Pure Pop For Now People, Rivisitato! Brendan Benson – You Were Right

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Brendan Benson – You Were Right – Readymade Records

Forse qualcuno di voi si ricorda di un bellissimo disco di Nick Lowe, Jesus Of Cool (ma se state leggendo questa pagina penso di sì, siete nel posto giusto)? Ebbene, il disco, nella versione americana, si chiamava Pure Pop For Now People, e al di là della pruderie americana che aveva cambiato un titolo che non era poi così scandaloso, descriveva alla perfezione un album che ancora oggi rimane uno dei capisaldi della musica pop di sempre.

nick lowe pure pop

Non voglio affermare che questo You Were Right di Brendan Benson sia così bello, ma si tratta sicuramente di un costrutto power pop e rock, tra i più genuini e godibili che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi anni, non certo un capolavoro, ma un piccolo gioiellino di artigianato sonoro. “Derivativo” come pochi ,ma proprio lì sta il suo bello, si cita la musica degli anni ’60, al massimo primi anni ’70 http://www.youtube.com/watch?v=uE1jQu8j_1Y ? E allora lo si faccia senza pudore, con quelle sonorità, quel modo di costruire le canzoni, senza inutili “modernismi” che andranno bene per i politically correct e gli “alternativi” a tutti i costi, ma spesso rovinano il risultato. Se devi fare un disco come lo avrebbero fatto i Beatles o, per stare in America, i Big Star (e nel disco, non per nulla, suonano Stringfellow e Auer, i due Posies che hanno accompagnato gli ultimi anni dei rinati Big Star di Alex Chilton), devi suonarlo e cantarlo come avrebbero fatto loro, magari in uno studio di registrazione che si chiama Welcome To 1979, e qui il richiamo a Lowe ci sta, e per non farti mancare nulla, prima pubblicare gran parte delle canzoni come una serie di singoli nel corso del 2013.

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E così ha fatto Benson, che poi li ha raccolti in questo CD, integrandoli con altri brani che hanno lo stesso spirito et voilà, il gioco è fatto. In attesa di registrare il nuovo album dei Raconteurs con Jack White (nel frattempo è uscito, in vendita solo sul sito di White, un  Live At The Ryman Auditorium, registrato nel 2011, in doppio vinile o DVD http://www.youtube.com/watch?v=7qNVPpzXePk ) e poi forse anche qualcosa di nuovo dei Dead Weather, il nostro Brendan ha dato sfogo alle sue passioni musicali (che sono anche le nostre) per questa piccola meraviglia di disco.

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Quindici canzoni che, se dovessi dire, per il tipo di voce, gli arrangiamenti, l’aura musicale, dei vari Beatles si avvicinano molto allo spirito di George Harrison(senza dimenticare McCartney e il Lennon meno sardonico), ma poi le altre influenze citate ci sono, a vagonate, non per piccole dosi, ma il disco si gode proprio per questo: se c’eravate, perché vi ispira dolci ricordi, se siete dei “ggiovani” perché potete avvicinarvi ad un modo di fare musica gioioso, non edulcorato e di ottimo spessore, se volete il “futuro” del rock’n’roll e la “ricerca” di nuovo sonorità (spesso delle sòle, secondo chi scrive), rivolgersi altrove!

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Anche la scelta dei musicisti è sintomatica, oltre ai citati Posies, ci sono Brad Pemberton, ex batterista dei Cardinals,  Dean Fertita, il tastierista e quinto Raconteur, Ashley Monroe, nuova “eroina” del country nelle Pistol Annies, che scrive anche un brano con Benson e appare alle armonie vocali, il tutto registrato nel lato giusto di Nashville, dove vive il nostro amico. Il pop è spesso “power”, ossia energico e tendente al rock, come nella iniziale It’s Your Choice, che ha qualche profumo di Who, sarà il synth analogico mescolato al suono di una cornamusa, la slide harrisoniana e le deliziose armonie vocali http://www.youtube.com/watch?v=VY_iDYwB3WA , mentre Rejuvenate me ha qualche parentela con i Raconteurs di Steady as she goes, sempre con quelle tastiere molto retrò che illustrano il lato seventies del rock di Benson http://www.youtube.com/watch?v=GN5tC7kixDE (quindi oltre ai Big Star, Raspberries, 10cc, Badfinger, i surrogati dei Beatles), senza dimenticare una passione per la melodia pura come nella dolce As Of Tonight, mentre Diamond ricorda anche certo rock alternativo USA degli anni ’90 http://www.youtube.com/watch?v=TqhQyOpX70w (con qualche spruzzata country-rock), forse Lemonheads? Quello che andava di moda negli anni in cui iniziava il percorso musicale di Brendon.

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Long term coal può risalire a Lowe e più indietro ai Kinks, sempre con intrecci vocali di classe. I Don’t wanna see you anymore, la canzone scritta con la Monroe, potrebbe essere un brano del McCartney del periodo Wings, I’ll Never Tell inizia con l’organo di In-a-gadda-da-vida e diventa un white reggae, poi in un baleno un pezzo rock, tutto in poco più di 3 minuti, Swallow you whole è puro Harrison http://www.youtube.com/watch?v=j_tpYaHrS98 e anche She’s Trying To Poison Me, periodo Traveling Wilburys, Purely Automatic, l’unica che supera i 4 minuti, sono i Beatles allo stato puro con George alla voce solista http://www.youtube.com/watch?v=_eAXqZm1NAE  e anche New words of Wisdom, è una ballata dalle parti di Liverpool, come pure Oh My Love http://www.youtube.com/watch?v=_fijhLMsXB0 e uno dei tanti singoli, il delicato pop acustico di Swimming. Gli XTC di Partridge e Goulding lo facevano magri con più classe e varietà di temi, il pop, ma anche le declinazioni di Brendan Benson si ascoltano con molto piacere.

Bruno Conti

Quasi Gemelli Nel Blues, Brandon Santini e Jeff Jensen.

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Brandon Santini – This Time Another Year – Swing Suit Records

Jeff Jensen – Road Worn And Ragged – Swing Suit Records

Quasi una coppia di gemelli del blues, ok “gemelli diversi”, vengono da stati di origine differenti, uno, Brandon Santini, suona l’armonica, l’altro Jeff Jensen, la chitarra, però entrambi hanno scelto come città di elezione musicale, Memphis, dove hanno registrato i rispettivi dischi nei celebrati Ardent Studios, zona Beale Street, una delle mecche della musica delle radici americane, e, cosa più curiosa ed interessante, suonano ciascuno nel disco dell’altro, ma non solo, Jensen produce il proprio e co-produce, con Santini, il disco del “socio”, e usano esattamente gli stessi musicisti per i due album, anche se sono usciti poi in tempi diversi, già da alcuni mesi, ma la reperibilità del materiale di questa Swing Suit Records diciamo che non è tra le più agevoli. La sezione ritmica è composta da Bill Ruffino al basso e James Cunningham alla batteria, Chris Stephenson si occupa dell’organo e, quando serve, in alcuni brani, stesso ospite al piano, Victor Wainwright (che per quanto ne sappia non fa parte della “dinastia”).

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Brandon Santini viene presentato come il nuovo crack dell’armonica, il migliore delle ultime generazioni, anche se io non sottovaluterei Greg Izor (http://discoclub.myblog.it/tag/greg-izor/) , ed in effetti in questo nuovo This Time Another Year, il suono dell’armonica è molto pimpante, classico e moderno al tempo stesso, anche per merito della produzione di Jensen, molto attenta ai particolari e curata negli arrangiamenti. Il fatto di avere una bella voce sicuramente non guasta, il tutto, unito ad un buon talento compositivo (solo un paio di cover, più un riadattamento di un classico, curiosamente, o forse no, come per Jensen, c’è un brano a firma Willie Dixon). La band ha un bel tiro, come testimonia la traccia di apertura, una Got Good Lovin’ che ricorda tanto il suono del british blues, dagli Yardbirds ai Nine Below Zero, quanto gruppi americani come Fabulous Thunderbirds o certe formazioni di West Coast e Texas Blues, con il basso che pompa di gusto, tutti che swingano ed armonica e chitarra che si dividono con misura gli spazi solisti anche se, ovviamente, la mouth harp fa la parte del leone. Nella cadenzata title-track ci si avvicina al classico Chicago Electric Blues, ma miscelato al suono di Memphis, Tennessee, come ricorda lo stesso Santini nel testo autobiografico del brano (dove si fa aiutare da un altro che di armoniche, e di blues, se ne intende, come Charlie Musselwhite), molto intenso, qualche reminiscenza di Help Me, con Jensen e Santini che sono quasi telepatici nei loro interscambi http://www.youtube.com/watch?v=npS_bamUzqI .

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Sempre molto classica la corale What You Doing To Me, dal suono che si avvicina anche a New Orleans, con Wainwright che si prodiga al piano e alle armonie vocali http://www.youtube.com/watch?v=qdfIDe8ybIM ed eccellente uno slow blues come Late In the Evening, dove si percepisce il fantasma di Little Walter http://www.youtube.com/watch?v=CTaB-PHJ5Ck  e degli altri grandi della Chess, ma anche di Sonny Boy Williamson, cui viene reso omaggio pure in un brano firmato appunto con Willie Dixon, una Bye Bye Bird dove il suono si fa più acustico e raccolto. Dig Me A Grave, con l’organo di Stephenson e la chitarra di Jensen molto presenti, ha delle sonorità decisamente più moderne, e lui canta veramente bene http://www.youtube.com/watch?v=IddTP-qJMTc . Things You Putting Down è una di quelle dove si gusta di più l’armonica, mentre nella jazzata Been So Blue Jensen cesella gli accordi sulla sua solista. Coin Operated Woman, scritta ancora da Wainwright, vira di nuovo verso Chicago mentre lo showcase per Santini è una Help Me With The Blues, adattamento di un brano di Walter Horton, dove il piano di Wainwright viaggia come un treno, senza dimenticare la latineggiante Raise Your Window anche questa riadattata da un brano di Sonny Boy Williamson e Elmore James, e a chiudere Fish Is Bitin’, un tuffo tra cajun e folk bues.

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Il disco di Jeff Jensen, Road Worn And Ragged, forse è leggermente inferiore a livello qualitativo globale http://www.youtube.com/watch?v=DDlInpJ4YZM , forse, ma la partenza con un rock blues fulminante come Brunette Woman è da applausi a scena aperta, cantata in modo splendido e suonata anche meglio, con l’armonica di Santini subito in grande spolvero ed un assolo di chitarra di Jensen da sballo, grande apertura http://www.youtube.com/watch?v=CTqAg5_B5zQ . Notevole anche la cover di Heart Attack and Vine di Tom Waits, rivista come se fosse un brano di Howlin’ Wolf, quasi alla Spoonful, con la chitarra lancinante e l’organo di Stephenson in bella evidenza http://www.youtube.com/watch?v=FxNIe0Rw8so . Divertente e frenetico il rockabilly boogie dello strumentale Pepper e raffinato il blues after-hours della jazzata Gee Baby Ain’t I Good To You. Niente male anche le altre due cover, una Little Red Rooster a firma Willie Dixon, in una versione decisamente a velocità accelerata, con il consueto eccellente interscambio con l’armonica scintillante di Santini e Crosseyed Cat, un brano non conosciutissimo di Muddy Waters, che è puro Chicago sound. Raggedy Ann, il brano scritto con Wainwright, è una sorta di blues swingato con ampio spazio per il piano dell’ospite http://www.youtube.com/watch?v=_SXU3ECYy7E  e River Runs Dry è una notevole ballata, quasi da cantautore tradizionale, molta “atmosfera” e poco blues, ma non per questo meno bella, anzi. E si chiude, su una nota brillante, con il funky-soul, proprio da Memphis sound, della ritmatissima Thankful, con un altro assolo da “chitarra fumante” di Jensen, che conclude degnamente questo CD molto eclettico. Bravi entrambi, attenti a quei due!

Bruno Conti 

Il Tempo Si E’ Fermato E Nessuno Mi Ha Avvertito? – Mark Lindsay – Life Out Loud

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Mark Lindsay – Life Out Loud – Bongo Boy CD

Devo confessare che mi ero completamente dimenticato dell’esistenza di Mark Lindsay, ex voce solista di Paul Revere And The Raiders, una delle band più popolari in America a cavallo tra gli anni sessanta e settanta con la loro miscela di pop e garage rock (anche se il loro contributo alla storia della musica non si può certo definire determinante), con brani di successo come Kicks, Hungry, Good Thing ed il loro unico numero uno, Indian Reservation http://www.youtube.com/watch?v=zQ6RjP7MlXk

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Quando ho visto questo Life Out Loud, nuovissima fatica del cantante originario dell’Oregon, mi sono dunque stupito due volte (ho anche controllato che non fosse un altro musicista con lo stesso nome): la prima perché Mark non è mai stato molto prolifico da quando nei seventies ha lasciato i Raiders (il suo ultimo disco di brani originali, Video Dreams, è del 1996, dopodiché solo un album natalizio e qualche live), e la seconda, dopo averlo ascoltato, perché…è un disco della Madonna http://www.youtube.com/watch?v=qOEQL1MRXyI ! 

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Temevo infatti una mezza ciofeca, il classico disco di una vecchia gloria (in America direbbero has been) trascinata controvoglia in uno studio di registrazione per tentare inutilmente di rievocare i bei tempi che furono; niente di tutto ciò: Life Out Loud è un signor disco, fresco, diretto, cantato con grinta e convinzione e soprattutto suonato con una energia ed un feeling che non immaginavo.                                 

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Lo stile è quello classico che ha reso famoso il gruppo di Revere: un garage rock chitarristico con una spiccata sensibilità pop, un suono decisamente anni sessanta, ma che beneficia delle tecniche di registrazione odierne anche se le quattordici canzoni sono state incise come si faceva una volta, senza computers e pro-tools ma suonando e cantando dal vivo in studio, con pochissimi overdubs.                         

Anzi, la maggior parte dei brani (tutti originali e nuovi, non è un disco di vecchi successi re-incisi) è stato pubblicato senza essere remixato più di tanto, per dare l’idea della spontaneità e comunicare a gran voce che Mark non si è dimenticato come si fa del sano rock’n’roll.  

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Non conosco la discografia solista di Lindsay (*NDB Tre o quattro ai tempi dei Raiders, buoni e, tre o quattro in tempi recenti, niente di memorabile, quindi ha ragione Marco, questo è il migliore!) ma non mi stupirei che Life Out Loud venisse considerato il suo album migliore: gran parte del merito va certamente attribuito a Gar Francis, che ha scritto tutte le canzoni a quattro mani con Mark, ha prodotto il CD in maniera molto diretta e ha suonato tutti gli strumenti a parte la batteria (Richard Heyman e Kurt Reil) ed il basso (ad opera di Mike Caruso).  

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L’iniziale Baby Come Back mette subito le cose in chiaro: grinta a volontà, chitarre in tiro e la voce di Mark che sembra quella di quattro decadi fa. Siamo quasi dalle parti dei Creedence più elettrici, e non è poco. Anche Easy Street picchia duro, Mark canta come se non ci fosse domani e la batteria pesta di brutto: garage rock at its best.                                                                                                                           

La cadenzata Everything About You è decisamente sixties (a partire dal suono dell’organo), ma il suono è teso e diretto: se fosse uscita 45 anni fa sarebbe di certo entrata in classifica.                        

Sono stupito da questo inizio, Mark ha la grinta di un ragazzino (anzi, di più, vista la media dei ragazzi in giro oggi, e non solo in campo musicale) http://www.youtube.com/watch?v=uR7NJHV2QqA .  

                                                                                 

Rainy Day Children alza un po’ il piede dall’acceleratore, il suono si fa leggermente più morbido e pop, anche se non dovete aspettarvi una ballata (in questo disco non c’è spazio per brani lenti), mentre con l’essenziale Ghost Of A Girl si torna al rock’n’roll più puro e diretto.                                    

Like Nothing That You’ve Seen (nella quale troviamo un cameo vocale di Little Steven, grande amico e fan di Lindsay) ha un riff che ricorda Louie Louie, ed è una rock song potente con Mark perfettamente a suo agio (ed ascoltando questo brano appare chiaro come anche Tom Petty debba aver ascoltato parecchio i Raiders in gioventù), mentre Let’s Fly Away sembra presa pari pari da Nuggets http://www.youtube.com/watch?v=8VZOHtLj3yo . 

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 La saltellante I Can’t Slow Down è, appunto, un jumpin’ blues con assolo di sax da parte dello stesso Lindsay (qualcuno ha detto Thorogood?), la vigorosa Don’t Stop non abbassa l’asticella del ritmo, così come la bluesata Rush On You (con Myke Scavone all’armonica, vi ricordate dei Ram Jam e di Black Betty?), uno schiaffo in faccia senza neanche chiedere scusa.                                              

La bella New Thing è rock’n’roll deluxe, una delle migliori del CD, Show Me The Love è ancora tutta chitarre e sudore, così come i due pezzi conclusivi, la tesa Poco Loco Crazy e la rutilante Merry Go Round, una pop song coi fiocchi dalla deliziosa melodia, che chiude degnamente un album che, ripeto, mi ha stupito non poco.                                                                                                                  

Un disco d’altri tempi, come se Lindsay fosse stato ibernato nel 1970 e liberato solo ora.

Marco Verdi

P.s Anche questo disco in effetti sarebbe uscito a giugno del 2013, ma visto che parliamo di dischi da “carbonari” che si trovano a fatica, come diceva il buon maestro Manzi, non è mai troppo tardi. BC

Due “Vecchietti” Terribili (Per Non Parlare Degli Altri)! Dr. Wu’…And Friends – Texas Blues Project Vol. 4 – Hangin’ With Dr. Wu’

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Dr. Wu’…And Friends – Texas Blues Project Vol. 4 – Hangin’ With Dr. Wu’ – Self Released

All’incirca un annetto fa vi parlavo di quello che allora era l’ultimo progetto dei Dr. Wu, una arzilla coppia di veterani del blues Texano, accompagnati da una schiera di “amici” e dalla Buddy Whittington Band al completo, per un dischetto (con DVD) Live From Texas, registrato appunto, come da titolo, dal vivo (il titolo del Post faceva riferimento al fatto che quello era il giorno della fine del mondo secondo i Maya http://discoclub.myblog.it/2012/12/21/un-disco-che-e-la-fine-del-mondo-quasi-an-evening-with-dr-wu/).

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Bryan Freeze e Jim Ashworth guidano sempre l’allegra combriccola, Buddy Whittington è sempre presente con il suo quartetto, dove il secondo chitarrista solista Mike “Mouse” Mayes ha più spazio anche come cantante in questo nuovo disco di studio e, visto che erano in pochi, si sono aggiunti Red Young all’organo Hamnond e Yolanda Walker, con i suoi The Walker Effect,  che da corista, nel disco, viene promossa anche a voce solista per la poderosa e salace My Man’s Speciality. La specialità della casa è sempre il blues, con massice dosi di rock, e in fondo, se vogliamo, possiamo considerarlo come un disco del gruppo di Buddy Whittington, visto che fanno tutto, più o meno, loro. Ma Freeze e Ashworth scrivono le canzoni, e il buon Bryan è il terzo chitarrista e armonicista quando serve.

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La copertina è una simpatica parodia di un vecchio film di Clint Eastwood e se i due la scamperanno, come è probabile, ci dobbiamo aspettare altre avventure dei due pard. Non accreditata c’è pure un sezione fiati che inizia a farsi sentire sin dall’iniziale Need A Witness, dove chitarre a distesa, normali e slide, voci, organo e sezione ritmica si disbrigano alla grande in questo Texas blues che ha indubbia qualità e grinta, in definitiva, confermo, sembra un bel disco di Buddy Whittington & Friends. Shouda, Couda, Wouda ancora con fiati, backing vocalists e organo di supporto, assomiglia molto ad un ottimo brano southern della vecchia Allman Brothers Band, suonato e cantato come Dio comanda. When Your Lips Start Moving è del sano rock-blues, robusto e chitarristico, come richiede il genere http://www.youtube.com/watch?v=m9GLG8ub3GU . In Voodoo Doll (Hendrix Slight Revisit) Ashfort, Freeze e Mayes rendono manifesto sin dal titolo il loro intento, un omaggio al grande Jimi Hendrix, ben eseguito, con chitarre ovunque, per pareggiare Jimi ce ne vogliono almeno tre. Mentre in A Handyman il terzetto di autori si lancia in un divertente shuffle, con uso d’organo http://www.youtube.com/watch?v=aazBQ7xn4Jg , e poi nel successivo brano, come ricordato sopra, c’è spazio per la poderosa ugola di Yolanda Walker alle prese con un blues (rock) ad alta gradazione,che avrebbe fatto la felicità di Koko Taylor.

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She’s No Good For Me, ancora con i fiati in evidenza, vira verso ritmi funky-rock assai sapidi e Life Ain’t No Fear, molto cadenzata, è uno dei rari brani dove i ritmi si placano, ma non l’intensità dei musicisti. Gonna Be Days Like That, con l’armonica di Freeze in primo piano, va anche di boogie e Full Time Fool è un piacevole pezzo rock, sembrano quasi i Doobie Brothers dei tempi che furono, divertente e trascinante. Whittington (non so se ce l’avete presente, è sempre un “grosso” chitarrista, vedi sopra) si è risparmiato per i due brani finali, firmati anche da lui, con i Dr. Wu’, la claptoniana Best Part Of My Side, che scorre liscia come una sorsata di acqua fresca e il blues più tirato, quasi stonesiano nei ritmi, Slow Rollin’ Train (Movie Version) http://www.youtube.com/watch?v=JMmyw1bxzaM , che conclude ottimamente questo piacevole dischetto che soddisferà sicuramente gli amanti del buon rock di derivazione blues; si fatica a trovarlo, è uscito da qualche mesetto, ma ne vale la pena.

Bruno Conti  

Reload And Replay: Una Serenata A New Yok City…Across The River – Carolyne Mas Tour Italiano

Ripubblico questo Post in considerazione del tour italiano di Carolyne Mas, partito ieri da Napoli, domani sera, 11 gennaio, a Milano, allo Spazio Teatro 89, Via F.lli Zoia 89 (è la zona dietro San Siro) e poi molte altre date in giro per l’Italia, queste:

9 – NAPOLI – Archivio storico
10 – ROMA – N`Importe Quoi
11 – MILANO – Spazio Teatro 89 12 euro ingresso
12 – CLAVESANA (CN) – private event
13 – VARESE – Twiggy
16 – CASALGRANDE (RE) – Barricada Cafè
(“Storytellers Night”, con Graziano Romani
e Daniele Tenca) ingresso gratuito
17 – PIOVE DI SACCO (Padova) – Music Ale
18 – ZOAGLI (GE) – Il Banco
19 – TREZZO (MI) – Amigdala Theatre
20 – CANTU` (CO) – Allunaetrentacinquecirca

Come dimostra il disco qui sotto recensito è ancora una grande cantante, non mancate!

Bruno Conti
carolyne mas across the river

Carolyne Mas – Across The River – Route 61 Music 2013

Torna sulla scena (dopo sette anni da Brand New World) Carolyne Mas, una delle voci più autorevoli della musica d’autore statunitense. Piccola premessa a tutti i “naviganti”: tra la fine dei ’70 e i primi anni ’80, quando nelle orecchie e nel cuore di moltissimi appassionati di rock, imperversavano i vari Springsteen, Mellencamp, Tom Petty, Willie Nile, un piccolo ma meritato spazio se l’era conquistato una giovane ed irrequieta ragazza del New Jersey, con il rock’n’roll nel sangue ed una voce tagliente che trasmetteva sensazioni elettrizzanti. Narra la leggenda che la giovane e brava Carolyne sia stata scoperta sul palco  di un locale del Greenwich Village (per la precisione il Cornelia Street Cafè) alternandosi ad altri esordienti cantautori come Steve Forbert, Jack Hardy, David Massengill, Rod MacDonald (tutte “personcine” che in seguito hanno sviluppato una buona carriera). Messa sotto contratto discografico dalla Mercury, esordisce con due splendidi album, l’omonimo Carolyne Mas (79) e Hold On (80) e un promo live, il “mitico” Mas Hysteria (81) che vendette ben 250.000 copie (la ristampa è stata puntualmente recensita da Bruno sul Blog  http://discoclub.myblog.it/2011/10/06/new-york-my-father-s-place-30-anni-fa-1-carolyne-mas-more-ma/), testimonianza di tante infuocate performances. Poi improvvisamente la luce si spense, dopo un interlocutorio terzo album di studio Modern Dreams (81) e dopo una lunga pausa artistica, si crea il sodalizio con la SPV di Hannover, che porta la Mas a ritrovare  una buona vena compositiva, che si certifica con Action Pact (89), il doppio Live (92), Reason Street (93) e l’immancabile antologia che chiude la prima vita musicale di Carolyne Beyond Mercury (03), mentre la seconda (a causa di vari problemi personali), riprende con il citato Brand New World (05) e questo nuovo lavoro Across The River, che nasce e vive  principalmente per merito del produttore Ermanno Labianca, titolare della migliore etichetta italiana indipendente (Route 61 Music) http://www.youtube.com/watch?v=1xlDTOfJ8Ug

Il disco è stato registrato in Italia (Roma), e si avvale dell’apporto di validi musicisti italiani, ovvero Andrea Lupi al basso, Lucrezia De Seta alla batteria, Gianfranco Mauto piano e tastiere, Marco Valerio al cello, Piergiorgio PJ Faraglia alle chitarre elettriche, Luciano Gargiulo all’hammond, Joe Stomp ai cori, e come ospite Daniele Tenca con la sua Working Class Band  in un brano.

Mas

Apre il disco l’inedito Dizzy From the I-IV-V, con la sola voce della Mas protagonista, a cui fa seguito lo swing notturno di That Swing Thing, che ci introduce poi as una nuova sontuosa versione del classico Sittin’ in the Dark  http://www.youtube.com/watch?v=wvDYD8jVTZ8, rifatto con un arrangiamento quasi “jazz”. Una fisarmonica accompagna Under The Boardwalk, brano famosissimo portato al successo dai Drifters (ma ripreso,tra gli altri, dagli Stones, Rickie Lee Jones, Mellencamp), mentre la seguente cover di Across The River di Willie Nile, pianoforte, voce e un violino sul finale, è la cosa più commovente sentita quest’anno (da sola vale il costo del CD). La seconda parte del disco (come nei vecchi vinili) inizia con un’altra ballata, In a box, di grande intensità, mente in So Hard To Be True entrano in scena Daniele Tenca e la sua band per dare al brano una calda atmosfera blues. Arriva il momento di un omaggio al suo vecchio amico Steve Forbert, con una bella versione di Witch Blues, per poi avvicinarsi al finale con Mexican Love Song , una toccante canzone d’amore (scritta da Carolyne ai tempi del Greenwich Village (81), e una New York City Serenade di Bruce Springsteen (che ho avuto il piacere di ascoltare dal vivo dalla Mas qualche anno fa, in un locale vicino a Pavia) di una bellezza disarmante, dieci minuti di accordi ininterrotti di pianoforte, una personalissima versione, che è una vera dichiarazione d’amore alla sua città http://www.youtube.com/watch?v=J27HkRb4Lj4

In questo Across The River Carolyne Mas canta benissimo (quasi meglio che da giovane), in quanto riesce a coniugare sfumature blues e jazz, ma sempre con il rock nell’anima, confermandomi che le tante difficoltà incontrate, in carriera e nella vita, l’abbiano resa più forte, sempre pronta a rimettersi in gioco. Per quanto mi riguarda una grande conferma, un grande disco (che farà sicuramente parte della mia “playlist” di fine anno).

Tino Montanari

Musica “Americana” Dalla Scozia! Stevie Agnew – Wreckin’ Yard

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Stevie Agnew – Wreckin’ Yard – Skimmin’ Stone Records

Dunfermline,città scozzese nella contea di Fife, è famosa negli ambienti rock per aver dato i natali a Ian Anderson, leader dei Jethro Tull, e a gruppi di un certo rilievo come i Nazareth e i Big Country. Adesso torna alla ribalta per il disco d’esordio di Stevie Agnew, figlio d’arte (suo padre Pete è il bassista dei Nazareth, eroi nazionali dell’hard rock), che in coppia con il produttore e batterista Chris Smith (che è stato componente di un’altra gloria locale, i Big Country), ha composto tutti i brani di questo Wreckin’ Yard, con il santino del Boss nella tasca e nel cuore e venti anni di concerti in giro per la Scozia. Il suono, molto corposo, vede oltre a Stevie alla voce, chitarra e armonica, Chris Smith alla batteria e percussioni, Ali Ferguson alle chitarre elettriche e acustiche, Anthony Ellington alla pedal steel e dobro, Chris Agnew al basso, Brad Carter al banjo, Dave Watt, piano e Ted Taylor al violino, con il contributo delle coriste Beth Malcolm, Elaine Shorthouse, Linda Wilson e Kirsten Adamson (altra figlia d’arte, suo padre era il defunto leader dei Big Country, Stuart Adamson).

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Una batteria pulsante accompagna l’iniziale title track Wreckin’ Yard, dall’andatura country http://www.youtube.com/watch?v=aqNzArK_f8Y , mentre una chitarra acustica apre la seguente Pretend You Love Me Tonight, sognante ballata con assoli di armonica e coretti “soul” http://www.youtube.com/watch?v=5UDkWerNVoc , per poi passare a All That I Can See cantata in duetto con una dolce voce femminile. Sulle note del banjo di Brad Carter, il vocione di Stevie introduce Winter Rain, che vede la giovane Kirsten duettare su un tappeto acustico, con armonica in sottofondo http://www.youtube.com/watch?v=XdDxDcVpiso , a seguire la superba The Pugilist (eccellente racconto su di un pugile professionista), con il sottofondo dei violini “gitani” di Dave Watt e Ted Taylor http://www.youtube.com/watch?v=pYP2hhh9fPw (si viaggia dalle parti di One More Cup Of Coffee del grande Dylan).

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Con Sub Prime (termine a cui ci stiamo abituando, in tempi di crisi) si cambia registro, un brano “ country shuffle” con piano, dobro e cori femminili e una band che gira a mille http://www.youtube.com/watch?v=ks_EZhZg3OA , mentre Heavy Duty rivisita lo Springsteen di My Hometown, per poi avventurarsi in un blues voodoo Sixteen Years, che sembra uscito dalle paludi del Delta. Si riparte con un altro duetto (questa volta con Beth Malcolm), una Paid My Dues (Loving You) ballata di atmosfera http://www.youtube.com/watch?v=aFrrDa3kccE  che fa da preludio ad un altro racconto epico come The Whore In Me, la campestre The Mighty Bones, con abbondanza di chitarre acustiche, banjo, violini http://www.youtube.com/watch?v=hhh7ZPzWhp0 , mentre Skimmin’ Stone è un’altra ballata di struggente bellezza, interpretata con forza emotiva da Stevie Agnew. Il cerchio si chiude con una nuova lunga versione della title track, a testimonianza di un lavoro convincente, con un “sound” che spazia fra “americana” e lo Springsteen più intimistico, facendo finta di non sapere che Stevie Agnew e i suoi ottimi musicisti siano scozzesi.

Tino Montanari

*NDB Anche questo disco ormai è uscito da quasi un anno, ma visto che si inizia a parlarne solo ora, sembrava giusto aggiungere la nostra voce ai tanti commenti positivi, veramente un gran bel disco. Ovviamente la ricerca continua!

Sconosciuti Ma Molto Bravi! – New American Farmers – Brand New Day

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New American Farmers – Brand New Day – Big Barncat CD

Anche se è targato 2013, questo è uno dei migliori dischi che ho ascoltato durante questo inizio anno.

*NDB Il disco è uscito nella primavera del 2013, ma se è bello, come vedete ultimamente sul Blog, se ne parla senza problemi. Uno “sgub” al contrario, il Tony Sales che suona la batteria nella band non è “quello” dei Tin Machine, che suonava il basso!

I New American Farmers sono un duo formato da Paul Michael Knowles e Nicole Storto, e sono la naturale evoluzione dei Mars, Arizona, un monicker sotto il quale hanno inciso ben quattro album, decisamente ardui da reperire http://www.youtube.com/watch?v=5XEIawDp0iY .

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Ma l’interesse al momento è spostato verso il lavoro di esordio dei NAF (vado di acronimo per far prima), intitolato Brand New Day, che si rivela essere un piccolo grande disco di rock californiano, strettamente imparentato con il country (o come sono stati definiti dalla stampa USA, Cosmic Americana).

Un suono che ha decisi punti di contatto con i Byrds post-Sweetheart Of The Rodeo, quelli guidati da Roger McGuinn con Clarence White come alter ego, ma anche con Tom Petty, sia per il timbro vocale di Knowles sia perché comunque Petty stesso ha sempre avuto i Byrds come influenza principale; qualche punto di contatto si trova anche con i Beatles e, se non altro perché stiamo parlando di un duo uomo-donna, come la collaborazione tra Gram Parsons ed Emmylou Harris.

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E poi ci sono le canzoni: nove brani originali più una cover (ed una bizzarria finale), brani di valore assoluto, eseguiti con grande feeling dai due, assieme ad una manciata di amici (in session c’è perfino il quasi dimenticato Gene Parsons, un altro link con i Byrds quindi); ad un ascolto distratto potrebbero sembrare derivativi, ma la materia è talmente buona che alla fine Brand New Day brilla di luce propria e non riflessa.

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E infine Knowles e la Storto sono due songwriters coi fiocchi, e lo dimostrano facendoci tornare per una manciata di minuti ai gloriosi giorni in cui la California era, musicalmente parlando, al centro del mondo.

L’album dura circa poco più di mezz’ora, ed è diviso in due come i vecchi vinili (this side e that side), un altro rimando ad un periodo davvero irripetibile.

L’iniziale Everywhere sembra proprio provenire da uno degli ultimi LP dei Byrds: un brano vivace guidato dal banjo e dalla steel, con una grande melodia e la voce di Knowles giusto a metà tra Petty e McGuinn http://www.youtube.com/watch?v=-r5_l7qILfw .

Miglior inizio non ci poteva essere.

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La limpida Brand New Day sembra una outtake di Petty con George Harrison alle spalle (l’intro di slide è da brividi lungo la schiena), con poche ma suggestive note di piano come ciliegina: un brano splendido, sentire per credere; la tenue Sad Hotel, perfettamente cantata a due voci, è invece un’intensa ballata dominata dalla steel, un pezzo a dir poco evocativo.

Una tromba introduce la fluida Don’t Wait For Me Here, che fonde mirabilmente jingle-jangle byrdsiano ed armonie beatlesiane; Can’t Get It Out Of My Head è proprio il classico del 1974 scritto da Jeff Lynne per la ELO, qui riproposta con la sola voce femminile di Nicole ed un arrangiamento cameristico per steel e quartetto d’archi, che lascia nuda la bella melodia del brano http://www.youtube.com/watch?v=2Z1lLqeqJUI .

Una versione che dimostra anche una bella dose di inventiva da parte dei due.

Con l’acustica Faking The Divine torniamo ad atmosfere californiane, una canzone di spessore che sembra uscire dall’ultimo disco dei Byrds (prima dell’estemporanea reunion dei cinque membri originali), quel Farther Along che a mio parere andrebbe assolutamente rivalutato: bello l’assolo centrale per tromba mariachi.

La bella Good And Sober ha addirittura una ritmica boom-chicka-boom di cashiana memoria http://www.youtube.com/watch?v=7bKGZ7AdCEQ , con la voce di Paul che dà profondità ad un brano già bello di suo; Open Arms è invece un ottimo slow dai toni epici, con una melodia che ha qualche punto di contatto anche con The Band, ed un assolo distorto di chitarra a metà brano che crea un contrasto intrigante con il clima classico e rilassato del brano: uno degli highlights del CD.

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Hypocrite è più roccata e diretta http://www.youtube.com/watch?v=5XEIawDp0iY , mentre la pianistica How Do We Do It? è una dolce ballata eseguita con feeling enorme: voce, piano e nient’altro, come fa ogni tanto Neil Young.

Chiude la strana Sunday Market, che più che una canzone è un collage di versi di animali, voci umane e rumori ambientali, con in sottofondo un tizio (probabilmente Knowles) che ad un certo punto intona Che Sarà di José Feliciano, e per di più in italiano!

A parte il finale bizzarro, un disco comunque di tutto rispetto, una bella sorpresa che mi sento di consigliare a chiunque.

Sentiremo ancora parlare dei New American Farmers, o almeno lo spero.

Marco Verdi

Dieci In Pagella Da Uncut Per Il Primo Grande Disco Del 2014! Rosanne Cash – The River And The Thread

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Rosanne Cash – The River And The Thread – Blue Note/Unversal 14-01-2014

Partiamo da un assunto: dischi così belli se ne fanno pochi in un anno, forse anche in una decade e, per certi versi, anche nel corso di una vita, però 10 vuole dire la perfezione, la bellezza suprema, nella mente del recensore del mensile inglese Uncut (Luke Torn) che gli ha assegnato questa votazione chissà se sono passati dischi come Blonde On Blonde e Highway 61 Revisited di Dylan o Electric Ladyland di Hendrix, Revolver dei Beatles, Pet Sounds dei Beach Boys, il Johnny Cash At San Quentin del babbo, Astral Weeks o Moondance (che ha ottenuto otto nella recente ristampa!) di Van Morrison, ma solo per citare alcuni dei dischi più celebri della storia, ce ne sono altre decine, venuti prima o dopo che meriterebbero questo giudizio (che si può equiparare alle classiche 5 stellette) e quindi, secondo questo metro di giudizio, quanto dovrebbero avere come votazione? Undici o dodici?! Attenzione non è per denigrare il disco di Rosanne Cash, ma per mettere tutto in una prospettiva più giusta; sono sempre stato un ammiratore incondizionato della figlia di Johnny, fin dai tempi degli esordi (beh, magari il primo omonimo registrato in Germania nel 1978, con musicisti locali, non era fenomenale, ma già da Right Or Wrong e Seven year ache si capiva che eravamo di fronte ad un talento formidabile), il modo di scrivere, le canzoni, la voce bellissima, la scelta dei musicisti ( e dei mariti, prima Rodney Crowell, poi John Leventhal), la dicono lunga sul buon gusto di questa signora dalla vita travagliata, ma gloriosa.

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The River And The Thread è una sorta di conclusione di una trilogia ideale iniziata, dopo la morte del padre Johnny, con Black Cadillac nel 2006, proseguita nel 2009 con The List (qui trovate quello che ne avevo scritto ai tempi sul Blog http://discoclub.myblog.it/2009/11/10/rosanne-cash-the-list/) e ora portata a termine con il nuovo album, mentre nel frattempo, alla fine del 2007, Rosanne si sottoponeva anche ad un intervento al cervello. Per togliere ogni dubbio il disco è bellissimo, vogliamo essere pignoli ed assegnarli un nove o quattro stellette e mezzo, o un otto, per quel discorso di prospettiva appena fatto? Non cambia molto, l’album rimane bellissimo ma chi scrive si sente più tranquillo.

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Concepito come una sorta di pellegrinaggio “mistico”, personale e musicale attraverso gli stati del Sud degli Stati Uniti, questo The River And The Thread, “Il Fiume E Il Filo” o meglio “Il Fiume E La Trama Del Filo”, dove il fiume ovviamente è il Mississippi e la “trama” è quella della vita e della musica, ispirato da una frase dettale dall’amica Natalie Chanin, quando stava insegnandole a cucire, “Devi imparare ad amare la trama del filo”, in inglese meglio, “You Have To Learn To Love The Thread”, pronunciata con l’accento di una che viene che da Florence, Alabama. E di personaggi, storie, incontri e luoghi ce ne sono a bizzeffe in questo disco. Da Etta Grant, la moglie di Marshall, il primo contrabassista della band di Johnny Cash, colpito da un aneurisma proprio nella serata in cui veniva inaugurata la Dyess House, casa natale restaurata della famiglia Cash e scomparso tre giorni dopo, vicenda raccontata in Etta’s Tune, una delizia sonora dove John Leventhal, marito e produttore del disco, suona con maestria tutti gli strumenti e John Paul White dei Civil Wars si occupa delle armonie vocali http://www.youtube.com/watch?v=ANpWRURSW6M .

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Ma fin dall’iniziale A Feather’s Not A Word, che contiene la frase citata poc’anzi, si capisce che stiamo per inoltrarci in un viaggio di grande spessore: costruita intorno a un giro di blues, raffinato e sinuoso, semplice ma ricco, con le chitarre di Leventhal che si fanno strada attraverso una sezione di archi, il violino e la viola di David Mansfield, un ricco coro guidato da Amy Helm, altra grande figlia d’arte e con un sound swampy, da paludi e da gumbo della Lousiana, che ci porta dall’Alabama a Memphis, dall’Arkansas fino a Nashville e ritorno, nei luoghi dove si trovano i Sun Studios, il luogo di nascita di Johnny Cash, le strade dove fu ucciso Emmett Till (ricordato in una stupenda canzone di Bob Dylan), il ponte di Tallahatchie, il sito della bellissima Ode To Billie Joe di Bobbie Gentry, la tomba di Robert Johnson, le piantagioni dove Charley Patton e Howlin’ Wolf lavoravano ed iniziavano a scrivere la loro musica, la casa di William Faulkner. Ovviamente non tutti i luoghi e le persone sono in questo brano, ma il viaggio parte da qui. E prosegue con The Sunken Lands, un tributo ai contadini dell’era della grande depressione (ma anche di oggi) piegati sulle loro terre sommerse, cantato, come di consueto, con quella tonalità, stupenda e compassionevole, di Rosanne, una delle voci più duttili ed espressive del panorama musicale attuale, su un tessuto musicale country-folk-blues impreziosito da un delicato lavoro di Leventhal al mandolino (che peraltro suona anche tutti gli altri strumenti, come in gran parte del disco) http://www.youtube.com/watch?v=U7pdEdv3QXw .

Di Etta’s Tune abbiamo detto, posso solo confermare, Modern Blue è il pezzo più rock del disco http://www.youtube.com/watch?v=1bVOy5k3y2o , mi ricorda, non so dirvi perché, quelle ballate mid-tempo stupende che sa scrivere John Hiatt, ma qui virata al gusto di Rosanne Cash, una che con il country più bieco di Nashville ha sempre avuto poco a che fare, ma che la capacità di scrivere una canzone con un bel ritornello non l’ha mai persa, sarà per questo che negli anni ha racimolato 11 numeri uno nelle classifiche Country e 21 nelle Top 40 americane. Ma indubbiamente si trova più a suo agio (forse) nelle trame acustiche e folky, delicate e malinconiche di una preziosa Tell Heaven http://www.youtube.com/watch?v=V-whhwYqX7Y . O nei raffinati e complessi arrangiamenti di una The Long Way Home che parte con un mini chick-a-boom rallentato di una elettrica e si arricchisce con gli archi arrangiati da Leventhal (come nella iniziale A Feather’s Not A Bird) e poi dal gruppo e dalle voci di supporto, che entrano di volta in volta, mentre la chitarra liquida di John sottolinea i passaggi intricati del brano http://www.youtube.com/watch?v=m1Pn7d2gfXg .

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World Of Strange Design è un blues stupendo, impreziosito dalla fantastica slide di Derek Trucks e da alcuni versi tra i più immaginifici di Rosanne, “If Jesus came from Mississippi…! (ma se andate a riascoltarvi i vecchi dischi canzoni così belle ne trovate molte altre) http://www.youtube.com/watch?v=SQmH8yggnCM . Anche la dolcissima e bellissima Night School è una canzone sulla memoria e sui tempi che furono, come se ne scrivono (e se ne cantano) poche, un poco agée e fuori dai tempi, musicalmente parlando, ma splendida e toccante e quindi chissenefrega se sembra venire da due secoli fa. E del duetto con Cory Chisel (grande cantautore e rocker americano di cui ci siamo occupati in questo Blog http://discoclub.myblog.it/tag/cory-chisel/) in 50.000 Watts cosa vogliamo dire? Che bello può andare? Uno dei centrepiece del disco è la sontuosa When The Master Calls The Roll, una canzone dal crescendo emozionante con un “coretto” cantato da alcuni “amici” che passavano di lì per caso, Amy Helm, Kris Kristofferson, John Prine, Tony Joe White Rodney Crowell, che aveva iniziato a scriverla, con John Leventhal, per Emmylou Harrisma poi quando Rosanne l’ha sentita ha detto, fermi tutti, questa la finisco io, e i “due mariti” hanno concordato (a proposito se volete sentire due dei più bei “Divorce album” della storia, pre e post, con Shoot Out The Light di Richard e Linda Thompson, andate a recuperarvi InteriorsThe Wheels della nostra amica, due dischi fantastici, tra i tanti).

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Conclude (ma ci sono le tre bonus delle Deluxe Edition) una sinuosa Money Road, il luogo dell’incrocio con il diavolo di Robert Johnson e del ponte della Gentry, un’altra “confezione” sonora sontuosa, con un piano Wurlitzer piazzato ad arte e una geniale coloritura dettata dell’eletric sitar suonato, assolutamente a sorpresa, da un Leventhal in vena di diavolerie per questo brano. E già questo sarebbe un grande disco, sarà un caso ma i dischi e lecanzoni che contengono River nel titolo sono sinonimo di qualità (Springsteen, Eric Andersen, Joni Mitchell, eccetera), ma le due cover, la delicata Two Girls, un brano poco conosciuto dal repertorio di Townes Van Zandt e la bellissima Biloxi, viceversa una delle più conosciute di un altro “outsider” di pregio come Jesse Winchester, sono le classiche ciliegine sulla torta. Come Your Southern Heart, sempre scritta dalla premiata ditta Leventhal/Cash e che non ha nulla da invidiare alla qualità delle canzoni ufficiali del disco. Non meri riempitivi, ma tasselli importanti, quindi vi consiglio caldamente di procurarvi la versione Deluxe, ve la faranno pagare cara, purtroppo, ma ne vale assolutamente la pena. Se volete dare una ascoltatina in anteprima http://www.npr.org/2014/01/05/259143273/first-listen-rosanne-cash-the-river-the-thread

Come diceva Dan Peterson, per me Numero Uno!

Bruno Conti

Un Misto Di Louisiana Gumbo, Rock E Blues, Con Sax! Scott Ramminger – Advice From A Father To A Son

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Scott Ramminger – Advice From A Father To A Son – Arbor Lane Music

Ragazzi che bel dischetto! Ma dove lo avevano nascosto per tutti questi anni il nostro amico Scott Ramminger? Sì, assolutamente, è già un amico: uno che fa un disco come questo Advice (per brevità) si merita comunque amicizia e rispetto da chi apprezza la buona musica. E ne aveva già fatto un altro un paio di anni fa, Crawstickers, dal nome del suo gruppo, dell’area di Washington, DC, che lo accompagna abitualmente http://www.youtube.com/watch?v=nEi3ZNm1PQw .

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Questa volta ha fatto le cose in grande (ma non del tutto), si è preso il suo sax, che è lo strumento che utilizza abitualmente ed è partito per una trasferta in quel di New Orleans, dove lo aspettavano quattro musicisti straordinari: George Porter Jr., uno dei più grandi bassisti della storia della Crescent City (forse il più grande in assoluto), bastano i nomi dei Meters e dei Neville Brothers? Shane Theriot alla chitarra, negli ultimi anni ha suonato con Zachary Richard, Maria Muldaur e Jo-El Sonnier, ma in passato è stato con Aaron Neville e una miriade di altri. David Torkanowsky, se non sono disponibili Dr. John e Allen Toussaint (e Fats Domino e Professor Longhair per ovvi motivi), con piano e tastiere è il migliore su piazza ed è in grado di fare meraviglie e Johnny Vidacovich alla batteria, è un maestro dei ritmi (con DeVille e Johnny Adams). Aggiungete che Ramminger ha scritto alcune bellissime canzoni che sembrano delle outtakes dell’opera di Randy Newman, e canta anche con quello stile tra il laconico e il sardonico tipico del grande Randy. Non basta?

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In alcuni brani il “nostro” Scott si circonda di alcune voci femminili da sballo, le McCrary Sisters, reginette del gospel e del soul, ma che due o tre cose sul funky forse le conoscono, sentitevi Funkier Than Him, un brano dove titillano ed aizzano di gusto il buon Ramminger, mentre i quattro di New Orleans, trovato un groove micidiale, provvedono a far venire giù le pareti di casa, con chitarra, sax e tastiere che decorano il tutto. Ma ci sono anche canzoni dove la melodia è di casa, per esempio la bellissima I Really Love Your Smile, Randy Newman meets Dr.John, con il pianino di Torkanowsky che va come un cippa lippa e il sax che ricama, mentre anche Theriot ci mette del suo.

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Ma se serve del rock la premiata ditta chiama Etta Britt, anche da lei da Nashville come le McCrary Sisters, una abituata a duettare con Delbert McClinton, e sotto l’impulso della batteria in overdrive di Vidacovich ti confezionano una This Town’s Seen The Last Of Me, che di casa sta in mezzo tra gli Stones di Sticky Fingers e i Little Feat arrapati, giuro sul manuale delle giovani Marmotte! The Other’s Man’s Shoes è una ballata mid-tempo vellutata con la voce di Regina McCrary a duettare deliziosamente con Scott mentre Torkanowksy accarezza organo e piano con amore e Theriot con la sua chitarra tira la volata per l’assolo di sax del leader, che classe!

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E anche la title-track, con tromba e trombone aggiunti, ci trasporta in qualche tipico locale di New Orleans, magari il Tipitina, a tempo di gumbo music http://www.youtube.com/watch?v=88GiyJGbBtg , la Britt è nuovamente la voce si supporto e il buon Ramminger sembra il fratello di Randy Newman (o di Hugh Laurie) in trasferta sulla foce del Mississippi. Se volete ancora un giro di danze, stretti stretti, al night di questi strepitosi musicisti, I’ve Got A Funny Feeling, è una ballatona di quelle che non si scrivono quasi più (quasi!), quando nel finale Theriot ti estrae dal cilindro un assolo di quelli magici, ti scappa l’applauso.

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Magic In the music con le McCrary di nuovo in azione, di supporto, e l’inesorabile basso di George Porter Jr. che macina ritmi (come in tutto il resto dei brani, peraltro) è un’altra traccia di ottimo funky-rock, Theriot sfodera anche il suo wah-wah per l’occasione.

Ma i Crawstickers in quel di Washington, DC che fanno http://www.youtube.com/watch?v=UbUE7JRd53U ? Aspettano il boss che, probabilmente finito il budget, torna a casa per registrare le ultime tre canzoni. I musicisti sono bravi, le tre sorelle non mollano l’osso, ma More Than One Flavor non ha lo stesso “gusto” degli altri brani, altra classe e grinta, qui siamo più nella normalità http://www.youtube.com/watch?v=tNtKu6r7ysw . Formazione ristretta per una Must Be True swingata, con organo e chitarra che guidano le danze, ma quel quid inesplicabile (o forse sì, saranno mica più bravi gli altri, ho questo vago sospetto?) delle sette tracce iniziali sembra sparito, anche se nella conclusiva Sometimes You Race The Devil ci si lancia pure nel reggae i vertici iniziali non si raggiungono più. Peccato, quello che poteva essere un piccolo capolavoro ritorna a più miti propositi, ma per l’eptalogia della prima parte (spesso ci sono dischi che di brani buoni faticano a metterne insieme due o tre) non posso fare a meno di consigliarlo agli amanti del New Orleans Sound e della buona musica in generale. Il disco è uscito già da parecchi mesi e si fatica a trovarlo ma vale la pena di cercarlo!

Bruno Conti

Una Bella “Scoperta” Per il Nuovo Anno (Anche Se E’ Uscito Nell’Estate 2013)! Paul Handyside – Wayward Son

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Paul Handyside – Wayward Son – Malady Music

Preparate il portafoglio, perché tra poco vi sentirete più leggeri. Non sempre per il sottoscritto è facile accostarsi ai nomi ”minori”, la tentazione ed il desiderio insieme, è quello di voler scoprire nuovi artisti e sottoporli al pubblico degli appassionati per farne oggetto di “culto”. Oltretutto la difficile reperibilità degli autori di volta in volta scoperti (come in questo caso), aumenta la curiosità ed il gioco di complicità che ne scaturisce. Fatta dunque questa precisazione, vorrei consigliare l’ascolto di tale Paul Handyside, inglese di Newcastle, ex leader di una delle tante misconosciute formazioni pop-rock degli anni ’80 (gli Hurrah!, una formazione post-punk http://www.youtube.com/watch?v=kH69uYYXLlA , e in seguito dei Bronze http://www.youtube.com/watch?v=5rj0fXCUvyw ), ma il sottobosco musicale inglese è talmente fertile e ricco di talenti (come il nostro Paul), che da solo basterebbe a riempire il sempre più vacuo panorama nostrano. Dopo anni a bazzicare infami clubs e piano bar londinesi e non, un po’ a sorpresa, a quasi vent’anni dallo scioglimento del primo gruppo, Handyside pubblica il suo primo disco solista Future’s Dream (07), un lavoro pop–folk colpevolmente passato quasi inosservato, composto da ballate cristalline con influenze gospel, accompagnate da un pianoforte e una chitarra, e dominate dal tono austero della sua voce, che svelano tutta la loro bellezza http://www.youtube.com/watch?v=_mAyQxF5rjw . Come il precedente lavoro anche questo Wayward Son è prodotto dal bravo Rob Tickell, che troviamo anche al basso e chitarre, con l’apporto dell’amico David Porthouse alla batteria e strumenti vari, ad assecondare Paul al pianoforte, chitarra e voce.

paul handyside future's dream

L’iniziale Glory Bound dall’incedere quasi country è un inno all’ipocrisia della guerra http://www.youtube.com/watch?v=2ip6wc4GxHE , mentre la seguente Carnival Girl è un valzer cadenzato, con organetto e armonica, perfetta da cantare in un “bistrot” parigino. He Loves Her Now è una grande canzone d’amore di altri tempi (che purtroppo tanti più blasonati colleghi non sanno più scrivere), mentre per l’ascolto di Precious And Rare con l’accompagnamento della chitarra di Rob, dovete procurarvi una buona scorta di fazzolettini, per riuscire a superare la commozione di una melodia di una bellezza disarmante (fin d’ora la segnalo come probabile canzone dell’anno) http://www.youtube.com/watch?v=QNMHCgwYb0g . La scaletta riparte con When The Good Times Roll Again, che viene arrangiata con strumenti “irish” e richiama alla mente certe ballate dei Pogues http://www.youtube.com/watch?v=_FdDfwSr1s4 , seguita dalla ballata pianistica Man Overboard, dal profumo retrò. Si cambia ancora ritmo con la spumeggiante Love Lies Elsewhere, mentre echi lontani del grande John Martyn si manifestano nella dolce Still Time Away, per poi passare al canto potente di Passing Through, dove viene evocata la morte di una persona cara. Chiudono un disco magnifico il madrigale riflessivo di Rose Of The Street  http://www.youtube.com/watch?v=PeBMh6RfdJM e la title track Wayward Son, una maestosa folk-song, dal crescendo turbinante, valorizzata da coretti quasi gospel.  

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Quello di Paul Handyside è un viaggio di vita e di musica che profuma di antico, cominciato negli anni ’80 e proseguito attraverso vari generi, fino ad approdare oggi con questo Wayward Son ad un songwriting più folk, più tradizionale, perché Handyside ha la voce di chi canta avventure e storie di sentimenti lontani, e personalmente spero di vederlo suonare le sue ballate in un ipotetico e lontano paradiso.

Tino Montanari