Opinioni E Punti Di Vista “Differenti”! Turchi – Can’t Bury Your Past

turchi can't bury your past

Questa recensione era stata preparata più di un mese fa, come anteprima dell’album dei Turchi, poi per vari motivi non è stata utilizzata, ma visto che, come per il maiale, delle recensioni non si butta via nulla, la pubblico oggi. Come leggerete all’interno della stessa i pareri su questo nuovo album, che ha una data di uscita presunta intorno a metà aprile, ma già circola sul nostro territorio da un mesetto, sono contrastanti, per esempio, per onestà, sul Buscadero ne hanno parlato benissimo ma altri meno, il mio parere lo leggete qui sotto!

Turchi – Can’t Bury Your Past – Devil Down Records

Terzo album per la band di Asheville, North Carolina, i Turchi, dopo l’ottima accoglienza avuta per il Live In Lafayette, uscito lo scorso anno e distribuito, come il precedente Road Ends In Water e questo nuovo Can’t Bury Your Past, dalla etichetta Devil Down Records https://www.youtube.com/watch?v=UclitQ9wJAc  che pubblica anche altri dischi di artisti del cosiddetto filone “Hill Country Blues” . In effetti loro definiscono il genere che suonano “Kudzu Boogie”, un incrocio tra un rock-blues piuttosto grezzo ed ipnotico e la musica southern tipica della zona da cui provengono: si chiama Carolina del Nord ma è nel sud negli Stati Uniti. Fondamentalmente sono un trio, Reed Turchi, la voce solista, leader, chitarrista, anche slide e autore dei brani, Andrew Hamlet al basso e Cameron Weeks alla batteria. Nel disco dal vivo la formazione si ampliava a quintetto con l’aggiunta di John Troutman alla pedal steel e Brian Martin all’armonica, questa volta i musicisti aggiunti sono Art Edmaiston, da Memphis, al sax tenore e baritono e Anthony Farrell, di Austin, Texas alle tastiere e organo.

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Dieci nuovi brani registrati in studio, con due canzoni che erano già apparse nel disco dal vivo (evidentemente il nuovo album era pronto fa tempo). Due precisazioni: i Turchi, come ho verificato sentendo un po’ di “colleghi recensori” non sono amati proprio da tutti, la benevolenza degli addetti ai lavori non è unanime, per dirla francamente varie persone mi hanno espresso non dico un disgusto verso la band, ma non un particolare amore, per usare un eufemismo. Altrettanto onestamente, altri avranno letto la recensione più che favorevole scritta da Paolo Carù per il Buscadero (con relativa copertina della rivista), in relazione al CD dal vivo. Diciamo che il sottoscritto si situa nel mezzo, il Live In Lafayette mi era piaciuto, la famosa frase, “ah, ma dovresti sentirli dal vivo”, era più che giustificata https://www.youtube.com/watch?v=-b2vc2rAks4 , e l’oretta di musica contenuta in quel dischetto era più che soddisfacente https://www.youtube.com/watch?v=xMxGqhtslVQ . Immagino che a questo punto vi aspettiate un ma…che ora vado ad esplicarvi.

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In studio, o almeno in questo Can’t Bury Your Past mi sembra che il gruppo perda un po’ della potenza delle esibizioni in pubblico, in favore, a tratti, di un sound più “lavorato”, anche per la presenza di sax e tastiere, con le dovute eccezioni. Per esempio il brano posto in apertura dell’album, che esplica una delle anime sonore del disco, Take Me Back Home, ha il solito groove lento ed ipnotico tipico dei loro pezzi, la voce rauca di ReedTurchi forse non uno strumento formidabile (uno dei difetti che vengono loro imputati), ma la chitarra slide è libera di improvvisare come usa nel gruppo e il sax e la tastiere ampliano lo spettro sonoro del pezzo https://www.youtube.com/watch?v=pW2rYx24GFA , inconsuete anche le sonorità di Burning In Your Eyes e Each Other’s Alibi, dove il sax ha moltissimo spazio, nel primo con un approccio che mi ha ricordato quello di una vecchia band inglese dei primi anni ’70, i Backdoor (qualcuno li ricorda?), un trio basso-sax e batteria che aveva un approccio inconsueto al blues, aggressivo e particolare, formula applicata anche in questo caso, con risultati che però non mi convincono fino in fondo, atmosfere più sospese ma la chitarra passa in secondo piano, soprattutto in Each Other’s Lullaby a favore delle improvvisazioni del sax e del basso fin troppo saturo.

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In Sawzall torna il kudzu boogie della band con la chitarra in bella evidenza e le tastiere usate in supporto della solista e anche in Lightning Skies la slide di Reed Turchi è protagonista assoluta in un brano che però ha sempre questo sound che ogni tanto si incarta verso derive quasi funky, forse non consone alla loro anima. Brother’s Blood era uno dei due brani già presenti nel Live In Lafayette, un blues di impianto sudista con qualche similitudine con il boogie dei vecchi Canned Heat o il suono dei vari bluesmen delle colline da cui i Turchi traggono ispirazione, oltre che degli “amici” Luther Dickinson North Mississippi Allstars, la slide cerca sempre strade inconsuete con il supporto del sax. Bring On Fire, Bring On Rain, se devo essere sincero, è uno dei brani che ho apprezzato maggiormente, un brano che parte acustico e poi aggiunge l’organo, la solista di Turchi e crea un tipo di sound più sospeso, meno ossessivo e ripetitivo, nei suoi quasi cinque minuti, uno dei più lunghi ma anche più vari del disco. Ancora un approccio parzialmente acustico per lo slideggiare più tradizionale di 450 Miles mentre la cover di Big Mama’s Door di Alvin Youngblood Hart, l’altro pezzo già presente nel live, conferma la sua validità da boogie sudista e sudato. Non tutto mi convince in questo nuovo disco, anche se avendolo sentito solo in uno streaming “faticoso” mi riservo il giudizio definitivo.

Bruno Conti

P.s. Nel frattempo è uscito, in anticipo sul previsto, l’ho risentito e confermo il mio giudizio.

Un Supergruppo Di Non Famosi, Tranne Uno, Mr. Bonamassa! Rock Candy Funk Party – Takes New York Live At The Iridium

rock candy funk party takes new york live

Rock Candy Funk Party – Takes New York  Live At The Iridium 2CD+DVD J+R Rec.

Mentre è uscito anche l’atteso doppio album dal vivo con Beth Hart (nei prossimi giorni recensione completa sul Blog), Joe Bonamassa ci delizia con una delle sue tante avventure trasversali. I Rock Candy Funk Party nascono, come primo nucleo, nel 2007, dall’incontro tra il batterista e produttore Tal Bergman e il chitarrista Ron DeJesus per un disco intitolato Groove Vol.1, programmatico fin dal titolo. Negli anni successivi sono entrati via via in formazione il bassista Mike Merritt, il tastierista Renato Neto e, nel 2012, Joe Bonamassa. A questo punto le cose si sono fatte serie, la formazione ha inciso un primo CD di studio per l’etichetta di Bonamassa, We Want Groove, dove lo stile strumentale della band, che fonde jazz, rock, funky, fusion ha raggiunto una sua quadratura, rimanendo però assai ricco nel reparto improvvisazione https://www.youtube.com/watch?v=MCrXcvsRwPs .

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Tra un impegno e l’altro, il gruppo, con l’aggiunta di Daniel Sadownik alle percussioni, ha deciso di registrare un concerto all’Iridium di New York, per pubblicare un doppio CD dal vivo, con DVD (o Blu-Ray) allegato, che riporta, oltre al concerto, un ricco documentario girato dietro le quinte, più di 100 minuti di musica, nella migliore tradizione del genere, che proprio in questa modalità dà i migliori risultati. Forse non saranno un “supergruppo”, visto che l’unico famoso (ma non celeberrimo) è proprio Bonamassa, ma se conta la bravura allora ci siamo.

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Il titolo del primo disco era ispirato da un celebre album di Miles Davis, ma il primo brano, Octopus-E  ha un groove che è puro Herbie Hancock Headhunters circa Man-Child. con Wah-Wah Watson, Blackbyrd McKnight e David T-Walker alle chitarre https://www.youtube.com/watch?v=Cv_GE_n2oZQ . Non si può dimenticare il suono di Spectrum di Billy Cobham, con Tommy Bolin alla chitarra, quello dei Return To Forever di Chick Corea, Al Di Meola e Stanley Clarke, la Mahavishnu Orchestra, gli Eleventh Hour di Larry Coryell e Alphonse Mouzon, tutto un periodo glorioso che rivive nelle esplosioni ritmiche e chitarristiche di Work https://www.youtube.com/watch?v=DgoY7t1eGrQ . Ma anche il Jeff Beck del periodo jazz-rock, le percussioni latineggianti di Sadownik, le evoluzioni al basso di Merritt, le twin guitars di Bonamassa e DeJesus in We Want Groove, stanno tra il Santana influenzato da John McLaughlin, il Davis del periodo elettrico e tutto quel jazz-funky meticciato che impazzava nella prima metà anni ’70, potreste rifarvi alla famosa rubrica della settimana enigmistica, “scopri la differenza”!

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Tanto virtuosismo, ma anche tanto divertimento, la facciata accettabile del prog-rock virtuosistico e fine a sé stesso di molti gruppi (ma non tutti). Bonamassa si sente spesso e volentieri, ma è primus inter pares, le tastiere di Neto, oltre che salire al proscenio spesso, soprattutto con il piano elettrico, con la parte elettronica dei synth svolgono anche le funzioni che erano dei fiati (e parliamo sempre di We  Want Miles). Si vede e si sente che i musicisti (e il pubblico) si divertono, il wah-wah di Bonamassa (o DeJesus, o entrambi) e il piano elettrico di Neto sono frenetici nella superfunky Heartbeat,, ma il gruppo se la cava egregiamente anche nelle atmosfere liquide e sognanti di New York Song, dove anche le linee melodiche e non solo il groove inarrestabile hanno un loro spazio. Però quando la batteria di Bergman innesta le alte velocità ritmiche di Spaztastic, che sono nuovamente figlie di Spectrum, ma anche di James Brown, Sly and Family Stone e di tutti i funky drummers passati e futuri, le attitudini jam del gruppo prendono il sopravvento, in un’orgia di tastiere, chitarre e strumenti ritmici che folleggiano ondeggiando per la gioia degli ascoltatori. E siamo solo alla fine del primo CD.

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Altri sei brani nel secondo, con le lunghezze che si allungano, due oltre i dieci minuti e uno oltre i quindici: Ode To Gee sperimenta sonorità spaziali (sia come attitudine musicale che mentale, anche se non sono vestiti con quelle tutine da astronauti che impazzavano all’epoca), sempre in quel territorio tra jazz, rock e funky che è prerogativa dei Rock Candy Funk Party, non potendo tradire il proprio nome https://www.youtube.com/watch?v=c7SW3z3BVho . Un ensemble molto democratico, dove Bonamassa è la star, con i suoi soli e scale fulminanti, ma il suono è decisamente compatto, come nella “breve” Dope On A Rope, ricercato, sperimentale e ricco di inventiva nella lenta e sinuosa The Best Ten Minutes Of Your Life. Non siamo proprio a un concerto dei Kiss, per capirci, anche quando i ritmi si fanno nuovamente “fonky”  in Steppin’ Into It,  le evoluzioni sono comunque più per il cervello che per i piedi. Il rituale dell’assolo di batteria non poteva mancare, fa parte della liturgia, ma poi arrivano tutti gli altri che alla fine si scatenano nella devastante e lunghissima One Phone Call, vero tributo al jazz-rock e al virtuosismo dei suoi interpreti. Se vi piace Whole Lotta Love e non Quadrant forse avete sbagliato disco, se vi piacciono tutte e due e anche gli assolo di synth potreste averci preso!

Bruno Conti                                                      

Tre Piccoli Grandi Cantautori “Sconosciuti” Cantano D’Altri! Suzy Boguss, Luka Bloom, Carlene Carter

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Cosa unisce questi tre album, oltre al fatto che si tratta di tre cantautori, molto bravi, ma poco conosciuti dal grande pubblico? E anche tra gli appassionati non sono nomi celeberrimi! Nell’occasione tutti e tre si cimentano con il repertorio di altri autori, anche se in modo diverso, vediamo come.

Il CD di Suzy Bogguss – Lucky – Proper Music distribuzione, è uscito all’inizio del mese di febbraio, ma, purtroppo, non se ne sono accorti in molti. La cantante di Aledo, Illinois è stata negli anni ’80 e ’90, quelli del boom del country di Nashville, una delle autrici ed interpreti di maggior successo, con una serie di album pubblicati dalla Liberty/Capitol fino alla fine del secolo con successo decrescente. Ma la qualità della sua musica ( e della voce) è sempre stata nettamente superiore alla media di quello che usciva dalla Music City, tornando poi negli anni successivi, quelli delle pubblicazioni indipendenti, verso un sound più roots, con uso di una strumentazione più acustica e arrangiamenti meno “pompati”. Questo nuovo Lucky è un omaggio alla musica di Merle Haggard, uno dei totem della musica americana, e non a caso il primo successo radiofonico di Suzy era stato proprio una cover di un brano di Haggard, Somewhere Between, pubblicato nel 1987. Dopo oltre 25 anni e tramite il sistema del crowd funding, via Kickstarter campaign, la Bogguss torna sul luogo del delitto, pubblicando un intero album di brani scritti dal grande countryman (lasciando da parte, per una volta, le sue virtù anche di autrice): prodotta come di consueto dal marito Doug Crider e con l’aiuto di colleghe e amiche di talento come Matraca Berg, Beth Nielsen Chapman e Gretchen Peters, più “l’ometto” Joe Diffie e con l’ottimo Chris Scruggs (nipote del grande Earl e figlio di Gail Davies) alle chitarre, steel compresa, la Bogguss, con ottimi risultati, si cimenta con classici come Today I Started Loving You Again https://www.youtube.com/watch?v=h424z0RAtVU , Silver Wings, The Bottle Let Me Down, I Think I Just Stay Here And Drink, Sing Me Back Home https://www.youtube.com/watch?v=jtYUXc8SA-k  e altre sette canzoni che sono la storia della musica country di qualità. Il disco è molto gradevole, se amate il genere e le belle voci, questo disco si pone quasi alla pari dei migliori album di Emmylou Harris degli anni ’70, decisamente consigliato!

luka bloom head and heart

Anche Luka Bloom (come ormai quasi tutti sanno, nome d’arte di Barry Moore, fratello di Christy) pubblica un nuovo album Head And Heart, Skip/V2/Compass/Ird (uscito da qualche giorno, nel mese di marzo), probabilmente il 20° della sua sua carriera, ma tra live ed antologie, anche con il vecchio nome, non è facile districarsi nella sua discografia. La recensione completa la leggerete sul prossimo numero del Buscadero (e poi sul Blog), ma mi premeva segnalarvi questo ennesimo bel disco del cantautore irlandese (il primo composto quasi esclusivamente da brani di altri autori, comunque ci sono pure un paio di pezzi a sua firma, molto belli), il seguito dell’ottimo http://discoclub.myblog.it/2013/01/05/una-certa-aria-di-famiglia-luka-bloom-this-new-morning/, uscito circa un anno e mezzo fa. Registrato nello studio casalingo di Bloom, con l’aiuto del trio Phil Ware piano, Dave Redmond contrabbasso e Kevin Brady, batteria, nel disco vengono rivisitati alcuni classici e brani minori della canzone anglo-americana, popolare e celtica: scorrono Head And Heart di John Martyn https://www.youtube.com/watch?v=aEStVgQttBM , Banks Of The Lee, un vecchio traditional poi ripreso da Sandy Denny come Banks Of The Nile, Every Grain Of Sand di Bob Dylan, The First Time I Ever Saw Your Face e The Joy Of Living di Ewan MacColl, Gentle On My Mind di John Hartford via Glenn Campbell, My Wild Irish Rose, un brano scritto a fine ‘800 https://www.youtube.com/watch?v=VZ7g-oxClkE , e sempre tra i traditionals irlandesi Danny Boy, oltre a And I Love You So di Don McLean, resa celebre da Perry Como https://www.youtube.com/watch?v=CoKhIBfMkm4 e i due brani nuovi scritti da Luka Bloom, Give Me Wings, sul disastro nella galleria svizzera che costò la vita a 22 bambini belgi nel 2012, https://www.youtube.com/watch?v=SvoW6Vqv7PU  e Liffeyside, il tutto condito dalle magiche voce e chitarra acustica del nostro amico Barry, consigliato!

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Altra cantante che si avvale di una grandissima tradizione familiare è Carlene Carter, figlia di June Carter Cash (primo matrimonio con Carl Smith, altra icona della country music) e discendente della grande tradizione della Carter Family, quella di A.P. e Maybelle Carter, al cui repertorio Carlene ha attinto a piene mani per confezionare questo Carter Girl, che esce domani per la Rounder Records/Universal negli States https://www.youtube.com/watch?v=NxF9gAlAtgA , qualche giorno dopo in Europa. Il disco è il più “tradizionale”, come suoni, della carriera della Carter, che ha fatto anche rock, ad inizio carriera, in Inghilterra, quando si accompagnava al marito Nick Lowe, a Dave Edmunds https://www.youtube.com/watch?v=uytQbhzCsOs , ai Rumour di Graham Parker, che appariva nei suoi dischi, così come Billy Bremer e Terry Williams, per completare la presenza dei Rockpile, John Ciambotti e John McFee che con Alex Call erano il nucleo dei Call, grande band americana “minore” che furono gli accompagnatori di Costello nel suo primo disco My Aim Is True, prima di divenire lo spunto da cui sarebbero nati Huey Lewis and The News. Come si vede frequentazioni eccellenti per la “figliastra” (brutta parola, ma in italiano è così) di Johnny Cash, che ha avuto una lunghissima pausa, per problemi vari, da metà anni ’90 https://www.youtube.com/watch?v=Xtm4P4ASdqw  fino al ritorno nel 2008 con l’ottimo Stronger ed ora con questo Carter Girl, che si avvale della produzione di Don Was e di una serie di musicisti ed ospiti che, per una volta, non è reato definire stellare: Sam Bush al mandolino, Rami Jaffee alle tastiere, Jim Keltner alla batteria, Greg Leisz, Blake Mills  e Val McCallum (quello di Lucinda Williams) alle chitarre, Mickey Raphael all’armonica e lo stesso Was al basso. La presenza di Raphael fa presupporre la presenza di Willie Nelson, che infatti c’è, accanto a Kris Kristofferson, Vince Gill, Elizabeth Cook, tutti impegnati a duettare con Carlene, in brani celeberrimi che portano il nome di Lonesome Valley, un brano di A.P. Carter (che era un classico di Johnny and June), adattato dalla stessa Carlene, insieme a Al Anderson degli NRBQ, Me And The Wildwood Rose, Troublesome Waters, il brano con Willie Nelson https://www.youtube.com/watch?v=8Rr6M4Y4foQ , Black Jack David, quello con Kristofferson, Little Black Train  https://www.youtube.com/watch?v=tbdrFYYgn3k Ain’t Gonna Work Tomorrow, dove appaiono le voci di Anita e Helen Carter insieme a Johnny Cash e June Carter, Blackie’s Gunman con Elizabeth Cook e molte altre. Gran bel disco, si dice spesso, ma è più vero di altre volte in questo caso, se trovo il tempo ci ritorniamo, se no, con l’anticipazione di qualche giorno fa, consideratelo una recensione completa, e se amate la musica roots, ma quella solida e musicalmente molto elaborata, e Rosanne Cash, di cui è assolutamente alla pari, compratelo con fiducia.

Bruno Conti

Sempre Blues, Ma Di Quello Tosto! The Bob Lanza Blues Band – ‘Til The Pain Is Gone

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The Bob Lanza Blues Band – ‘Til The Pain Is Gone – Self Released

Bastano sei o sette secondi dal’inizio del primo brano, Maudie, per capire che Bob Lanza tiene fede al suo motto su come suonare il Blues: “dal profondo del cuore, con ferocia, come se la tua vita dipendesse da questo!”. Bravo, sottoscrivo! In un mondo dove ogni mese escono decine di dischi di blues, per emergere, oltre alla tecnica, contano la passione e il feeling, e in questo CD ce ne sono a tonnellate di entrambe.

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Lanza non è uno di quei musicisti che si risparmia, che viaggia in punta di fioretto (o di chitarra, se preferite), il suo stile e il suo approccio alla musica sono quasi sempre entusiasmanti, il suono è vigoroso e rigoroso al tempo stesso, si usa dire “blues with a feeling” e Lanza, con l’aiuto della propria band confeziona un album dove la materia è rivista in modo viscerale, un blues elettrico ad altra gradazione, dove i protagonisti sono la chitarra e la voce del nostro, ma anche gli altri solisti, l’armonicista David “Snakeman” Runyan e il tastierista Ed “Doc” Wall, hanno un ampio spazio (musicisti coi soprannomi, già sono bravi a prescindere) https://www.youtube.com/watch?v=78Xw5nXUP4I .

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Però poche balle, quello che conta è Bob Lanza, un chitarrista di quelli completi, come si desume proprio da Maudie, una cover di Mike Bloomfield, dove l’intensità dell’approccio chitarristico ricorda moltissimo quella dello scomparso musicista di Chicago, Illinois, un misto di furia e classe, note lunghe e rabbiose, precise, un “piccolo aiuto” dal figlio Jake, che si alterna nei soli di questo piccolo gioiellino che apre le danze dell’album, “Doc” Wall a piano e organo sottolinea con maestria e la famiglia Lanza illustra cosa voglia dire suonare il Blues, anche se vieni dal New Jersey, che non è uno dei “reami” delle 12 battute, ma tant’è! Lo slow blues I’ll Take care of you è anche meglio, David “Snakeman” Runyan con la sua armonica è perfetto nel supporto solistico, Wall ci delizia sempre con le sue tastiere e con questi assist, Lanza, anche ottimo vocalist, ci spiega ancora una volta cosa vuol dire suonare il Blues, sentimento e doti tecniche, fraseggio e tono esemplari, la solista che “punge”, il tutto unito in un sound senza tempo, sentito mille volte, per un rito che si rinnova sempre, ma che se gli interpreti sono di qualità, e qui ci siamo, non è mai stanco e risaputo, come succede viceversa in molti dischi di presunti novelli geni della chitarra https://www.youtube.com/watch?v=78Xw5nXUP4I .

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Questo è “solo” blues, poco rock (ma un qualche “estratto” c’è), se gente come Earl, Robillard, il citato Bloomfield, ma anche il Clapton più canonico, possono essere usati come pietre di paragone, non si può non risalire anche a “maestri” come Jimmy Dawkins, Luther Allison, Buddy Guy, tutta gente che ha sempre instillato una certa ferocia nel proprio approccio alla chitarra, la chiusura di ‘Til The Pain Is Gone quando Lanza quasi si trasfigura nel lungo assolo finale è un ottimo esempio di questo assunto. Lo strumentale Snakebyte offre ampio spazio all’armonica di Runyan ed è più classico, vicino agli stilemi del blues urbano, anche se il fluido divenire della chitarra è sempre un piacere da ascoltare. Il momento topico del disco è nella lunga Outskirts Of Town, ancorato dalla ritmica metronomica e precisa del batterista Noel Sagerman e del bassista Reverend Sandy Joren (ti pareva che non avesse anche lui un soprannome!), Bob Lanza rilascia un assolo di quelli da manuale del perfetto bluesman, un fiume di note, un crescendo irresistibile, da applauso a scena aperta, con l’ottimo Lee Delray, altro chitarrista di vaglia a dividersi il proscenio, alla seconda solista.

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I’m ready è proprio il brano di Willie Dixon, Southside Chicago Blues con armonica e chitarra alternate, in Every Night And Every Day fanno capolino anche dei fiati, per questo standard del repertorio di Magic Sam, più sanguigno e “cattivo” del precedente, con Runyan e Wall che tirano la volata al “solito” assolo di Lanza, che esplora ancora una volta il manico della sua chitarra con un vigore inusitato https://www.youtube.com/watch?v=s_cmfVUBhp4 . Build Me A Woman è uno shuffle texano più risaputo ma sempre gradevole, ma Sugar Sweet ci riporta immantinente in quel di Chicago con il florilegio pianistico di Wall a titillare i suoi pard nell’unico brano dove la chitarra “riposa”. Lonesome vede Lanza all’acustica per un intermezzo di pace in tanta elettricità, replicato anche nella successiva Our Life, una sorta di “boogie acustico”, solo voce, armonica e chitarra. Un trio di brani, che per quanto piacevoli spezzano il ritmo del resto dell’album e la conclusiva Mojo, cantata dal batterista Sagerman non riesce a recuperare completamente il drive della prima parte del disco, che il vecchio Muddy avrebbe sicuramente approvato. Un bel disco, con una parte finale più “selvaggia” sarebbe stato quasi perfetto, ciò nondimeno merita, anche se è uscito da qualche mese e non si trova con facilità!

Bruno Conti   

Tenere E Delicate “Canzoncine”! Dawn Landes – Bluebird

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Dawn Landes – Bluebird – Western Vinyl

Dopo l’EP Mal Habillée, dedicato alle canzoni delle Ye Ye Girls francesi (pare che la nostra amica sia molto popolare in Francia, in effetti il primo disco, dawn’s Music, inizialmente, era uscito solo per quel mercato), che francamente non aveva entusiasmato, torna Dawn Landes, con un nuovo album, Bluebird, il quinto della sua discografia, più due EP, incluso quello citato sopra https://www.youtube.com/watch?v=qL-peHeVum0 . Il disco è co-prodotto da Thomas Bartlett (The National, Sharon Van Etten, Rufus Wainwright, Antony and the Johnsons) e dalla stessa Dawn, che, forse non molti lo sapranno, ha iniziato a muovere i suoi primi passi nel mondo della musica proprio come produttrice ed ingegnere del suono, lavorando con Philip Glass e contribuendo all’apertura dei Saltlands Studios a Brooklyn, di cui credo sia tuttora una socia.

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Se devo esprimere un parere il suo album che preferisco è Fireproof, il CD uscito nel 2008 per la Fargo https://www.youtube.com/watch?v=eR4Ir16IQdQ , ma anche Sweetheart Rodeo (i Byrds non c’entrano nulla) del 2010 non era per niente male https://www.youtube.com/watch?v=NsmdXfaQVHk . Lo stile è principalmente acustico e folkie, una voce morbida, piana, quasi sussurrata, ma “forte” nella sua apparente semplicità, le canzoni sono molto belle e, attenzione, anche se a lei dispiace ammetterlo (ma poi lo dice nelle interviste), questo è il suo “divorce” album https://www.youtube.com/watch?v=Ue5Ct1MmcyY . Se siete curiosi suo marito era Josh Ritter, proprio lui, “quel” Josh Ritter (che ha già raccontato la storia, vista dalla sua parte, in Beast In His Tracks) https://www.youtube.com/watch?v=xH8KG09xYsQ !

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Lo si intuisce chiaramente da quello che è il “centrepiece” (meglio in inglese, rende di più l’idea che centrotavola o trionfo, che ne sono la traduzione italiana, anche se la seconda…) del disco: Cry No More, un brano che suggerisce dal testo che le lacrime sono alle spalle, ma dalla voce non si direbbe, ad aiutarla un’altra signorina che si intende di struggimenti del cuore, Norah Jones, seconda voce e piano, in questo brano (come avrebbe detto Stanlio “Come due piselli in un baccello!”), vagamente country-folk ed assolutamente delizioso, e nell’altrettanto bella Love Song, sempre solo per piano, chitarra acustica, un basso (Tony Scherr o Catherine Popper).

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Peraltro un po’ tutto il disco è molto minimale, quasi scarnificato nei suoni, con il sound che si adegua al mood malinconico della sua autrice: Bluebird, sta tra la Mitchell dei primissimi tempi e l’ultima Laura Marling, contrabbasso, le tastiere di Bartlett, la solita acustica arpeggiata dalla Landes, la doppia voce a rafforzare gli arrangiamenti https://www.youtube.com/watch?v=dChn32CwbpA , e così pure nella successiva Try To Make A Fire https://www.youtube.com/watch?v=Os2q6YyKjiw . L’approccio è proprio quello delle “vecchie” folksingers, niente inutili modernismi, se non servono, forse si giocherà qualche apparizione in spot, serie televisive o colonne sonore, per la mancanza del solito pezzo orecchiabile, ma tant’è. Bloodhound ha un afflato ancora più folk, vicino ai “colleghi” inglesi dell’epoca del primo folk revival, anche se qualcuno ci ha scorto del bluegrass (?).

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Heel Toe introduce l’elettrica di Rob Moose e la batteria di Ray Rizzo, che è anche la seconda voce del brano e suona pure l’armonica, e, anche per il timbro della voce di Dawn Landes, al sottoscritto ha ricordato molto certe cose “spaziali” dei Cowboy Junkies, decisamente bella comunque. Di Cry No More si è già detto, Oh Brother, con due acustiche in fingerpicking, forse anche un violino pizzicato, sempre da Moose, le tastiere sullo sfondo, il solito contrabbasso, aderisce perfettamente all’atmosfera “ombrosa” e malinconica dell’album. Diamond Rivers è una tenue ballata pianistica, molto eterea, quasi una ninna nanna, con violino e viola che insieme alle tastiere danno una improvvisa profondità al suono. A proposito di ninne nanne, anche Lullaby For Tony, fin dal titolo, rientra nella categoria, mentre la conclusiva Home è uno struggente valzer pianistico con Bartlett ad accompagnare dolcemente gli arpeggi dell’acustica della Landes. Se non fossimo alle soglie della primavera, direi un album tipicamente autunnale, almeno nei sentimenti, da “uccellini teneri” o Bluebirds se preferite!

Bruno Conti

“Di Cover In Cover”. Charlie Daniels Band – Off The Grid Doin’ It Dylan

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Charlie Daniels Band – Off The Grid Doin’ It Dylan – Blue Hat Records

Importante figura del Southern Rock e della Country Music, Charlie Daniels è un barbuto e corpulento musicista proveniente dal profondo sud statunitense (nato a Wilmington in North Carolina nel ’36), attivo nel mondo musicale già negli anni ’50, quando suonava il bluegrass nel gruppo dei Misty Mountain  Boys, per poi formare nel ’56 i Rockets con i quali incideva Jaguar. All’inizio degli anni ’60 si stabilisce a Nashville, e si fa un certo nome come sessionman suonando la chitarra e il suo strumento preferito, il violino, per artisti del calibro di Pete Seeger, Leonard Cohen e Bob Dylan (negli album Nashville Skyline, New Morning, Self Portrait, anche come bassista), e dopo cinquant’anni di carriera, una infinità di album, partecipazioni a numerosi festival ed eventi concertistici (ricordo solamente la fortunata serie Volunteer Jamhttp://discoclub.myblog.it/2012/04/17/vecchi-sudisti-charlie-daniels-band-live-at-rockpalast/ , il cerchio si chiude con questo lavoro, Off The Grid Doin’ It Dylan, in cui Charlie Daniels  rende omaggio ad uno degli idoli della sua formazione musicale https://www.youtube.com/watch?v=sxj0uW3nM2E .

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L’atmosfera di questo disco non dovrebbe essere una sorpresa per chi ha seguito la carriera della Charlie Daniels Band https://www.youtube.com/watch?v=QPgXJUU4R-U  che, nell’attuale line-up del gruppo, vede, oltre al quasi ottantenne leader alla voce, chitarra, violino e mandolino, Pat McDonald alla batteria e percussioni, Charlie Hayward al basso, Bruce Brown al banjo, dobro e armonica, Chris Wormer alle chitarre acustiche e elettriche, Casey Wood alle tastiere e Shannon Wickline al piano, per rileggere dieci brani del grande Bob, con un suono, come di consueto, tra country e southern rock.

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Fatta la doverosa premessa che il violino country è onnipresente in questo disco, l’album inizia con una Tangled Up In Blue proposta come un bluegrass accelerato https://www.youtube.com/watch?v=_3HDuHqf73k , stesse dinamiche per il classico Times They Are A Changin’, con mandolino e dobro a dettare un arrangiamento agreste, mentre con la seguente I’ll Be Your Baby Tonight  si viaggia verso un country giocoso, dove dobro e pianoforte brillano nello sviluppo del brano. Gotta Serve Somebody, un po’ a sorpresa, nelle loro mani diventa un bellissimo blues-funky, con una importante coda finale del piano di Shannon Wickline, mentre un altro “classico”, I Shall Be Released (rievoca i bei tempi di fine anni ’60), è valorizzato da una bella armonica “soul”, per poi passare ad una quasi dimenticata Country Pie (era in Nashville Skyline), dove sembra di essere in un “border saloon” del vecchio West. I ricordi lontani ripartono con una delle canzoni più riconoscibili nella storia della musica americana, Mr.Tambourine Man, rifatta in una piacevole versione “roots”, seguita da una robusta Hard Rain’s A Gonna Fall con la sezione ritmica e l’armonica di Bruce Brown in evidenza, mentre Just Like A Woman è resa più dolce dagli interventi del mandolino, per poi chiudere con il botto, una festosa Quinn The Eskimo (The Mighty Quinn) (ne ricordo una bella versione dei Manfred Mann), dove impazza il violino di Charlie.

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Molti altri artisti quest’anno sono usciti (o usciranno) con dischi che rendono omaggio a Bob Dylan (senza nessuna ricorrenza specifica), ma se siete dei fans della Charlie Daniels Band e del genere, questo Off The Grid Doin’ It Dylan è molto piacevole da ascoltare (uno dei dischi migliori di Daniels da molti anni a questa parte), in quanto troviamo un po’ di tutto nei dieci brani che compongono la scaletta, ma soprattutto non si può non ammirare una “leggenda vivente” del country-southern rock, un “nonnetto” (senza offesa), che alla tenera età di 77 anni, riesce ancora a confezionare un tributo simile. Chapeau!

Tino Montanari

Diari Texani! Eliza Gilkyson – The Nocturne Diaries

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Eliza Gilkyson – The Nocturne Diaries – Red House Records/Ird

Con una lunga e ricca carriera alle spalle (debutta nel ’69 e con questo sono ben 20 gli album che ha inciso), Eliza Gilkyson è una cantautrice notevole che ad Austin viene considerata come una piccola gloria locale, una delle artiste che ha contribuito a edificare la leggenda della musica texana (anche se, per la cronaca, è nata in California!). Come si confà al bravo e umile recensore, qualche nota biografica è fondamentale per capire da dove viene e quale è il suo progetto artistico. Eliza cresce in una famiglia dove la cultura, la poesia e la musica sono di casa (il padre Terry Gilkyson è stato un bravo compositore, e le sue canzoni sono state portate al successo da Dean Martin, Johnny Cash, White Stripes e altri ancora). Dopo aver preso le distanze dall’ingombrante padre, per cui all’inizio cantava nei demos, Eliza si è lentamente creata una sua carriera professionale di musicista a tempo pieno, che nel corso del tempo l’ha portata a collaborare con gli Amazing Rhythm Aces (grandissimi), Exene Cervenka (cantante del gruppo punk-rock X) Iain Matthews, e ad instaurare un proficuo rapporto con l’arpista svizzero Andreas Vollenweider.

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Dopo aver inciso un album Misfits (99), ricco di soddisfazioni per la sua etichetta Realiza Records (ma aveva già fatto dischi nel 1969 e 1979 e il suo primo “ufficiale”, Pilgrims, risale al 1987 https://www.youtube.com/watch?v=ns35h09X72c , si accasa  con la Red House Records, https://www.youtube.com/watch?v=XXd2xjTrNXo dove pubblica, tra gli altri, Lost And Found (02), l’ottimo Land Of Milk And Honey (04), Paradise Hotel (05), il live Your Town Tonight (07), Beautiful World (08), e il recente bellissimo Rose At The End Of Time (11) senza dimenticare i lavori editi con Iain Matthews e Ad Vanderveen More Than A Song (01) e Red Horse (10) con Lucy Kaplansky e John Gorka http://discoclub.myblog.it/2010/08/07/un-piccolo-supergruppo-red-horse-gilkyson-gorka-kaplansky/ .

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Come sempre nei suoi lavori, Eliza si circonda di bravi musicisti e The Nocturne Diaries non fa eccezione: a seguirla ci sono Mike Hardwick (a lungo con Jon Dee Graham) alle chitarre e dobro, Chris Maresh al basso, Rich Brotherton al mandolino, Warren Hood al violino, Ray Bonneville all’armonica, e suo figlio, e produttore del disco, Cisco Ryder alla batteria e percussioni (insomma il meglio dei “turnisti”di Austin), a cui vanno aggiunte le voci dell’amica Lucy Kaplansky e di Delia Castillo.

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Si parte con Midnight Oil, una tenue dolce ballata, seguita dall’intro acustico di Eliza Jane, che poi si sviluppa in un bluegrass con mandolino, banjo e violino, mentre No Tomorrow è un brano molto gradevole, delicato e intimista, per poi passare all’elettrica An American Boy che tocca livelli pari a quelli della migliore Lucinda Williams https://www.youtube.com/watch?v=vOKTZ7U4lQM . Where No Monument Stands è una bella poesia di William Stafford, messa in musica da John Gorka (uno che di buone canzoni se ne intende), una ballata incantevole con una Gilkyson particolarmente ispirata, a cui fa seguito una The Ark dall’incedere tambureggiante, mentre con Fast Freight viene ripescato un brano del padre Terry (registrato dal Kingston Trio nel loro album di debutto nel lontano ’58) https://www.youtube.com/watch?v=2efj7YCATSw , seguito dall’arrangiamento più rock del lavoro, una ballata elettrica,The Red Rose And The Thorn, che richiama alla mente le sonorità  delle canzoni di Mary Gauthier. Not My Home eTouchstone https://www.youtube.com/watch?v=JS9YVn-L1LY  sono amabili bozzetti che vedono Lucy Kaplansky al controcanto, mentre la ballata romantica World Without End (ricorda in modo imbarazzante Right Here Waiting di Richard Marx), appena sussurrata da Eliza, è di una bellezza incantevole, per poi chiudere il “diario” con una ninna-nanna, All Right Here, accompagnata solo da una chitarra slide e dalla pedal steel di John Egenes.

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Eliza Gilkyson, al pari di Mary Gauthier (e poche altre), resta una cantautrice “vera”, che ha tanto talento da regalare, grazie ad una voce calda e profonda, e nelle sue canzoni affronta temi ricchi di spunti socio-politici (e in questo non può non ricordare la grande Joan Baez), un’artista che non è certo un personaggio di profilo secondario, e The Nocturne Diaries è un lavoro fatto come sempre con passione e merita certamente un ascolto non affrettato, in quanto, ne sono certo, spesso la musica al “femminile” arriva più facilmente al cuore dell’ascoltatore.

Tino Montanari

Da Pavia A Milano, Per Registrare Il Loro Primo Live! Lowlands In Concerto, 5 Aprile 2014 Spazio Teatro 89

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Sulla locandina ci sono data ed orario ed il nome della location per il concerto dei Lowlands (siamo a due passi da San Siro, dove ha suonato a gennaio Carolyne Mas e recentemente anche i Sugar Ray Dogs), Spazio Teatro 89 è un piccolo teatrino, circa 250 posti, molto carino e con una buona acustica, quindi il luogo ideale per registrarci un disco dal vivo, più fruibile della loro “tana” a Spazio Musica di Pavia, ma pur sempre una “trasferta” in terre ignote.

Lowlands

Scatta lo “spottone”, se potete, intervenite numerosi, qui trovate tutte le coordinate http://vivaticket.com/index.php?nvpg[evento]&id_evento=1230531 e se ci cliccate sopra maggiori dettagli su tutto quello che c’è da sapere sulla band, sugli ospiti, sulla loro storia e su quello che hanno detto di loro. Il “boss” Ed Abbiati mi aveva detto che probabilmente si sarebbe trattato di un Live “Unplugged” (anche se  sono in metà di mille, ma usa così) destinato ad uscire preferibilmente in DVD più avanti nell’anno. Qui, se volete, c’è la prima parte dell’intervista che avevo fatto a Ed proprio al Teatro Spazio 89 http://discoclub.myblog.it/2013/04/17/record-store-day-2013-lowlands-left-of-the-dial-ed-abbiati-s-2/ e questo è il seguito http://discoclub.myblog.it/2013/04/18/record-store-day-2013-lowlands-left-of-the-dial-ed-abbiati-s/. Già c’erano, in nuce, alcune delle idee che si sono sviluppate nei mesi successivi, sempre finanze permettendo. La vita degli artisti indipendenti è dura, loro sono bravi, mi piace essere loro “sponsor”, quindi, ribadisco, visto che la buona musica va sempre incoraggiata, intervenite numerosi https://www.youtube.com/watch?v=us1Ie5q1h84.

Bruno Conti

Novità Di Aprile Parte IIB. Leon Russell, Brian May and Kerry Ellis, Carrie Newcomer, John McLaughlin, Baseball Project, Hank Williams III, Jeff Black, Will Kimbrough, Cowboy

Dopo un paio di giorni di blackout per problemi tecnici di cui non so assolutamente indicarvi le ragioni (forse la maledizione di Montezuma o uno scherzo da 1° di aprile, per avere ripreso questa rubrica, più prosaicamente direi aggiornamenti vari, visto che ho trovato nuove funzioni nella parte dove scrivo, avvisare no?) ma che mi sembra abbiano risparmiato i lettori del Blog che riuscivano a leggerlo ugualmente, anche se io come Amministratore non riuscivo ad entrarvi per aggiornarlo, e me ne scuso, ma ovviamente non dipendeva da me, riprendiamo con la seconda parte delle uscite discografiche di questa prima settimana di Aprile.

leon russell life journey

Questo Life Journey è il nuovo album di Leon Russell,  il primo del canuto musicista americano dopo il clamoroso ritorno dell’album registrato in coppia con Elton John http://discoclub.myblog.it/2010/10/24/duelin-pianos-elton-john-leon-russell-the-union/, sono passati quasi 4 anni e, sempre, con la produzione esecutiva dell’amico Elton, Russell questa volta ci propone un disco dedicato alla musica che ha influenzato maggiormente la sua vita, dal blues delle origini di Robert Johnson con Come On In My Kitchen a standard della canzone americana, Fever, That Lucky Old Sun, Georgia On My Mind, I Got It Bad & That Ain’t Good, The Masquerade Is Over, Fool’s Paradise, fino a brani più recenti come I Really Miss You di Paul Anka e New York State Of Mind di Billy Joel, forse la più vicina allo spirito di Leon, che comunque contiene anche elementi di tutte lòe canzoni citate. Non mancano un paio di composizioni dello stesso Russell e la produzione, molto raffinata come è sua consuetudine, è affidata a Tommy LiPuma, lasciando alle spalle i dischi che avevano caratterizzato gli ultimi anni della carriera di Leon, infestati da orribili tastiere MIDI: qui troviamo la Clayton-Hamilton Jazz Orchestra, Robben Ford, Larry Goldings, Abe Laborel jr, alla batteria (quello di Paul McCartney), Greg Leisz, Hugh McCracken, Willie Weeks al basso, e molti altri sessionmen che rendono assai piacevole e gustoso il disco. Esce in questi giorni negli States e a seguire in Europa ed Italia, tramite Universal.

brian may & kerry ellis brian may & kerry ellis bluray

Per i fans irriducibili dei Queen e per la serie dei Live At Montreux esce questo The Candlelight Concerts, attribuito a Brian May e Kerry Ellis e registrato appunto al Festival di Montreux dello scorso anno https://www.youtube.com/watch?v=RxcbXIsd5RU . Pubblicato dalla Eagle Rock/Edel come CD + DVD (o Blu-ray) contiene parecchi brani della band inglese, Somebody To Love, We Will Rock You, Tie Your Mother Down, Crazy Little Thing Called Love e anche scelte particolari come I Who Have Nothing della coppia Leiber and Stoller (ma era la versione inglese di Uno Dei Tanti, scritta da Mogol e Donida per Joe Sentieri) The Way We Were di Barbara Streisand. Non so, vedete voi.

carrie newcomer a permeable life

Carrie Newcomer è una bravissima cantautrice americana, le cui coordinate sonore appartengono sicuramente al target di questo Blog (per quanto eclettico) ma non mi pare di averne mai parlato, almeno in maniera diffusa. Rimediamo col ricordarvi l’uscita di questo nuovo A Permeable Life, etichetta Available Light Music distribuito in Italia da IRD, che sembra uno dei suoi migliori, bellissima voce, calda e intensa https://www.youtube.com/watch?v=9P4zi8ljf8A , tra folk, rock e gospel, con la partecipazione di Lili & Madeleine e di una buona pattuglia di musicisti capitanati dal produttore Paul Mahern, che suona anche la batteria nel disco. Non si esclude recensione completa a breve.

jeff black folklore

Nuovo album per Jeff Black, tra i preferiti del Blog ( http://discoclub.myblog.it/2013/02/08/le-nuove-confessioni-di-un-grande-cantatautore-jeff-black-b/http://discoclub.myblog.it/2012/01/16/un-cantautore-dai-molti-fans-e-molti-sono-nel-disco-jeff-bla/ , si chiama Folklore https://www.youtube.com/watch?v=A58AYYgKXug , e come di consueto viene venduto solo tramite il suo sito, jeffblack.com, queste le informazioni, richiesto, appena arriva nelle nostre lande, recensione assicurata:

Artist: Jeff Black
Album: folklore
Release Date: 2014
Label: Lotos Nile Music
Jeff Black played 6 & 12 string guitars, banjo,
harmonica and sang the songs
Recorded January 4-5, 2014
Arcana Studios/The 333 Nashville, Tn USA
Executive Producers Kissy Black and Jeff Black
Produced and Engineered by Jeff Black
Mixed by Dave Sinko
Mastered by Eric Conn
and Don Cobb at Independent Mastering
Photographs by Lotos Nile Black
Design by Messo
Layout and additional design by Galina Petriu

john mclaughlin boston record live

Saltando di palo in frasca (come genere) esce anche il nuovo The Boston Record di John McLaughlin e dei 4th Dimension, etichetta come per il precedente Abstract Logix/Ird, è un disco dal vivo registrato dal vivo lo scorso anno, il 22 giugno, al Berklee Performance Center di Boston, Ma, c’è anche una ripresa di You Know You Know dal repertorio della vecchia Mahavishnu Orchestra, il quartetto è strepitoso e qui potete trovare tutte le informazioni http://discoclub.myblog.it/2012/10/25/forse-non-piu-un-innovatore-sicuramente-ancora-un-grande-mus/, scritte per il precedente disco di studio https://www.youtube.com/watch?v=PWz0X6mjPsQ . Se trovo il tempo, meriterebbe una recensione più approfondita.

baseball project 3rd

Come da titolo, 3rd, nuovo capitolo per questo Baseball Project, con argomenti che ruotano sempre attorno ad uno dei più popolari sport americani e i musicisti che sono sempre Steve Wynn e Scott McCaughey, con l’aiuto di Mike Mills, Peter Buck e Linda Pitmon (2 Rem + 1). L’etichetta è sempre la Yep Rock e se vi sono piaciuti i precedenti anche questo terzo album sarà soddisfacente per gli appassionati del buon rock (alternativo, ma non solo) americano https://www.youtube.com/watch?v=lN2VxFko41w . Come si usa dire, niente di nuovo, ma fatto molto bene, con la giusta quota di divertimento https://www.youtube.com/watch?v=MJxy3g717eo .

hank wiliams iii ramblin' manhank williams iii

Ad Hank Williams III si possono imputare vari difetti (la discontinuità qualitativa e il saltare da un genere all’altro, i primi che mi vengono in mente) ma non certo la scarsa prolificità (5 album nel 2011, 1 nel 2012, 2 lo scorso anno e ora questo Ramblin’ Man) https://www.youtube.com/watch?v=rfNvKANrGDkDalla foto difficilmente metterà la testa a posto, che è anche un pregio oltre ai difetti citati prima, dopo il progetto “metal” degli Assjack questa volta collabora, in due brani, con la band protogrunge punk dei Melvins, brano dedicati a Johnny Paycheck, a Peter LaFarge e agli ZZ Top. Tutto molto bello se non fosse la terza raccolta “mascherata” che la sua ex etichetta, la Curb, gli pubblica un po’ a tradimento. Materiale già uscito in passato, un totale di dieci brani che faticano ad arrivare ai 27 minuti. Che dire? Un bel mah puo andare? E una volta tanto non è colpa sua, comunque lui è uno bravo!

will kimbrough sideshow love

Altro cantautore di “culto”, Will Kimbrough, a 50 anni, con una ultraventennale carriera, una decina di album pubblicati, per molti è un illustre sconosciuto, ma se leggete attentamente le note di molti dei dischi che vi piacciono sarà facile che troviate il suo nome. Proviamo? Hard Working Americans (come autore), Willie Sugarcapps (è uno dei componenti del gruppo, la parte iniziale del nome), Kim Richey, Tributo Country alla musica di Paul McCartney, Jimmy Buffett, Kate Campbell, Gretchen Peters, Todd Snider, Amanda Shires, Bill Toms, Tom Russell…mi fermo, ma sono andato indietro solo di due o tre anni. Questo nuovo Sideshow Love esce per la Daphne Records, quindi non sarà di facile reperibilità, come quasi tutti i precedenti, ma è un gran bel dischetto https://www.youtube.com/watch?v=l1jkJrK9mlA , un suo cofanetto si chiamava Rootsy Approved e potrebbe identificare con chiarezza il suo genere, tra rock, country, blues, folk, musica cantautorale, un bel tocco di chitarra, anche se suona pure basso, mandolino, banjo, armonica, quello che serve. Uno bravo, insomma, se volete provare!

cowboy reach for the sky

Altro disco “storico” che non si trovava da secoli, questo Reach For The Sky è la ristampa del primo album, datato 1971, dei Cowboy, ossia Scott Boyer e Tommy Talton, uno dei “segreti” meglio custoditi della Capricorn Records, per cui incisero quattro album, ma anche presenti, un paio di anni dopo, nel debutto solista di Gregg Allman, Laid Back e in una miriade di dischi country, southern e rock, fin da allora https://www.youtube.com/watch?v=kxY769tvE1s . Se vi piace il southern più morbido, quello miscelato al country-rock di Nitty Gritty, Poco, Pure Prairie League, Eagles, Ozark Mountain, il lato più rilassato degli Allman Brothers, quelli a guida Dickey Betts, lo troverete in questa ristampa della Real Gone Music (ma il CD era già uscito nella breve seconda vita della Capricorn, nel 1998). Un piccolo gioiellino, prodotto da Johnny Sandlin e mixato da Tom Dowd. Provare per credere https://www.youtube.com/watch?v=PYopnNBQGPM !

Per la rubrica novità vi rimando alla settimana prossima (a questo punto forse, mai essere troppo categorici), in giornata dovrei inserire un altro Post di recupero.

Bruno Conti