Neo Folk-Rock In Arrivo Dal Tamigi (Anche Con I Lowlands Nel Low And Lucky EP E Tour).The Lucky Strikes – The Exile And The Sea

lucky strikes exile and the sea

The Lucky Strikes – The Exile And The Sea – Harbour Songs Records

Vengono da Southend, Inghilterra (culla del pub rock negli anni ’70, e dei bevitori di birra, da sempre), e fra poco saranno dalle nostre parti per una serie di concerti (*NDB in coppia con i pavesi Lowlands, con cui hanno condiviso l’etichetta in Gran Bretagna, la Stovepony, e ora un EP a nome di entrambi, Low And Lucky, che dà il nome anche al mini tour, parte in Italia e parte in Inghilterra) https://www.youtube.com/watch?v=5xQav5_MEco .

lowlands low & lucky ep cover

I Lucky Strikes sono attivi dai primi anni 2000, ma il loro esordio discografico vero e proprio avviene con l’album omonimo The Lucky Strikes (07), una miscela di blues-rock arricchita nel tempo con sonorità country, folk americano e celtico, che li ha portati in seguito ad incidere lavori a tema quali Chronicles Of Solomon Quick (09), un “concept” sul presunto responsabile della morte di Robert Leroy Johnson(“quel” Robert Johnson!) e Gabriel, Forgive My 22 Sins (10), altra “fiction” sulla follia e la caduta di un pugile, prima di approdare a questo The Exile And The Sea, un piacevole ricordo dei loro viaggi in giro per il mondo https://www.youtube.com/watch?v=GpglQOeH-tM .

lucky strikes 2

Il capo ciurma e leader della band risponde al nome di Matthew Boulter chitarra e voce, con il resto dell’equipaggio ad assecondarlo: Paul Ambrose al basso, David Giles al piano e fisarmonica, William Bray alla batteria, e con la collaborazione di due nostromi di valore come Wild Jim Wilson al banjo e violino e Rees Broomfield alle percussioni, il tutto è stato registrato negli studi di campagna The Broom Cupboard,nell’Essex https://www.youtube.com/watch?v=8amXB4bIAoo .

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Il forziere di canzoni è aperto da To Be King e The Beast Burnt Down, due brani dalla decisa aria celtica, guidati dal violino e fisarmonica, a cui fanno seguito la title track The Exile And The Sea, una ballata di altri tempi, mentre New Avalon e  The Butcher And Mrs. Shaw hanno il passo del periodo migliore dei Waterboys, del pirata Mike Scott. Dal bottino del forziere viene poi estratta anche Ballet Shoes, una poesia in musica sull’infanzia, per poi passare alla miscellanea folk-rock di Goldspring, mentre la seguente The Devil Knows Yourself  è perfetta per cantare nei Pub con calici di birra alzati. Con Vincent spuntano una pedal steel e un banjo a dispensare “spezie” di country, prima di chiudere definitivamente il forziere con la mirabile melodia di Ghost And The Actress, dove la fisarmonica di Giles e il violino di Wilson profumano d’Irlanda, mentre un intrigante organino accompagna la conclusiva The Writer.

I Lucky Strikes, guidati dall’ugola passionale di Matt Boulter (autore anche di tre dischi solisti), si preparano ad invadere il nostro paese, senza rivoluzionare nulla, ma portando  un suono che incarna l’anima più onesta del “neo folk rock”, che li accomuna per quanto mi riguarda, ai cugini “yankee” dei Decemberists.

Tino Montanari   

Lowlands Lucky Strikes tour

*NDB. Come vedete dalla locandina qui sopra, i Lowlands e i Lucky Strikes saranno in concerto insieme questa sera, 28 febbraio, all’1&35 di Cantù e domani sera a Spazio Musica di Pavia (da informazioni assunte probabilmente ci sarà anche Stiv Cantarelli). Invece la settimana prossima, se siete da quelle parti (chi non va a Southend nell’Essex o a Londra nei fine settimana?), l’accoppiata si ripeterà su territorio inglese. Ai concerti sarà in vendita anche lo split EP The Low & The Lucky EP, un mini album con tre brani: i Lowlands fanno New Avalon della band inglese, i Lucky Strikes ricambiano il favore eseguendo Hail Hail  della band pavese e tutti insieme appassionatamente eseguono una bellissima cover di Fisherman’s Blues dei Waterboys (con le voci alternate e combinate dei due leaders alla guida del brano), che da sola vale il prezzo di ammissione, se anche il resto non fosse valido. Per una volta il buon Ed Abbiati mi perdonerà se non ho parlato diffusamente della sua band e dei suoi lavori solisti ma, visto che molto bolle in pentola per il futuro, ci sarà l’occasione per farlo appena scatta la primavera. Per l’occasione ci premeva (al sottoscritto e all’amicoTino) parlarvi di questi Lucky Strikes che ci sembrano del tutto degni della vostra attenzione!

Bruno Conti

Piccoli, Ma Buoni! Thalia Zedek Band – Six e Shelby Lynne – Thanks

thalia zedek six

Thalia Zedek Band – Six – Thrill Jockey Records

Shelby Lynne – Thanks – Everso Records

Parafrasando il famoso detto “Pochi, Ma Buoni” eccoci a parlare di due EP, quindi piccoli nel formato, ma assolutamente buoni nel contenuti.

Torna dopo breve tempo dall’ultima sua uscita dello scorso anno Via, http://discoclub.myblog.it/2013/03/20/dal-post-punk-alla-via-dark-thalia-zedek-band-via/ , Thalia Zedek, una tipa che dopo aver suonato con i Dangerous Birds, Uzi, Live Skull, Come (il gruppo di maggior successo) si è ritagliata una sua personale carriera, con una manciata di dischi a suo nome, di cui questo EP, come da titolo, contiene 6 brani, e quindi, ovviamente (alla Catalano) Six.

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Thalia come al solito si appoggia alla sua attuale band, composta da Winston Braman al basso, Jonathan Ulman alla batteria e percussioni, David Michael Curry alla viola, e il bravissimo Mel Lederman al pianoforte, per una musica che racchiude il lirismo che l’ha sempre contraddistinta.

Apre il blues rabbioso e disperato di Fell So Hard, uno dei pezzi più belli del mini-album https://www.youtube.com/watch?v=CvGReT6D5BY , seguito da momenti più riflessivi come la cantilena melodica Julie Said, lo strumentale solo con arpeggio di chitarra di Midst, i suoni decisi e impetuosi di Dreamalie, o brani più classici come Flathand cantata in duetto con Hilken Mancini, fino ai sette minuti della conclusiva Afloat, un brano “dark” intimista e ricco di oscurità.

Come sempre la voce di Thalia Zedek è riconoscibile e caratteristica, a tratti roca e dura, a volte melodiosa, in canzoni dove pianoforte e viola si aggiungono a distorsioni e riff di chitarra, oltre a batterie martellanti ed evoluzioni di violino, per un lavoro crudo e grintoso.

Se entrerete nella musica della Zedek (spero in molti), Thalia vi porterà in un viaggio lungo e oscuro dentro la vostra anima, ma ne varrà sicuramente la pena, perché scoprirete un EP di non facile ascolto, ma di indubbio fascino.

shelby lynne thanks

La seconda signora risponde al nome di Shelby Lynne (sorella di Allison Moorer, maritata con Steve Earle), ad inizio carriera era partita come una country-singer di modeste ambizioni, ma in seguito ha saputo reinventare se stessa ed il suo repertorio con un disco importante come I Am Shelby Lynne (99) che le valse la vittoria al Grammy Award(come miglior artista esordiente), a cui fecero seguito altre buone prove come ad esempio Just A Little Lovin’ (2008), un tributo a Dusty Springfield.

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Dopo, forse, il suo disco più personale Revelation Road (2012), ed un Live uscito in vari formati http://discoclub.myblog.it/2013/01/16/una-bella-voce-femminile-on-stage-shelby-lynne-cd-dvd-live/ , si ripresenta con questo EP, Thanks, che consta di cinque pezzi registrati in proprio, con musicisti di valore come Michael Jerome, il batterista, tra gli altri, di Richard Thompon e John Cale, Ed Maxwell al basso, Ben Peeler al mandolino e chitarra e la leggendaria cantante (e anche pianista per l’occasione) Maxine Waters, un mini album dove lap steel, organo e pianoforte fanno da tappeto sonoro a canzoni dalle marcate influenze blues e country-gospel.

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Il brano iniziale Call Me Up, dal ritmo sostenuto, è proprio un country-gospel con tanto di coro d’ordinanza https://www.youtube.com/watch?v=qGhgCENXiXQ , a cui fanno seguito una Forevermore con la lap steel del co-produttore Ben Peeler in spolvero, il blues gospel di una Walkin’ cantata con l’anima nera di Mahalia Jackson, la ballata fascinosa e lenta This Road I’m On https://www.youtube.com/watch?v=vDyuoSvmgxk  e la conclusiva title track Thanks, una preghiera declamata con fervore dalla sorella più brava della famiglia Moorer.

E’ un peccato constatare che Shelby Lynne e altre artiste della sua generazione (mi viene in mente Joan Osborne) debbano ricercare nuovi stili musicali per uscire dal quasi anonimato, ed essere considerate solamente “oggetto di culto”. In ogni caso una chance a questo EP fareste bene a darla, in quanto Shelby Lynne è una Dusty Springfield dei nostri giorni (e per chi scrive) anche più sexy e provocatoria.

Tino Montanari

Bonamassa E Dintorni! Ma Allora “Finalmente” Esce?! Beth Hart e Joe Bonamassa – Live In Amsterdam

beth hart joe bonamassa live in amsterdam 2 cd

Beth Hart Joe Bonamassa – Live In Amsterdam 2 CD – 2 DVD – Blu-ray Provogue/Mascot 25-03-2014

Dite la verità, eravate un po’ preoccupati? Quattro o cinque mesi senza nessuna novità da parte di Joe Bonamassa  (per quanto…ma lo vediamo tra un attimo) sono un periodo inusitatamente lungo per il chitarrista americano. Ma non temete, l’attesa è finita, il 25 marzo uscirà finalmente l’agognato Live In Amsterdam della coppia Beth Hart/Joe Bonamassa. In effetti il (CD, o DVD, o Blu-Ray) era stato annunciato ancora prima di essere inciso: sui rispettivi siti, Joe e Beth, la primavera della scorso anno avevano avvisato il pubblico dei propri fans, che i concerti che avrebbero tenuto insieme nel mese di giugno 2013 in quel di Amsterdam sarebbero stati registrati, per uscire poi entro fine anno. Come sapete poi Bonamassa, per il periodo natalizio, ha pensato bene di fare uscire quattro diversi DVD (e Blu-Ray) relative ai concerti che aveva tenuto a Londra pochi mesi prima. Ma ora ci siamo, tra un mese uscirà l’atteso concerto registrato il 29 giugno al Koninklijk Theater Carré (più uno scioglilingua che un nome) di Amsterdam https://www.youtube.com/watch?v=BA7cCeSW2Ic . Questo è il contenuto:

TRACKLISTING

1. Amsterdam, Amsterdam!

2. Them There Eyes

 3. Sinner’s Prayer

 4. Can’t Let Go

 5. For My Friends

 6. Close To My Fire

 7. Rhymes

 8. Something’s Got A Hold On Me

 9. Your Heart Is As Black As Night

 10. Chocolate Jesus

11. Baddest Blues

12. Someday After Awhile (You’ll Be Sorry)

13. Beth introduces the band

14. Well, well

15. If I Tell You I Love You

16. See Saw

17. Strange Fruit

18. Miss Lady

19. I Love You More Than You’ll Ever Know

20. Nutbush City Limits

21. I’d Rather Go Blind

22. Antwerp Jam (Credits)

La lista dei brani è quella del DVD e del Blu-ray, ma esiste anche il doppio CD (che vedete effigiato all’inizio del post), i brani sono gli stessi, divisi su due dischi.

beth hart joe bonamassa live in amsterdam dvd beth hart joe bonamassa live in amsterdam bluray

Ma nel caso specifico il formato da avere è quello video, e più precisamente il DVD rispetto al Blu-ray, perché nella confezione ci sarà un secondo dischetto con oltre due ore di materiale bonus extra e dietro le quinte rispetto al concerto ufficiale. Concerto nel quale Beth Hart e Bonamassa sono accompagnati dalla band di quest’ultimo, per l’occasione aumentata anche da una sezione fiati, questi i musicisti impiegati: Anton Fig (drums, percussion), Carmine Rojas (bass), Blondie Chaplin, ex Beach Boys e nella touring band degli Stones (rhythm guitar and backing vocals), Arlan Schierbaum (keyboards) + Lee Thornburg (trumpet and percussion), Ron Dziubla (saxophone and percussion), and Carlos Perez Alfonso (trombone and percussion). Non vedo l’ora: i loro due dischi in coppia registrati in studio sono bellissimi, dal vivo separatamente visti entrambi, strepitosi, insieme in concerto sarà un tripudio!

rock candy funk party takes new york live

Nel frattempo vi sembrava che Bonamassa potesse rimanere fermo con le mani in mano? Cero che no e quindi ieri è uscito questo Rock Candy Funk Party Takes New York Live At The Iridium sempre per la Provogue/Mascot, un DVD di 138 minuti che riporta i 100 minuti del concerto tenuto lo scorso anno nel locale newyorkese, oltre ad un corposo dietro le quinte, in più nella confezione trovate anche un doppio CD con i dodici brani registrati nell’occasione. Come sapete la band è un sestetto che si cimenta in un jazz-rock-funky molto 70’s completamente strumentale dove Joe Bonamassa è “solo” una delle due chitarre soliste, gli altri sono Tal Bergman, Renato Neto, Ron DeJesus, Michael Merritt e Daniel Sadownick, e suonano, caspita se suonano!

Bruno Conti

I “Notturni” di Josh Haden! Spain – Sargent Place

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Spain – Sargent Place – Glitterhouse Records

Dopo 10 anni di silenzio, questo è il terzo lavoro di Josh Haden e soci nell’arco di due anni, dopo l’ottimo The Soul Of Spain (2012) http://discoclub.myblog.it/2012/06/26/buon-sangue-non-mente-un-affare-di-famiglia-spain-the-soul-o/ e The Morning Becomes Eclectic Session (2013), live registrato negli studi di Radio California KCRW (puntualmente recensiti dal sottoscritto su questo blog http://discoclub.myblog.it/2013/12/07/vero-paradiso-delizie-musicali-spain-the-morning-becomes-eclectic-session/ ). Il titolo dell’album (dalla bellissima copertina), si riferisce all’indirizzo dello studio di registrazione di Gus Seyffert (*NDB accreditato come produttore di Black Keys, Beck, Norah Jones in quasi tutte le recensioni perché così diceva il comunicato stampa della Glitterhouse, ma in effetti “solo” il bassista in tour della Jones e collaboratore dei Black Keys, sempre al basso)), e oltre al consueto nucleo familiare, Josh voce e chitarra, la sorella Petra al violino e il “mitico” papà Charlie ospite al contrabbasso (straordinario jazzista), l’attuale line-up del gruppo è composta da Daniel Brummel alle chitarre, Randy Kirk alle tastiere, Matt Mayhall alla batteria, con il mixaggio dell’esperto Darrell Thorp (Radiohead, Paul McCartney fra i suoi clienti e lui sì, ingegnere del suono per Beck), per l’ennesimo lavoro di classe elegante e ricercato degli Spain, con strumenti dal suono misurato e mai invadente, grazie, in questo caso sì, alla produzione di Seyffert. Con la voce del leader Josh Haden che sussurra brani che uniscono i Cowboy Junkies ai Velvet Underground psichedelici del terzo album, e direi anche ai mai dimenticati (per chi scrive) American Music Club di Mark Eitzel.

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La triade iniziale è per certi versi spiazzante, a partire dall’inno ipnotico Love At First Sight, seguita dalla struggente ballata https://www.youtube.com/watch?v=5Do2UGK4Y3s The Fighter dove Daniel Brummell è protagonista con il proprio strumento https://www.youtube.com/watch?v=mfcW9OE11cQ e dal minimalismo di It Could Be Heaven. Con From The Dust e Sunday Morning le sonorità si spostano verso uno stile più “bluesy”, per poi passare alla morbida e avvolgente Let Your Angel, un’altra ballad impeccabile dal suono caldo e profondo, come pure la canzone successiva To Be A Man, aperta dalle note del basso di Josh, a cui bastano pochi accordi  selezionati con cura, una chitarra e un piano, per scolpirsi nella mente. Si riparte con In My Soul https://www.youtube.com/watch?v=-Euy195kgXg , una dolce dichiarazione d’amore appena sussurrata e soffusa dalla voce di Josh che introduce il brano più malinconico, una ammaliante You And I in duetto con il capofamiglia Charlie al basso, mentre la conclusiva Waking Song è il brano più scheletrico e rallentato, con un incedere ripetitivo, quasi psichedelico.

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Ancora una volta il gruppo del “predestinato” Josh Haden riesce a reinventarsi senza perdere un briciolo della propria identità, assemblando un cocktail elegante ed equilibrato di blues, rock dolcemente psichedelico, soul e un pizzico di jazz, sussurandolo a voce bassa, quasi in silenzio. Tutti coloro che conoscono l’universo Spain sanno già che fare, a tutti gli altri un consiglio, ascoltatelo, vi costerà meno di una seduta dallo psicanalista!

Esce il 28 febbraio.

Tino Montanari

 

Uno Dei Capostipiti Degli “Italiani Per Caso”, Ma Anglo-Americani Nel Cuore! Max Meazza And Pueblo – In Cold Blood

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Max Meazza & Pueblo – In Cold Blood – Desolation Angels Records/IRD

Come lascia intuire il titolo del Post Max Meazza è uno dei molti italiani innamorati della musica americana (nato per caso in Italia e non, che so, nei pressi del Laurel Canyon o a Los Angeles), ma il suo è un caso ancora “piu grave” perché Max apprezza moltissimo anche la musica inglese, a partire dagli amati Cream, Free (e poi Bad Company, Paul Rodgers da solo), Ten Years After, per il lato blues-rock, ma anche personaggi come Nick Drake e John Martyn (una delle sue etichette si chiamava Solid Air https://www.youtube.com/watch?v=ToNi9jdx5Ig ) per la canzone d’autore britannica, senza dimenticare la West Coast di cui è stato uno dei cultori ed anticipatori nelle musica italiana: i Pueblo (oltre a Max Meazza, Claudio Bazzari e Fabio Spruzzola) pubblicavano il loro primo album all’incirca 40 anni fa, per questo parlavo di capostipite https://www.youtube.com/watch?v=LMhj6deFGio . Uno dei primi gruppi italiani (ma cantavano rigorosamente sempre in inglese, come sempre nella carriera di Max) che fondeva il suono West Coast di Eagles, America, CSN&Y, James Taylor, Joni Mitchell, con certo rock “morbido” e non, californiano, Jackson Browne, i Doobie Brothers, il miglior country-rock, il blue-eyed soul di gente come Michael McDonald, Loggins & Messina, Boz Scaggs, Bill LaBounty, Marc Jordan, Robbie Dupree.

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Senza stare a fare tutta la storia della discografia di Meazza (anche se in effetti avevo promesso che l’avrei fatto, (vero Max!), giurando sul Manuale delle Giovani Marmotte, ma non essendo nè giovane né marmotta, poi, per vari motivi, non l’ho fatto, ma giuro di nuovo, su Dylan e Hendrix questa volta, altre passioni di entrambi, che prima o poi lo farò), nel corso degli anni nella musica del cantautore milanese (non lo avevo detto?) si sono inseriti anche elementi jazz, grazie alle collaborazioni, tra i tanti, con Paolo Fresu, Gigi Cifarelli e Tiziana Ghiglioni. Questo nuovo In Cold Blood, sempre pubblicato in proprio e distribuito anche in America tramite il circuito CD Baby, quello degli artisti indipendenti, forse perché attribuito anche ai Pueblo (ma i due “storici” questa volta non ci sono, Bazzari aveva fatto una rimpatriata per il precedente Race Against Destiny del 2009), ha un suono più rock e grintoso, molte chitarre elettriche, la “cura” del suono da parte del batterista Enrico Ferraresi, nel cui studio sono avvenute le registrazioni, la pre-produzione di Lucio Bardi, che questa volta non suona nel disco e la produzione vera e propria affidata a Andy Hall e lo stesso Max Meazza.

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Dieci brani originali, un paio di ospiti come Tony O’Malley (giro Arrival/Kokomo) e Frank Collins (sempre Kokomo e sessionman di lusso) che appaiono nel brano Black And White Generation, dedicato allo scomparso giornalista e “musicofilo) Ernesto De Pascale e già distribuito per il download, forse la canzone più bella del disco https://www.youtube.com/watch?v=UC-wodwB2oI , o quella che piace di più al sottoscritto, un bel pezzo rock arioso e raffinato, con qualche aggancio con il sound dei primi Dire Straits, quelli innamorati del suono americano che domina il brano, con le chitarre elettriche di Nick DeMontis, le tastiere di Carlo Riboni e quelle degli ospiti già citati, oltre alle loro armonie vocali, una sezione ritmica agile e molto incalzante, tutto molto bello, all’altezza della migliore produzione americana classic-rock. A chi scrive, ovviamente, piacciono molto anche gli ultimi due brani, quelli più vicini allo spirito di John Martyn (altro pallino in comune), la lunga Mama’s Right, voce “strascicata”, chitarre acustiche incombenti, una atmosfera sospesa dove si librano i fendenti della solista di Andrea Sinico, un altro dei chitarristi presenti nel CD, un pezzo di folk futuribile come era nelle corde del grande cantautore di Glasgow, anche nel testo incazzato e pessimista e Good Man Down, quasi ai limiti di un certo jazz-rock che Martyn amava esplorare nella sua musica e anche Max ha sempre avuto nelle sue corde; a proposito di corde la solista in questo caso è affidata a Nick Fassi, il terzo ed ultimo chitarrista impiegato nel disco.

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Chitarre che sono le protagoniste assolute dei  brani più rock dell’album, come la riffatissima e rauca (anche nell’uso della voce) Bad Rain che apre l’album nello spirito di quei Bad Company da cui penso prenda il nome l’etichetta di Meazza, Desolation Angels. Jimmy Valentine Blues, lo dice il nome, è un blues elettrico molto raffinato, con un giro di basso molto marcato, sui si posano le evoluzioni della slide e della solista di DeMontis, mentre Bluesman, con una bella acustica slide in evidenza, ha un rapporto più intimo e raccolto con le classiche dodici battute https://www.youtube.com/watch?v=NX4CxK7gRVI . Burning Fire è un altro pezzo rock, sempre piuttosto 70’s nel suo svolgimento vicino agli stilemi del rock-blues americano, fino all’uso del classico pedale wah-wah che è sempre sintomatico del genere. La title-track, In Cold Blood, per certi versi mi ricorda le atmosfere di alcuni brani del repertorio anni ’80 di Max, quelli recensivo per il Buscadero dei tempi, utilizzando delle vecchie cassette quasi marce, dove il suono era più intuito in alcune occasioni: qui emerge ancora l’influenza di John Martyn, ma quello più elettrico e jazzato di quel periodo. Mancano Bottle Of J&B, un altro rock-blues vagamente Claptoniano e Live Fast Die Young un ulteriore pezzo dall’andatura galoppante, ancora con wah-wah in primo piano e il notevole lavoro di Ferraresi alla batteria!

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Vi giuro che la qualità è molto migliore di  buona parte di quello che circola nel mercato americano (ma anche inglese) e viene spacciato come musica futuribile, meglio dell’onesta, magari non originalissima ed innovativa, buona musica, da parte di un musicista che preferisce andare diritto per la sua strada e continuare a portare avanti le sue passioni, saliamo in macchina con lui e facciamoci un bel giretto ( sparsi nell’articolo ci sono dei link video, così, se non conoscete, vi potete fare un’idea della musica)!

Bruno Conti

Il Ritorno Del “Giardiniere” – Nathaniel Rateliff – Falling Faster Than You Can Run

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Nathaniel Rateliff – Falling Faster Than You Can Run – Mod Y Vi Records

Mi ero imbattuto una prima volta in Nathaniel Rateliff grazie ad un amico (nello specifico il titolare di questo blog), con la recensione del pregevole lavoro precedente In Memory Of Loss (2010), dove si notava un forte legame con le sonorità degli anni ’60 e ’70 https://www.youtube.com/watch?v=m-wbAwK2eUY . Due brevi note per inquadrare il personaggio: Nathaniel è nativo del Missouri e a 18 anni si trasferisce in quel di Denver (svolgendo molti lavori, fra i quali il giardiniere) e cominciando anche, nel frattempo, a suonare in varie band che lo portano, dopo una lunga gavetta, ad uscire dai confini del Colorado, e finalmente raggiungere un discreto successo con l’esordio Nathaniel Rateliff & The Wheel Desire And Dissolving Men (2007). Questo nuovo lavoro Fallling Faster Than You Can Run, ad un primo ascolto, mette in luce anche il lato più rock del buon Nathaniel e della sua band, che vede Julie Davis al basso, Joseph Pope alle chitarre, James Han al pianoforte e tastiere, Patrick Messe alla batteria, per undici canzoni di folk rurale e di vita vissuta https://www.youtube.com/watch?v=O0WGyfPzFd8 .

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La voce baritonale di Rateliff apre il disco quasi in un sussurro con Still Trying, una chitarra acustica e un rullo di tamburo di base https://www.youtube.com/watch?v=vjM0xggoY9E , mentre I Am sono solo Nat e la sua chitarra https://www.youtube.com/watch?v=hRq-kGyVo5w , per poi passare al suono decisamente più ritmico di Don’t Get Too Close https://www.youtube.com/watch?v=Ezcykwk8aBc , che sembra uscita dalle “sessions” dei Mumford & Sons o dei Lumineers.

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Laborman cambia le cose con un bel riff di chitarra elettrica, un brano vigoroso (alla Wilco), per poi passare di nuovo alla lieve e acustica How To Win  e alzare la posta in gioco con la martellante Nothing To Show For https://www.youtube.com/watch?v=B7pfEsHQuzU  , che viaggia ancora dalle parti dei Mumfords. La seconda parte del disco svolta verso le cadenze quasi “jazzy” di Right On, a cui fanno seguito il personale racconto di Three Fingers In giocato su delicati accordi di chitarra e pianoforte, e la ballata elettrica Forgetting Is Believing,https://www.youtube.com/watch?v=5K2VUlcVZgg  che rimanda al miglior Ryan Adams, mentre When Do You See e la title track Falling Faster Than You Can Run, chiudono il cerchio di un disco bello e importante, che per certi versi si potrebbe avvicinare pure alla stessa vena di essenzialità dei lavori più elettrici del grande Greg Brown.

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Tuttavia il gioco dei rimandi potrebbe continuare all’infinito, in quanto Nathaniel Rateliff ha assimilato bene la storia dei songwriters americani (in questo album ci ripropone una sua lista personalizzata), confermandosi (a parere di chi scrive) una delle possibili grandi promesse del folk-rock a stelle e strisce, nonostante la faccia da giardiniere, ma il cuore e l’anima sono quelle di un magnifico “storyteller”. Cercatelo ne vale la pena!

Tino Montanari

Sembra Molto Interessante! Rod Stewart – Tonight’s The Night: Live 1976-1998

rod stewart tonight's the night 1976-1998

Rod Stewart – Tonight’s The Night: Live 1976-1988 4 CD Warner Bros/Rhino 18-03-2014

Ormai se ne parla da quasi quattro anni, è stato più volte annunciato e poi rimandato, ma alla fine ormai è certo, il 18 marzo la Warner pubblicherà questo cofanetto di 4 CD di materiale dal vivo completamente inedito, registrato da Rod Stewart fra il 1976 e il 1998: la copertina, se devo esprimere un parere, diciamo che non ha una immagine particolarmente ispirata (però poteva anche andare peggio), ma il contenuto sembra assai interessante, 58 brani presi da quattro decadi di quello che Rod The Mod ha sempre saputo fare meglio, cantare dal vivo (quando ha smesso di fare bei dischi in studio, da solo o con i Faces). Ecco il contenuto completo dei quattro dischetti, che seguiranno un ordine cronologico, senza presentare concerti completi, ma selezioni registrate qui e là, in giro per il mondo:

Disc One: 1976

https://www.youtube.com/watch?v=ihjoj1PCRYY
‘Three Time Loser’
‘You Wear It Well’
‘Big Bayou’
‘Tonight’s the Night (Gonna Be Alright)’
‘The Wild Side of Life’
‘Sweet Little Rock ‘n Roller’
‘I Don’t Want to Talk About It’
‘The Killing of Georgie (Part I and II)’
‘Maggie May’
‘Angel’
‘Get Back’
‘(I Know) I’m Losing You’
‘This Old Heart of Mine’

https://www.youtube.com/watch?v=tK6SU-wFvb8

Disc Two: 1976-1981
‘Sailing’
‘Stay with Me’
‘Born Loose’
‘(If Loving You Is Wrong) I Don’t Want to Be Right’
‘I Just Want to Make Love to You’
‘Blondes (Have More Fun)’
Medley: ‘(I Know) I’m Losing You/It’s All Over Now / Standin’ in the Shadows of Love / Layla’
Medley: ‘Twistin’ the Night Away / Every Picture Tells a Story’
‘She Won’t Dance with Me’
‘Passion’
‘Gi’ Me Wings’
‘Hot Legs’ (with Tina Turner)

Disc Three: 1984-1989
‘Tonight I’m Yours (Don’t Hurt Me)’
‘You’re in My Heart (The Final Acclaim)’
‘(Sittin’ On) The Dock of the Bay’
‘Hungry Heart’
‘Bad for You’
‘Some Guys Have All the Luck’
‘Rock Me Baby’
‘Infatuation’
‘I Ain’t Superstitious’
‘Every Picture Tells a Story’
‘Lost in You’
‘Forever Young’
‘Da Ya Think I’m Sexy?’
‘Crazy About Her’
‘Try a Little Tenderness’
‘You’re in My Heart (The Final Acclaim)’ (Reprise)

Disc Four: 1991-1998
‘Downtown Train’
‘This Old Heart of Mine’
‘Stay with Me’
‘Sweet Soul Music’
‘Mandolin Wind’
‘Highgate Shuffle’
Baby Jane’
‘Baby Please Don’t Go’
‘Cut Across Shorty’
‘(Find a) Reason to Believe’
‘Handbags & Gladrags’
‘Having a Party’
‘People Get Ready’
‘Have I Told You Lately’
Medley: ‘Twistin’ the Night Away / Chain Gang’
‘Cigarettes and Alcohol’
‘Rocks’

La scelta dei pezzi mi pare eccellente, con moltissime chicche e poco materiale pescato tra quello più bieco e commerciale di Rod Stewart, un bel cofanetto da mettere lì sui vostri scaffali, di fianco a cofanetti come Storyteller, Reason To Believe: The Complete Mercury Recordings (il migliore, un triplo che copre il periodo magico dal 1969 al 1974, imprescindibile), The Rod Stewart Sessions 1971-1998 (Rarities/Sessions box o il suo fratello “minore”, il doppio Rarities), senza dimenticare il quadruplo dedicato all’opera omnia dei Faces, Five Guys Walk Into A Bar…. A questo proposito vi ricordo che l’11 marzo uscirà un bellissimo doppio CD antologico, a prezzo speciale, dedicato a Ronnie Lane & Slim Chance, Oh La La: An Island Harvest, ma ne parliamo poi a parte.

rod stewart christmas eve 1976

Tornando al cofanetto dedicato a Rod Stewart il primo CD contiene materiale dedicato nel tour inglese del 1976, in diverse località: ci sono molti pezzi presi da quello che era il disco che era appena uscito, A Night On The Town, compresa Tonight’s The Night (Gonna Be Alright) che dà il titolo a questo box, oltre a tre ottime performances tratte dal suo capolavoro Every Picture Tells A Story, ovvero “You Wear It Well,” “Maggie May” e “(I Know) I’m Losing You”, oltre a I Don’t Want To Talk About It di Danny Whitten un n.1 nel 1977 e poi nuovamente, ri-registrato, nel 1998, una rara versione di Get Back dei Beatles, che era uscita in All This and World War II (uno strano documentario uscito nel 1976 sulla seconda guerra mondiale, che aveva la colonna sonora tutta di brani dei Beatles, fatti da chiunque, da Elton John, Jeff Lynne, i Bee Gees e Bryan Ferry, passando per gli Ambosia, Keith Moon e Riccardo Cocciante, ma anche una bella versione di Strawberry Fields Forever cantata da Peter Gabriel, fine della digressione). Tornando al primo dischetto del box c’è anche una notevole This Old Heart Of Mine, la celebre canzone degli Isley Brothers incisa per la Motown.

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Il secondo CD riporta ancora due brani incisi nel 1976, Sailing e Stay With Me, mentre la maggior parte dei brani viene dal concerto al Forum di Los Angeles del 1979, tra cui (If Loving You Is Wrong) I Don’t Want to Be Right di Sam And Dave, un classico del Blues come I Just Want to Make Love to You, anche se non mancano, purtroppo, Blondes (Have More Fun) e Passion, riabilitate da due medley strepitosi,  Medley: ‘(I Know) I’m Losing You/It’s All Over Now / Standin’ in the Shadows of Love / Layla e Medley: ‘Twistin’ the Night Away / Every Picture Tells a Story, minchia!, scusate, perbacco https://www.youtube.com/watch?v=f5Lw-pqlaNU .Gi’ Me Wings viene da un concerto a Wembley del 1980, mentre Hot Legs è un duetto con Tina Turner registrato a LA nel 1981.

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Il terzo CD riporta estratti da un concerto a San Diego del 1984 e da una alla Meadowlands Arena (il fortino di Springsteen): infatti tra i brani c’è anche una cover di Hungry Heart di Bruce (mai saputo che l’avesse fatta), oltre a Rock Me Baby del grande BB King (all’inizio di carriera con gli Steampacket, Stewart era un fior di cantante di blues) e anche con Jeff Beck, non si scherzava con il repertorio, come dimostra una poderosa I Ain’t Superstitious, senza dimenticare (Sittin’ On) The Dock Of The Bay e Try A Little Tenderness di mastro Otis Redding, Forever Young di Dylan e Some Guys Have All The Luck, un megasuccesso per i Persuaders (e per lo stesso Rod). Però vi cuccate Do Ya Think I’m Sexy? scopiazzata da Taj Mahal di Jorge Ben, Infatuation e You’re In My Heart.

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Il quarto CD, quello che va dal 1991 al 1998, stranamente è forse il migliore. Va bene che Stewart era reduce dal clamoroso successo di pubblico e critica dell’ottimo Unplugged…And Seated https://www.youtube.com/watch?v=C_KrAYtU6Zs , dove aveva rivisitato il suo miglior repertorio classico ma non mi ricordavo che avesse cantato dal vivo così tante belle canzoni: Downtown Town di Tom Waits ok, presa da un concerto sempre a Wembley del 1991 (non dimentichiamo che il buon Rod Stewart ha il record per il concerto gratuito con la maggiore affluenza di pubblico della storia, dai 3.500.000 ai 4.700.000 presenti (!!!), a seconda se le cifre le forniscono gli organizzatori o la questura, comunque una valanga di gente, per un concerto a Rio De Janeiro tra il 31/12/1994 e il 1° Gennaio 1995), ancora This Old heart of Mine, Stay With Me dei Faces, Sweet Soul Music di Arthur Conley, Mandolin Wind, Baby Please Don’t Go, Cut Across Shorty, Reason To Believe, Handbags and Gladrags, tutti brani che venivano dai primi album, quelli più belli. E ancora Havin’ A Party e il medley di Twistin’ The Night Away/Chain Gang dell’altro idolo di Stewart, il grandissimo Sam Cooke. Have I Told You Lately, la struggente ballata di Van Morrison, People Get Ready, il bellissimo brano degli Impressions di Curtis Mayfield che aveva registrato con Jeff Beck (a quando la rimpatriata più volte annunciata? E quella con i Faces? Questa è ufficiale, lo ha detto Ron Wood nel suo programma radiofonico). La conclusione è affidata ad altre due cover insolite, registrate nel 1998, Cigarettes and Alcohol degli Oasis https://www.youtube.com/watch?v=u4DhNSSKQjQ  e Rocks dei Primal Scream, apparse entrambe su When We Were The New Boys di quell’anno, uno dei meno peggio di Rod Stewart dell’ultimo trentennio, perché belli, a parte l’Unplugged, non ne ha fatti.

https://www.youtube.com/watch?v=hcgcPdkwk3s

Questo invece è decisamente bello ed interessante, praticamente vi ho già fatto la recensione, non resta che acquistarlo quando uscirà il 18 marzo, ad un prezzo che dovrebbe essere intorno ai 30 euro, quindi decisamente abbordabile.

Alla prossima.

Bruno Conti

 

Un “Nuovo” Disco di Big Walter Horton, E Che Disco! Live At The Knickerbocker

big walter horton live knickerbocker

Big Walter Horton – Live At The Knickerbocker – JSP Records

Un nuovo album di Big Walter Horton, uno dei più grandi armonicisti del Blues, a circa 33 anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel dicembre del 1981? Quasi. Riprovo: una nuova versione in CD di un disco dal vivo che ha vissuto diverse incarnazioni nel corso degli anni? Già meglio. In effetti questo Live At The Knickerbocker è uscito varie volte nel corso degli anni: una prima volta, in vinile, nel 1980 (mi sa che ce lo avevo ai tempi, la copertina mi ricorda qualcosa), a nome Walter Horton e con il titolo di Little Boy Blue, sette brani e diversa sequenza degli stessi, con una traccia attribuita a Left Hand Frank.

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Stessa copertina e titolo, per una prima edizione in CD, sempre per la JSP, uscita nel 1989, i brani diventano nove, la sequenza è quella esatta ed i primi tre sono giustamente attribuiti a Sugar Ray & The Bluetones, che poi diventano la band di supporto del grande musicista di Horn Lake, Ms, per i restanti sei. Nel 2001 (qui vado un po’ a memoria, mi sembra), esce nuovamente, questa volta come Walter Horton Live At The Knickerbocker. E siamo al 2014, questa versione appare con il nome di Big Walter Horton Featuring Ronnie Earl-Sugar Ray, nuova copertina, nuove foto, con le vecchie liner notes dell’edizione 1998 (ebbene sì, ne era uscita una versione anche quell’anno), quello che non cambia è lo straordinario contenuto di questo concerto, forse l’ultimo registrato da Horton, nel 1980, un anno prima della sua morte, ma quando era ancora in grandissima forma.

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Ed i comprimari non sono da meno: tutti giovani e molto tempo prima di essere riconosciuti tra i grandi del blues bianco degli ultimi 30 anni. Sugar Ray Norcia, alla voce e all’armonica è già un grande talento e ancor di più, alla chitarra c’è un tale Ronnie Horvath, prima di acquisire il suo titolo nobiliare di Earl del blues. Gli altri tre accompagnatori sono “Little Anthony Geraci”, ottimo pianista, il bassista Michael “Mudcat” Ward e l’unica nera del gruppo (a parte Big Walter, ovviamete), la flemmatica e misteriosa batterista Ola Mae Dixon. Nella sua lunga carriera, Big Walter Horton, definito da Willie Dixon il più grande armonicista che abbia mai ascoltato, non è quasi mai stato un prim’attore, la sua discografia è abbastanza scarna, a differenza di quella di gente come Little Walter o Sonny Boy Williamson, però ha partecipato a molte delle registrazioni cruciali della storia del blues di Chicago, come spalla di lusso.

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In questa veste forse qualcuno se lo ricorda nel film Blues Brothers, dove era l’armonicista nel gruppo di John Lee Hooker. Ma dal vivo era una forza della natura, acustico od elettrico, a detta di tutti gli appassionati di blues e di armonica in particolare, quello in possesso di una tecnica unica e di una forza nel soffio che hanno influenzato intere generazioni di strumentisti negli anni a venire https://www.youtube.com/watch?v=FghNW94YUaM . Sentite proprio uno dei suoi discepoli, Sugar Ray, come si faceva semplicemente chiamare agli esordi, nella tripletta di brani che aprono questo concerto: una Cry For You dal repertorio di Billy Boy Arnold, con il gruppo che ricorda moltissimo i Bluesbreakers dei primi anni, seguita da uno slow eccellente come Lord Knows I Tried, dove Ronnie Earl dimostra già di essere quel chitarrista formidabile che abbiamo apprezzato nel corso degli anni, al sottoscritto sembra di ascoltare un giovane Michael Bloomfield, fantastico e Sugar Ray Norcia mi ricorda alla voce il giovane Peter Green. Country Girl era uno dei cavalli di battaglia della coppia Buddy Guy/Junior Wells e i “giovani” Norcia e Horvath fanno di tutto per non farli rimpiangere https://www.youtube.com/watch?v=N-6CqQz3ilI .

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E Big Walter non è ancora arrivato, quando sale sul palco stende subito tutti con una poderosa Walter’s Shuffle, con la band che attacca un groove micidiale ed il pubblico del piccolo Knickerboxer (un caffè nel mezzo del nulla a Westerly, Rhode Island, un posto che ancora esiste, il locale ovviamente) dimostra di apprezzare https://www.youtube.com/watch?v=ZHxo3APxurI . Little Boy Blue, che dava il titolo al disco originale, è un brano di Robert Lockwood Jr., Horton non ha una gran voce, ma tonnellate di feeling e quando inizia a soffiare nell’armonica è un grande trascinatore (fisicamente non era messo molto bene, come si vede dalla foto, ma la grinta non manca). It’s Not Easy è un altro dei pezzi da novanta del suo repertorio, in origine si chiamava Easy ed era una canzone di tale Jimmy Deberry, poi qualcuno gli ha fatto notare che il brano non era poi così “easy” nel suo intricato lavoro di armonica ed il nuovo nome è rimasto, sentire per credere. Two Old Maids viaggia ad una velocità molto più sostenuta dell’originale 78 giri pubblicato da Horton per la Sun nel 1953 e dimostra che il nostro amico era ancora in forma strepitosa, circa un anno prima della sua scomparsa. Altro slow blues ed altra occasione per mostrare la sua classe per un Ronnie Earl in grande spolvero, questa volta alla slide in una grandissima What’s On Your Worried Mind? dove l’interscambio con l’armonica è continuo. La conclusione è affidata ad un altro shuffle come Walter’s Swing in cui l’armonica viaggia ancora alla grande, caspita se viaggia.

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Questo CD, se amate il Blues, va preso e messo lì nella vostra discoteca accanto al recente Magic Sam, Live At The Avant Garde, dischi così non se ne fanno quasi più!

Bruno Conti

Anche In Fondo Al Barile C’è Roba Buona! Ultimate Spinach – Live At The Unicorn, July 1967

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Ultimate Spinach – Live At The Unicorn, July 1967 – Keyhole Records

Ormai abbiamo quasi raschiato il fondo del barile, nell’ambito delle ristampe, quasi. In questi anni siamo arrivati alle ristampe dei vecchi bootleg, prima la Cleopatra Records, ora questa Keyhole, stanno pubblicando alcuni concerti della era psichedelica, artefatti che erano in versione pirata ed ora acquisiscono una versione “ufficiale”. I Quicksilver escono a decine, ma anche altri gruppi, come la Steve Miller Band, la band di Boz Scaggs, gli It’s A Beautiful Day, tutti a cura della stessa Keyhole, anche qualche titolo dei Velvet Underground e di Lou Reed. Pure questo CD degli Ultimate Spinach, band psichedelica di Boston, in azione sul finire degli anni ’60, è corredato da un bel libretto di una decina di pagine, ricco di informazioni e di pensieri forniti dal fondatore della band, Ian Bruce-Douglas, all’epoca dei fatti un ventenne ingenuo e poco avvezzo al mondo della musica, almeno a giudicare dalle sue parole e dalle reminiscenze sull’excursus del suo gruppo.

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Stando a quanto si dice nel libretto pare che i componenti degli Spinach non fossero un ensemble di amici, ma un gruppetto di personaggi intenti a farsi del male tra di loro, con manager e produttori che erano impegnati a cercare di fregarli nell’un caso e fare dei dischi esattamente opposti alle attese del buon Ian, nell’altro. Che, volendo, era un po’ la situazione tipica a quei tempi, con l’eccezione delle band di grande successo, gli altri improvvisavano molto, oltre che nella loro musica, anche nel gestire la propria carriera. La registrazione di questo concerto avviene nel luglio del 1967, in un piccolo locale di Boston, dove la band era stata ingaggiata, ancora priva di un concerto discografico, per una serie di sei settimane di concerti serali, più una matinée alla domenica: il nome completo del locale era Unicorn Coffee Shop, quindi si possono immaginare le dimensioni della “sala da concerto”.

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Addirittura la band, forse, era nella sua fase di passaggio da Underground Cinema a Ultimate Spinach, e non aveva registrato ancora nulla a livello discografico, quindi il repertorio era molto basato sulle cover, con alcuni brani originali, (tra cui (Ballad Of The) Hip Death Goddess e Mind Flowers, che sono quelli per cui sono ricordati ancora oggi), una psichedelia abbastanza ricercata che poteva ricordare per certi versi quella di gruppi come i Jefferson Airplane, anche perché i componenti del gruppo cantavano tutti, meno il bassista Richard Nese, e in formazione c’era la bella voce femminile della diciottenne Barbara Hudson, a cui si sarebbe aggiunta Priscilla Di Donato nel gennaio del 1968. Gli altri erano Geoffrey Winthrop alla chitarra solista e sitar, Keith Lahteinen alla batteria e il già citato Ian Bruce-Douglas al piano elettrico e 12 corde. Tra pasticche misteriose, LSD corretto alla stricnina e scontri interni doveva essere proprio un bel ambientino, comunque il primo album omonimo, pubblicato dalla MGM, la stessa dei Velvet, arrivò fino al 34° posto delle classifiche americane https://www.youtube.com/watch?v=_AdFvJ9iUDQ , anche se fu distrutto a livello critico da un certo Jon Landau, cosa che ancora oggi fa inc…re Bruce-Douglas non poco, anche se lui stesso è critico verso quel disco, dicendo che sperava di pubblicare un disco dalle sonorità corpose alla Jimi Hendrix, mentre per colpa del produttore Alan Lorber, finirono per avere un disco di bubblegum music.

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Probabilmente la verità sta nel mezzo, infatti il disco è stato poi rivalutato e la versione in CD della Big Beat fa la sua bella figura. La qualità sonora di Live At The Unicorn è quella di un buon bootleg, persino ottimo, rimasterizzato nei limiti del possibile, e si apprezza la grinta dell’iniziale chitarristica Hey Joe, un must dell’epoca https://www.youtube.com/watch?v=kGho-mLO_co , il gentile folk-rock psych di Get Together https://www.youtube.com/watch?v=ZC5WG9dqRIw , con le sue piacevoli armonie vocali, il mid-tempo pianistico di I Don’t Know Your Name, Funny Freak Parade con un improbabile “assolo” di kazoo di Barbara Hudson. Don’t Let These Years Go By addirittura non è riportata sulla copertina del CD, ma giuro che c’è, una leggiadra ballata vagamente folk con un liquido piano elettrico. Anche Don’t Cry For Me e Follow Me, cantata dalla Hudson hanno quest’aria folkeggiante per niente disprezzabile tipica dei tempi https://www.youtube.com/watch?v=dTxiVvczzCM , ma sono i brani conclusivi quelli che danno concretezza al gruppo e al concerto, Hip Death Goddess, ancora con la voce da soprano di Barbara, vagamente alla Nico, in evidenza, poi diventa una cavalcata acida e psichedelica con gli strumenti in libertà, alla Big Brother o Country Joe https://www.youtube.com/watch?v=VYWI7FzME3I  e la lunghissima, oltre 12 minuti, Mind Flowers, viaggia addirittura sui territori dei Quicksilver o dei Jefferson più improvvisativi e francamente smentisce l’asserzione di Bill Graham, che disse che il gruppo era il peggiore che avesse mai suonato al Fillmore https://www.youtube.com/watch?v=N60iusteLCU . Tutti possono sbagliare, e questo buon Live lo testimonia.                                                                 

Bruno Conti

Questo E’ Vero Southern Rock! Whiskey Myers – Early Morning Shakes

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Whiskey Myers – Early Morning Shakes – Wiggy Thump Records ***1/2

Come forse alcuni di voi ricorderanno (per chi vuole approfondire eccolo http://discoclub.myblog.it/2011/05/15/sudisti-veri-e-di-quelli-ma-molto-bravi-whiskey-myers-firew/ ), in occasione dell’uscita del precedente album Firewater, mi ero lanciato, nell’incipit della recensione, a definire quali erano la provenienza e il genere di musica che fanno i Whiskey Myers, con queste parole, che ricordo per i più distratti: “Vengono da Elkhart, una piccola cittadina dell’East Texas e, per una volta, non ci sono dubbi su che genere di musica facciano: Southern Rock. E di quello duro e puro!” https://www.youtube.com/watch?v=HZku85Lk7FA  Ebbene mi sbagliavo! Ogni tanto, per documentarmi, come fanno molti, sono andato a fare un giretto in rete e controllando alla voce Whiskey Myers su Wikipedia e Allmusic ho scoperto che fanno country!

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Mi scuso dell’errore e vado a parlarvi di questo nuovo Early Morning Shakes https://www.youtube.com/watch?v=LpsxU_6Sb6I . Scherzi a parte (ma non troppo), il quintetto texano, ostinatamente, ha dato alle stampe, a tre anni di distanza dal precedente, un nuovo album dove “sembra” che facciano ancora quel tipo di musica che negli anni ’70 ha fatto la fortuna di formazioni tipo gli Allman Brothers, i Lynyrd Snynyrd, la Marshall Tucker Band e ai giorni nostri viene frequentato da formazioni come Blackberry Smoke, Skinny Molly e altri, il country! Come ha giustamente ricordato il leader della band Cody Cannon, non è che lui e i due chitarristi Cody Tate e John Jeffers, e la sezione ritmica di Gary Brown e Jeff Hogg, si chiudano scientemente in uno studio di registrazione (in questo caso con Dave Cobb, già produttore di Jason Isbell e molti altri) per creare un disco di southern rock! Però poi, senza volere, e per fortuna, gli viene https://www.youtube.com/watch?v=oPOWJu-URdU .

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Nell’apertura, affidata alla title-track, Early Morning Shakes, un brano che profuma di blues anche per la presenza dell’armonica di Chris Hennessee, la quota country e rock è meno pervasiva, anche se Tate e Jeffers cominciano a scaldare gli attrezzi e Cannon l’ugola, ben coadiuvato dalla voce di supporto di Kristen Rogers (molto brava). Un inizio più in sordina del solito (ma giusto quel poco), perché già da Hard Row To Hoe, la ritmica trova un groove quasi zeppeliniano, dove i tre solisti, possono far rivivere la leggenda dei Lynyrd Snynyrd, Cody Cannon è un cantante che  non ha nulla da invidiare al vecchio Ronnie Van Zant e come ricordavo già per il precedente album, Tate e Jeffers sono degni epigoni di Rossington e Collins, in questo brano entrambi al wah-wah, per un sound che si rifà alle migliori cavalcate della band di Jacksonville, Florida. Quando si aggiunge anche la pedal steel dell’ospite Robby Turner, come nella eccellente Dogwood, dove salgono al proscenio pure le tastiere di Michael Webb, peraltro presente in tutto il disco, la quota country ovviamente sale, ma è quello energico che ci piace, ottima ancora una volta la presenza della voce femminile di Kristen Rogers. Steel che rimane anche per Shelter From The Rain, una gentile ballata mid-tempo degna dei migliori del genere, Gregg Allman e Ronnie Van Zant sarebbero fieri del loro degno erede Cannon, ma tutta la band suona alla grande.

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Home ha un sound non dissimile da quello dei Black Crowes, rock potente e chitarristico https://www.youtube.com/watch?v=kLz-C8R3uNA , che deriva sicuramente dal classico hard rock degli anni ’70, ma suonato come Dio comanda, con la slide di Jeffers che taglia a fettine il tessuto del brano. Lo so, tutta roba sentita migliaia di volte, e per la milionesima volta mi ripeto, chi se ne frega! Se la fanno così bene, noi siamo contenti, la critica più esigente se ne farà una ragione e lascerà ai vecchi rockers (ma anche a quelli giovani, se vogliono) il piacere di ascoltare una musica che non profuma di plastica e campionamenti, ma di sudore del palcoscenico e che si replica all’infinito, come nel riff alla Zeppelin di Headstone, roccioso come si conviene e con l’assolo di Tate (o è Jeffers? O tutti e due?) che rende omaggio al maestro Page.

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Where The Sun Don’t Shine, sempre ricca di armonie sudiste ha una andatura più cadenzata e precede la atmosfere acustiche di Reckoning, con il piano che delinea la melodia di questa bella ballata, con il classico costrutto in crescendo dei classici del genere, ma senza il finale chitarristico che ci si potrebbe aspettare. Wild Baby Shake Me, bluesata e sudista quanto basta, è un altro ottimo esempio della classe di questa band che da Austin e dintorni porta il proprio genere per gli States e per il mondo, e in questo caso le chitarre non mancano, doppia slide addirittura. Anche Lightning si lascia ascoltare con piacere https://www.youtube.com/watch?v=-MdLuXBdOlY  e Need A Little Time Off For Bad Behavior, ancora con pedal steel e armonica aggiunte, è l’unica cover presente, un brano di David Allan Coe, country, ma da “fuorilegge cattivo”, come il proprio autore https://www.youtube.com/watch?v=nI_ZBa9xK1I . Colloquy se la sono tenuta per ultima ed è un’altra fantastica ballata che nei suoi oltre sei minuti ripercorre il meglio del loro repertorio. I Whiskey Myers non deludono, ottimo disco!                

Bruno Conti