When The Music’s Over – Ray Manzarek 1939-2013

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Dopo una lunga battaglia con il cancro , ieri, a Rosenheim in Germania, all’età di 74 anni, è morto Ray Manzarek, il leggendario tastierista dei Doors!

Riposa in pace, la musica è finita!

Bruno Conti

Novità Di Maggio Parte V. Vampire Weekend, Carolyn Hester, Groundhogs, Huey Lewis, Mark Lanegan, Handsome Family

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Riprendiamo con la lista delle uscite principali del mese di maggio. A conferma del fatto che siamo in un mese ricco di CD interessanti (per i gusti del Blog) le ho divise in tre, forse quattro, differenti Post, senza dimenticare titoli specifici che hanno avuto o avranno la loro bella recensione ad hoc. Si tratta di uscite del periodo 14-21 maggio. Partiamo con i primi tre.

I Vampire Weekend approdano al terzo album della loro discografia, Modern Vampires Of The City, etichetta Xl, uscito il 14 maggio, sempre con ottime critiche. Ezra Koenig il loro leader è una sorta di novello ibrido tra Paul Simon e Brian Wilson, trasportato ai giorni nostri e inserito in una indie alternative band: il risultato è sempre molto fresco e piacevole, anche se per qualcuno un po’ ripetitivo, comunque bravi, insomma la buona musica la (ri)conoscono.

Mark Lanegan prosegue i suoi dischi di collaborazioni, questa volta con il pluristrumentista Duke Garwood (soprattutto alla chitarra) e Lanegan si “limita” a cantare, ma i risultati sono ottimi, più intimisti del solito (come ai tempi di Isobel Campbell), niente hard rock desertici o duri blues distorti,  soprattutto ballate “nere” e anche intermezzi e preludi chitarristici alla John Fahey. Uscito il 14 maggio per Ipecac/Heavenly/V2/Coop.

Honey Moon del 2009 tutto sommato era un bel disco, ma questo Wilderness ai primi ascolti sembra anche meglio, ai livelli delle cose migliori della Handsome Family, la coppia marito-moglie Brett & Rennie Sparks che si dividono musica e testi, come di consueto, suonano tutti gli strumenti e si fanno aiutare da qualche ospite: Stephen Dorocke al violino, Dave Gutierrez, chitarra, mandolino, pedal steel, Ted Jurney al basso e Jason Toth alle percusssioni. La etichetta è Carrot Top Records, Loose in Inghilterra, esce il 21 maggio con la solita miscellanea di alternative country, Americana, old time folk e murder ballads.

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Ne esiste anche una versione Deluxe Box set, libro + vinile, che vedete qui sopra.

 

Tre ristampe molto differenti tra loro ma comunque interessanti.

 

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Poteva mancare la ristampa Deluxe doppia per Sports di Huey Lewis & The News? Certo che no e quindi in occasione del 30° Anniversario dall’uscita la Universal che con l’acquisizione del catalogo EMI ha ora i diritti dei loro dischi, lo ripubblica in versione rimasterizzata e con un secondo dischetto che ripropone i 9 brani del disco in versione Live. Il loro mega successo come singolo, The Power Of Love, sarebbe apparso nella colonna sonora di Back To The Future e nella versione europea di Fore, ma Sports vendette all’epoca più di sette milioni di copie e dal disco furono estratti i singoli Heart & Soul, I Want A New Drug, The Heart Of Rock & Roll e If This Is It. Ed era pure un bel disco di rock, non con quell’orribile sound anni ’80. Nel 2010, con Soulsville, un omaggio alle loro radici erano tornati a fare buona musica, come potete verificare leggendo vecchie-glorie-3-huey-lewis-and-the-news-soulsville.html.

In questi giorni, con il trambusto creato intorno al “ritorno” della music folk dall’anteprima al Festival di Cannes del film sulla vita di Dave Van Ronk, realizzato dai fratelli Coen con il titolo Inside Llewyn Davis (che uscirà poi a dicembre, con relativa colonna sonora prodotta da T-Bone Burnett che potrebbe bissare il successo di O Brother Where Art Thou), cade a fagiuolo la ristampa di questo doppio CD dedicato alla musica di Carolyn Hester. Personaggio poco conosciuto all’interno della scena del Greenwich Village, è stata la prima moglie di Richard Farina, che poi avrebbe sposato la sorella di Joan Baez, Mimi. Peraltro la Hester cercò di fare mettere sotto contratto dalla Columbia Joan Baez, non riuscendoci, ma lei, tramite John Hammond, riuscì poi nell’intento con Bob Dylan, dopo avere a sua volta firmato un contratto con l’etichetta americana. Senza farla troppo lunga (ma magari ci torno in un’altra occasione, CD alla mano), una piccola etichetta inglese, la Jasmine Records, pubblica questo doppio CD, dal titolo illuminante, Introduces Bob Dylan, approfittando della legislazione europea che dopo 50 anni consente di pubblicare dischi di cui è scaduto il copyright. E quindi nel dischetto, ci sono i primi tre album della Hester, Scarlet Ribbons della Coral (1957) e due omonimi, uno del 1960 per la Tradition e uno del 1961 per la Columbia con Bob Dylan all’armonica. In totale però sono 52 brani, perché, con mossa astuta, l’etichetta ha aggiunto anche il primo album completo di Dylan, addirittura con 2 bonus tracks che erano uscite ai tempi solo come singolo. Il disco esce domani, a prezzo speciale, sul mercato inglese: secondo me, per evitare sorprese, tipo ritiro dal mercato, se interessati, conviene afffrettarsi. Non guasta che la Hester fosse una folkinger con una voce interessante, a cavallo tra la Baez e Judy Collins. Tra l’altro Carolyn è ancora in pista ed era presente al concerto per i 30 anni di carriera di Dylan al Madison Square Garden, cantando in coppia con Nanci Griffith Boots Of Spanish Leather. Magari non una scoperta sconvolgente come Karen Dalton ma da conoscere! In ogni caso questo è il contenuto:

Disc 1

CAROLYN HESTER
‘SCARLET RIBBONS’ – 1957
1. SCARLET RIBBONS (For Her Hair)
2. I KNOW WHERE I’M GOIN’
3. THE TEXAN BOYS
4. DANNY BOY
5. YE BANKS AND BRAES
6. THE WRECK OF THE OLD NINETY-SEVEN
7. BLACK IS THE COLOR OF MY TRUE LOVE’S HAIR
8. THE RIDDLE SONG (I Gave My Love a Cherry)
9. LOLLY TOO DUM
10. LITTLE WILLIE
11. HUSH-A-BYE
12. I WONDER AS I WANDER
‘CAROLYN HESTER’ – 1960
13. THE HOUSE OF THE RISING SUN
14. THE WATER IS WIDE
15. THE LORD
16. VIRGIN MARY (1961 Version)
17. LINDA CAPULLIO
18. GO WAY FROM MY WINDOW
19. SHE MOVES THROUGH THE FAIR
20. JAIME
21. LITTLE PIG
22. IF I HAD A RIBBON BOW
23. BLACKJACK OAK
24. MALAGUENA SALEROSA
25. SUMMERTIME

Disc 2

‘CAROLYN HESTER’ – 1962
1. I’LL FLY AWAY
2. WHEN JESUS LIVED IN GALILEE
3. LOS BIBLICOS
4. YARROW
5. DINK’S SONG (Fare Thee Well)
6. SWING AND TURN JUBILEE
7. ONCE I HAD A SWEETHEART
8. COME BACK, BABY
9. DEAR COMPANION
10. GALWAY SHAWL
11. POBRE DE MI
12. VIRGIN MARY (1962 Version)
‘BOB DYLAN’ – 1962
13. YOU’RE NO GOOD
14. TALKIN’ NEW YORK
15. IN MY TIME OF DYIN’
16. MAN OF CONSTANT SORROW
17. FIXIN’ TO DIE
18. PRETTY PEGGY-O
19. HIGHWAY 51
20. GOSPEL PLOW
21. BABY, LET ME FOLLOW YOU DOWN
22. HOUSE OF THE RISIN’ SUN
23. FREIGHT TRAIN BLUES
24. SONG TO WOODY
25. SEE THAT MY GRAVE IS KEPT CLEAN
BONUS TRACKS
26. MIXED UP CONFUSION
27. CORRINA, CORRINA

E questa è lei, sembra un po’ anche Jacqui McShee, almeno in questo brano…

E al Madison Square Garden, 30 anni dopo…

L’ultima ristampa è uno dei soliti cofanetti da 3 CD a prezzo speciale del vecchio catalogo EMI, questa volta tocca ai mitici Groundhogs di Tony S. McPhee (una specie di Peter Green più selvaggio), non il primissimo periodo di Bues Obituary,Thank Christ For The Bomb o Split, numero 5 nelle classifiche inglesi del 1971 (altri tempi!), e neppure del disco con il mio titolo preferito Who Will Save The World? The Mighty Groundhogs!, con in copertina i componenti della band vestiti da supereroi improbabili (avrei sempre voluto farmi salvare da loro), peraltro il tutto disegnato dalla Marvel Comics: questi, insieme a Scratching The Surface, il primo disco, li trovate nel triplo Thank Christ For The Goundhogs uscito nel 2010. E qui, ragazzi, parliamo di blues(rock) primevo ed non adulterato, grande musica. Split, divisa in quattro parti, durava più di 20 minuti.

Comunque, per festeggiare 50 anni di carriera, esce The United Artists Years (1972-1976), sempre in 3 CD che raccoglie il seguente materiale:

Disc  1

1.            I Love Miss Ogny (2013 – Remaster)

2.            You Had a Lesson (2013 – Remaster)

3.            The Ringmaster (2013 – Remaster)

4.            3744 James Road (2013 – Remaster)

5.            Sad Is the Hunter (2013 – Remaster)

6.            S’one Song (2013 – Remaster)

7.            Earth Shanty (2013 – Remaster)

8.            Mr Hooker, Sir John (2013 – Remaster)

9.            Split I (BBC in Concert, recorded at The Paris Theatre, 7 December 1972)

10.          I Love Miss Ogyny (BBC in Concert, recorded at The Paris Theatre, 7 December 1972)

11.          You Had a Lesson (BBC in Concert, recorded at The Paris Theatre, 7 December 1972)

12.          Earth Shanty (BBC in Concert, recorded at The Paris Theatre, 7 December 1972)

13.          3744 James Road (BBC in Concert, recorded at The Paris Theatre, 7 December 1972)

Disc  2

1.            Sad Is the Hunter (BBC in Concert, recorded at The Paris Theatre, 7 December 1972)

2.            Split II (BBC in Concert, recorded at The Paris Theatre, 7 December 1972)

3.            Split IV (BBC in Concert, recorded at The Paris Theatre, 7 December 1972)

4.            Cherry Red (BBC in Concert, recorded at The Paris Theatre, 7 December 1972)

5.            Ship On the Ocean (BBC in Concert, recorded at The Playhouse Theatre, 23 May 1974)

6.            I Love Miss Ogyny (BBC in Concert, recorded at The Playhouse Theatre, 23 May 1974)

7.            Split I (BBC in Concert, recorded at The Playhouse Theatre, 23 May 1974)

8.            Soldier (BBC in Concert, recorded at The Playhouse Theatre, 23 May 1974)

9.            Split II (BBC in Concert, recorded at The Playhouse Theatre, 23 May 1974)

10.          Live a Little Lady (7″ Edit) (2013 – Remaster)

Disc  3

1.            Crosscut Saw (2013 – Remaster)

2.            Promiscuity (2013 – Remaster)

3.            Boogie With Us (2013 – Remaster)

4.            Fulfillment (2013 – Remaster)

5.            Live a Little Lady (2013 – Remaster)

6.            Three Way Split (2013 – Remaster)

7.            Mean Mistreater (2013 – Remaster)

8.            Eleventh Hour (2013 – Remaster)

9.            Body Talk (2013 – Remaster)

10.          Fantasy Partner (2013 – Remaster)

11.          Live Right (2013 – Remaster)

12.          Country Blues (2013 – Remaster)

13.          Your Love Keeps Me Alive (2013 – Remaster)

14.          Friendzy (2013 – Remaster)

15.          Pastoral Future (2013 – Remaster)

16.          Black Diamond (2013 – Remaster)

Che sarebbero Hogwash, BBC In Concert doppio, Crosscut Saw e Black Diamond. Vai con le “marmotte”!

I primi album erano decisamente superiori, comunque ancora una grande band.

Per oggi è tutto, si prosegue domani.

Bruno Conti

Novità Dvd Maggio E Giugno: Get Up Stand Up, Legends Of The Canyon, Frank Zappa, Garbage, Neil Young & Crazy Horse

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Come già sapete, perché detto in altre pagine virtuali del Blog, il 4 giugno uscirà il box quadruplo di DVD dedicato ai Jethro Tull Around The World Live e l’11 giugno Rockshow dei Wings, ma nel frattempo, tra il 28 maggio e il 4 giugno sono in uscita alcuni altri video musicali (DVD e Blu-ray) molto interessanti.

Partiamo con Get Up! Stand Up!, un singolo DVD (ma anche doppio CD) che uscirà per la Eagle Rock il 28 maggio e che conterrà una selezione di materiale tratta dai vari concerti tenuti a favore di Amnesty International (e trasmessi solo in televisione) tra il 1986 e il 1998. La durata è 152 minuti e ci sono brani da A Conspiracy Of Hope del 1986, Human Rights Now del 1988, An Embrace Of Hope 1990 in Cile (Inti Illimani, Jackson Browne e Sinead O’Connor) e The Struggle Continues a Parigi nel 1998. Il contenuto completo, diviso per i vari concerti, lo leggete qui sotto:

From “A Conspiracy Of Hope” (1986)
1) Bob Geldof & Steven Van Zandt – Redemption Song 2) Third World – Now That We’ve Found Love 3) Joan Armatrading – Love And Affection 4) Ruben Blades (with Carlos Santana & Fela Kuti) – Muevete 5) Miles Davis – Speak / That’s What Happened 6) Lou Reed – Walk On The Wild Side 7) Peter Gabriel – Shock The Monkey 8) Bryan Adams – Run To You 9) Bryan Adams – Summer Of ’69 10) U2 – MLK / Pride (In The Name Of Love) 11) U2 – Sunday Bloody Sunday 12) The Police – Message In A Bottle 13) The Police – Every Breath You Take

From “Human Rights Now!” (1988)
14) Tracy Chapman – Talkin’ ’bout A Revolution 15) Peter Gabriel – Sledgehammer 16) Sting – Don’t Stand So Close To Me 17) Bruce Springsteen & The E Street Band – Born In The USA 18) Bruce Springsteen & The E Street Band – I’m On Fire

From “An Embrace Of Hope” (1990)
19) Inti-Illimani – Bailando, Bailando 20) Wynton Marsalis – Jungle Blues 21) Jackson Browne – Lives In The Balance 22) Sinead O’Connor – Nothing Compares 2 U

From “The Struggle Continues” (1998)
23) Bruce Springsteen – No Surrender 24) Tracy Chapman – Fast Car 25) Alanis Morissette – Hand In My Pocket 26) Peter Gabriel & Youssou N’Dour – Shaking The Tree 27) Jimmy Page & Robert Plant – Rock And Roll 28) Radiohead – Karma Police 29) Radiohead – Bones 30) Bruce Springsteen, Peter Gabriel, Tracy Chapman & Youssou N’Dour – Get Up, Stand Up

Tenete presente che per ottobre/novembre, quindi il periodo natalizio, Amnesty annuncia un cofanetto che dovrebbe contenere tutti i concerti dell’Human Rights Tour del 1988 di cui quest’anno si festeggia il 25° Anniversario, anche se mi pare strano perché le date di quel tour sono state venti, quindi dovrebbe trattarsi di un box megagalattico (si parlerebbe di quattro concerti però) ma mai dire mai. Gli headliners erano Springsteen, Sting, Peter Gabriel, Tracy Chapman e Youssou n’Dour con vari altri artisti che si aggiungevano nei differenti paesi. Vedremo, quando avrò ulteriori notizie, come sempre, vi terrò informati. Per il momento esce questo, che è anche a prezzo speciale (la versione giapponese, in 2 DVD e 3 CD, contiene 68 brani)!

Nel 2010, per il mercato americano, quindi Zona 1, era già uscito quel DVD Legends Of The Canyon, che vedete effigiato sopra. Ora (il 28 maggio), la Universal, su etichetta Fontana, lo rende disponibile anche per il mercato europeo (ed italiano, dove però non uscirà il Blu-Ray). Si tratta di un documentario con la regia di Jon Brewer di circa 110 minuti che, attraverso filmati ed interviste, racconta la storia della musica che si realizzava nel leggendario Laurel Canyon tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70. I nomi, Crosby, Stills & Nash, Mamas and Papas, Buffalo Springfield, Joni Mitchell, Byrds, Neil Young, America (ed altri), sono quelli che si vedono sulla copertina del DVD: in questa nuova versione Director’s Cut doppia, è stato aggiunto un secondo dischetto, con materiale raro ed inedito tratto dagli archivi di Henry Diltz, leggendario fotografo ed amico di tutti i musicisti presenti nel film, che è anche la voce narrante del documentario. Detto che il regista è lo stesso dell’ottimo B.B. King – The Life Of Riley, non aspettatevi mirabilie dal secondo DVD, quello degli extra, che contiene filmati inediti a 8 mm (ma muti) di Crosby, Stills, Nash & Joni Mitchell a Big Bear, CSNY al Balboa Stadium (spero con audio), Stephen Stills nel Regno Unito (sempre muto) e nell’Oklahoma Tour (non meglio identificato bootleg footage), i Byrds al Troubadour di Los Angeles, materiale esclusivo girato a Woodstock da Diltz, oltre a moltissime foto ed interviste ai protagonisti di quel periodo. Comunque interessante e rispettabile anche il contenuto del DVD extra.

Altra scoperta interessante è questo A Token Of His Extreme di Frank Zappa, già uscito in edizioni più o meno legali, ma che ora vede la luce a livello ufficiale, con qualità audi/video eccellente per la Eagle Rock, tra il 28 maggio e il 4 giugno, a seconda dei paesi. Si tratta di un concerto dell’epoca d’oro di Zappa, 27 agosto 1974 al KCET a Hollywood, con questa formazione:

Frank Zappa guitar, percussion, vocals; George Duke keyboards, finger cymbals, tambourine, vocals; Napoleon Murphy Brock sax, vocals; Ruth Underwood percussion; Tom Fowler bass; Chester Thompson drums.

E questi i brani eseguiti nell’occasione:

1/2) The Dog Breath Variations/ Uncle Meat 3) Montana 4) Earl Of Duke (George Duke) 5) Florentine Pogen 6) Stink-Foot 7) Pygmy Twylyte 8) Room Service 9) Inca Roads 10/11) Oh No/ Son Of Orange County 12) More Trouble Every Day 13) A Token Of My Extreme

Per i fans dei Garbage sempre la Eagle Rock (la casa più attiva per i DVD relativi a concerti) pubblica il 28 maggio One Mile…High, il concerto tenuto all’Ogden Theatre di Denver, Colorado nell’ottobre 2012, con questo contenuto:

TRACKLIST 1) Automatic System Habit 2) I Think I m Paranoid 3) Shut Your Mouth 4) Why Do You Love Me 5) Queer 6) Stupid Girl 7) Hammering In My Head 8) Control 9) #1 Crush 10) Cherry Lips 11) Big Bright World 12) Blood For Poppies 13) Special 14) Milk 15) Battle In Me 16) Push It 17) Only Happy When It Rains 18) Supervixen 19) The Trick Is To Keep Breathing 20) Vow 21) Time Will Destroy Everything (End Credits)

E per finire, esce anche in Europa, a livello ufficiale (?) per la Fabulous Films, il DVD del film di Jim Jarmusch dedicato a Neil Young & Crazy Horse, Year Of The Horse, relativo al tour del 1996 ma anche con materiale di archivio tratto dal film Muddy Track del noto regista Bernard Sharkey che è quello che Neil Young vede alla mattina di fronte, nello specchio. Pochi brani, ma molto lunghi:

1. @#$%^&* Up 2. Slip Away 3. Barstool Blues 4. Stupid Girl 5. Big Time 6. Tonight’s the Night 7. Sedan Delivery 8. My Girl 9. Like a Hurricane 10. Music Arcade

Il DVD in tutto dura 106 minuti ed esce il 4 giugno e come bonus (rispetto alla vecchia VHS) dovrebbe contenere delle “fantastiche interviste”. Scusate l’ironia, ma ogni tanto il vecchio Neil te la ispira.

Per i video è tutto: dal vostro Bruno “Breadcrump” (Mollica, un parente alla lontana, spero più informato), un saluto e alla prossima.

Bruno Conti

Reload – Sono Solo Tre Parole: Gran Bel Disco. Beth Hart & Joe Bonamassa – Seesaw

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Beth Hart & Joe Bonamassa – Seesaw –  Mascot/Provogue 21-05-2013

Questa recensione era apparsa sul Blog all’incirca un mese fa, ma ora, nell’imminenza dell’uscita, il prossimo martedì, la ripropongo per chi non l’aveva letta o, giustamente, l’ha dimenticata. Il disco merita, è uno dei migliori di questo scorcio di stagione: confermo i musicisti e gli autori ed interpreti dei brani originali.Ho anche aggiunto dei video che nel frattempo si sono resi disponibili.

Per avere un incipit di “classe” ormai è usanza citare qualche estratto dal “Paradiso perduto” di Milton o dal Siddharta, oppure fare riferimento all’opera di registi o scrittori emergenti, meglio se oscuri, ma trattandosi di canzonette, come era solito dire quel chirurgo e chansonnier milanese, o se preferite It’s Only Rock and Roll, dall’opera dei Glimmer Twins, noti maestri di pensiero, preferisco aprire questa recensione con una citazione colta (?!?) mutuata da un tormentone di qualche estate orsono, “Sono solo tre parole”: gran bel disco. Perché anche questo secondo capitolo della collaborazione tra Beth Hart e Joe Bonamassa ruota intorno ad un ingrediente indispensabile per fare della buona musica: le canzoni, meglio se belle e durature nel tempo. In Don’t explain, la fatica precedente, ce ne erano parecchie, direi quasi tutte, e anche in questo nuovo Seesaw la coppia è andata pescare nel songbook internazionale con un mix di brani celebri e proposte inconsuete. Il risultato è assolutamente garantito. Prendete una cantante “esagerata” ma dotata di gran classe e con una voce fantastica – probabilmente anche lei, da piccina, come Van Morrison, ha inavvertitamente inghiottito un microfono e le è rimasta questa voce incredibile, tra le più potenti ed espressive in circolazione al momento, come posso testimoniare di persona, avendola vista recentemente nella sua unica data a Milano – di nome fa Beth Hart e viene dalla California, lui, Joe Bonamassa, è un chitarrista con una tecnica incredibile, in grado di spaziare dall’hard rock più selvaggio al Blues, dalla musica acustica al funky jazz, passando, come in questo album, per il soul, il jazz classico e la canzone d’autore, con una facilità disarmante.

Premetto che sto ascoltando questo album in netto anticipo sulla sua data di uscita e quindi non ho nessuna informazione sulle note relative a musicisti, produttori, autori dei brani e quant’altro (nel frattempo però ho recuperato i musicisti: Anton Fig (drums, percussion), Blondie Chaplin (guitar), e Carmine Rojas (bass), Arlan Schierbaum (keyboards), Lenny Castro percussion e Michael Rhodes basso in I’ll Love You More Than You’ll Ever Know, produce Kevin Shirley, registrato a gennaio in California), ma le orecchie per sentire ce le ho e quello che sto ascoltando mi piace, e non poco. Il disco precedente aveva una qualità media molto elevata, con una punta di eccellenza nella cover incredibile di I’d Rather Go Blind (ripresa dal vivo anche con Jeff Beck al tributo a Buddy Guy, ma che a Milano, purtroppo, non ha eseguito, concerto bellissimo comunque), cantata in modo sublime dalla Hart. Nel nuovo album la prima cosa che salta all’occhio, o meglio all’orecchio, è la presenza costante dei fiati che aggiungono ulteriore vivacità ad un sound che pesca molto dai classici e lo fa in modo brillante ma rispettoso della tradizione.

Prendiamo l’iniziale Them There Eyes, l’immancabile omaggio all’arte della inarrivabile Billie Holiday (già rivisitata nel precedente album con la title-track): in un tripudio swingante di fiati Beth estrae dal cilindro una “vocina” maliziosa ed ammiccante, mentre Bonamassa fa il Les Paul o il Charlie Christian della situazione, con una chitarra ad impatto zero ed il risultato è divertente e divertito, con i musicisti che godono della loro complicità. Close To My Fire è una scelta spiazzante, si tratta di un brano scritto da due DJ tedeschi, tali Slackwax e salito agli onori della cronaca per uno spot di una nota marca di automobili tedesche un paio di anni fa, questa versione sembra presa di sana pianta dagli anni d’oro del R&B e del soul, arrangiamento con fiati all’unisono, chitarrina old fashioned, la solita voce piena di confidenza, misurata ma al contempo libera di esprimere la sua gioia di cantare (il tratto più evidente della personalità della Hart), una canzoncina semplice semplice ma che non puoi fare a meno di apprezzare proprio per questo.

Quando partono le prime note di Nutbush Bush City Limits e soprattutto l’attacco della voce, non si può evitare, ancora una volta, di meravigliarsi della potenza vocale di questa cantante, che fa impallidire anche quella di una Tina Turner dei tempi d’oro e Bonamassa comincia a scaldare le corde della sua chitarra mentre tutto il gruppo, fiati e voci di supporto incluse, infiamma questa poderosa esecuzione. Per il primo album dei Blood, Sweat & Tears, Child Is Father To The Man, Al Kooper scrisse una bellissima slow ballad con uso di fiati, I Love You More Than You’ll Ever Know, un blues atmosferico (famoso anche nella interpretazione di Donny Hathaway) che si adatta come un vecchio calzino (citazione claptoniana) alla voce e alla chitarra della coppia in questione, una versione di grande spessore con la Hart a livelli stratosferici, che voce ragazzi e che interpretazione (lei dice che l’ha riscoperta tramite Amy Winehouse che spesso la cantava dal vivo)! Versione sontuosa anche per un brano di Lucinda Williams, una Can’t Let Go che diventa un blues a trazione slide con Bonamassa a fare il Ry Cooder della situazione e una fisarmonica (Arlan Schierbaum?) a spalleggiarlo in modo adeguato, mentre Beth canta come se lo spirito di Bonnie Raitt si fosse impossessato del suo corpo ma non delle corde vocali, che sono in piena forma jopliniana. Miss Lady è un tiratissimo rock-blues con i fiati di Buddy Miles dove Bonamassa fa i numeri con il wah-wah mentre If I Tell You I Love You è un nuovo incontro con il repertorio vagamente valzer musette di Melody Gardot, una fisarmonica e il cantato mitteleuropeo rievocano paragoni con la grande irlandese Mary Coughlan.

Rhymes, dal repertorio di Al Green e nuovamente Etta James, diventa un altro potente brano rock-blues, sia pure screziato da fiati soul, e con un sound vocale molto à la Delaney & Bonnie o Tedeschi Trucks Band con Bonamassa che per una volta non si trattiene. Prosegue la accoppiata soul e rock, dove la voce di Beth Hart ha modo di splendere: prima una A Sunday Kind Of Love dal repertorio di Etta James, misurata e splendida e poi un salto ad ugola spianata nel repertorio della Queen Of Soul, con una Seesaw scritta da Clarence Carter ma che tutti ricordiamo nella versione di Aretha Franklin, con Bonamassa che fa il Clapton o il Duane Allman della situazione. Conclude uno splendido disco la versione deliziosa di uno dei classici della canzone all time, la seconda interpretazione di un brano di Billie Holiday presente nel CD, l’immortale Strange Fruit, proprio in un disco dove la Canzone con la C maiuscola è la protagonista e la voce della Hart si conferma come delle più credibili dell’attuale panorama musicale, se ben accompagnata, una delle poche in grado di reggere i paragoni con le grandi del passato!

Ci sarà anche la solita versione Deluxe con il DVD con Making Of di oltre 40 minuti e tre video di Nutbush, Rhymes e Strange Fruit, poi a giugno la coppia farà un mini tour europeo e in Olanda le due date verranno incise per un futuro CD/DVD Live  (per non abbassare, giustamente, la media di uscite di Joe Bonamassa)!

Bruno Conti     

Meglio Tardi Che Mai! Steve Earle & The Dukes (& Duchesses) – The Low Highway

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Steve Earle – The Low Highway – New West Records 2013 – Deluxe Edition CD/DVD

Per un disguido con il titolare di questo pregevole blog (Bruno), colpevolmente mi accingo a parlarvi solo ora di questo The Low Highway, quindicesimo lavoro nella ormai quasi trentennale carriera discografica di Steve Earle. Originario della Virginia, ma cresciuto a San Antonio, Texas, Earle è certamente uno dei più importanti nomi della scena country-rock-roots americana. Il suo stile musicale, per i pochi che ancora (spero) non lo conoscono, si collega ai grandi della canzone di Nashville, in special modo al compianto Johnny Cash (alle origini), ma successivamente si “abbevera” da rocker come Fogerty, Mellencamp e naturalmente Springsteen. Il buon Steve aveva cominciato a suonare intorno ai vent’anni (apparendo già nel 1975 nel famoso film Heartworn Highways, a fianco di Townes Van Zandt, Guy Clark e dei giovani, come lui, Rodney Crowell e John Hiatt) e ad esibirsi poi con un proprio gruppo, The Dukes (ancora oggi la sua backing band), e nel lontano ’86 firmava per la famosa MCA, esordendo con Guitar Town (ma prima erano uscite le prime registrazioni come Early Tracks), cui fa seguito uno dei suoi capolavori, Copperhead Road (88) che annovera fra gli ospiti i Pogues dello “sdentato” Shane MacGowan ela brava Maria McKee.

Nel successivo decennio accentua la sua inclinazione per il rock con The Hard Way (90), centrando il bersaglio nuovamente con il magnifico live Shut Up And Die Like An Aviator (91), dove oltre ai suoi classici, rivisita Dead Flowers dei Rolling Stones, She’s About A Mover del Sir Douglas Quintet e Blue Yodel # 9 di Jimmie Rodgers, regalando un “sound” di purissimo rock americano (per merito anche dei fidi Dukes). In seguito incappa in un brutto periodo artistico e personale e viene arrestato per tentata rapina a mano armata (indotta dall’incessante bisogno di denaro per droga e alcol), e passa più di un anno in carcere. Il ritorno discografico avviene con Train A Comin’ (95), un album totalmente acustico, mentre la sua ritrovata vena artistica è confermata anche dal seguente I Feel Alright (96) dove spicca You’re Still Standin’ There in duetto con la grande Lucinda Williams. Con The Mountain (99, realizzato con l’ensemble bluegrass della Del McCoury Band, inizia il decennio folk-rock, che trova l’apice nel seguente Transcedental Blues (2000) e in particolare con Jerusalem (2002) e The Revolution Starts Now (2004) dai forti contenuti politici e saltiamo gli ultimi dieci anni per non farla troppo lunga, ma Townes, il doveroso tributo al suo mentore almeno una citazione la merita!

Questo The Low Highway prodotto dallo stesso Earle con Ray Kennedy, vede il determinante apporto dei nuovi Dukes (Chris Masterson alle chitarre e pedal steel, Will Rigby alla batteria, Kelley Looney al basso) e una nutrita rappresentanza femminile, le cosiddette Duchesses, la moglie Allison Moorer alle tastiere, fisarmonica e voce, Eleanor Whitmore moglie di Chris (ovvero The Mastersons) al violino e mandolino, e Lucia Micarelli e Siobhan Kennedy (moglie del produttore) alle armonie vocali, e il disco ci riconsegna un cantautore ancora in grado di scrivere grandi canzoni, partendo dall’iniziale title track The Low Highway, dal folk blues della conclusiva Remember Me, prima di spaziare con disinvoltura fra il rock di 21st Century Blues, il country di Down The Road Pt II, il blues-rock di Calico County, per poi passare alla fisarmonica zydeco di That All You Got? (in duetto con la moglie) al piano old-style di Pocket Full Of Rain, al trascinante violino irlandese e banjo nel bluegrass di Warren Hellman’s Banjo, e riproponendo Love’s Gonna Blow My Way e After Mardi Gras, brani comparsi nella serie televisiva americana Treme (ambientata nella New Orleans post Katrina), il secondo scritto proprio per Lucia Micarelli, anche ottima violinista classica e presente con lui nel tributo a Dylan per Amnesty, Chimes of Freedom.

Steve Earle (58 anni, sette mogli e tre figli se non ho perso il conto), nonostante una vita vissuta sempre sopra le righe (la dipendenza dalla droga, gli arresti, la detenzione e una difficile e sofferta disintossicazione), di album davvero sbagliati non ne ha mai fatti, e in questo The Low Highway c’è materiale a sufficienza per confermarlo come uno dei personaggi più rappresentativi  della musica “Americana” degli ultimi trent’anni.

Tino Montanari

*NDT: Questa Deluxe Edition, esce, come al solito in una versione ampliata con il DVD che include il “making of” del disco e il video di Invisible. 

E Dopo I Chitarristi Una “Pioggia” Di Armonicisti – Remembering Little Walter

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Various Artists – Remembering Little Walter – Blind Pig Records 

Il dibattito su chi sia stato il più grande armonicista nella storia del Blues è ancora aperto, ma quasi tutti convengono che Marion Walter Jacobs, per la storia Little Walter, sia il candidato più accreditato. E’ sempre difficile fare graduatorie, ma se Jimi Hendrix vince, giustamente, tutte quelle in cui si parla di chitarra elettrica, Little Walter, uno dei primi ad elettrificare il suo strumento nella Chicago del dopoguerra e ad avere quel suono quasi da sassofono, una sorta di Charlie Parker del blues, per citare un altro che ha avuto una influenza incredibile sulla musica del ventesimo secolo, vince quella del più piccolo strumento a fiato (importante). Senza stare a farla troppo lunga, anche Walter (Little per non confonderlo con Big Walter Horton, venuto poco prima di lui e che molti considerano il più grande come tecnica pura allo strumento e ricordando anche i Sonny Boy Williamson, tra le influenze di Jacobs) si pone tra gli innovatori perché oltre a usare semplicemente l’amplificazione, come facevano altri, l’aveva fatta diventare uno strumento in sé, come era stato per Jimi con la chitarra, lavorare a volumi altissimi (per l’epoca) concedeva possibilità che altri non avevano saputo sfruttare.

Nato a Marksville, Lousiana Little Walter era già a Chicago nel primissimo dopoguerra, 1945, e nel 1948 entrava a far parte della band di Muddy Waters. Dopo poco più di venti anni vissuti pericolosamente, il 15 febbraio del 1968 moriva per le conseguenze di una rissa avvenuta la sera prima in un locale di Chicago (probabilmente l’ultima di una serie che si sommò ad altre avvenute in precedenza): non aveva ancora compiuto 38 anni. Jacobs, oltre ad essere stato “l’armonicista” per eccellenza, era anche un ottimo cantante ed autore e ha realizzato, oltre alle innumerevoli collaborazioni, anche una serie di album e canzoni a nome proprio. Per l’occasione di questo tributo, Remembering Little Walter, Mark Hummel ha radunato un gruppo di armonicisti che sono alcuni tra i migliori ancora in attività (direi che mancano James Cotton e Kim Wilson, così a occhio, tra i top players), ma non essendo un raduno degli alpini e suonando tutti i musicisti nella stessa occasione e non in una serie di registrazioni in diverse date, possiamo ritenerci più che soddisfatti per gli artisti presenti.

In quella serata del dicembre 2012 all’Anthology di San Diego, in aggiunta al citato Hummel ci sono Charlie Musselwhite, Billy Boy Arnold, Sugar Ray Norcia, James Harman e (Little) Charlie Baty, che oltre ad essere uno dei chitarristi della serata si cimenta anche all’armonica, Nathan James dei Rhythm Scratchers (che non conosco benissimo, ma prima era con Harman)) è l’altra chitarra (quella con la forma à la Bo Diddley), Jun Core il batterista,viene dalla band di Musselwhite e il bassista, RW Grigsby suona nei Blues Survivors di Hummel. Un gruppo compatto e solido e poi naturalmente, armonicisti come piovesse, 5+1 per la precisione. Prevalgono i bianchi,ma non è una critica, una semplice constatazione, sette bianchi, due neri e uno “abbronzato”, come ha detto qualcuno di nostra conoscenza, il risultato è più che soddisfacente, direi ottimo. Scorrono molti dei cavalli di battaglia di Jacobs: si parte con una I Got To Go dove il primo dei solisti a prendere il centro della scena è Mark Hummel, e via con i primi assolo, che peraltro sono il motivo di questa serata e quindi aspettiamone tanti. Poi è il turno di Charlie Musselwhite, con la lunga ed intensa Just A feeling, una delle migliori del concerto. Billy Boy Arnold, con una travolgente You’re So Fine, dimostra di essere ancora in grande forma, sia vocale che allo strumento e anche James Harman non scherza, con una vibrante It’s Loo Late Brother, uno dei pochi brani che non porta la firma di Little Walter.

Mean Old Frisco, uno dei preferiti di Eric Clapton, grande estimatore, che ricorda nelle note che “Little Walter è stato una molto, molto potente influenza sulla mia musica”, chiude il primo giro, nell’interpretazione di Sugar Ray Norcia. Si riparte con una ondeggiante e tipica One Of These Morning affidata a Charlie Musselwhite, che a dispetto dei quasi 70 anni è sempre in gran forma (ma non dimentichiamo che il decano della serata, Billy Boy Arnold va per i 78, e non si direbbe). A seguire una riflessiva e delicata Blue Light “pennellata” da un ottimo Hummel, con la sua armonica che riverbera dalle casse dell’impianto in questo favoloso brano strumentale e da Crazy Mixed Up World, uno dei due brani firmati da Willie Dixon, con James Harman che guida con brio il manipolo di musicisti. Up The Line di Sugar Ray Norcia è una di quelle con i tempi più “strani” ma sempre compatibile con il classico electric Chicago Blues della serata. Ancora un grande Arnold con Can’t Hold Out Much Longer che ricordo su 461 Ocean Boulevard di Clapton e poi, tutti insieme appassionatamente, per una corale My Babe, l’altro brano di Dixon, che era la canzone più famosa di Little Walter, sei assolo, dicasi sei, in sequenza, per un gran finale di un ottimo disco, super consigliato agli aficionados dell’armonica ma, in generale, per tutti gli amanti del Blues classico.

Bruno Conti 

Epigoni Canadesi. Matt Mays – Coyote

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Matt Mays – Coyote – Sonic Records/Warner Canada

Matt Mays è un onesto e vibrante cantautore e rocker canadese, questo Coyote è il suo quinto album, nel nativo Canada è già uscito da alcuni mesi e nella primavera Mays è andato negli States a promuoverlo, come opening act per i Gaslight Anthem. Forse, anzi sicuramente, non è uno di quelli di prima fascia, ma dalle canzoni di Coyote si percepisce una capacità di scrittura quasi innata, un amore per il rock classico e per la musica della sua terra, Neil Young in primis, quando le chitarre sono lasciate libere di viaggiare. Anche le influenze della musica californiana, West Coast e rock sono presenti, come è stato per altri suoi compatrioti che lo hanno preceduto.

Il disco è stato concepito e realizzato tra Canada, Stati Uniti (New York) e Messico e si lascia ascoltare con grande piacere. Accompagnato da una piccola pattuglia di musicisti che lo seguono fedelmente da alcuni anni, Matt Mays si destreggia con uguale abilità tra pezzi rock come l’iniziale Indio che ha quel sound tipicamente 70’s del rock californiano più classico, tornato di moda con Jonathan Wilson, i Dawes e molti altri gruppi della Bay Area, chitarre spiegate, ritmi serrati, belle armonie vocali, tastiere appena accennate, un pizzico di psichedelia morbida e qualche tocco di latin rock che lo avvicina più a Stills che a Young, ma le coordinate sonore sono quelle. Airstrike è un breve intermezzo psicofunky tra chitarre e percussioni che introduce la sinuosa Ain’t That The Truth dove acustiche e organo cercano di farsi largo tra le elettriche e il cantato riverberato di Mays che ha un che di epico nel suo svilupparsi. Take It On Faith, altro singolo potenziale come la precedente, è tipicamente alla Neil Young, fino alle pieghe più recondite dell’assolo di chitarra, che viene dai dischi del canadese con i Crazy Horse, la classe è minore ma la grinta non manca. Come nel caso di Jonathan Wilson anche Matt Mays deve avere una passione nascosta per i Pink Floyd più acustici, l’inizio sembra preso da Wish You Were Here, ma anche il country-rock cosmico, ben rappresentato dalla pedal steel avvolgente, ha un suo perché in Loveless, bella ballata dolente.

Dull Knife ha di nuovo il groove tipico dei brani di Young, questa volta quelli mid-tempo e scanditi tipici del Neil di metà anni ’70, On the beach e Zuma, e anche se la voce è diversa, ricca di echi e “doppiata”, ci sono punti in comune, piccolo tocco di genio nel solo in punta di wah-wah, molto suggestivo. Drop The Bombs, fin dal titolo, ha quel pizzico di rock sound alla U2, ma non convince troppo, Rochambo è un altro di quei brevi intermezzi sperimentali che Mays semina nel disco, ma non ha molto senso, spezza solo il ritmo. Slow Burning Luck è viceversa un altro bel brano rock, ricco di grinta e di belle armonie, mi ha ricordato i brani dei primi BoDeans o del T-Bone Burnett cosmico dell’Alpha band, altri hanno intravisto qualcosa dei Blue Rodeo, non male comunque, anche se una bella coda chitarristica ci sarebbe stata bene, magari dal vivo.

Nuovamente un breve intermezzo, questa volta alla Beatles dell’album Bianco, meno di due minuti per una “strana” Madre e Padre che precede un’altra bella canzone come Zita , rock solare alla Fleetwood Mac targati Buckingham. Fresca e divertente anche Stoned, tipicamente da highway, questa sì, per il sottoscritto, tra Blue Rodeo e il Tom Petty solo, con un breve break di armonica molto pertinente. Armonica che rimane anche per la successiva Queen Of Portland Street,un brano acustico cantato molto bene da Mays che non sempre mi persuade nelle sue evoluzioni vocali, ma in questo brano ha la giusta convinzione e il tono più appropriato, che dire, bella! Chase The Light, nuovamente con una chitarra acustica appena accennata, una pedal steel di supporto e poco altro, è una folk ballad semplice semplice ma di grande fascino e conclude degnamente un album che gli amanti del buon rock apprezzeranno.

Bruno Conti       

Finalmente Un Disco Come Si Deve! Deep Purple – Now What?!

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Deep Purple – Now What ?! – EarMusic CD/DVD

Uno degli eventi dell’anno, almeno per gli appassionati di quello che ultimamente viene definito Classic Rock, è indubbiamente il nuovo album di studio dei Deep Purple, a ben otto anni da Rapture Of The Deep.

Bisogna innanzitutto dire che c’era un po’ di scetticismo sulla reale capacità della storica band inglese di sfornare ancora canzoni degne di essere pubblicate, specie dopo che gli unici due lavori del nuovo secolo, Bananas e appunto Rapture Of The Deep, erano forse gli episodi più scadenti della loro discografia, insieme a The House Of Blue Light del 1986 (non considero l’album del 1990 Slaves And Masters, in quanto più che un brutto disco dei Deep Purple era un discreto disco dei Rainbow): i Purple stessi sembravano poco convinti, almeno fino ad un anno fa, di rientrare in studio e mettersi di nuovo in gioco, ed il titolo del nuovo CD, Now What?!, ironizza sulle richieste che venivano fatte in continuazione alla band circa i progetti futuri.

Le prime avvisaglie che le cose potevano andare per il verso giusto si sono avute quando è stato svelato il nome del produttore: Bob Ezrin è una specie di leggenda per certo tipo di musica, ha lavorato, tra gli altri, con Lou Reed, Alice Cooper, Kiss e Pink Floyd, ed è uno che difficilmente produce delle ciofeche. Ebbene, credeteci o no, Now What?! è un gran bel disco, ispirato, potente, con il classico Purple-sound che esce da ogni nota, dove quasi tutto funziona a meraviglia (un solo brano brutto su undici, dodici nell’immancabile edizione deluxe, è una bella media dopo 46 anni di carriera). Un disco non certo inferiore ai primi due del periodo post-Blackmore (Purpendicular ed Abandon), ma forse addirittura un gradino sopra: la cosa più stupefacente, dato che il manico dei cinque nel suonare e la perizia di Ezrin li davo per scontati, è la bontà delle canzoni, particolare fondamentale per fare un bel disco, ma abbastanza latitante negli ultimi lavori del gruppo.

Sul fatto che Ian Paice (unico membro originale rimasto, anche se per tutti i veri Purple sono quelli del Mark II) e Roger Glover fossero ancora due macigni non c’erano dubbi, come non ce n’erano sulla bravura e sulla tecnica di Steve Morse (anche se per me il chitarrista dei Deep Purple rimarrà sempre Blackmore), mentre a stupire è la forma di Ian Gillan, anche se tirate alla Child In Time non se le può più permettere da anni, e soprattutto il tastierista Don Airey, sostituto di Jon Lord (a cui il disco è dedicato) dal 2002. Si sa che Airey non è un pivellino, ha suonato con mezzo mondo (Whitesnake, Black Sabbath, Rainbow, Jethro Tull, iniziando negli Hammer con Cozy Powell e nei Colosseum II), ma che riuscisse a non far rimpiangere Lord non pensavo: il suo organo è il protagonista assoluto di quasi tutti i brani, dando al disco un sapore classico e deliziosamente retrò, come se la scomparsa di Lord avvenuta lo scorso anno lo avesse ispirato in maniera decisiva.

Che le cose siano cambiate in meglio lo si intuisce dalle prime note di A Simple Song: intro di grande atmosfera a base di organo, seguito da un assolo di chitarra molto melodioso, poi arriva Gillan ed inizia a cantare in maniera chiara, sillabando le parole; una pausa ed il brano esplode, diventando una rock song tipica (con Airey che inizia a fare i numeri), per terminare ancora lenta, come era iniziata. Peccato che arrivi subito Weirdistan a rovinare tutto: è l’unico brano brutto di cui parlavo prima, una canzone confusa, priva di una melodia vera e propria, nel quale l’impegno dei cinque non basta; meglio la lunga Out Of Hand, che richiama da vicino il classico suono anni settanta, un po’ di autocitazione non fa mai male e comunque dai Purple questo ci si aspetta (Morse qua fa sentire di sapere una cosa o due in fatto di chitarra). Hell To Pay è un ottimo rock’n’roll, diretto, solido, immediato, con Morse ancora protagonista con un assolo formidabile e blackmoriano (ed Airey che, sfidato a duello, risponde per le rime), mentre Body Line è un rock blues tosto e grintoso, con Gillan lucido ed il gruppo che lo segue a memoria: il disco cresce di brano in brano, e Weirdistan è solo un ricordo.

Above And Beyond inizia con un mood cupo, con Don che prosegue la sua eccellente prestazione, Gillan entra solo dopo un paio di minuti, ma non fatica a mettersi alla pari con gli altri: il brano ha quasi accenti folk nella melodia, anche se l’accompagnamento è 100% Purple. Blood From A Stone è un lento di gran classe, notturno e bluesato, un brano atipico ma riuscito, cantato da Ian in maniera insinuante e con Steve che schitarra alla grande; un altro lungo assolo di Morse introduce Uncommon Man, un’altra rock song di grande impatto, anche se qui l’interpretazione di Gillan è forse un po’ piatta. La solida Apréz Vous sembra uscita dalle sessions di Fireball, con uno splendido duello centrale chitarra-organo, mentre l’orecchiabile All The Time In The World è quasi radio friendly (almeno per i loro standard), una delle più gradevoli del CD.

L’album si chiude con la maestosa ed inquietante Vincent Price e, nell’edizione deluxe, con It’ll Be Me, una cover addirittura di un brano di Jack Clement, reso con uno scintillante arrangiamento rock’n’roll. Nel DVD troviamo un’intervista di venti minuti ai membri della band e tre brani audio: un remix di All The Time In The World e due versioni live recenti di Perfect Strangers e Rapture Of The Deep.

Un ottimo e gradito ritorno: ora aspettiamo Giugno per vedere come sapranno rispondere i Black Sabbath.

Marco Verdi

Tre Volte Campione Del Mondo Di Surf E Ora Più Jackson di Browne! Tom Curren –

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Tom Curren – In Plain View – Wolfbomb Productions

Quanti cantanti conoscete che sono stati campioni del mondo in qualche disciplina sportiva? E non una ma ben tre volte, 1985, 1986 e 1990! Io, neanche uno. Fino all’uscita di questo In Plain View, che mi ha portato ad interessarmi “all’opera” di questo musicista. Intanto precisiamo che lo sport in cui eccelleva Tom Curren era il surf, disciplina non solo sportiva che ha già dato altri appassionati e praticanti alla musica, primo fra tutti, il suo “amico” Jack Johnson, che però quando Tom vinceva il suo primo titolo aveva solo dieci anni. Chi altri? Eddie Vedder, altro amante di questa pratica sportiva, naturalmente i Beach Boys, che ne sono stati i cantori, non me ne vengono in mente altri, che sicuramente esistono ma sono meno noti: forse Donavon Frankenreiter, della Brushfire, l’etichetta di Johnson, tra i praticanti si ricorda anche Ben Howard, ma trattasi di inglese! Gli altri provengono quasi tutti dalla California (a parte Johnson, un nativo delle Hawaii, naturalizzato californiano), patria della surf music e anche dello sport.

Non è che questo faccia automaticamente di Curren un fuoriclasse anche nella musica: nato nel 1964, Tom non è quindi uno di primo pelo, è sempre stato anche un musicista (conosciuto soprattutto nei circoli “carbonari” della musica, Tony Levin dice che è un virtuoso dello stick, ma non è dato sapere), ha pubblicato due album in precedenza, uno strumentale di jazz-rock e fusion, a metà anni ’90, dopo il suo ritiro dalle scene sportive, e uno omonimo nel 2004, da cantautore. Ma questo In Plain View si può considerare il suo debutto ufficiale. Intanto il produttore è John Alagia, noto per il suo lavoro con Dave Matthews Band e John Mayer, nonché decine di altri musicisti e quindi il suono è molto professionale, a dispetto dell’etichetta autogestita, ma il libretto del CD contiene tutti i testi (anche se non la lista dei musicisti, e questo è un difetto); per deduzione, frugando tra i ringraziamenti delle liner notes, si può estrapolare anche il nome di William Kimball, altro cantautore e surfer, amico di Curren ed ottimo chitarrista. Al di là dei nomi il sound del disco è quanto di più californiano possiate immaginare, pensate agli Eagles e soprattutto a Jackson Browne. Anzi vi dirò di più, la musica e soprattutto la voce fanno pensare ad una sorta di figlio illegittimo del nostro amico Jackson, nato da una sua fugace relazione amorosa con una onda marina della costa californiana, tra Santa Barbara e Los Angeles. Ed è pure bravo.

Il disco non sarà un capolavoro ma si ascolta con grande piacere, ballate, pezzi rock, ottimi arrangiamenti e una sorprendente (ma già evidenziata poco fa) somiglianza con Jackson Browne, quindi fans in astinenza pigliate nota. Gerry è una bella ballata che rivaleggia con alcune delle migliori di Jackson, meno sofferta e più leggera nei testi ma nobilitata da un bellissimo assolo di chitarra nella parte finale, la voce ha quel piglio tenorile tipico del biondo californiano (di adozione), anche In Plain View in un blind test potrebbe passare per un suo brano o comunque di un buon epigono, con tastiere, chitarre e voci femminili arrangiate ottimamente da Alagia. Nel testo di First c’è perfino una citazione di Hotel California e il suono roccato del brano si situa nell’alveo del periodo più rock degli “Aquilotti” ma sempre con Browne nel cuore.

In particolare Curren si ispira al sound più rock e della seconda parte di carriera per entrambi, quindi niente country e un sound west coast più rock, anche con uso di fiati e ritmi latini nella citata First. Feel ha quell’aria malinconica della West Coast dagli amori contrastati ma dalle musiche dolci e risananti. Tom tra le sue influenze cita anche Stevie Wonder e Beatles, ma poi con quella voce chi lo ascolta può pensare solo a spiagge assolate e lunghe onde marine o al limite alle highways dove spararti brani rock come la conclusiva Lady, tettuccio aperto e limiti di velocità rispettati (per amor di Dio), chitarre a manetta e sano rock che esce dagli altoparlanti. I brani citati vengono soprattutto dalla seconda parte del CD, quindi se la prima parte fatica ad entrare resistete un attimo e sarete ripagati con della buona musica. Citiamo anche Unconditional un altro perfetto esempio del classico sound californiano, la deliziosa Sunderland Road con una insinuante armonica e la ballata pianistica Moon, Jackson Browne uber alles, perfino Rolling Stone se ne è accorto, anche se lui non lo cita mai direttamente nelle interviste, lo spirito aleggia sul disco. Poteva andarci peggio. E bravo il surfista!

Bruno Conti

Figli(a) D’Arte. Cassie Taylor – Out Of My Mind

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Cassie Taylor – Out Of My Mind – Yellow Dog Records

Questa volta parliamo di “Figli D’Arte”, una categoria non numerosa ma di difficile collocazione. Che genere fanno? Chi sono? Sono bravi? Alla prima domanda non saprei rispondere, alla seconda sarebbe troppo lunga la risposta, alla terza potrei citarne alcuni: Jeff Buckley, Rosanne Cash e altri fratelli e sorelle, Rufus Wainwright e sorelle varie, Hank Williams Jr e figli e nipoti, Norah Jones e Jakob Dylan sicuramente lo sono, qualcuno mette nella lista anche Dhani Harrison, ma francamente…Cassie Taylor, 26 anni, figlia di Otis, cantante, autrice, produttrice, arrangiatrice, finanziatrice del suo disco (ha fatto vendere la macchina al marito per pubblicare questo album) e infine anche bassista, in questo Out Of My Mind. E pensate che al termine del primo brano Ol’ Mama Dean (Part 1) volevo togliere il dischetto dal lettore e scaraventarlo nel cestino, non perché fosse particolarmente brutto ma abbastanza inutile (al di là dell’ottimo lavoro del chitarrista Steve Mignano), quelle canzoni che non iniziano mai e quando iniziano sembrano opera del Lenny Kravitz meno ispirato.

Forse ho esagerato, ma era per capirci meglio, poi ho preso il Manuale del Perfetto Recensore, quello dove dice che un disco bisogna sentirlo più volte e non fermarsi mai alla prima impressione. Fatto. Il pezzo continua a non piacermi un granché, ma non mi sembra più così orribile: sarà per questo che il secondo, dove la situazione migliora un tantino, sia Mama Dean (Part 2)? Può essere: intanto comincia a definirsi il genere del CD, sapete, quello del file under. Direi tra blues e soul, più il primo, nel brano in questione, non ci sono i lati folk e etnici del babbo, ma il rock è presente e si fa apprezzare, senza grandi voli pindarici ma lentamente, anche grazie alla slide di Mignano e all’organo della stessa Taylor, con la successiva Spare Some Love, dalle atmosfere sospese e più chiaramente blues dove anche la voce di Cassie si fa più intensa e partecipe, mentre in Out Of My Mind si vira decisamente verso un soul molto piacevole e coinvolgente, quasi da “girl group”, la Taylor si sdoppia in una sorta di Diana Ross & the Supremes fai da te, prendendo sia il ruolo di voce solista che di controcanto, chitarra, organo e basso lavorato con l’archetto sono ben arrangiati (sempre lei lo fa). Lay My Head On Your Pillow, è una ballata lenta, sempre piacevole, anche in versione quasi acoustic soul, evidentemente il lavoro con il padre, nei dischi del quale appare molto spesso, ha dato i suoi frutti. New Orleans, con un tromba aggiunta al classico trio, chitarra, basso e batteria, ha un’aria più sexy e sbarazzina ancorché il sound della Crescent City non venga centrato perfettamente: perché, se mi posso permettere, sempre in accordo a quel Manuale seguito alla lettera, non è che la nostra amica abbia una voce così formidabile o particolare, come l’augusto genitore, adeguata ma non molto di più.

E il materiale, come detto tutta a sua firma, non sempre brilla, No Ring Blues, lo è nel nome, blues, ma non di fatto, altra canzone di quelle che non decollano mai, con il basso della ragazza sempre molto in evidenza ma a scapito della sostanza, il solito Mignano si difende e eleva il livello. No No è un rock più tirato ma ha sempre quel sound un po’ turgido che non entusiasma. Decisamente meglio Forgiveness, con il fascino degli arrangiamenti più ricchi del padre, elementi folk e uso di tromba e basso tuba lo rendono più efficace . Solita apertura con il basso (quasi tutti i brani iniziano così, va bene che è il suo strumento, però) anche per Gone And Dead, ma ritorna questa “indecisione” nella costruzione del brano, siamo sempre allo stesso punto, è un impressione personale, ovviamente, anche se tuba e organo cercano di dare passione, non sempre ci riescono. That’s My Man è dedicata a quel sant’uomo che ha venduto la macchina per permetterle di realizzare questo CD e spero che lo stesso venda abbastanza per ripagarlo, ed è nuovamente un rock più deciso anche se non brillantissimo (la qualità che latita in questo prodotto). Alla fine quello che è forse il brano migliore, Again, una bella ballata pianistica di impianto quasi gospel-soul, cantata con passione e con l’aggiunta di un contrabbasso suonato con l’archetto che aggiunge classe alla canzone. Se devo essere sincero, non dovendo recensirlo, non so se lo avrei comprato, ma brani come l’ultimo e qualcun altro in percorso d’opera si meritano una striminzita sufficienza, se i soldi bastano cercare con urgenza un produttore!

Bruno Conti