ma lo fanno utilizzando l’accompagnamento di una pedal steel anziché il classico organo delle congregazioni religiose. Ma, come la band di Randolph, anche questi Lee Boys inseriscono nella loro musica elementi di soul, blues, R&B, funky, country, perfino jam band style. E infatti, non casualmente, questo Testify, che è il loro terzo album, esce per la Evil Teen Records, l’etichetta di Warren Haynes, che appare pure in due brani del CD, sia come cantante che come chitarrista. Non è l’unico ospite, anche Matt Grondin, chitarrista e cantante dell’area di New Orleans, nonché figlio del batterista dei 38 Special, è della partita, come produttore e musicista aggiunto e tra gli altri, in due brani, sempre come chitarra solista, è coinvolto l’ottimo Jimmy Herring.

Ovviamente con tutta questa parata di musicisti “sudisti” anche il southern rock è tra gli elementi fondanti della musica di questo disco, vista la presenza spesso di tre o più chitarristi nello stesso brano. Ma non si possono dimenticare le armonie vocali e le voci soliste degli altri fratelli Lee, Derrick & Keith, insieme al nipote Alvin Cordy Jr, che è anche il bassista della band, che garantiscono questa aura gospel-soul-rock, con la costante della pedal steel di Roosevelt Collier,il virtuoso del gruppo, per un suono d’insieme che potrebbe ricordare anche i Neville Brothers, con l’uso di molti cantanti: l’iniziale Smile, è un ottimo esempio di questo sound. Going To Glory, dal ritmo galoppante del gospel, ma sempre fuso con una ritmica rock, è assolutamente coinvolgente, con le chitarre che viaggiano alla grande e in I’m Not Tired quando si aggiunge anche Warren Haynes, come seconda voce solista e chitarrista aggiunto, non so se sia suo un poderoso assolo di wah-wah, ma sembra di ascoltare gli Allman o la Marshall Tucker in tutta la loro gloria, e con una sezione fiati pepata per sovrappiù, per non parlare della steel che viaggia sempre a mille. So Much To Live For parte con un riff alla Doobie Brothers, periodo circa China Grove e poi diventa un funky-rock degno dei primi Chicago o dei Blood, Sweat & Tears, ancora con i fiati in spolvero e tutto quell’incrocio di voci assolutamente coinvolgente ed euforico e dal wah-wah ricorrente non dovrebbe essere Haynes il solista neppure nella precedente, ma uno dei Lee Boys.

Always By My Side è uno dei brani che vede la presenza di Jimmy Herring come solista aggiunto, con il suo bel timbro grintoso, come pure la successiva Testify, sempre in un furioso incrociarsi super funky di chitarre e voci. In tutti i brani non trascurabile la presenza delle tastiere di Matt Slocum, che aggiungono ulteriore spessore alla complessità degli arrangiamenti, con un bel suono corposo che si apprezza con piacere. Anche quando la barra del suono vira verso atmosfere più vicine al R&B, come nell’ottima Sinnerman, il gruppo non perde l’attenzione dell’ascoltatore con continui interscambi vocali e la sacred steel sempre in azione (Alvin Cordy Jr. non sarà Robert Randolph, ma gli manca veramente poco). Per Wade In The Water si aggiunge una notevole voce femminile come quella di Gya Wire che aumenta la già cospicua quota gospel delle procedure. Praise You, reintroduce i fiati e la chitarra di Warren Haynes per una ulteriore lode al Signore a tempo di funky-rock, mentre in Feel The Music lasciano sfogare anche il produttore Matt Grondin che ci regala un bel solo di chitarra, molto lirico, in alternativa alla solita steel indemoniata (oh, non so se visto l’argomento, si può dire!). Si conclude in gloria (scusate, mi è scappato di nuovo) con lo slow di We Need To Hear From You, che conferma una seconda parte dell’album meno brillante dell’inizio scoppiettante, ma sempre ricca di musica di buona qualità e con coda finale della pedal steel, esultante e trascinante, che riabilita il pezzo finale.

Bruno Conti

Non Il Miglior Clapton…Ma Quasi! Slowhand Super Deluxe

eric clapton slowhand superdeluxe.jpgeric clapton slowhand.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eric Clapton – Slowhand – 35th Anniversary Edition Polydor/Universal CD – Deluxe 2CD – Super Deluxe 3CD/DVD/Vinyl

Infatti, a mio modesto parere, il più bel disco di studio di Eric Clapton solista, lasciando da parte l’inarrivabile Layla And Other Assorted Love Songs pubblicato a nome Derek And The Dominos, è senza dubbio 461 Ocean Boulevard, uscito nel 1974, anche se Slowhand gli arriva giusto ad un’attaccatura (insieme al sottovalutato Money & Cigarettes del 1983, quello con Ry Cooder come seconda chitarra e Albert Lee, come terza).

Slowhand è comunque l’album più famoso di Clapton, il disco che ha usato il suo soprannome (pare ideato qualche anno prima dal produttore/manager Giorgio Gomelsky per scherzare sul tempo impiegato da Eric per cambiare una corda alla chitarra…anche perché altrimenti Manolenta non sarebbe un gran complimento per un chitarrista) e che contiene al suo interno, forse, i suoi due brani più noti dopo Layla (cioè Cocaine, che come tutti sapete è di JJ Cale, e Wonderful Tonight, dedicata a Pattie Boyd, ex moglie dell’amico George Harrison e sua compagna all’epoca).

Era quindi chiaro che prima o poi sarebbe arrivata un’edizione deluxe: curata dallo specialista in ristampe Bill Levenson, esce in versione singola con quattro bonus tracks, in versione doppia con un pezzo del concerto del 1977 all’Hammersmith Odeon (scelta incomprensibile, come si fa a proporre un concerto troncato sul più bello), ed in versione Super Deluxe con il concerto su due CD (forse neppure in questo caso completo, in quanto dura complessivamente poco più di novanta minuti), più Slowhand senza bonus su DVDAudio e vinile, il tutto in una confezione elegante ed anche innovativa (anche se il pezzo interno mi è rimasto in mano alla terza volta che lo estraevo…).

Il disco originale (prodotto dal grande Glyn Johns, e con dentro vecchi pards di Eric come Jamie Oldaker, Dick Sims e Carl Radle) penso lo conosciate tutti: dopo l’uno-due iniziale CocaineWonderful Tonight, due brani che conosce anche mia nonna che ha più di novant’anni, arriva l’altrettanto bella (e nota) Lay Down Sally, un brano scritto da Clapton (insieme a Marcy Levy e George Terry) ma nel più puro stile laidback di JJ Cale. Next Time You See Her è un’altra bella ballata a firma di Eric, subito seguita da We’re All The Way di Don Williams (uno dei preferiti di Eric), proposta in un delizioso arrangiamento tra country e soul.

Nella seconda parte spiccano la splendida May You Never di John Martyn e la bluesata (unica del disco) Mean Old Frisco, mentre The Core è un po’ tirata per le lunghe e lo strumentale Peaches And Diesel sembra più un brano incompiuto per il quale non è mai stato scritto il testo.

Tra le quattro tracce bonus, spiccano senz’altro la semiacustica Alberta e la fluida Greyhound Bus, ma il vero fiore all’occhiello di questa ristampa è senz’altro la parte dal vivo.

Un Clapton in forma smagliante, che suona veramente come un Dio, i soliti manici citati prima ad accompagnarlo ed un repertorio super (concerto registrato sette mesi prima dell’uscita di Slowhand, dal quale non viene pertanto proposto alcun brano): probabilmente il miglior live di Eric, alla pari con il famoso Just One Night uscito tre anni dopo.

Quattordici brani, quattro dei quali già usciti anni fa sul cofanetto Crossroads 2 (Further Up On The Road e Stormy Monday, due blues sontuosi, la splendida Tell The Truth e la reggae version di Knockin’On Heaven’s Door), gli altri dieci mai ascoltati prima d’ora.

Imperdibile l’inizio, con la bellissima Hello Old Friend, una delle migliori melodie mai uscite dalla penna di Eric, e la grande Sign Language, raramente proposta dal vivo: una delle più belle canzoni degli anni settanta di Bob Dylan, che però era su un disco di Clapton (l’ottimo No Reason To Cry, quello con la Band, proprio in duetto con Bob, una di quelle canzoni che ti fanno capire che Dio esiste…).

Per il resto, una solida Steady Rollin’ Man, una Badge da urlo (altro che mano lenta…), una I Shot The Sheriff di un quarto d’ora (io di solito non amo il reggae, ma qui cazzo se suonano!), per finire con una Key To The Highway perfetta.

E non è che quelle che non ho citato non meritino (forse solo Layla è un po’ tirata via, come se la dovesse fare per contratto), ma mi fermo qui se no il Bruno mi rimprovera che mi allungo troppo.

In definitiva, un cofanetto da avere assolutamente…a meno che non facciano come gli Who con il Live At Hull  e ci facciano uscire tra un anno il concerto all’Hammersmith da solo (magari con qualche altro brano aggiunto, giuro che vado a Londra e all’Eric gli spezzo le braccine, così il prossimo disco lo intitola Brokenhand).

Marco Verdi

P.S *NDB Posso tranquillizzare Marco, sul fatto delle tracce aggiunte, non sull’eventuale pubblicazione, perché lì dipende dalle case discografiche e non da Clapton, quindi lo faranno sicuramente! Il concerto è composto da quei 14 brani, lo testimonia un Bootleg intitolato Live In Great Smoke, Hammersmith Odeon April 27 1977, registrazione soundboard (ossia dal mixer), di cui non dovremmo sapere, ma esiste e ha pure una copertina. Come trovarlo non saprei, ma in rete…

ec1977live.jpg

Dalle Twin Cities…The Honeydogs – What Comes After

honeydogs wca-cover.jpg

 

 

 

 

 

 

Honeydogs – What Comes After –Grain Belt Records 2012

Non è un disco nuovo (è uscito nei primi mesi di quest’anno), ma siccome ne sono venuto in possesso solo in questi giorni, ne parlo ora, avendo seguito con attenzione questa formazione, Honeydogs, fin dai promettenti esordi. Negli anni ’90 a Minneapolis, Minnesota, sono stati un piccolo culto, venivano dal giro dei Jayhawks, Uncle Tupelo, Soul Asylum, Golden Smog (uno  di loro Noah Levy ha fatto parte di quel combo) e il suono era indirizzato verso un certo roots rock, con ballate country oriented, una bella voce ed una ritmica solida a cucire il tutto. Dopo l’omonimo esordio Honeydogs (95), seguirono Everything I Bet You (96), l’ottimo Seen A Ghost (97), Here’s Luck (2000), Island Of Misfits (2001), 10.000 Years (2003), Amygdala (2006), e oggi (dopo un paio di EP tra il 2008 e il 2009 e un Best)), quasi dimenticati da tutti, si rifanno vivi con questo What Comes After, che si discosta un  po’ dai lavori iniziali. L’attuale line-up della band, pur mantenendo il leader indiscusso Adam Levy , chitarra, voce, piano, banjo e percussioni, è composta da Peter Anderson batteria e percussioni, Brian Halverson alle chitarre acustiche e elettriche, Trent Norton al basso, Peter Sands al pianoforte, l’innovativa sezione fiati Matt Darling al trombone e Stephen King alla tromba e l’apporto come ospiti della bella e brava violinista Susan Janda , e di Rebecca Arons al cello, per un “sound” stimolante e per certi versi innovativo.

Innovativo, in quanto l’iniziale Particles Or Waves è un brano rootsy con venature soul, poi si passa al  power pop di Aubben e Fighting Weight, alla bellezza mozzafiato di Everything In Its Place, proseguendo con Broke It, Buy It in stile Ben Folds Five, ad una ballata pop raffinata e pianistica What Comes After, al valzer-country cadenzato di Always A Long Time, nonché al riff di chitarra tintinnante di Better World, la percussiva Devil We Do e la ballata Death By Boredom sulle tracce di Elvis Costello, per finire con il country campagnolo di Blood Is Blood e una Turned Around che non sfigurerebbe affatto nel songbook dei Waterboys di Mike Scott.

In quasi due decenni di attività, questi ragazzi di provincia hanno risposto a certi canoni, che oggi sono ben presenti in un particolare modo di fare musica, grazie ad un discreto stile e caratterizzati dal buon songwriting dell’autore dei brani (Adam Levy), si tratta di una formazione sempre in crescita, capace di migliorarsi da un disco all’altro, a cui non manca molto (per chi scrive) per fare il grande salto, prima che sia troppo tardi!

Tino Montanari.

La Storia di Un “Re”! B.B. King – The Life Of Riley

bb king life of riley cd.jpgbb king life of riley dvd.jpg

 

 

 

 

 

 

B.B. King – The Life Of Riley The Soundtrack – Emperor Media/Universal

Eccomi di nuovo alle prese con il mio amico Riley Blues Boy King, in arte B.B. King, l’ultimo Re ancora regnante della scena musicale, e non sarà un caso che il doppio CD esca per la “Emperor” Media Ltd distribuzione Universal. Si tratta, come tutti sapranno, della colonna sonora del documentario The Life Of Riley, ovvero la storia di uno dei più grandi musicisti neri del novecento, filmata da Jon Brewer e narrata da Morgan Freeman, uscita nei cinema americani nel mese di ottobre, e in DVD all’inizio di dicembre. D’altronde è meglio santificare il grande omone nero quando è ancora vivo e vegeto (spero!), che poi piangere lacrime da coccodrillo nella occasione della sua dipartita, il più in là nel tempo possibile. Questo doppio dischetto è complementare, ma forse direi, più alternativo, al mitico Box da 10 CD Ladies and Gentlemen Mr. BB King, o alla sua versione più concisa quadrupla, ma i “geni” dell’industria discografica hanno colpito ancora e per renderlo più appetibile hanno inserito due brani esclusivi che non si trovano in altri album della discografia di BB King. Perché, in effetti, oltre che una colonna sonora, questi 2 CD rappresentano una ulteriore antologia, dedicata ad estrarre alcune perle della sua carriera e metterle in disco per i posteri.

Forse la scelta dei due “inediti” è anche fatta per bilanciare l’estrema preponderanza di materiale in studio rispetto ai due soli miseri brani dal vivo, sia pure tratti dall’eccellente Live At The Regal, per un musicista che è sempre stato considerato un grandissimo performer. E allora vai con una poco nota Walking Mr. Bill dove BB King “strapazza” la fida Lucille in uno show mandato in onda dalla televisione australiana nel 1974, che è il brano che apre il primo dei due dischi e con Sweet Sixteen, uno dei suoi super classici, registrato dal vivo in Africa, sempre nel 1974, a Kinshasa nello Zaire e già apparso peraltro nelle varie edizioni del DVD Live In Africa che documenta la sua esibizione nel mega concerto di supporto al “Rumble In The Jungle” tra Foreman e Muhammad Ali, e se guardate attentamente il filmato si vede Ali tra il pubblico (ma questo è un dettaglio).

Questo per gli inediti, poi saltando un po’ di palo in frasca, e senza seguire una sequenza cronologica, il doppio CD copre tutta la carriera di King, partendo da Nobody Loves Me But My Mother tratto dall’eccellente Indianola Mississippi Seeds del 1970 e passando per i suoi inizi, tra il 1949,’50 e ‘51 con Miss Martha King, I’ll Survive e Three O’Clock Blues, sempre inserite a casaccio ma che, probabilmente, nel film avranno un senso. Poi, saltando qui e là, si trovano Paying The Cost To Be The Boss, Sweet Little Angel, nella prima versione del 1950, i due brani fantastici dal Live At the Regal, Everyday I Have The Blues e How Blue Can you Get?, forse tra i vertici assoluti della sua arte. E ancora, The Thrill Is Gone, la versione con gli archi aggiunti che la rendono quasi maestosa, brano tratto da Completely Well, il disco dove non era accompagnato dalla sua abituale BB King Orchestra (mi ricordo dei suoi concerti dove c’è l’MC della situazione che grida sempre come un ossesso “the BB King Orchestra”), ma da sessionmen di lusso come Al Kooper e Hugh McCracken. C’è Hummingbird di Leon Russell, tratta ancora da Indianola… e Caldonia da in London.

Non manca When Love Comes To Town, il brano registrato con gli U2 che ha accresciuto la sua fama anche tra i non aficionados del Blues, e che non è così malvagia come viene dipinta, ormai è in vigore la vendetta del “sparate contro Bono & Co”., per la loro produzione, diciamo non eccelsa, degli ultimi anni. C’è la bellissima Riding With The King, il brano di John Hiatt, che è la title-track del disco registrato in coppia con l’amico Eric Clapton, che lo invita sempre ai suoi Crossroads Festival.  C’è una poco nota Messy But Good, scritta da Quincy Jones, che appariva in una colonna sonora del 1968, For The Love Of Ivy e una altrettanto inconsueta Precious Lord che si trovava in un disco degli anni ’50, BB King Sings Spirituals e altre canzoni meno conosciute, ma sempre valide. In definitiva, con il difetto dei pochi brani live presenti, una selezione di brani comunque di gran pregio, 26 in tutto, per uno dei più grandi musicisti della storia del Blues. Adesso basta raccolte però, grazie, o cercate tra gli inediti negli archivi, che sicuramente esistono, o pubblicate qualche altro bel disco dal vivo! Sono 87 anni a settembre, ma sempre lunga vita al nostro amico Riley, “Long Live The King”!

Bruno Conti      

Su Un’Isola Deserta Mi Porterei Questo! Johnny Cash – The Complete Columbia Album Collection

johnny cash complete collection.jpgjohnny cash the complete.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Johnny Cash – The Complete Columbia Album Collection – Columbia/Sony 63 CD

Per quanto mi riguarda l’uscita discografica più attesa dell’anno (anche più di Tempest di Bob Dylan) era questo megabox dell’immenso Johnny Cash, che come suggerisce il titolo presenta tutto quello che l’Uomo in Nero ha inciso per la storica etichetta che lo ha visto protagonista per quasi tre decadi.

Gli altri periodi della sua carriera sono ampiamente documentati su CD (gli esordi alla Sun, lo sfortunato lustro alla Mercury, fino alla rinascita degli ultimi anni all’American di Rick Rubin), ma ben 38 album del suo periodo Columbia non erano mai stati stampati sul supporto digitale (alcuni di essi si trovano solo disponibili per il download): ebbene, qui c’è tutto, ma proprio tutto, ciò che Cash ha pubblicato per la storica etichetta ora di proprietà della Sony.

Il box è presentato in un’elegante scatola apribile, con tutti i dischetti ordinati e numerati in versione simil-LP, con la tracklist originale (cioè senza bonus tracks): un’operazione analoga a quella di qualche anno fa riguardante Miles Davis (che però aveva diverse bonus tracks per ogni disco).

(NDM: l’anno prossimo, sembrava dovesse uscire già quest’anno, dovrebbe essere anche la volta di Bob Dylan, ma in questo caso, a meno di bonus tracks clamorose – il che non credo conoscendo Bob – non ci dovrebbero essere grosse sorprese. Io invece voto per un box simile dedicato a Willie Nelson).

Non sto certo a dirvi chi era Cash e la sua importanza per la musica e la cultura americana e mondiale (se mi state leggendo lo sapete meglio di me), ma passo senz’altro ad una disamina il più breve possibile del megabox.

Gli anni sessanta sono quelli con meno sorprese, nel senso che quasi tutti gli album sono reperibili su CD (specie i primi), ma comunque tutti insieme è un bel sentire: non dimentichiamoci che all’epoca i brani scelti per i singoli e quelli negli LP viaggiavano su binari diversi, e quindi qui troviamo comunque un sacco di canzoni poco note di Johnny.

Dischi uno più bello dell’altro, in diversi casi veri e propri concept albums: da Hymns By Johnny Cash a Songs Of Our Soil, da Ride This Train a Sings The Ballads Of True West (strepitoso), dal disco dedicato alle work songs Blood, Sweat And Tears al capolavoro Bitter Tears, che celebrava gli Indiani d’America.

Basterebbero questi titoli per definire una carriera inimitabile, ma poi ci sono i due famosi live At Folsom Prison e At San Quentin (tra i due, il raro e bellissimo gospel album The Holy Land), che fungono da spartiacque con gli anni settanta, che sono quelli nei quali troviamo il maggior numero di chicche.

Pochi dischi di questo periodo erano infatti già reperibili su CD (Man In Black, America, Ragged Old Flag, il live Pa Osteraker ed il famoso Silver, quello con (Ghost) Riders In The Sky), e quindi ci troviamo di fronte ad un vero tesoro, in quanto il livello delle produzioni di Cash in questo periodo era sempre medio-alto, pur soffrendo di un calo di popolarità via via sempre più marcato.

Album come A Thing Called Love, One Piece At A Time (con la splendida Committed To Parkview), John R. Cash, Gone Girl, Any Old Wind That Blows sono ancora oggi dei signori dischi, con un Cash nella piena maturità professionale e vocale, in poche parole una goduria per le orecchie.

E poi c’è anche il doppio a sfondo religioso The Gospel Road, forse l’opera più ambiziosa del nostro, il live poco noto Strawberry Cake ed il curioso The Junkie And The Juicehead Minus Me, al quale partecipano anche le giovanissime Rosanne Cash e Carlene Carter.

Poi si entra negli anni ottanta, il nadir per quanto riguarda la popolarità di Cash (ma non per la qualità media degli album): partendo dal poco riuscito The Baron, sul quale Johnny aveva puntato molto (facendolo produrre al grande Billy Sherrill), passando per gli ottimi Rockabilly Blues e Johnny 99 (con la title track e Highway Patrolman di Bruce Springsteen), un divertente live a tre con Carl Perkins e Jerry Lee Lewis (The Survivors), un rarissimo live registrato a Praga (Koncert V Praze), il buon The Adventures Of Johnny Cash (con Georgia On A Fast Train di Billy Joe Shaver e la grande Paradise di John Prine), per finire con l’ultimo disco inciso per la Columbia, Rainbow, del quale da anni attendevo la ristampa in quanto contiene due delle mie canzoni preferite, cioè Unwed Fathers, ancora di Prine, e Have You Ever Seen The Rain?, super classico di John Fogerty.

In coda, i primi due dischi incisi a nome Highwaymen con Waylon Jennings, Willie Nelson e Kris Kristofferson (meraviglioso il primo, meno riuscito il secondo), il discreto Heroes, in duo con Waylon, ed il postumo At Madison Square Garden, che documenta un concerto del 1969.

Come bonus abbiamo una versione ampliata, esclusiva per questo box, di With His Hot And Blue Guitar, una sorta di bignami del suo periodo Sun, ed un doppio intitolato Singles, Plus, che contiene appunto rari brani apparsi solo su 45 giri, più vari duetti apparsi su dischi altrui (con Bob Dylan, la Carter Family, Earl Scruggs, diversi con la moglie June Carter, e altri).

Tra i singoli vorrei segnalare un brano davvero poco noto di Cash, uscito nel 1984, quindi già in piena crisi con la Columbia: l’esilarante The Chicken In Black, nella quale Johnny con grande ironia prende letteralmente a martellate la sua etichetta che non credeva più in lui (e se pensavate che Cash fosse una persona seria, cercate il videoclip di questa canzone e la vostra opinione potrebbe cominciare a vacillare…).

Come ciliegina, un libretto di quasi 200 pagine con tutte le note dettagliate disco per disco.

Va bene la crisi, va bene tutto, ma se date retta a me cercate di risparmiare 200 Euro ed investiteli in questo box: questa non è solo musica, è storia.

JonnyCashFinger.jpg

 

 

 

 

 

Imperdibile.

Marco Verdi

Un Vero Outsider! Delta Joe Sanders – Working Without A Net

delta joe sanders working.jpg

 

 

 

 

 

 

Delta Joe Sanders – Working Without A Net – Madjack Records

Dischetto piacevole questo di Delta Joe Sanders, un disco di country-blues intriso nelle radici musicali di uno che è nato e vissuto nei pressi della Glower Plantation, Desoto County, Mississippi, ma vive ed opera nel sottobosco della scena musicale di Memphis, Tennessee da oltre trent’anni. Non per nulla il disco è stato registrato nei leggendari Sun e Ardent Studios (che non saranno più quelli di un tempo ma il nome evoca sempre grande musica)!

Tra i suoi compagni di etichetta (la Madjack Records) i più “noti” sono Susan Marshall  (che appare in questo disco) e Cory Branan, come lui onesti praticanti delle sette note, anche se in ambiti più rock, mentre Delta Joe Sanders in passato ha fatto parte pure dei Memphis Sheiks, con cui ha inciso tre album negli anni ’90. Il nome non vi dice nulla? No. Per la verità neppure a me, ma pare che i dischi siano validi, mi fido di quello che ho letto (anche se per l’effetto “San Tommaso” una ascoltatina gliel’ho voluta dare, del blues acustico, chitarra e armonica, in coppia con tale Robert Nighthawk II (!)). Sanders ha inciso altri due dischi da solista oltre a questo Working Without A Net, che offre una strumentazione parca ma più complessa del solito, oltre a brani decisamente acustici come l’iniziale Five O’ Clock (In The Morning Time) che mette in evidenza la voce vissuta ma interessante del protagonista, tra piano, chitarra e percussioni o A Beautiful Song, altra variazione su questo Blues rurale e minimale, ma anche Sweet Monicera che potrebbe uscire da qualche vecchio vinile degli anni ’60, con il suo violino intrigante e quella inflessione country della voce molto sudista e anche un po’ rassegnata, di chi è capitato in studio per caso, perché non aveva niente di meglio da fare quel giorno!

Da questo stile musicale non ci si distacca mai troppo, ma l’accordion di Preachin’ To No One o le armonie vocali quasi gospel di Susan Marshall & Reba Marshall, unite al piano di Rick Steff e a ritmi più mossi danno maggiore brio alla musica in un brano come Windswept Plains Of Memphis, che ha sempre questa aria laconica e malinconica, ancorché vissuta dalla voce di Sanders che ci mette del suo. Con i dovuti distinguo questo Delta Joe Sanders potrebbe ricordare (vagamente) una sorta di Leon Redbone dei giorni nostri (ma anche quelli che furono), più sul blues rurale e sul country, ma quando parte la tromba in That Dress le analogie ci sono. Verso la fine del disco, in That’s Just The Way She is appare addirittura una timida chitarra elettrica affidata a Tommy Burroughs che si occupa un po’ di tutti gli strumenti a corda, mandolino compreso. Il disco si chiude con la lunga The Toast, una sorta di talking country blues alla Bromberg o alla Jerry Jeff Walker nelle loro versioni più acustiche. Uno “strano” disco, curioso e minore, indicato più che per gli archeologi del Blues (e del country “arcano”), insomma per chi gira per mercatini o per antiquari alla ricerca di qualche scoperta incredibile, ma che si accontenta anche di qualche onesta “copia” dei classici. Non disprezzabile comunque, assolutamente fuori dal tempo e da qualsiasi moda (guardate anche il numero dei contatti su YouTube)!

Bruno Conti  

I Migliori Dischi (E Non Solo) Del 2012. Una Lista Tira L’Altra. The Best Of Del “Mandolino”, Ovvero Jimmy Ragazzon

jimmy ragazzon.jpg

 

 

 

 

 

 

 

“Mumble, Mumble”!

*NDB. In questo periodo dell’anno vado a rompere le scatole anche a musicisti e addetti ai lavori per chiedere se hanno voglia di fare le loro liste del meglio dell’anno, questo è quanto gentilmente mi ha mandato Jimmy Ragazzon dei Mandolin’ Brothers (il mumble mumble sotto la foto l’ho aggiunto io). Sono quelle belle “classifiche” corpose che mi piacciono, anche con i commenti e senza limiti di numero di partecipanti alla festa!

 

My Best Of  2012

Albums:

ian hunter when i'm president.jpg

 





Ian Hunter & the Rant Band: When I’m President
a 73 anni è ancora più che mai un Grande del Rock…e che voce, signore e signori!

dave alvin eleven expanded.jpg








Dave Alvin: Eleven Eleven (expanded edition con dvd)
che dire? Semplicemente strepitoso!

*NDB . Questo sarebbe del 2011, ma la versione expanded è uscita nel 2012 (con grande dispiacere dei portafogli di chi già lo aveva comprato l’anno prima). Ma il disco è veramente bello, per cui perdonati sia Dave che Jimmy!

Chris Robinson Brotherhood: The Magic Door
una conferma del talento espresso con Black Crowes ed un sana jam band, con un tocco di psichedelia, che certo non guasta.

Ry Cooder: Election Special
Un album politico e necessario, che non le manda certo a dire. Oltre ai testi, mai cosi diretti ed importanti, ci sono anche belle canzoni.

heritage blues.jpg







Heritage Blues Orchestra: And Still I Rise
Meno male che esistono ancora gruppi come questo, che ripropongono e rinnovano la Tradizione della Musica del Diavolo.



Bob Dylan: Tempest
Mi aspetto sempre il nuovo capolavoro dal Bardo Immortale. Non è questo, purtroppo, ma sempre grande musica e testi alla sua altezza.

chris knight little victories.jpg








Chris Knight: Little Victories
Con alti e bassi, ma non sbaglia mai un album.

michael kiwanuka.jpg








Michael Kiwanuka: Home Again
Una piacevolissima sorpresa ed una splendida nuova voce.

hans theessink terry evans ry cooder.jpg








Hans Theessink: Delta Time
Nostalgico album di sonorità Cooderiane, sempre benvenute. Suonato e cantato con gran classe, da vecchi marpioni del genere. Ry  finalmente è della partita.

Bonnie Raitt: Slipstream
La Rossa picchia secco, come da tempo non faceva.

2104-lowlands-better-world-coming-20120722182537.jpg








Lowlands & Friends : Better World Coming ” Tribute To Woody Guthrie”
Una band che viene dal basso ma con tanta passione, perizia e sincerità. Di questi tempi non è poco.

*NBD Ci sarebbe un chiaro esempio di conflitto d’interessi, ma in questo non vale il detto, “chi si loda s’imbroda”. Saggezza popolare!

NINEBELOWZEROliveatthemarquee.jpg








9 Below Zero: Live At Marquee (remastered edition con dvd) il meglio del Pub Rock-Blues britannico al fulmicotone. Una vera botta di energia.

zappa ristampe.jpg







Frank Zappa: tutta la discografia rimasterizzata by Universal e a prezzo medio, finalmente!
Suoni mai sentiti e perle musicali quasi dimenticate,  a riconferma del genio assoluto del Maestro.

led zeppelin celebration day cd.jpg







Led Zeppelin: Celebration Day
suonate voi così, a quella età, dopo una vita non proprio regolare e con quel groove: fantastici!

taj mahal hidden treasures.jpg








Taj Mahal: Hidden Treasure
Il blues originale di seconda generazione, fatto come si deve.

Band 2012:  The Band Of Heathens
roots-rock di pregevolissima fattura. Grandi canzoni, tre intriganti voci che non
possono non ricordare (con gli obbligati ed ovvii distinguo) la mitica The Band
notevole tecnica strumentale. Se non debordano, promettono piacevolissime sorprese.


Canzone 1:  Ian Hunter “Life”
linea melodica indimenticabile. Piccolo e semplice masterpiece.


Canzone 2 : Michael Kiwanuka “They Say I’m Doing Just Fine”
solo nella de luxe edition. Una canzone volutamente scarna ma armonicamente toccante, che ricorda un poco il Curtis Mayfield più melodico.


Concerto:

Tom Petty, Lucca,  29 giugno 2012
Uno dei meglio concerti mai visti in Italia; ed abbiamo anche fatto una bella figura come pubblico, caldi & preparati, a tal punto da strappargli la promessa di ritornare: meglio di così..

Libri:

Ry Cooder:   Los Angeles Stories   Elliot
Una pregevole ed inaspettata raccolta di piccoli tesori noir, scritta con passione ed amore  per
una città ed un tempo perduti.

Katherine Boo:  Belle Per Sempre    Piemme
più che un romanzo-reportage su uno slum di Mumbay, è un pugno nello stomaco scritto
magistralmente da una giornalista Premio Pulitzer. Da leggere assolutamente, anche per
capire quanto siamo fortunati ed egoisti, in questa parte del mondo. Imperdibile.

Steve Earle:  Non Uscirò Vivo Da Questo Mondo    Mondadori
niente di memorabile, ma l’idea di raccontare la storia del medico che fece l’ultima pera a
Hank Williams e delle inquietanti apparizioni del suo fantasma, è un incipit che non può non
suscitare la curiosità di ogni music lover.

Film:

Rolling Stones: Charlie Is My Darling
mai visti gli Stones, Keith e  Mick in particolare, così veri, rilassati e da vicino. Nel backstage,  con
gli amici, i fans ecc. tra una canzone, una bottiglia, una pasticca ed altro.

Fatto Storico:

Finalmente la Palestina è riconosciuta come Stato Osservatore alle Nazioni Unite: era ora!

In ricordo di:
Ravi Shankar, superbo musicista e filosofo, salito alla destra di Ganesh. OM.

HAPPY  XMAS!

Jimmy Ragazzon

P.S. Come al solito NDB sta per Nota Del Bruno o Blogger, mentre nel finale mi associo per il giusto ricordo di Ravi Shankar, che è morto ieri a San Diego, California, alla rispettabile età di 92 anni. Nei prossimi giorni mi ha promesso il diario del suo tour italiano con i Mandolin’ Brothers. Attendo fiducioso (e magari anche qualche recensione, come promesso)!

Bruno Conti

Best Of 2012! Non Solo Stampa: Un Paio Di “Siti Amici” American Songwriter e Paste

AStopalbums-x600.jpg

 

 

 

 

Per consolarmi dalle liste non sempre esaltanti (almeno per i miei gusti) delle “year end lists” di riviste musicali internazionali varie, vi rendo edotti della classifica di fine anno di questo ottimo sito americano che forse non vi avevo mai citato in precedenza e sul quale vale la pena fare un giretto, si chiama http://www.americansongwriter.com/ e lo potremmo definire uno “spirito eletto affine”, gli argomenti sono quelli che mi (ci) piacciono.

Se volete vedere la lista completa cliccate qui http://www.americansongwriter.com/2012/12/american-songwriters-top-50-albums-of-2012/ e lì trovate tutti i 50, ma i primi dieci sono questi:

bob dylan tempest.jpg

 

 

 

 

 

 

 

1) Bob Dylan – Tempest

neil young psychedelic.jpg

 

 

 

 

 

 

 

2) Neil Young & Crazy Horse – Psychedelic Pill

Shovels2.jpg

 

 

 

 

 

 

 

3) Shovels And Rope – O’ Be Joyful

Questo mi era sfuggito, è l’occasione per segnalarlo. Magari terzo è un po’ troppo, ma sono interessanti…

leonard cohen old ideas.jpg

 

 

 

 

 

 

 

4) Leonard Cohen – Old Ideas

bruce springsteen wrecking ball.jpg

 

 

 

 

 

 

 

5) Bruce Springsteen – Wrecking Ball

sharon van etten.jpg








6) Sharon Van Etten – Tramp

Questo è proprio un bel dischetto, già segnalato mesi fa, ma sempre valido.

 

 

avett brothers the carpenter.jpg

 

 

 

 

 

 

 

7) The Avett Brothers – The Carpenter

-mumford-sons-babel-617-409.jpg

 

 

 

 

 

 

 

8) Mumford And Sons – Babel

bonnie raitt slipstream.jpg

 

 

 

 

 

 

 

9) Bonnie Raitt – Slipstream

Un disco che è passato inosservato, invece è uno dei migliori in assoluto di Mrs. Bonnie Raitt.

 

alabama shakes.jpg








10) Alabama Shakes – Boys And Girls

Oltre ad essere molto bravi sono di Athens, Alabama, non Georgia, ribadisco a scanso di equivoci.


E passiamo ad un altro dei siti americani più seguiti, Paste, anche se non sempre c’è da essere d’accordo con i loro giudizi, in questo caso il n.1…

1) Frank Ocean – Channel Orange

frank ocean channel.jpg

 

 

 

 

 

 

 

2) Father John Misty – Fear Fun

father john misty.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Altro album sottovalutato, quello di J Tillman, l’ex Fleet Foxes.

3) Titus Andronicus – Local Business

local-business.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Un disco che colpevolmente non ho neppure segnalato nella rubrica delle novità e invece merita (non so se è il terzo miglior disco dell’anno ma è sicuramente interessante). Questi suonano, ragazzi!

4) Fiona Apple – The Idler Wheel

fiona apple idler wheel.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Lei è un po’ “fuori di testa” (vedasi video), ma è proprio brava, questo Idler Wheel (e tutto quello che segue) è uno dei gioiellini del 2012.

5) Sharon Van Etten – Tramp

6) Alabama Shakes – Boys And Girls

7) Dirty Projectors – Swing Lo Magellan

dirty projectors swing lo.jpg

8) Japandroids – Celebration Rock

celebration-rock.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Il nome del gruppo potrebbe ingannare ma il titolo dell’album è esplicativo…

9) Beach House – Bloom

bloom.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Altro dischetto molto piacevole.

10) First Aid Kit – The Lion’s Roar

first aid kit the lion's roar box set.jpg

 

 

 

 

 

 

 

Così colgo anche l’occasione per segnalare questa versione in boxettino CD+DVD dell’album delle due sorelle norvegesi, perchè quando l’avevo visto mi erano girate le balle. Non è possibile fare sempre versioni più ricche a distanza di mesi dall’uscita originale: in questo caso ci sono tre extra tracks nel CD e il DVD, oltre al documentario comprende tre video e nella confezione c’è anche un plettro. Al di là di tutto il disco è molto piacevole.

Anche per oggi è tutto. Sto lavorando sull’ampliamento delle mie liste, in attesa di altre classifiche di fine anno, oltre alle solite recensioni, siamo nel periodo Blues.

Bruno Conti

P.s Ho appena ricevuto nella mail la lista delle date europee di gennaio di Aimee Mann e come al solito mi sono girati gli ex-ministri maroni, Italia neanche in sogno, comunque se avete possibilità di spostarvi, queste sono le date: 

01/15/13 Nalen Stockholm, SE Buy Tickets
01/16/13 Pustervik Gothenburg, SE Buy Tickets
01/17/13 KB Malmo, SE Buy Tickets
01/18/13 Train Aarhus, DK Buy Tickets
01/20/13 Columbia Club Berlin, DE Buy Tickets
01/21/13 Fabrik Hamburg, DE Buy Tickets
01/22/13 Gloria Theatre Cologne, DE Buy Tickets
01/24/13 Paradiso Amsterdam, NL Buy Tickets
01/25/13 Vooruit Gent, BE Buy Tickets
01/26/13 Bataclan Paris, FR Buy Tickets
01/28/13 Royal Festival Hall London, GB Buy Tickets
01/30/13 ABC – Celtic Connections Glasgow, GB Buy Tickets
01/31/13 Grand Canal Theatre Dublin, IE Buy Tickets