Curiose Coincidenze. Tyler Bryant & The Shakedown – Wild Child

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Tyler Bryant & The Shakedown – Wild Child –  Carved Records – 22-01-2013

La prima cosa che ho notato, quando Paolo Carù mi ha mandato questo disco da recensire per il Busca, dicendomi, “un giovane texano di cui si dice un gran bene”, è la curiosa coincidenza tra il nome del leader e chitarrista del gruppo, “Tyler” Bryant e il secondo chitarrista che si chiama Zack “Whitford”. Dice nulla? E se aggiungiamo Steven e Brad? Come dite? Aerosmith, esatto. Ma mentre per il primo non c’entra nulla, essendo il nome di battesimo, il secondo è proprio il figlio di Brad. Ha qualche attinenza con la musica? Forse, ci arriviamo subito. Intanto devo dire che ad un primo ascolto il disco non mi ha colpito e steso subito. Del buon rock americano classico, con le consuete influenze recenti che vogliono dire Black Keys, una discreta dose di blues-rock: il giovane, che è una sorta di ragazzo prodigio, ha già attirato l’interesse dei suoi maestri, suonando nel Crossroads Guitar Festival di Clapton a 16 anni e aprendo nel tour canadese di Jeff Beck del 2011.

Inoltre, il fotografo rock Robert Knight, famoso per i suoi scatti di grandi chitarristi ed in particolare di Stevie Ray Vaughan, lo ha voluto nel 2008 nel suo documentario Rock Prophecies, a fianco di Santana, Beck e Slash, come probabile erede di SRV, con cui condivide anche lo stato di provenienza. Tra i suoi ammiratori anche Vince Gill, che ne ha lodato la tecnica e dal vivo, naturalmente ha suonato, tra gli altri, anche con gli Aerosmith, che sono un’altra influenza musicale. Questo Wild Child è stato preceduto da un EP nel 2011 e da un mini album del 2012, con alcuni brani in comune, magari in differenti versioni. Intanto il giovanotto (che compirà 22 anni a febbraio) e si è trasferito a vivere e suonare in quel di Nashville, dove è stato inciso l’album, si scrive tutti i brani di solo, se li canta, spesso con quella chitarra dal corpo d’acciaio ma anche con una buona Fender rosa replica d’annata. E quindi?

Riascoltiamo: il brano di apertura, Fool’s gold, con un bel riff di slide, ondeggia tra il rock classico alla Aerosmith, qualche zinzinello di Led Zeppelin e una bella grinta, tre minuti per essere pronti anche per le radio (tutti i brani sono intorno a questa durata). Lipstick Wonder Woman sempre con questo bottleneck che conferisce una atmosfera bluesata, comincia a salire di qualità con qualche inserto chitarristico alla Bonamassa e la voce sudista di Bryant che cerca di farsi strada nella produzione forse fin troppo precisa. In Cold Heart le chitarre cominciano a decollare e gli assoli si allungano (lo stesso Tyler ha dichiarato che vuole riportare l’assolo di chitarra nel rock attuale, ma mi pareva che fossimo ben coperti, comunque ben venga). Anche la batteria picchia di gusto e in Downtown Tonight segue passo passo la chitarra di Bryant su territori un filo più roots, anche se, per il tipo di voce,  potrebbe essere southern, ma pure Bon Jovi potrebbe essere subito dietro l’angolo. Say A Prayer, dovrebbe essere l’hit single con tanto di video e partecipazione al Jimmy Kimmel Live, la parte strumentale e l’assolo sono gagliardi ma non mi convince del tutto il contorno vocale e l’arrangiamento, ma forse è una mia impressione.

House That Jack Built ha sempre questa passione per il vecchio blues-rock d’annata, voce leggermente distorta, batteria picchia duro e riff ripetuti fino all’assolo che dimostra perché i signori sopra hanno espresso la loro approvazione, anche se mi sembra che nel disco abbia il freno a mano tirato. In Last One Leaving in particolare (ma anche in altri brani) molti hanno visto dei punti di contatto con i Black Keys e in particolare con Gold On The Ceiling, potrebbe essere, per quell’incrocio tra rock moderno e la slide acustica. Non mancano anche i corettini, come in Still Young (Hey Kids) che fanno tanto Bryan Adams anche se l’assolo fa ben sperare per i concerti dal vivo. Solita intro classica batteria+chitarra per You Got Me Baby che in un mondo di hip-hop e Onedirection svetta, ma non mi sembra memorabile, al di là del solito buon lavoro della chitarra di Tyler Bryant. House On Fire, viceversa, ha il suo cuore rock al posto giusto, tirata e senza compromessi e Where I want You, l’unico brano che supera i 4 minuti e mezzi, non so perché mi rimanda al power-pop rock dei Knack, intrecciato a del sano rock-blues zeppeliniano o Aerosmith se preferite, con poderoso solo di Bryant nella parte centrale. Poor Boy’s Dream tiene per la fine le atmosfere più blues, con voce filtrata e acustica slide nuovamente in pista. Ribadisco, piacevole, se volete ampliare i vostri orizzonti rock, ma non mi sembra questo fenomeno, SRV può riposare tranquillo.

Bruno Conti     

Curiose Coincidenze. Tyler Bryant & The Shakedown – Wild Childultima modifica: 2013-01-19T09:22:00+01:00da bruno_conti
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