Un’Esplosione Di Energia. Gighe E Reels Per il 3° Millennio! Dropkick Murphys – Signed And Sealed in Blood

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Dropkick Murphys – Signed And Sealed In Blood – Born And Bred/Universal/Coop

Ottavo album per la celtic-punk, celtic-rock, celtic punk-rock, boh(?) band di Quincy, Massachussetts, a due passi da Boston area metropolitana, un po’ come Monza e la Brianza rispetto a Milano. Il genere musicale però è più quello della periferia di Dublino o di Belfast, intrecciato con le radici del punk americano e inglese. Ovvero, partire sui 200 all’ora con una melodia e finire sui 300, con qualche piccola varaizione sul tema. Il penultimo disco, Going Out In Style, una sorta di concept album, era stato in un certo senso quello della consacrazione, con tanto di partecipazione di Springsteen in Peg ‘o My Heart, una seconda versione Deluxe (pubblicata qualche mese dopo, per l’incazzatura di grandi e piccini, con un secondo CD Live aggiunto come bonus) e un suono più vario e ricercato (senza esagerare) rispetto ai dischi del passato (e del futuro).

Eh sì, perché quanto potevano resistere senza quei brani tipici, singalong misto a street punk? Un minuto? Neanche. Nel primo brano The Boys Are Back (un omaggio alla vecchia The Boys Are Back In Town dei Thin Lizzy?), direi dopo 30 secondi, chitarre acustiche, accordion, bagpipes, mandolino e banjo vengono sommersi da un muro di chitarre elettriche e dal ritmo adrenalinico della sezione ritmica, con tutta la frontline dei cantanti impegnata a squarciagola nei tipici cori ad alta gradazione alcolica che sono tipici di questa musica, non per questo disprezzabili, “it’s only music for fun” e “sono alla ricerca di guai!”. Prisoner’s Song rilancia e rincara la dose, con la fisarmonica e il banjo che cercano di farsi strada tra le pieghe del brano. Ovviamente questo tipo di musica, ritmo e sudore, secondo le intenzioni dei suoi esecutori, si dovrebbe gustare appieno dopo un certo numero di pinte di birra o bicchierini di whiskey, ma per la salute dei v(n)ostri fegati, anche da sobri il piedino lo fa muovere e si capisce che non è proprio DIY campata in aria, dietro ci sono una ventina di anni di esperienza sui palchi di tutto il mondo, nella speranza di diventare gli eredi dei Pogues (e con la concorrenza di Flogging Molly e nelle isole britanniche, dei Levellers e degli stessi rientranti Pogues).

Rose Tattoo, il singolo, è più ricco di colori folk d’Irlanda che di sventagliate punk, e si lascia apprezzare con mandolini e acustiche che si amalgano più che cercare di “combattere” con la sezione ritmica, anche i flautini e mandolini impazzano e il banjo dell’ospite Winston Marshall dei Mumford and Sons aggiunge un afflato britannico alle operazioni. Il testo del brano è quello che comprende il titolo dell’album ” This one means the most to me/Stays here for eternity/A ship that always stays the course/An anchor for my every choice/A rose that shines down from above/I signed and sealed these words in blood/I heard them once, sung in a song/It played again and we sang along…”. E’ una breve oasi di pace prima della ripresa delle ostilità con Burn.

Ma da qui in avanti l’alternanza tra Irlanda e combat punk-Rock (questo non l’avevo detto) si fa più consistente: Jimmy Collins’ Wake avrebbe fatto il suo figurone nei vecchi vinili dei Pogues, con la sua aria paesana, mentre The Season’s Upon Us, per quanto sempre corale e combattiva, ha profonde radici nella musica popolare, ed è anche un bel brano, che non guasta. Battle rages on è di nuovo indemoniata, a tutto singalong con chitarre elettriche metalliche che sciabolano tra voci e fiati in minoranza. Don’t tear us apart, addirittura con un piano che fa una breve apparizione iniziale, evidenzia le similitudini con le radici à la Clash di certa musica dei Pogues (e dei Dropkick Murphys). My hero resta sempre da quelle parti, con una chitarra elettrica vagamente spingsteeniana che tira le fila del brano, sempre tirato a velocità supersonica.

Out Of The Town è un grintoso pezzo elettrico, quasi convenzionale nel sound, rock puro e semplice con la solità coralità vocale ma pochi elementi folk e punk, molto piacevole. Out Of Our Heads con banjo, flautino e fisarmonica in evidenza, a lottare duramente con la parte elettrica e la ritmica del settetto americano, riapre le danze per futuri sviluppi live. End Of The Night è una ballatona a tempo di valzer che ricorda i brani più coinvolgenti dei Pogues dei tempi d’oro e conclude in gloria un disco che si merita la sufficienza piena anche se non fa gridare al miracolo. Sapete cosa aspettarvi, i “soliti” Dropkick Murphys, simpaticamente casinisti e caciaroni, ma anche buoni musicisti.

Esce domani in molti paesi e il 15 gennaio in Italia.

Bruno Conti

Un’Esplosione Di Energia. Gighe E Reels Per il 3° Millennio! Dropkick Murphys – Signed And Sealed in Bloodultima modifica: 2013-01-07T14:52:37+01:00da bruno_conti
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