Suonerà Ancora Il Blues (E Non Solo) Per Voi! Bryan Lee – Play One For Me

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Bryan Lee – Play One For Me – Severn Records

Torna Bryan Lee “giovanottone” quasi settantenne (a seconda delle biografie, già compiuti o meno, con questi bluesmen non si sa mai), residente in quel di New Orleans da lunga data, ma nativo del Wisconsin. E lo fa con il suo primo disco per la Severn, dopo anni di militanza con la canadese Justin’ Time: uno dei migliori stilisti del blues ancora in attività tra le vecchie glorie, in possesso di una tecnica chitarristica notevolee, esplicata soprattutto nei concerti dal vivo, ma anche di una voce potente e vellutata allo stesso tempo, con molti punti di contatto con quella di BB King (anche lui, ormai, suona seduto ai concerti dal vivo). Questo Play One For Me è meno “selvaggio” di altre prove discografiche di Lee, più raffinato e ricercato negli arrangiamenti a cura di Willie Henderson, spesso anche con l’uso di archi e fiati, coordinati dal terzetto di produttori, Kevin Anker, David Earl (il boss della Severn) e Steve Gomes, negli studi di Annapolis, MD, di proprietà dell’etichetta.

Anche il gruppo che accompagna Bryan è una novità per lui: alcuni veterani della scena blues americana, Kim Wilson, armonica e Johnny Moeller, alla chitarra ritmica, dai Fabulous Thunderbirds, Kevin Anker e Steve Gomes che non si limitano a produrre ma suonano anche tastiere e basso e Rob Stupka, un batterista che oltre che con la famiglia Allison (Luther e Bernard) ha suonato con molti nomi del blues contemporaneo, alcuni presenti anche in questo CD. Equamente diviso tra cover e brani originali, cinque per categoria, il disco ha un suono più “tradizionale” rispetto ad altre prove di Bryan Lee più influenzate dal rock, ma ogni tanto si infiamma, come in una “cattiva”, visto anche il titolo, versione di Evil Is Going On che tutti conosciamo semplicemente come Evil ed è proprio il classico scritto da Willie Dixon per Howlin’ Wolf. Altrove Lee è più mellifluo, come nell’ottima cover, ricca di soul, del classico Aretha (Sing One For Me), cantata in origine da George Jackson, ma “coperta” anche da Cat Power nel suo disco di rivisitazioni Jukebox, qui Bryan suona in punta di dita ed è coadiuvato a meraviglia dai suoi pards e dalle sezioni fiati ed archi, per una versione sontuosa di questo brano.

Ma l’omone di Two Rivers, le cui dimensioni ricordano quelle dei due King, B.B. e Albert, è perfettamente a suo agio anche quando rivisita un brano del repertorio del terzo King, Freddie, It’s Too Bad (Things Are Going So Tough), un blues lineare con la solista che scivola sinuosa sulla ritmica felpata del gruppo di Lee. O in una ottima versione di When Love Begins (Friendship Ends), un brano scritto da Aaron Willis per Bobby Womack, che sembra, nel suo andamento maestoso, uno dei classici Stax di Isaac Hayes o meglio ancora del già ricordato Albert King, con gli archi e i fiati che colorano il suono mentre il wah-wah di Moeller discretamente si mette al servizio della solista di Bryan Lee che realizza una delle migliori performance del disco. Di Evil abbiamo detto, aggiungerei l’ottimo lavoro dell’armonica di Kim Wilson, nel brano suddetto e abbiamo un quartetto iniziale di canzoni di grande spessore. Ma anche quando Lee si dedica al proprio repertorio come nella poderosa You Was My Baby (But You Ain’t My Baby Anymore), la chitarra è sempre guizzante e tirata, la ritmica pompa di gusto e i risultati si sentono. L’ultima cover è un brano Straight To Your Heart di un oscuro ma valido bluesman di nome Dennis Geyger, conosciuto da Lee probabilmente nel suo girovagare per concerti negli States, onesto ma non memorabile.

Più vibrante il classico slow-blues dall’andatura caracollante, Poison, che racconta di avventure in quel di New Orleans e ha nel suo DNA il voodoo della città adottiva di Bryan, con voce filtrata e minacciosa, armonica d’ordinanza di Wilson e tutta la band che ripete il rito classico delle 12 battute che sfocia in un assolo tagliente della solista di Lee. Let Me Love You è un’altra slow ballad deliziosa ad alta gradazione soul, tra Memphis e New Orleans, arrangiata con gran classe da Henderson, un piccolo gioiellino, sempre impreziosito dalle evoluzioni della solista. Non male anche Why con l’organo di Anker a duettare ancora una volta con la chitarra, mentre Lee declama con piglio gagliardo il testo della canzone, prima di rilasciare un altro assolo dei suoi. Sixty-Eight Years Young oltre a chiarire il dato anagrafico è un onesto funkaccio, vagamente alla James Brown, con una strana chitarra molto trattata a farsi largo tra i ritmi marcati del pezzo, sempre buono ma inferiore agli altri brani di un disco blues e dintorni dai contenuti notevoli. Bryan Lee ancora una volta non delude!

Bruno Conti

Suonerà Ancora Il Blues (E Non Solo) Per Voi! Bryan Lee – Play One For Meultima modifica: 2013-10-11T13:40:00+02:00da bruno_conti
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