Un “Narratore” Di Blues. Doug Macleod – There’s A Time

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Doug MacLeod – There’s a Time – Reference Recordings

Doug MacLeod è un distinto signore che ad aprile compirà 67 primavere, capello e pelle bianchi, espressione seria e dignitosa, uno degli ultimi storytellers del Blues, diretto discendente dei bluesmen classici ma anche dei cantautori folk, quelli che hanno una storia da raccontare nelle proprie canzoni, basata su fatti di vita vissuta, esperienze quotidiane ma anche pescate dalle storie sentite in giro e riadattate secondo la sua sensibilità. Con una lunga gavetta alle spalle, raccontata anche nelle ricchissime note del libretto allegato a questo There’s A Time, il primo (secondo quello che dice lui stesso, ma poi nella discografia ne viene riportato un secondo, sia pure di una etichetta collegata) per la Reference Recordings, una storica etichetta di San Francisco, specializzata in classica e jazz, ma soprattutto di musica per audiofili (24-bit HCD recordings).

Tornando alla sua carriera, MacLeod si è fatto le ossa collaborando con gente come George ‘Harmonica” Smith, Eddie ‘Cleanhead’ Vinson, Lowell Fulson, Big Mama Thornton, veri monumenti del Blues, ma anche Albert King, Little Milton e Ike & Tina Turner, poi dal 1984 ha iniziato una trentennale carriera da solista, pubblicando da allora ben più di 20 album tra studio e live, un DVD didattico per chitarristi, visto che insegna anche e ha scritto oltre 300 canzoni che sono state interpretate da molti grandi musicisti, Dave Alvin, Albert Collins, Eva Cassidy, Son Seals, Joe Louis Walker, Chris Thomas King, Coco Montoya e moltissimi altri sono stati tra i suoi “clienti. Ha tenuto pure una rubrica sulla rivista Blues Revue e ha avuto anche un programma radiofonico. Un artista a tutto tondo, come si suole dire, ma soprattutto un bluesman puro e duro. A questo punto della recensione dovrebbero rimanere solo i veri appassionati di blues, perché soprattutto a loro è destinato questo disco: se in una classificazione generalista al CD dovremmo dare tre stellette (e quindi un onorevole 6, anche 6 e ½) in un ambito più specializzato, ovvero Blues, il disco si merita anche un bel 7. Non dico questo per precludere l’ascolto ai non appassionati, ma il disco per costoro potrebbe, come diceva il “finto” Sacchi a Mai Dire Gol, essere “un po’ ostico e persino agnostico”.

Registrato in trio, con la sua bella sezione ritmica, costituita da due veterani del genere come Jimi Bott alla batteria e Dennis Croy al contrabbasso (entrambi con una bella biografia riportata in quel corposo libretto di cui vi dicevo in precedenza), il disco ha comunque un approccio chiaramente acustico, Doug MacLeod si divide tra le sue tre chitarre, che hanno tutte un nomignolo, “Owl” la National semplice, “Moon” la National Reso-phonic e “Little Bit”, perché perde i pezzi, uno alla volta, la Gibson. Ce n’è anche una quarta, una National El Trovador a 12 corde, prestata per l’occasione e utilizzata in uno dei 13 brani dell’album, una complessa The Up Song, dove MacLeod si lancia anche in alcuni arditi falsetti oltre alle consuete linee intricate di chitarra che sfociano in un assolo breve (come di consueto) ma ricco di classe e ben supportato dalla notevole sezione ritmica. L’iniziale Rosa Lee, suonata sulla Reso-phonic ha quello stile strascicato tipico dell’approccio slide e, come tutte le altre, questo suono fantastico e ben definito, ottenuto negli studi di registrazione SkyWalker Sound di Marin County, Ca, dove l’album è stato registrato in presa diretta, live, con i tre musicisti schierati uno di fronte all’altro e con chitarra, basso e batteria che suonano con una precisione quasi chirurgica. Se vogliamo paragonarlo ad un bianco che fa questo genere (perché i neri costituiscono il cuore della musica), il primo che mi viene in mente, sia per l’approccio rigoroso che per il tipo di voce è il buon David Bromberg, che però si muove anche in altri stili e generi, o il John Hammond dei dischi dalle sonorità più acustiche.

Black Nights è un slow blues intensissimo suonato sulla Gibson Little Bit, con una tecnica e un feeling eccezionali e cantato con passione ed una voce rodata da migliaia di ore di concerti dal vivo, calda e di grande spessore tecnico, come l’eccellente I’ll Be Walking On che ha anche un sapore gospel. My Inlaws Are Outlaws, come dice lo stesso Doug nelle ricchissime note, è l’unico brano non basato su una storia vera ma la qualità della musica non ne risente. The Entitled Few, di nuovo alla National e in solitaria, il ritmo tenuto con il piede, racconta la storia di un finto handicappato che usava la sua tessera per trovare un parcheggio riservato (chissà perché mi ricorda qualcosa!) e da lì si dipana per un mezzo talking blues con “aiutino” di Memphis Slim per il verso finale. MacLeod non fa mistero che la sua musica utilizza anche pezzettini di altri, ma poi l’esecuzione è assolutamente personale. L’intricato fraseggio di A Ticket Out, con il basso di supporto, ci permette di gustare la sua tecnica sopraffina e quella voce notevole. Mi dilungo un po’ perche il disco merita, nella seconda parte un paio di brani, The Night Of The Devil’s Road, con una chitarra atmosferica e delle atmosfere rarefatte e maestose e Ghost, anche questa intensa ed arcana, sono quasi magiche mentre Dubb’s Tallkin’ Religion Blues, come da titolo, è parlata, ma spezza il ritmo e viene tirata troppo per le lunghe, probabilmente dal vivo ha un suo perché, ma su disco annoia un poco. Detto che Run With The Devil racconta la sua particolare versione dell’incontro con il diavolo all’incrocio fatidico ed è suonata nuovamente con la sua National dal suono incredibile, consiglio il disco soprattutto agli appassionati del Blues, che peraltro già conoscono ed apprezzano questo artigiano di gran classe, per “specialisti” e per “apprendisti”.

Bruno Conti

Un “Narratore” Di Blues. Doug Macleod – There’s A Timeultima modifica: 2013-03-17T10:33:00+01:00da bruno_conti
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