Toh, Chi Si Rivede! Larry Garner And The Norman Beaker Band – Good Night In Vienna

larry garner good night in vienna

Larry Garner & The Norman Beaker Band – Good Night In Vienna Self released

I  “Buoni Titoli” (non di Borsa) e i bravi musicisti tornano sempre, così ne rispolvero uno per questo Post. Larry Garner, come tutti i bluesmen che si rispettino, ha iniziato la sua carriera discografica intorno ai primi anni ’90, quando aveva già una quarantina di anni: prima aveva lavorato a tempo pieno in una fabbrica e il blues era solo una passione per il tempo libero. Ma il talento c’era e il nostro amico, nativo di New Orleans, ma cresciuto a Baton Rouge, Louisiana, il blues lo ha sempre praticato con grande zelo, e quindi quando arrivò il momento del debutto, con Double Dues per la JSP, nel 1991, Garner aveva già vinto l’International Blues Challenge nel 1988 e veniva considerato uno dei talenti emergenti delle nuove generazioni, insieme ai più o meno coetanei Robert Cray, Joe Louis Walker, Larry McCray (anche lui, che fine ha fatto? *NDB E’ una domanda retorica, alla Marzullo, si faccia una domanda e si dia la risposta. La so, c’è ancora, ma non fa dischi dal 2007!) ed altri. Tutta gente prima o poi messa sotto contratto dalle majors, che in quegli anni coltivavano questo piccolo revival, ricorrente, della musica del diavolo; anche Larry pubblicò un ottimo album per la Verve, dell’allora gruppo Polygram, You Need To Live A Little, tra i suoi migliori, salvo venire rispedito al mittente quasi subito ed avendo girato, negli anni a seguire, presso alcune delle etichette più interessanti in circolazione, Ruf, Evidence, Dixiefrog.

larry garner you needlarry garner double dues

Nel frattempo si è ammalato seriamente, ed è guarito, come ha raccontato nel suo disco del 2008, Here Today Gone Tomorrow, ha visto il suo album di debutto, citato prima, venire ri-pubblicato per una edizione del 20° Anniversario e si è rassegnato anche lui, come molti, a pubblicare i suoi dischi a livello autogestito, questo nuovo CD, uscito da qualche mese https://www.youtube.com/watch?v=9tl4WPtskMc , è il secondo capitolo dal vivo della sua collaborazione con il “Leggendario” (ma dove, quando? Si legge così nei comunicati stampa, in effetti un buon bluesman inglese, con gruppo al seguito) Norman Beaker, anche lui chitarrista e cantante. Ma il vero talento è questo sessantenne (due glieli abbuono), in possesso di una voce duttile e polverosa, ma soprattutto di una tecnica chitarristica fluente, arricchita da ampie dosi di feeling, in grado di spaziare in tutti i campi del blues, quello classico (nel CD ci sono ben tre cover di McKinley Morganfield a.k.a Muddy Waters), quello più funky, imparato sul campo, a New Orleans, il soul e il R&B del profondo Sud, arricchito, di tanto in tanto, da un ammirevole sound “contemporaneo”, caratteristica in comune con gli altri bluesmen citati in precedenza https://www.youtube.com/watch?v=25-6dN2EkB8 .

larry garner norman beaker

Ci sono elementi dello stile travolgente e turbolento di un Buddy Guy, per esempio nella sanguigna Champagne And Reefer, un super classico slow blues amatissimo dagli Stones, quando alla band di Beaker e a Garner si aggiunge pure l’armonicista Christian Dozzler, per un tuffo nel classico stile di Chicago, dove il nostro amico prima accarezza la sua chitarra, poi canta con una passione incontenibile e infine strapazza la sua solista con un abbandono senza ritegno, per dieci minuti che riassumono oltre cinquanta anni di electric blues . Anche le tastiere di Nick Steed sono un elemento fondamentale in questo sound, sia quando ci si tuffa in Funky It Up (Buster) nelle radici della musica della Lousiana, con tanto di wah-wah innestato e basso slappato d’ordinanza, sia quando si rivisita il blues misto a errebì della classica Honey Hush di Lowell Fulson, con i suoi ritmi irresistibili. Cant’t Be Satisfied, dal riff inconfondibile, è un altro super classico del grande Muddy, fatto in modo sanguigno e passionale, con piano e organo in bella evidenza, prima del gagliardo lavoro della solista di Garner. C’è spazio anche per un bel brano firmato da Norman Beaker, When The Fat Lady Sings, uno slow blues intenso che anche se non raggiunge i vertici di quelli di Garner, certifica comunque una buona classe dell’inglese https://www.youtube.com/watch?v=7E83MHxnzaY .

larry garner live

Dreaming Again è un bel deep southern soul che profuma nuovamente delle paludi della Lousiana, con la suadente voce di Garner in primo piano, mentre Keep On Singing The Blues è quasi una esortazione/preghiera a non dimenticare le virtù di questa musica, una lunga e potente cavalcata che ingloba anche elementi più rock nella musica del nostro amico. Ancora Norman Beaker per una rilettura ricca di boogie di Driving Wheel, che porta la firma di Roosevelt Sykes, prima di concludere con una travolgente versione di Mannish Boy https://www.youtube.com/watch?v=z_g3cKdQsVw , oltre dodici minuti che hanno deliziato sicuramente i presenti al Reigen di Vienna nell’aprile del 2013, ma che non mancheranno, altrettanto sicuramente, di entusiasmare gli ascoltatori di questo CD che mi sento di consigliare vivamente a chi ama un blues tra i più vivaci e pimpanti in circolazione. Prendete nota: Larry Garner, uno dei migliori “giovani”, ancora in pista!

Bruno Conti

Tipa Tosta, Molto Rock E Poco Blues! Kelly Richey Band – Live At The Blue Wisp

kelly richey live at the blue wisp

Kelly Richey Band – Live At The Blue Wisp – Sweet Lucy Records Records

“Bella e brava” direi che non si possa dire di questa artista originaria di Lexington, Kentucky, bruttina ma brava non mi permetterei (mi rendo conto che mi sto infilando in un cul de sac),  possiamo dire di questa epigona dichiarata di Stevie Ray Vaughan (e forse ancor più di Jimi) che la dimensione dal vivo è quella più consona a una cantante e chitarrista che ha fatto del blues-rock la sua ragione di vita, D’altronde sei album Live (compreso un DVD) su tredici totali e in venti anni di carriera, lo stanno a testimoniare. Con una nuova Kelly Richey Band che la vede accompagnata da due tipi tosti pure loro, sin dal nome, Freekbass, al basso ovviamente, e il batterista Big Bamn, il gruppo piomba sul Blue Wisp di Cincinnati per un set sulfureo di rock anni ’70 miscelato a Blues, non troppo per la verità, 12 brani, firmati dalla stessa Richey, che vengono un po’ da tutti gli album della sua discografia.

kelly richey 1

Diciamo che le sottigliezze della tecnica chitarristica (che pure c’è) non sono il primo pensiero della nostra amica, è evidente subito, fin dall’iniziale e tirata Fast Drivin’ Mama, un chiaro manifesto di intenti, basso e batteria pompano di gusto, la voce è quella della rocker intemerata, lo stile lo abbiamo citato, chitarra dura e tirata e pedalare. I Went Down Easy avrebbero potuto farla tanti colleghi maschi negli anni gloriosi del rock-blues più cattivo, quasi hard, di quegli anni, la chitarra inizia ad urlare e strepitare, mentre la sezione ritmica, per il momento, è precisa e quasi trattenuta. One Way Ticket comincia ad aumentare i ritmi, siamo dalle parti di Beth Hart o Dana Fuchs, senza la classe vocale delle due rockers americane, però con una chitarra che si destreggia tra riff rocciosi e improvvise accelerazioni della solista sulle variazioni funky, soprattutto di Freekbass, che tiene fede al suo moniker https://www.youtube.com/watch?v=YXu7bFeRa7A . La cosa viene portata ai suoi eccessi massimi negli oltre dodici minuti di Sister’s Gotta Problem https://www.youtube.com/watch?v=vUcxMxYEaWI , che era la title-track del primo disco di studio, wah-wah innestato, basso poderoso, anche un po’ di DJ scratching per aumentare il “casino” (niente paura, se non amate, l’hip hop è lontano continenti interi), l’assolo di batteria immancabile nel tipo di musica (non so se proprio mi mancava), e poi quello di un basso molto “effettato”, fanno da apripista all’immancabile orgia chitarristica, anche se Jimi e Stevie Ray avevano ben altra consistenza, e peraltro il rito classico del rock si perpetua per l’ennesima volta https://www.youtube.com/watch?v=xZD96BKlY2Y .

kelly richey 2kelly_richey_band_2_24_13_studio_89_Scott_Preston-9

Workin’ Hard Woman sta sempre dalle parti degli hard-rock irriducibili, mentre Everybody Needs A Change, sempre con il basso funkyssimo solista in primo piano, prosegue sulle derive di Sister’s e alla lunga, devo dire, comincia a stancare. I dieci minuti di Is There Any Reason portano qualche variazione, i tempi si fanno più lenti e dilatati, si vira persino verso certa psichedelica acida, la chitarra si fa più sognante, per quanto sempre debordante, con accelerazioni improvvise in crescendo e basso e batteria che si dividono gli spazi con la solista della Richey, in questo lungo brano strumentale che una sua aura “hendrixiana” ce l’ha, insomma la “giovanotta” sa suonare. Leavin’ It All Behind è abbastanza scontata, il riff di Something’s Going On fa molto Foxy Lady (o era Purple Haze, o entrambe?) e Just A Thing pure, cose sentite quei due o tre milioni di volte, anche se la grinta non manca. Feelin’ Under, ancora con il volume della chitarra a undici, sta sempre da quelle parti e la conclusiva Risin’ Sun, tratta dall’album dello scorso anno Risin’ Sun,ci porta ad una ulteriore dozzina di minuti di grooves e riff https://www.youtube.com/watch?v=fthFcKiYeAs , melodie e idee poche, se le cercate in questo disco avete sbagliato posto, se cercate chitarre fumanti siete in quello giusto!

Bruno Conti

Il Titolo Del Disco Dice Tutto! Keb’ Mo’ – Bluesamericana

keb' mo' bluesamericana

Keb’ Mo’ – BLUESAMERICANA – Kind Of Blue Music

Se dovessi indicare un erede di Taj Mahal, anche se il buon Taj è tuttora vivo e vegeto, diciamo un epigono, un “seguace”, forse ancora meglio, vi farei sicuramente il nome di Keb’ Mo’. Entrambi eclettici polistrumentisti, Taj se la cava discretamente a chitarra, armonica, banjo, piano e ukulele, Kevin Moore, più virtuoso del “maestro”, suona chitarra, acustica, elettrica e slide, banjo, tastiere, basso, armonica, bravissimo pure alla resonator (e in questo album li suona tutti), come tecnica musicale è sicuramente superiore a Mahal, che però dalla sua ha una voce straordinaria, in grado di districarsi in tutti i generi, dal blues al soul e R&B, la musica reggae e caraibica in generale, naturalmente world music e tutti i sottogeneri, blues-rock, jazz blues, blues del delta, country music. Anche Keb’ Mo’ spazia attraverso vari stili, non per nulla, per ribadire questa caratteristica, ha voluto chiamare questo disco BluesAmericana, per ribattere a chi definisce la sua musica semplicemente Blues, mentre nei suoi dischi, fin dagli esordi ufficiali, con il disco omonimo del ‘94 (anche per lui, come per altri, forse il migliore, ma la qualità nel corso degli anni è rimasta sempre elevata, con qualche calo di tensione http://discoclub.myblog.it/2011/09/10/non-ci-ha-riflettuto-abbastanza-keb-mo-the-reflection/), ci sono sempre stati anche gli elementi della cosiddetta “Americana”: country, folk, rock, roots music, musica nera in generale e pure questo CD, al di là del titolo, si allinea su questi stilemi https://www.youtube.com/watch?v=jCXEv_1LavU .

keb' mo'1

La voce di Keb’ Mo’ è pure notevole, calda e suadente, meno “vissuta” forse di quella di Taj Mahal, più pulita, ma non priva di forza e grinta, come testimoniano anche i recenti tributi a Jackson Browne e Gregg Allman.Tra i tanti con cui ha collaborato in questo album troviamo Colin Linden, che per non entrare in rotta di collisione con il virtuosismo di Moore, si cimenta qui al mandolino in The Worst Is Yet To Come, il brano che apre questo CD e che ben evidenzia la musica che poi troveremo a dipanarsi nei successivi pezzi: c’è il blues, il rock, un tocco di gospel, che non avevamo citato (nei cori), e il risultato, per certi versi, può ricordare alcunii episodi della Band, con banjo e mandolino che si inseguono armoniosamente in questo divertente inventario di piccole disgrazie che si succedono senza soluzione di continuità, “il peggio deve ancora arrivare”, recita il titolo https://www.youtube.com/watch?v=1hul1kuWDKE . Keb’ Mo’ parte sempre da una base acustica, che doveva essere nelle intenzioni, il fil rouge del disco, ma poi, grazie all’intervento di molti ospiti e all’ottimo lavoro del co-produttore Casey Warner, che suona anche la batteria in alcune canzoni, ottiene un suono più ricco e complesso. Ad esempio in Somebody Hurt You, che è un blues intriso di spiritual, con un bel call and response con i quattro vocalists che curano le armonie vocali nel brano, impreziosito dalle chitarre elettriche del titolare, un organo suonato da Michael Hicks e una tenue speziatura di fiati.

keb' mo' 2

Come è successo a molti artisti prima di lui, tutti direi, la vita scorre e quindi Keb’ Mo’ non è più di primo pelo, va per i 63 anni, con una lunga gavetta alle spalle, ha acquisito una esperienza che gli permette di districarsi nei vari umori che compongono questo BluesAmericana, ad esempio Do It Right, dove banjo e armonica colorano le tessiture armoniche del brano che viene attraversato da una delicata slide acustica che caratterizza questo brano. I’m Gonna Be Your Man è un blues più canonico, anche se citazioni di celebri frasi di altre canzoni e quell’aria tra soul e gospel sono sempre presenti, come l’immancabile slide acustica e la resonator, mentre una sezione ritmica, precisa e presente comunque in quasi tutti i brani, lascia spazio nel finale anche ai fiati. Move è il brano più elettrico della raccolta, Tom Hambridge siede dietro i tamburi, Paul Franklin aggiunge la sua pedal steel al corpo musicale della canzone e il risultato potrebbe ricordare le cose migliori di Robert Cray https://www.youtube.com/watch?v=ejm-js8JW9c .

keb' mo'3

La pedal steel rimane anche per la successiva For Better Or Worse, una di quelle ballate struggenti, sulle pene d’amore in questo caso, che di tanto in tanto il nostro amico ci regala, cantata con grande partecipazione e suonata in modo compiuto, con slide e steel che si integrano perfettamente, avete presente il Ry Cooder più ispirato?   That’s Alright è una cover di un brano di Jimmy Rogers, il bluesman, Moore suona tutti https://www.youtube.com/watch?v=vtTxLIrumSYgli strumenti, lasciando solo la batteria a Steve Jordan, in un blues elettrico, di quelli duri e puri, molto bello, tipo il ricordato Taj Mahal dei primi dischi https://www.youtube.com/watch?v=sh16F0PguE0 . The Old Me Better, firmata con John Lewis Parker, è un perfetto esempio di Crescent City sound, con tanto di marching band aggiunta, i California Feet Warmers, che aggiungono autenticità al brano, difficile tenere fermi i piedi. Altro brano che giustifica l’Americana nel titolo è More For Your Money, scritta con Gary Nicholson, spesso pard di Delbert McClinton, una sorta di moderno ragtime elettroacustico sulla falsariga di certe cose di David Bromberg, come pure So Long Goodbye altra ballatona amorosa, dolce il giusto, senza essere troppo zuccherosa. Un buon album, tra i migliori della sua discografia.

Bruno Conti    

A Dispetto Del Cappellino, Per Suonare Suona, Caspita Se Suona! Shane Dwight – This House

shane dwight this house

Shane Dwight – This House – Eclecto Groove Records

Un californiano che si trasferisce a Nashville per produrre la propria musica non è certo una novità assoluta, anzi e anche chi ha lo stesso gusto per il vestiario di Tom Morello (ma non lo stesso stile musicale) e porta pure un berretto simile, in effetti nelle foto cappelli ne sfoggia diversi, non oso pensare cosa ci sia sotto, sia in senso figurato che letterale. Ma Shane Dwight, a prescindere dal vestiario, per suonare suona, eccome se suona: con otto album in studio e due DVD nel suo carniere https://www.youtube.com/watch?v=MOSEv43mslU , questo signore non è quello che si può definire un principiante, ma da un paio di CD a questa parte, l’ottimo A Hundred White Lies https://www.youtube.com/watch?v=fYVMuS6iITc  e questo This House, ha unito alla propria reputazione di guitar slinger https://www.youtube.com/watch?v=HhBqFlPc_Ko  anche quella di buon autore e cantante. Per aiutarlo a completare questa parziale trasformazione si è scelto alcuni dei migliori turnisti di lusso in circolazione in quel di Nashville, Kevin McKendree alle tastiere, che oltre ad essere il band leader di Delbert McClinton è diventato uno dei migliori produttori in circolazione (per esempio negli ultimi dischi di Tinsley Ellis e Curtis Salgado, di cui ricordo di essermi occupato), con lui ci sono il bassista Steve Mackey e il batterista Lynn Williams entrambi da quella band e, in alternativa, quando serve, troviamo Kenneth Blevins e Doug Lancio, batteria e seconda chitarra, dalla band di John Hiatt.

Shane Dwight with Bekka Bramlett 128

Delle armonie vocali si occupa una signora, Bekka Bramlett (la figlia di Delaney & Bonnie), che non ha dato forse alla musica quello che il suo patrimonio genetico faceva presagire, ma ha comunque sempre una gran voce https://www.youtube.com/watch?v=tVRA5rPKBPM . E lo dimostra subito nel brano d’apertura, This House, una canzone di impronta più acustica rispetto al resto dell’album, un contrabbasso e la voce di Bekka a contrappuntare quella di Dwight, mentre le tastiere di McKendree si dividono gli spazi con la chitarra acustica di Shane, per una partenza in sordina ma raffinata https://www.youtube.com/watch?v=ZVfKZ-H9Z0Y . Ma We Can Do This, il secondo brano, aggiusta subito il tiro, un funky rock che dimostra che la Bramlett più che nei Fleetwood Mac avrebbe dovuto cantare nei Little Feat, infatti siamo da quelle parti musicalmente, basso e batteria indaffaratissimi, la chitarra elettrica che comincia ad essere strapazzata come richiede il copione, tastiere e seconda chitarra sugli scudi e vai così. Fool è una bella ballata, ma di quelle proprio belle, profumo del Tennesse, con soul e gospel ancora a cura dei cori della Bramlett, l’organo di McKendree che ci delizia i padiglioni auricolari e Dwight che canta con passione, prima di rilasciare un assolo conciso ma lirico, con la presenza di Blevins alla batteria che potrebbe ricordare certe canzoni di Hiatt, veramente piacevole.

shane dwight 1

Ma l’amore per il blues non è stato dimenticato in questo album, Shane scalda l’atmosfera con Sing For Me (Search For Sierra,) un bel mid-tempo cadenzato attraversato da una chitarra carica di eco e da belle atmosfere sonore sospese. It’s Gonna Be Beautiful porta la firma pure di Bekka Bramlett (tutte le altre, meno una, sono di Shane Dwight) che la canta veramente bene, una canzone di gran classe, con qualcosa del repertorio dei genitori che affiora, ma anche elementi country e pop, un pizzico della migliore Tina Turner e una bella melodia che si metabolizza con facilità, tra le cose migliori della carriera della Bramlett, Dwight si limita a fare l’accompagnatore, con classe. Ma poi parte lo shuffle, una Devil’s Noose dove la voce si incattivisce e la chitarra prende il centro del palcoscenico, e il ragazzo bisogna dire che tiene fede alla sua reputazione di “manico”, ribadita poi in Stepping Stone, un altro bluesaccio dove lui e Doug Lancio si sfogano scambiandosi fendenti chitarristici di quelli poderosi, e qui, cari miei, siamo dalle parti del profondo Texas. Never Before non molla la presa, trovato il groove la band ci sciorina un rock-blues di quelli che ti fanno saltare sulla sedia, chitarra in overdrive e voce pimpante, senza requie e I’m A Bad Man conclude la tetralogia blues con una puntata in quel di Chicago, voce e chitarra sempre sul pezzo e grande grinta e maestria di Dwight che sulla sua solista cesella le dodici battute https://www.youtube.com/watch?v=ax9GCk7i2E8 .

shane dwight 2

Losing Ground è una lirica ballad che mescola il meglio del country di Nashville con arie pop quasi beatlesiane, ai limiti del plagio, ma sorprendenti e piacevoli, Bramlett e McKendree sempre perfetti gregari di lusso e la chitarra quasi knopfleriana non perde un colpo. Bad For You è l’altro pezzo firmato con Bekka Bramlett, vogliamo chiamarlo heavy soul, un ritmo funky, strumentazione e voci sature e un assolo luciferino di Dwight e infine, per concludere in bellezza, un’altra deliziosa canzone di stampo country-gospel, si chiama Crazy Today ma potrebbe essere Will The Circle Be Unbroken in chiave gospel. Shane Dwight: altro nome da tenere d’occhio ed appuntarsi, etichetta del gruppo Delta Groove, marchio di garanzia!

Bruno Conti

Dieci Anni Di Canzoni In Un “Bignami” Del Blues Acustico, Ma Non Solo! Eric Bibb – In 50 Songs

eric bibb in 50 songs

Eric Bibb – In 50 Songs – Dixiefrog Records – 3 CD

E’ ormai da quasi un ventennio che Eric Bibb, bluesman newyorchese domiciliato a Helsinki, Finlandia, dove vive con la moglie (e con Keb’ Mo uno dei leader del revival del blues acustico), si affaccia con puntuale regolarità sul mercato discografico, e dopo la bellezza di 28 album (per lo più in proprio), o con altri (Friends o Sisters & Brothers), arriva ora questa ulteriore retrospettiva In 50 Songs, un compendio delle registrazioni di Eric Bibb del passato decennio, distribuite su 3 CD, 50 brani, per oltre 3 ore di musica straordinaria.

eric bibb 1

Eric è figlio d’arte, suo padre è il musicista e attore Leon Bibb (e lo zio era il grande jazzista John Lewis, del Modern Jazz Quartet) e il nostro è cresciuto a New York durante il boom della musica blues e folk dei sixties, quindi  con una sua formazione musicale ricca di stimoli, in quanto Dizzy Gillespie era di casa, e anche Pete Seeger era grande amico di papà Leon. A soli vent’anni lascia la famiglia per andare a vivere in Svezia dove inizia la carriera solista, proponendo la sua musica, una miscela ricca di blues ma che comprende elementi country, folk, gospel, soul, e reggae, eseguita in modo vario e inappuntabile, cantata con una voce che è difficile dimenticare. Per ovvi motivi di spazio, non sto a elencare (come di consueto) tutti i brani di questa raccolta, mi limito a ricordarvi per ogni CD i brani più significativi, segnalando che, purtroppo, non ci sono “gioielli” tratti dagli album Just Like Love (02), Family Affair (04), Get On Board (08) e Blues, Ballads & Work Songs (11).

eric bibb 2

Il CD 1 è composto da brani estratti da Natural Light (03), Friends (04), A Ship Called Love (05), Praising Peace (06) e Diamond Days (06), tra cui spiccano l’iniziale In My Father’s House dal ritmo sincopato https://www.youtube.com/watch?v=K6oMzZYja94 , Heading Home con una dolce armonica, la ballata acustica Sittin’ In A Hotel Room, il blues tradizionale Boll Weevil, e duetti di spessore, con la bravissima Ruthie Foster in For You https://www.youtube.com/watch?v=2elOFzR5Kts , con Kristina Olsen in If I Stayed https://www.youtube.com/watch?v=PH69Q74b0EU e il gospel 99 ½ Won’t Do con il grande Guy Davis https://www.youtube.com/watch?v=7yoIl6gBfto .

Il CD 2 pesca invece da album più recenti come Spirit I Am (08), Live A’ Fip (09), Deeper In The Well (12) http://discoclub.myblog.it/2012/02/09/saluti-dalla-louisiana-eric-bibb-deeper-in-the-well/  e l’ultimo Jericho Road (13), aperto dalla meravigliosa Dance Me To The End con la partecipazione di Jerry Yester, passando per l’ammaliante soul di A Ship Called Love, la solare Dig A Little Deeper In The Well che non sfigurerebbe in un disco di Jimmy Buffett, i caldi ritmi “caraibici” di On My Way To Bamako con Habib Koitè https://www.youtube.com/watch?v=MTQnYyyAFCo , la gara di bravura con Martin Simpson in The Cape https://www.youtube.com/watch?v=IIECz7Y01-U , e il tradizionale Hold On, quasi nove minuti di pura magia elettroacustica dal vivo.

eric bibb 3

Il CD 3 oltre a delle rarità, come il duetto con Taj Mahal in Goin’ Down Slow, il blues acustico di Don’t Ever Let Nobody… e Bourgeois Blues, il gospel di Send Us Brighters Days ancora con Habib Koitè, presenta tre brani inediti, il tradizionale Wayfaring Stranger quasi sussurrato, una Shingle By Shingle dove risalta la bella voce di Eric, andando a chiudere con un altro tradizionale Needed Time, con sonorità “cajun” che mi ricordano i bravissimi Beausoleil di Michael Doucet https://www.youtube.com/watch?v=pvRvt6AQHuk .

Eric Bibb è sicuramente uno dei massimi esponenti contemporanei della scena folk-blues, anche se si esprime in una dimensione leggermente più cantautorale (rispetto ai vari Davis e Keb Mo, per citarne alcuni altri), con una personalità musicale che sembra riscrivere le tradizioni in un suo personale viaggio tra folk, blues e musica d’autore.

Per chi non lo conosce un’occasione unica per portarsi a casa, con pochi euro, un “bignami” della musica di Eric Bibb, 50 canzoni che sono come “i gioielli della corona”: un suggerimento per un regalo, ad altri o a voi stessi, di cui non dovrete pentirvi.

Tino Montanari

Vere Leggende Del Blues! John Mayall – A Special Life

john mayall a special life

John Mayall – A Special Life – Forty Below Records/Ird

John Mayall è una delle ultime vere Leggende del Blues ancora in vita, non di quelle autoproclamate o fittizie che spuntano come funghi da ogni angolo, glorie locali, di quartiere, regionali, persino di condominio, il termine leggenda si usa a sproposito, ormai, per carneadi vari. Per il vecchio campione del British Blues le 80 primavere sono passate da qualche tempo  , ma non sembra avere intenzione di rallentare la sua attività: l’ultimo “grande” disco probabilmente dista nel tempo varie decadi, ma un suo album si fa sempre preferire rispetto alla miriade di pubblicazioni di genere che escono ogni mese. Mayall non è un grandissimo, forse in nessuna delle sfaccettature della sua arte, buon cantante, con quel suo particolare stile vocale, leggermente “strangolato”, rilassato e classico, discreto chitarrista, onesto tastierista, all’organo, piano e piano elettrico, forse eccelle solo come armonicista, ma non è sicuramente uno dei massimi virtuosi viventi.

Il suo vero “mestiere” è quello del band leader, lo scopritore di talenti, anche se i tempi di Eric Clapton, Peter Green e Mick Taylor sono un lontano ricordo (pure se Eric e Mick erano tornati per i festeggiamenti del 70° di John, culminati nell’ottimo CD/DVD 70th Birthday Concert), le ultime ottime edizioni dei Bluesbreakers risalgono al periodo in cui le soliste erano affidate a Coco Montoya e Walter Trout, quasi una vita fa, e l’ultimo chitarrista di talento cristallino passato nella formazione è stato Buddy Whittington. Ma come si diceva, forse anche per una questione di prestigio, un suo album ha sempre quel fascino particolare dato dal nome, comunque sinonimo di qualità. Dischi memorabili non ne ricordo da tempo: gli ultimi di studio, In The Palace Of The King e Tough, soprattutto quest’ultimo, erano degli onesti prodotti, magari anche migliori di alcune uscite a cavallo tra la fine anni ’70 e i primi anni ’80, prima di ripristinare la ragione sociale Bluesbreakers, che avevano “sporcato” il suo CV.

Di Live, spesso interessanti, ne escono ancora spesso (alcuni anche solo tramite il suo sito, Private Stash) e questo A Special Life, senza fare gridare al miracolo, dopo ripetuti ascolti, mi sembra un buon prodotto. Il primo pubblicato per una nuova etichetta, la Forty Below Records, si avvale di alcuni buoni musicisti scovati da Mayall sul territorio statunitense, la sezione ritmica di Chicago, Greg Rzab al basso e Jay Davenport alla batteria, il bravo chitarrista texano Rocky Athas, in cui qualcuno ha rilevato attitudini claptoniane, che, sotto la produzione di Eric Corne, hanno realizzato nel mese di novembre dello scorso anno (proprio nel periodo in cui John compiva 80 anni), in quel di North Hollywood, California, dove il nostro vive, beato lui, dai tempi di Blues From Laurel Canyon, questo piacevole album.

La formula è quella tipica dei dischi di Mayall, alcuni brani originali, uno anche affidato ai componenti della sua band, Like A Fool, che porta la firma di Rzab, qualche classico, magari minore, come That’s Allright, che porta la firma di James Lane, vero nome di Jimmy Rogers, guidata dall’armonica sempre pimpante di John, Big Town Playboy di Eddie Taylor, col piano e ancora la mouth harp in bella evidenza e Just Got To Know di Jimmy McCracklin, un bel blues lento dove si apprezza la solista di Athas, mentre CJ Chenier è la seconda voce a fianco di Mayall. Proprio C.J. Chenier, il figlio di Clifton, porta un soffio di freschezza nel brano di apertura, una inconsueta cover di un pezzo del babbo, Why Did You Go Last Night, che proprio per la presenza della fisarmonica di Chenier aggiunge un inatteso tocco cajun al sapore della canzone, peraltro eseguita molto bene.

Speak Of The Devil non si può certo definire un classico, ma il brano di Sonny Landreth ha una urgenza rock nelle pieghe del suo DNA e la voce di Mayall è sempre forte e vibrante, uguale a sempre, senza cedimenti, e la band, da Athas in giù ci dà dentro alla grande, sembrano quasi gli ZZ Top. World Gone Crazy è uno di quei brani di stampo ecologico che periodicamente riaffiorano nell’opera dell’artista britannico e l’arrangiamento ha una varietà e una freschezza sorprendente. Flood in’ In California è un brano poco conosciuto, ma mirabile, di Albert King, uno dei preferiti di Mayall da sempre, un bel sound contemporaneo, con organo e tastiere ben miscelate nella produzione precisa di Corne e la chitarra libera di creare sonorità inconsuete per la produzione mayalliana.

A Special Life e Just A Memory sono due capitoli della sua autobiografia in musica, la prima malinconica e pensosa, la seconda una ballata blues pianistica di classe sopraffina, tra le migliori composte dal nostro nelle ultime decadi e che conclude in gloria un disco che ce lo ripropone (quasi) ai vertici della sua produzione. Direi promosso e se ne ha voglia e la salute lo assiste, gradiremmo altri dischi così, che, al di là del nome, sono molto meglio di gran parte della produzione blues in circolazione!   

Bruno Conti

Un Commovente Omaggio! Cody Sings Zevon – Phil Cody

phil cody cody sings zevon

Phil Cody – Cody Sings Zevon – Appaloosa Records/Ird

Sono passati diciotto anni da quando quel piccolo capolavoro,The Sons Of Intemperance Offering (96), faceva brillare una stella nel firmamento del giovane cantautorato americano https://www.youtube.com/watch?v=kBnz4w_KxVM . Phil Cody era un nome che mi aspettavo circolasse parecchio negli anni a venire, invece è sparito, fagocitato dalle assurde leggi del mercato discografico, distratto da problemi personali che lo hanno arenato in un processo creativo estremamente lento. Quel disco purtroppo non conteneva hit radiofonici, e come spesso accade per molti prodotti di qualità, non ha venduto milioni di copie, forse neppure migliaia e di conseguenza la casa discografica, la Interscope Records, non gli ha dato una seconda chance, ma Cody è diventato comunque un artista di culto, ritrovando una vena creativa che non poteva inaridirsi tanto facilmente, e pubblicava il secondo lavoro indipendente per la Tiny Head Records,Big Slow Mover (2000), bissato due anni dopo da Mag Dog Sessions (02,) con materiale scartato dal disco d’esordio. Da allora del buon Phil purtroppo ho perso le tracce, per ritrovarle un po’ a sorpresa con questo tributo (a dieci anni dalla scomparsa) a Warren Zevon (un grande del cantautorato americano), da cui tanti giovani songwriters hanno tratto ispirazione.

phil cody 1

Cody Sings Zevon è stato registrato sul finire dello scorso anno (tra agosto e l’autunno) in uno studio di registrazione a Los Angeles, con il contributo del fidato Steve McCormick (anche in veste di produttore) come di consueto alle chitarre, e la partecipazione in alcuni brani  di Andy Kamman alla batteria, Eric Lynn al basso e del bravo Matt Cartsonis al mandolino, rileggendo dodici brani (noti e meno noti) pescati dal grande tesoro musicale di Zevon.

Boom Boom Mancini è il brano che apre il disco, seguito da una intensa Splendid Isolation (una delle più belle canzoni di Warren) e da una Johnny Strikes Up The Band avvolgente, sulle note del mandolino di Cartsonis. Mutineer è riletta in una versione accorata e dolcissima https://www.youtube.com/watch?v=VuFI4gwoKBY , come pure la seguente Roland The Headless Thompson Gunner, dove si respira un’aria quasi celtica, passando per le percussioni di Play It All Night Long e il mandolino di una Heartache Spoken Here, cantata con voce nasale da Phil. Le riletture di The Indifference Of Heaven e Don’t Let Us Get Sick  raggiungono un livello di intensità struggente, per poi passare alle dolci atmosfere “hawaiane” di The Hula Hula Boys, per poi finire in gloria con una delle composizioni più recenti di Zevon, Lord Byron’s Liggage (era in My Ride’s Here), e una commovente Desperados Under The Eaves, che chiudeva l’imperdibile lavoro d’esordio omonimo Warren Zevon (76) pubblicato dalla mitica Asylum Records.

phil cody 2

Nel corso di questi ultimi anni sono state pubblicate altri tributi eseguiti da altri artisti (mi piace ricordare Enjoy Every Sandwich: The Songs Of Warren Zevon (04), ma questo Cody Sings Zevon è molto più intimo, in quanto le bellissime canzoni di Warren vengono rivisitate con affetto smodato, e direi anche con ammirazione e intenerita partecipazione, da Phil Cody. Sono certo che in cielo, qualcuno sarà d’accordo con il sottoscritto.

Il disco era disponibile da qualche mese solo per il download, lode alla Appaloosa che lo pubblica, unica al mondo per il momento, anche in formato CD.

Tino Montanari

Una Delle Regine Del Rock Classico Americano, Sempre Più “Indipendente”! Michelle Malone

l_302342michelle_malone_acousticwinter_cover

Michelle Malone – Acoustic Winter – Sbs Records 2014

Michelle Malone – Day 2 – Sbs Records 2012

Di questa signora aveva già parlato, come al solito con puntualità e dovizie di note sulla sua carriera, il titolare di questo Blog, in occasione dell’uscita dell’ultimo live Moanin’ In The Attic http://discoclub.myblog.it/2010/09/21/una-donna-indipendente-michelle-malone-moanin-in-the-attic/ , ma pur con 25 album tra studio e live (circa, e se non ho sbagliato il conto), dalle nostre parti Michelle Malone è praticamente una sconosciuta. Avviso subito che anche questi due lavori di cui mi accingo a parlarvi sono di difficile reperibilità (vengono venduti direttamente dal suo sito, o su qualche piattaforma online), ma per la qualità e la bravura dell’interprete, la ricerca è consigliata.

michelle malone acoustic

Partiamo dal più recente, Acoustic Winter, una raccolta di canzoni in forma principalmente acustica, dominate soprattutto dalla sua voce e chitarra, in ogni caso la Malone è accompagnata da eccellenti musicisti tra i quali Randall Bramblett al pianoforte, Troy Harris al basso, Ben Holst alla lap-steel e organo, Trish Land e Gerry Hansen alle percussioni, Marty Kearns cura l’arrangiamento degli archi, il tutto è stato registrato negli studi Creekside & Southern Tracks di Atlanta, Georgia, dove Michelle vive, con la produzione del fidato Gerry Hansen https://www.youtube.com/watch?v=VI3w4ZmQATw .

Acoustic Winter si apre con un brano meraviglioso Home (dedicato a un certo Daniel Adamek), dalla atmosfera intima e confortante, soprattutto a causa della voce suadente di Michelle, a cui fanno seguito le morbide note di una chitarra acustica in evidenza in Beyond The Mountain e Burning Star, mentre Where Is The Love ha un suono più bluesy con un impatto vocale sofferto. Mirror Ball si basa su un lavoro di arpeggio importante, ed è seguita dalla pianistica e bellissima Super Ball, una canzone veramente toccante, con la voce della Malone ad accompagnare la melodia, per arrivare ai cori a più voci di Made To Fly.

michelle malone 1

Si riparte con un breve ma intenso brano strumentale, A Walk In The Woods, un brano chitarristico intricato, con elementi classici e folk (un omaggio a Bert Jansch?), seguito dalle ariose Counting Stars e Missing, con abbondante uso di lap-steel e archi. Alla fine di un lavoro magnifico, Michelle Malone omaggia i Beatles e gli Stones con due cover d’autore, una intrigante Eleanor Rigby rifatta in versione acoustic-blues, mentre in Wild Horses (una delle più belle canzoni di sempre), solo la chitarra accompagna la Malone in una strepitosa performance vocale https://www.youtube.com/watch?v=LmKxrN7SGfU .

michelle malone day 2 michelle malone live day

Day 2 non è recente, essendo uscito già un paio di anni, ma ne parliamo perché rappresenta la vera anima di Michelle, quella più  “guitar-oriented-rock”, con alcune grandi ballads però, comunque attuale e con una penna di prim’ordine. Il disco co-prodotto dal suo amico Shawn Mullins (autore di svariati buoni dischi solisti) e dal solito Gerry Hansen, si avvale dei musicisti di Acoustic Winter, con l’inserimento di Chuck Leavell al pianoforte, Tom Ryan al contrabbasso e lo stesso Mullins che si prodiga ai cori in diversi brani.

michelle malone guitar

L’album parte con il rock-boogie sparato di Others Girls https://www.youtube.com/watch?v=kACD_JcpW5M , per poi passare subito alle dolci atmosfere della title-track Day 2 https://www.youtube.com/watch?v=XTrZdZeoGNQ  e di Marlboro Man, mentre Immigration Game è un gospel infarcito di blues. Wasted On You è un country-rock classico che viaggia dalle parti di Linda Ronstadt e Karla Bonoff, per poi passare al blues à la Bonnie Raitt di Chicken Lickin’ Boogie https://www.youtube.com/watch?v=2I3yW0LIo6A , e alla triste melodia Saint Peter (una preghiera dedicata alla madre), con Randall Bramblett alle tastiere, mentre la slide e l’armonica danno l’impronta al blues rurale di The Auditor. Chiudono le atmosfere vivaci e gioiose di 100 Paths, e la tenue ballata Shine, solo voce, chitarra e basso https://www.youtube.com/watch?v=zIcTb60Xzf8 , a conferma del talento di questa cantautrice rock , capace come poche di esprimere, attraverso la musica, le sue vere emozioni.

Fate attenzione a questa signora carina e di bella presenza, è da anni uno dei segreti meglio custoditi del rock “indipendente” americano https://www.youtube.com/watch?v=IMo2yNGNM1s . Se vi intriga quanto letto, mettete mano al portafoglio e iniziate la ricerca (anche di quelli vecchi), se già la conoscete, pure!

Tino Montanari

Accoppiata Anglo-Italo-Americana In Quel Di Pavia! Chris Cacavas Ed Abbiati – Me And The Devil

Abbiati Cacavas Me And The Devil

Chris Cacavas & Ed Abbiati – Me And The Devil – Appaloosa/IRD – Harbour Song Records

Chi è il diavolo dei due? E chi ha tentato chi? O è la musica del diavolo che ha tentato entrambi? Su questi inquietanti quesiti si apre l’ennesima collaborazione del 2014 di Ed Abbiati con musicisti diversi dai “suoi” Lowlands (che però vivono e prosperano sullo sfondo, in attesa di colpire entro fine anno, con altri due progetti, Love, Etc., un disco folk con fiati. in uscita ad ottobre e il Live Unplugged, registrato a Milano in primavera ed atteso per fine anno, ma queste sono altre storie). Nel frattempo, dopo lo split EP con i Lucky Strikes, che dovrebbe portare a quattro le uscite discografiche dell’anno – “quest’anno si esagera”, come mi ha detto lo stesso Edward – arriva a compimento, dopo una lunga gestazione, l’album concepito con Chris Cacavas,  l’ex Green On Red, anche con una lunga carriera solista. Un americano che vive in Germania e un italo-inglese che vive a Pavia, i due si erano già incontrati nel lontano 2008, quando Chris aveva partecipato alla registrazione del primo album dei Lowlands, Last Call e da lì era nata una solida amicizia, non solo musicale, ma non sono fatti nostri, a noi quella interessa https://www.youtube.com/watch?v=FpwU7GwQPoo . Le strade si erano intrecciate varie volte fino a che, più o meno nella primavera dello scorso anno, qualcuno, Ed, Chris o il diavolo (il terzo incomodo), propone all’altro, perché non scriviamo delle canzoni insieme? Nell’arco di circa sei mesi, grazie alla “tecnologia”, e-mails, chiamate telefoniche, qualche viaggio aereo di Chris, per trovarsi insieme nella cucina di Ed a scrivere le canzoni (e parte del processo è stato salvato per i posteri e vedrà la luce come secondo dischetto di una edizione doppia “limited” only for fans, friends and relatives, 250 copie vendute direttamente da loro o ai concerti, con le registrazioni del work in progress dell’album, brani scritti e registrati su un telefonino, con una qualità sonora un po’ primitiva, per quanto, mi pare, migliore di quella dell’ultimo Neil Young, almeno non c’è lo scricchiolio dei vecchi 78 giri, e quanto te lo fanno pagare, ma anche questa è un’altra storia e la versione “normale” va comunque benissimo).

me and the devil special

Ad agosto dello scorso anno, quindi, tutti insieme appassionatamente, in una cascina convertita a studio di registrazione, immagino “belli freschi”, vista la stagione, in ordine alfabetico di nome, come da copertina, Chris e Ed, con l’aiuto di Mike “Slo Mo” Brenner (Marah, Jason Molina), a basso, lap steel e slide e co-produttore, Winston Watson (Bob Dylan, Giant Sand, Warren Zevon), alla batteria, l’immancabile (nei dischi di Ed) Richard Hunter, all’armonica, Andres Villani al sax tenore, David Henry al cello e Stefan Roller, assolo di elettrica in Me And The Devil; in una settimana circa (cinque giorni per la precisione) le dieci tracce, in varie fasi di completamento, sono pronte per partire per Nashville, Tennessee e Stanford, CT, dove verranno completate a livello tecnico da Chris Peet e Rainer Lolk  e vengono aggiunti il cello, Nashville e le armoniche, Stanford.Tutti felici e soddisfatti dunque, Ed mi dice “sai che ho fatto un disco con Chris Cacavas!”, “ma va, quando uscirà?” gli chiedo, silenzio diplomatico, perché lì sta il problema ai giorni nostri, comunque saltiamo tutte le fasi successive ed arriviamo all’inizio di maggio (ma i files delle canzoni erano nei meandri del mio PC da qualche tempo), “quasi ci siamo, usciamo a giugno per Appaloosa,in Italia” ma mi impone, come Giucas Casella, un invito a parlarne, “solo quando lo dirò io”! Nei prossimi giorni (credo settimana prossima, ci sono dei problemi con il libretto) il disco sarà, si spera, anzi certamente, in tutti i negozi, fisici e virtuali, e chi vuole potrà (dovrà) sentirlo per farsene un’idea.

ed abbiati chris cacavas

Se volete il mio parere, per quello che vale (falsa modestia, con scrollata di spalle, scherzo, è meglio precisare perché ti prendono sul serio) è un bel disco, diverso dalle cose dei Lowlands e da quelle di Cacavas, come è ovvio che sia, se no si facevano ciascuno il proprio disco, ma l’impronta musicale di entrambi c’è. Potremmo dire, visto anche il titolo, un disco di blues? Non solo, ma perché no, perlatro non un disco di blues-rock, di quelli ricchi di virtuosismi che però appartengono ad un’altra categoria. Un disco di blues e rock, forse meglio, come esplica subito Against The Wall, un brano denso e corposo, quasi minaccioso, cantato a doppia voce da Ed e Chris, con il sax che si interseca con chitarre e tastiere, fino a che il tenore di Villani è lasciato in libertà nel finale https://www.youtube.com/watch?v=7-tHaCrI3A0Me And The Devil, con un riff quasi stonesiano di chitarra che la apre ( o è alla Green On Red?) è più cadenzata, l’armonica cromatica di Hunter è co-protagonista del mood del brano, avvolgente e maestosa, dà una sorta di imprinting per un blues contemporaneo, sempre cantato a due voci sovrapposte, screziato da sapori rock quando la chitarra di Roller la taglia in due nel finale, grande brano. Oh Baby Please, con il suo organo fine anni ’60 e il sax souleggiante, sembra un brano del Sir Douglas Quintet o di ? And The Mysterians, quel pop deviante, un po’ indolente e leggermente psych dei tempi che furono, canta Edward da solo, Chris cesella all’organo.

ed chris

Solo la voce di Mr. Abbiati, un piano elettrico, qualche tocco di lap steel ed ecco The Week Song, una ballata intima e malinconica che mi sembra molto farina del sacco del buon Ed, qui ci vedo (e ci sento) la sua mano, ma i brani, come facevano Lennon e McCartney, sono comunque tutti firmati Cacavas/Abbiati. Il cello di David Henry introduce la melodia trasversale di Hay Into Gold, una ballata mid-tempo insinuante che evoca panorami musicali “americani”, quasi desertici, un ritornello piacevole, con la slide che si divide il mood del brano con il cello, un pezzo che entra lentamente ma inesorabilmente nell’attenzione dell’ascoltatore e poi insiste fino a conquistarti con un crescendo finale che mi ricorda un qualcosa di non definito, un tocco à la Mike Scott. Long Dark Sky è una scarica di adrenalina pura, cantata da Chris Cacavas, un grande pezzo di rock dove i Velvet di Lou Reed incontrano gli Stones più “nasty”  sulle rive del Paisley rock più acido(grandissime le rullate di Watson), riff chitarristici da destra e manca, cattiveria allo stato puro, persino i coretti ne trasudano. Credo che a Steve Wynn dovrebbe piacere. Un blues quasi canonico come Can’t Wake Up, quasi, con chitarre acustiche e slide sugli scudi, Ed che sfoggia la sua voce più roca da adepto del blues del Delta, sillabata quasi con cattiveria, un bell’esempio di blues cantautorale, senza dimenticare naturalmente l’armonica di Hunter, qui nei suoi territori più tipici.

ed abbiati chris cacavas 1

Ci avviciniamo alla conclusione, mancano tre brani, le atmosfere sospese e younghiane della lungaThe Other Side, ancora Chris Cacavas, alle prese con la West Coast acida e psichedelica dei 70’s più sognanti e allo stesso acidi, notevole, nulla da invidiare alle cose migliori dell’ultimo Jonathan Wilson, magnifico l’interplay delle chitarre elettriche. I’ll See Ya è un altro bozzetto (si tratta del demo originale) di Ed Abbiati, una sorta di epifania acustica e raccolta, molto dolce e sognante, in un modo diverso dal turbinare del brano precedente, ognuna sogna a modo suo, dopotutto, con quell’organo in sottofondo (che mi dicono essere una pianola Bontempi, un classico nel rock) e la chitarra arpeggiata potrebbe ricordare anche i Floyd più pastorali. La conclusione è affidata alle atmosfere nuovamente rilassate della breve The Rest Of My Life https://www.youtube.com/watch?v=55pXhXPNcyM , una ulteriore oasi di pace a due voci, senza tempo, lontana dagli episodi più blues e rock dell’album ma non per questo meno affascinante. Quindi, concludendo, non solo blues, rock o musica da “cantautori”, catalogherei sotto Buona Musica.

Bruno Conti

P.S. Grazie a Ed per alcune preziose precisazioni!

Siamo Nati Per Soffrire, Ma Anche Per Godere! E’ Arrivato Il Giorno Fatidico: 3 Giugno Le Ristampe di Led Zeppelin I, II e III

singlevinyl-300x300

*NDB Ci siamo! Visto che ne avevo parlato a marzo e a questo punto molti se lo saranno magari dimenticato, martedì, fra due giorni, è la data fatidica: 3 giugno, escono le prime 3 ristampe dei Led Zeppelin, quindi versione aggiornata del Post, con alcuni video aggiunti, è il bello di internet!

Lo aveva annunciato (e anche un po’ minacciato), dopo essersi occupato di Celebration Day, che “raccontava” la reunion alla O2 Arena della sua band, i Led Zeppelin, Jimmy Page si è messo d’impegno a lavorare alla rimasterizzazione dell’opera omnia del gruppo, tutti gli album usciti durante la vita dei “Dirigibili”. E in “soli” tre anni ha completato il suo compito: ai primi di giugno iniziano ad uscire i primi tre dischi della formazione britannica nelle nuove edizioni. “Nuove” perché ovviamente l’industria discografica si è impadronita del progetto, pronta ancora una volta a svuotare i portafogli dei fans del gruppo (e anche dei nuovi adepti che si sono aggiunti nel corso degli anni). Quante edizioni usciranno per ogni album? Tante! Vediamo quali, disco per disco (con un po’ di immagini, non tutte, per non esagerare):

Led Zeppelin I (sarebbe solo Led Zeppelin, ma è, per intenderci, quello che vedete ad inizio post e qui sotto) https://www.youtube.com/watch?v=2sTsqenVh1M

singleCD1-300x256

CD singolo con copertina apribile

Vinile Singolo

deluxe2CD1-300x256deluxe_vinyl-300x256

CD Doppio con copertina apribile e disco di inediti Live o triplo vinile, con questi contenuti:

Disc One

  • 1. Good Times Bad Times
  • 2. Babe I’m Gonna Leave You
  • 3. You Shook Me
  • 4. Dazed and Confused
  • 5. Your Time Is Gonna Come
  • 6. Black Mountain Side
  • 7. Communication Breakdown
  • 8. I Can’t Quit You Baby
  • 9. How Many More Times

Companion Audio Disc (CD and LP)

Live At The Olympia – Paris, France  (October 10, 1969)

  • 1. “Good Times Bad Times/Communication Breakdown”
  • 2. “I Can’t Quit You Baby”
  • 3. “Heartbreaker”
  • 4. “Dazed And Confused”
  • 5. “White Summer/Black Mountain Side”
  • 6. “You Shook Me”
  • 7. “Moby Dick”
  • 8. “How Many More Times”

LZI-Deluxe-Box-480x410

Box Set Super Deluxe, con i contenuti citati, più tessera per il download ad alta definizione ( 96kHz/24 bit (per i pezzi del vivo 48/24), Libro fotografico, stampa da alta qualità della grafica del disco originale, copia della cartella stampa dell’Atlantic dell’epoca, le prime 30.000 copie numerate. Visto cha anche per gli altri due cofanetti il contenuto sarà lo stesso (sia pure con un vinile in meno), non sto a ripeterlo per tutti e tre.

lzII-300x300

Led Zeppelin II

Sorpresa per le varie versioni Deluxe del secondo album con questa nuova grafica in negativo aggiunta a quella standard del disco. https://www.youtube.com/watch?v=qc4aecgeSZM

CD Singolo e vinile singolo standard

deluxe_2CD-300x256

CD Doppio Deluxe e Vinile Doppio con questo contenuto:

Disc One

  • 1. “Whole Lotta Love”
  • 2. “What Is And What Should Never Be”https://www.youtube.com/watch?v=wSZX7o7QaqU
  • 3. “The Lemon Song”
  • 4. “Thank You”
  • 5. “Heartbreaker”
  • 6. “Living Loving Maid (She’s Just A Woman)”
  • 7. “Ramble On”
  • 8. “Moby Dick”

Companion Audio Disc (CD and LP)

 

LZII-Deluxe-Box-300x256

standard_vinyl1-300x300

Led Zeppelin III

Anche in questo caso CD singolo e Vinile singolo

deluxe2CD-300x256

CD Doppio Deluxe e Vinile doppio, con i seguenti brani (quelli del secondo disco, oltre agli inediti, versioni alternative dei brani già noti) https://www.youtube.com/watch?v=6P2brlIFsiM :

Disc One

          • 1. “Immigrant Song”
          • 2. “Friends”
          • 3. “Celebration Day”
          • 4. “Since I’ve Been Loving You”
          • 5. “Out On The Tiles”
          • 6. “Gallows Pole”
          • 7. “Tangerine”
          • 8. “That’s The Way”
          • 9. “Bron-Y-Aur Stomp”
          • 10. “Hats Off To (Roy) Harper”

Companion Audio Disc (CD and LP)

LZIII-Deluxe-Box-300x256

Ovviamente quelli destinati a soffrire saranno i nostri portafogli, non certo le nostre orecchie che saranno deliziate da tutto questo ben di Dio (e sono solo i primi tre della serie). Si parla di prezzi intorno ai 120 euro (ma anche meno) per i mega cofanetti e 20 euro (forse un po’ meno) per i doppi CD, ovviamente i prezzi che di tanto in tanto inserisco nel Blog sono sempre indicativi, sta a voi cercare il meglio. Le altre versioni non so e non mi interessa, cercate voi. Penso che mi impadronirò delle versioni doppie, quelle con il dischetto inedito, secondo me più che sufficienti per sentire e godere ciò che Jimmy Page ci ha preparato, se viceversa non avete problemi finanziari o siete collezionisti ( le due cose non sempre coincidono) cofanetti e vinili saranno ovviamente molto bramati.

Direi che è tutto. Ah sì, naturalmente etichetta Atlantic, lavoro di restauro a cura Rhino/Warner.

Bruno Conti