Indigenous featuring Mato Nanji – Time Is Coming – Blues Bureau/Shrapnel Records
La storia è nota, per cui non vi tedierò troppo, raccontandovela nei dettagli per l’ennesima volta, ma a grandi linee, è noto come Mato Nanji sia un nativo americano, “indigenous” se preferite, cresciuto in una riserva indiana, con un babbo patito per il rock e per il blues, Hendrix e Stevie Ray Vaughan in particolare, passione tramandata al figlio, che negli anni fonda gli Indigenous, la band, con fratelli e sorelle, che registrano una buona serie di album, con cadenza annuale agli inizi, tra il 1998 e il 2000, di un rock-blues poderoso intriso delle influenze citate, ma valido per il notevole virtuosismo del leader e deus ex machina del gruppo. Nel 2006 approdano alla Vanguard con Chasing The Sun e quello che doveva essere il primo scalino di una carriera importante causa l’implosione della band che si scioglie.
Nanji che è il titolare del nome, dopo un paio di album solisti e una collaborazione con Luther Dickinson e Cesar Rosas (buona, ma non eccelsa, visti i nomi coinvolti), riprende a pubblicare come Indigenous featuring Nato Nanji (che sempre lui è), firma un contratto con l’etichetta di Mike Varney, altro noto patito di chitarristi, come il babbo e con questo Time Is Coming siamo nuovamente a tre album in tre anni.
Se li conoscete e vi sono piaciuti i precedenti http://discoclub.myblog.it/2012/06/11/un-chitarrista-che-fa-l-indiano-indigenous-featuring-mato-na/ la formula è più o meno sempre quella: brani originali, testi firmati dalla moglie Leah Nanji, musica di Mato, con un consistente aiuto di Mike Varney (che produce anche), una cover “minore” come Good At Feelin’ Bad di Bruce McCabe (mi pare ai tempi nel giro della Lamont Cranston Band e recentemente con Jonny Lang) e, soprattutto tanta chitarra, una Stratocaster sempre con il volume a 10, pedale del wah-wah spesso innestato e canzoni che raramente durano meno di cinque minuti (escluso l’unicaa cover) ma molte volte li superano. Anche questo album non mancherà di accontentare chi ama il genere: la chitarra è fluida, anche la voce ha molti agganci con quella di Stevie Ray, atmosferica senza essere memorabile, con qualche reminiscenza AOR di qualità e derive southern (anche se vengono dal Sud Dakota, che nonostante il nome, è a nord degli States), come nell’iniziale Grey Skies, dove la solista di Nanji ben coadiuvata dalle tastiere di Jesse Bradman inizia a tessere le sue trame rock.
I’m Telling You, con il suo organo prominente e il wah-wah già a manetta ricorda il classico hard rock primi anni ’70 di gente come Deep Purple o Uriah Heep che le tastiere le avevano spesso in evidenza. Good At Feelin’ Bad, citata poc’anzi, sempre rock-blues è, magari un poco più funky, ma siamo su quelle coordinate. Time Is Coming ha tutte le caratteristiche di una bella “hard ballad “sudista, tra chitarre acustiche ed elettriche, tastiere di supporto, una bella melodia ricorrente nel refrain, una piacevole oasi di “tranquillità” nei ritmi frenetici dell’album https://www.youtube.com/watch?v=RVkNZ_D2jkM . Sun Up, Sun Down dal suono denso e corposo, ha qualche tocco psichedelico https://www.youtube.com/watch?v=Fw2fnoByLvk come pure Around The World, saranno le tastiere che conferiscono questa impronta molto seventies, forse un filo ripetitiva, ma c’è decisamente molto di peggio in giro.
La chitarra distorta e minacciosa di Won’t Be Around ci potrebbe riportare al Robin Trower che cercava di rifare Hendrix ad inizio carriera (ma lo fa anche oggi), Nanji, altro epigono, è nel suo elemento, e negli oltre sette minuti “lavora” la chitarra con classe e veemenza https://www.youtube.com/watch?v=o-bQoFTdsoE . Anche la super riffatissima You’re What I’m Living For è l’occasione per il buon solismo del nostro amico, magari gli arrangiamenti non sono raffinatissimi e variati, ma gli appassionati del genere gradiranno, penso. Day By Day è una sorta di heavy slow blues, con una chitarra molto distorta e la voce leggermente “effettata”, So Far Gone ritmata e cattiva prende sia da Stevie Ray come da mastro Jimi, ma quei signori, come si sa, erano un’altra cosa. In Give Me A Reason si sente anche una chitarra acustica, ma è subito sommersa da elettrica e tastiere, Something’s Gotta Change, di nuovo molto vaughaniana e la lunghissima Don’t Know What To Do, uno slow torrenziale https://www.youtube.com/watch?v=dPbCgwbsHU0 , sono altre due occasioni per gustare il virtuosismo chitarristico di Mato Nanjii, che è poi il motivo, credo, per cui si comprano i suoi dischi, e in questo CD ce n’è tanto.
Bruno Conti