Pianoforte E Vecchi Falsetti. Seth Glier – Things I Should Let You Know

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Seth Glier – Things I Should Let You Know – Mpress Records

Come sempre, in un disco, uno ci può leggere o sentire quello che vuole, i gusti ed i punti di vista sono molteplici. Per Seth Glier, in America, non dico si siano sprecati fiumi di inchiostro ma se ne  è parlato diffusamente. Paragonato, di volta in volta, a Springsteen (?!?) e Billy Joel da Usa Today, per il suo squisito timbro tenorile (ma l’hanno sentito?), altri l’hanno accostato al nuovo filone di Decemberists, Lumineers e perfino Civil Wars, e ancora Lyle Lovett e Randy Newman, fino ad arrivare a Elton John, qualcuno, più onestamente, ha avanzato paragoni con tale Paul McDonald, finalista di American Idol. E’ stato ricordato, correttamente (ma dalla sua etichetta), che lo scorso anno era candidato ai Grammy con il precedente album The Next Right Thing, sì ma come “Best Engineered Album, Non Classical”, non proprio per i contenuti. Quindi, parafrasando il titolo dell’album Things I Should Let You Know, anch’io vorrei farvi sapere alcune cose.

Primo, il tipo di voce: al sottoscritto ricorda moltissimo quella di James Blunt o Brett Dennen, sorta di gemelli separati alla nascita, in differenti anni e continenti, ma molto vicini come timbrica, di testa, quasi femminea ma con una piacevole raucedine vagamente alla Forbert (prendiamo anche i lati positivi) e una tendenza al falsetto quando serve, però con un suo vigore e capacità di passare dal rock alla ballata: Tra i pregi anche una buona capacità di scrittura, testi interessanti, una produzione molto curata, da major e qualche canzone sopra la media, oltre alla sua innegabile bravura al pianoforte, ma se la cava anche all’acustica. Tra i difetti una tendenza a lasciarsi andare in brani un poco risaputi e commerciali (e lì nulla di male, non tutti hanno una “missione” nella musica).

Prendete per esempio la title-track iniziale, affogata in un mare di tastiere anche elettroniche (harmonium e synth, una strana accoppiata) forse un tantinello epica e pomposa, con le sue cascate di voci sovrincise e nessuna direzione musicale precisa o la successiva Man I Used To Be, pianistica e ritmata, molto radiofonica e piacevole, ma poco sostanziosa e vicina a quei Blunt e Dennen citati prima, più che ai migliori John e Joel. Con New World I See si comincia a ragionare, i paragoni con Newman e Lovett hanno un senso, un groove dalle parti dalla Louisiana, un bel pianoforte, dei fiati che aggiungono un feel quasi jazzy, non da crooner ma da “bravo cantante” (che è una variazione del “bravo presentatore dei tempi di Frassica). Plastic Soldiers è una riflessione sui danni delle guerre, dal ragazzino che gioca con i soldatini al giovane spedito a Kabul, solo voce, due chitarre acustiche e un duduk (un flautino armeno) per un brano che illustra i suoi collegamenti con certa scena cantautorale americana acustica, ad esempio Ellis Paul che firma il brano con lui o Livingston Taylor che è un altro degli autori coinvolti in questo disco. E qui una certa affinità elettiva con Steve Forbert la sento. Ma The Stars & The Glitter è un altro di quei brani strani, forse adatti per dei singalongs dal vivo ma abbastanza incompiuta, più un intermezzo di un brano che una canzone compiuta, ritmo di marcia, harmonium e voce di gola ed è già finita. Non male Down The Wire con piano e tastiere in evidenza e qui ci siamo, qualcuno ha detto Billy Joel, esatto! Ma quello rocker, buono; breve interludio strumentale e siamo a Good Man, finalmente una bella ballata, con chitarra acustica, piano verticale, pedal steel d’ordinanza, cello e violino per colorare il suono, una intensità non fasulla e pomposa.

Avery è un altro di quei brani pop leggerini che gli vengono facili facili, per la gioia della sua casa discografica e delle fans di Blunt (che scrive anche lui dei brani non male, ogni tanto). Too Hard To Hold The Moon, nuovamente una bella ballata, questa volta pianistica, con crescendo finale alla Elton John, così completiamo le citazioni. Poppies On The Table è l’altro brano firmato con Ellis Paul, anche questa pianistica ma più mossa, con echi di entrambi i J più volte ricordati, e conferma che il ragazzo ha talento, magari non è originalissimo, ma chi lo è? Everything Beautiful è il brano scritto con il rappresentante della famiglia Taylor, quello meno conosciuto, Livingston, che è una buona penna, solo piano, voce e un tocco suggestivo di trombone e fiati nella seconda parte, a conferma che una certa classe c’è. I Am Only As Loved As I Am Open sempre con quell’harmonium che usa spesso non mi convince di nuovo, più che malinconica o evocativa è solo un po’ moscia. Più pregi che difetti comunque e un nuovo nome da tenere d’occhio e a portata di orecchio.

Bruno Conti    

Pianoforte E Vecchi Falsetti. Seth Glier – Things I Should Let You Knowultima modifica: 2013-02-05T11:47:11+01:00da bruno_conti
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