C’è, Ma Non Si Vede, Ancora Ottimo Gospel Rock Per Ashley Cleveland – Beauty In The Curve

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Ashley Cleveland – Beauty In The Curve – 204 Records CD/Download

Una premessa, questo disco non è recentissimo in quanto la prima apparizione seppur “teorica” nelle discografie risale al 2012, ma mi permette di avere l’opportunità di parlarvi di una bravissima cantante, non più giovanissima (è del 1957),  che raggiunse una prima volta gli onori della cronaca musicale con un folgorante esordio, Big Town, Pubblicato dalla Atlantic nel lontano ’91, sicuramente non un capolavoro ma una onesta prova di sano rock, dove si evidenziava la compattezza del gruppo (di allora), e la sua splendida e potente voce http://www.youtube.com/watch?v=zkXlCjuiRfg . Quindi direi che due notizie sulla signora per inquadrarne il personaggio sono d’uopo: originaria di Knoxville, Tennessee, Ashley Cleveland si è formata musicalmente come cantante ed autrice in California, e dopo aver lavorato nei locali della Bay-area e purtroppo non intravedendo prospettive per la sua carriera, si è stabilita in quel di Nashville, dove, pur non essendo una country singer, iniziò a lavorare nei club, nei locali e nel circuito dei “colleges”. Di questo talento emergente, capace di amalgamare nella sua musica il rock, il folk, il gospel e del southern-blues, esprimendoli attraverso una non comune personalità musicale (sentitevi questa Gimme Shelter  http://www.youtube.com/watch?v=JdGG6CC_NTY ), si accorgono ai tempi Craig Krampf e Niko Bolas (produttori in coppia dell’esordio di un’altra grande scoperta del cantautorato Usa, Melissa Etheridge, e il secondo, spesso collaboratore di Neil Young), facendola entrare nel giro delle coriste di Nashville, nobilitando con la sua voce lavori di artisti noti come John Hiatt (in Stolen Moments http://www.youtube.com/watch?v=fw5VCDRE0GQ, Emmylou Harris, James McMurtry, Patti Smith e altri, con la conseguenza che le sue canzoni vengono sempre più apprezzate da musicisti ed addetti ai lavori.

AshleyCleveland-BigTown AshleyCleveland-Lesson Of Love

Rotto il ghiaccio con il sopracitato esordio, incide album di buona fattura come Bus Named Desire (93), Lesson Of Love (95), quando viene premiata con un primo Grammy nella categoria Best Rock Gospel, You Are There (98), ancora un Grammy, e dopo un periodo non fortunato, anche per problemi di alcolismo e droga, a seguito di gravidanze non pianificate, “sorella” Ashley si avvicina al cristianesimo, facendo seguire negli anni vari dischi con testi a sfondo religioso a partire da Second Skin (02), Men And Angels Say (05), Before The Daylight’s Shot (06),terzo Grammy e God Don’t Never Change (09) con cui riceve la quarta nomination ai Grammy, fino ad arrivare a questo ultimo Beauty In The Curve con la produzione e gli arrangiamenti curati dal compagno Kenny Greenberg. Recentemente ha anche partecipato alle sessions dell’ultimo album di Mary Gauthier, di cui potete leggere in altre pagine del Blog http://discoclub.myblog.it/2014/07/30/ripassi-le-vacanze-sempre-la-solita-mary-gauthier-trouble-and-love/.

AshleyCleveland 1ashley cleveland book

Tra i musicisti che accompagnano Ashley in questa “novena” musicale, oltre al marito Kenny che suona le chitarre, il basso e la pedal steel, troviamo Chad Cromwell alla batteria, Tim Lauer alle tastiere, Reese Wynans all’Hammond B3, Eric Darken alle percussioni e alla batteria, Michael Rhodes al basso, e come ospite il grande cantautore Pat McLaughlin, sia alla chitarra che alla voce, oltre al fondamentale apporto dei vocalist di supporto, Gayle Mayes-Stuart, Perry Coleman e Angela Primm. Si parte “duro” con l’iniziale chitarristica Heaven e la batteria sincopata di City On A Hill, passando per il gospel di Walk In Jerusalem e la ballata acustica Honey House, dove si risente con piacere la calda voce di Ashley. Con Beautiful Boy si viaggia verso sonorità più “bluesy”, mentre Born To Preach The Gospel è  chiara nelle sue intenzioni fin dal titolo; a seguire troviamo ancora le “atmosfere di fratellanza” di Jesus In The Sky e Thief At The Door http://www.youtube.com/watch?v=lOymaJpjc1M . La pedal-steel di Kenny è il supporto principale nella splendida title track Beauty In The Curve http://www.youtube.com/watch?v=671qyLLMs1E , seguita dalla accorata Little Black Sheep (che è anche il titolo del suo libro autobiografico, edito nel 2013), una dolce preghiera accompagnata solo dalla chitarra e la voce di Ashley http://www.youtube.com/watch?v=8zx452YD_mc , andando a chiudere questo “bel sermone” con uno spiritual dal titolo lunghissimo, Woke Up This Morning With My Mind On Jesus, dove si estrinseca di nuovo una bellezza celestiale che è pari alla bravura della Cleveland. Amen!

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Adesso questa signora vive in quel di Nashville con i tre figli (Rebecca, Henry, Lily), viaggia verso i sessanta, ma riascoltando in questi giorni il disco d’esordio Big Town  (91), posso affermare che non ha perso una briciola della grinta e le qualità di interprete e autrice, sostenute attraverso una non comune personalità musicale ed una voce unica per potenza (sentire che versione di You Gotta Move http://www.youtube.com/watch?v=gx1R5N4TRec ), difficile da riscontrare nelle cantanti dell’ultima generazione (con le eccezioni di Dana Fuchs e Bert Hart). Intendiamoci, la Cleveland non propone nulla di nuovo, fa solo la sua parte, e per chi scrive la fa dannatamente bene, quindi vi consiglio caldamente di andare alla ricerca dei suoi dischi (a parte questo, disponibile solo suo sito http://www.ashleycleveland.com/, alcuni altri si trovano a cifre interessanti on-line), male che vada avrete le preghiere di “sorella” Ashley.

Tino Montanari

Beatles News. Box George Harrison The Apple Years + Ristampe Paul McCartney Wings Venus And Mars & Wings At The Speed Of Sound

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George Harrison – The Apple Years Box Set – 6 Album (7 CD + 1 DVD) Universal 23-09-2014

Conterrà gli album del periodo Apple, 1968-1975, tutti rimasterizzati in edizione digipack con un libretto di 20 pagine ciascuno, inseriti in un elegante box set con libretto di 40 pagine e un DVD, di cui al momento non vi so dire l’esatto contenuto (dicono “esclusivo”, che può voler dire tutto e niente!). Il prezzo molto indicativo dovrebbe essere tra i 75 e gli 80 euro. La buona notizia è che tutti gli album saranno disponibili anche singolarmente, Dark Horse ed Extra Texture nuovamente disponibili, per la prima volta in edizione rimasterizzata. Sotto trovate le liste dei singoli album comprensivi delle poche bonus tracks. Credo che le liste esatte e complete non le abbia ancora postate nessuno in rete.

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Wonderwall  Music

Microbes – Red Lady Tao – Tabla and Pakavaj – In the Park –
Drilling a Home – Guru Vandana – Greasy Legs – Ski-ing – Gat
Kirwani – Dream Scene – Party Seacombe – Love Scene – Crying –
Cowboy Music – Fantasy Sequins – Glass Box – On the Bed –
Wonderwall to Be Here – Singing Om – Bonus tracks: In the first
place – Almost Shankara – The Inner Light – (Alternative Take
Instrumental)

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Electronic Sound (questo “tecnicamente parlando” era uscito su etichetta Zapple)

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Under the Mersey wall – No Time or Space

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All Things Must Pass 2 CD

CD 1: I’d Have You Anytime – My Sweet Lord – Wah Wah – Isn’t It a
Pity – What Is Life – If Not for You – Behind That Locked Door – Let It
Down – Run of the Mill – I Live for You – Beware of Darkness (Demo)
– Let It Down (Demo) – What Is Life (Backing track) – My Sweet Lord
(2000) – CD 2: Beware of Darkness – Apple Scruffs – Ballad of Sir
Frankie Crisp (Let It Roll) – Awaiting On You All – All Things Must
Pass – I Dig Love – Art of Dying – Isn’t It a Pity (Version 2) – Hear Me
Lord – It’s Johnny’s Birthday – Plug Me In – I Remember Jeep –
Thanks for the Pepperoni – Out of the Blue

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Living In The Material World

Give Me Love (Give Me Peace on Earth) – Sue Me, Sue You Blues –
The Light That Has Lighted the World – Don’t Let Me Wait Too
Long – Who Can See It – Living in the Material World – The Lord
Loves the One (That Loves the Lord) – Be Here Now – Try Some,
Buy Some – The Day the World Gets ‘Round – That Is All – Deep
Blue (B side) – Miss O’Dell (B side)

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Dark Horse

Hari’s on Tour (Express) – Simply Shady – So Sad – Bye Bye Love –
Māya Love – Ding Dong, Ding Dong – Dark Horse – Far East Man –
It Is “He” (Jai Sri Krishna) – Bonus tracks: Sound stage of mind –
Dark Horse (demo) – I Don’t Care Anymore

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Extra Texture (Read All About It)

You – The Answer’s At The End – This Guitar (Can’t Keep From
Crying) – Ooh Baby (You Know That I Love You) – World of Stone –
A Bit More of You – Can’t Stop Thinking About You – Tired Of
Midnight Blue – Grey Cloudy Lies – His Name Is Legs (Ladies And
Gentlemen) – This Guitar (Can’t Keep From Crying) (Weird Vers.)

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Wings – Venus And Mars – Hear Music/MPL/UNiversal 2CD/DVD – 2 CD – 2 LP limitato copertina apribile 23-09-2014

CD 1 Remastered Album (originally released in U.K. as Capitol PCTC 254 and in U.S. as Capitol SMAS 11419, 1975)

  1. Venus and Mars
  2. Rock Show
  3. Love In Song
  4. You Gave Me The Answer
  5. Magneto and Titanium Man
  6. Letting Go
  7. Venus and Mars – Reprise
  8. Spirits Of Ancient Egypt
  9. Medicine Jar
  10. Call Me Back Again
  11. Listen To What The Man Said
  12. Treat Her Gently – Lonely Old People
  13. Crossroads

CD 2Bonus Audio

  1. Junior’s Farm (Apple 1875-A, 1974)
  2. Sally G (Apple 1875-B, 1974)
  3. Walking In The Park With Eloise (EMI 2220-A, 1974)
  4. Bridge On The River Suite (EMI 2220-B, 1974)
  5. My Carnival (Parlophone RP 6118-B, 1985)
  6. Going To New Orleans (My Carnival)
  7. Hey Diddle [Ernie Winfrey Mix]
  8. Let’s Love
  9. Soily [from One Hand Clapping]
  10. Baby Face [from One Hand Clapping]
  11. Lunch Box/Odd Sox (Parlophone R 6035-B, 1980)
  12. 4th Of July
  13. Rock Show [Old Version]
  14. Letting Go [Single Edit] (Capitol R 6008, 1975)

DVD Bonus Film (Box Set Only)

  1. Recording “My Carnival”
  2. Bon Voyageur
  3. Wings At Elstree
  4. “Venus and Mars” TV Ad

wings at the speed of sound

Wings – At The Speed Of Sound – Hear Music/MPL/Universal 2CD/DVD – 2 CD – 2 LP limitato copertina apribile 23-09-2014

CD 1Remastered Album (originally released in U.K. as Capitol PAS 10010, 1976 and in U.S. as Capitol SW 11525, 1976)

  1. Let ‘Em In
  2. The Note You Never Wrote
  3. She’s My Baby
  4. Beware My Love
  5. Wino Junko
  6. Silly Love Songs
  7. 7 Cook Of The House
  8. Time To Hide
  9. Must Do Something About It
  10. San Ferry Anne
  11. Warm And Beautiful

CD 2 Bonus Audio

  1. Silly Love Songs [Demo]
  2. She’s My Baby [Demo]
  3. Message To Joe
  4. Beware My Love [John Bonham Version]
  5. Must Do Something About It [Paul’s Version]
  6. Let ‘Em In [Demo]
  7. Warm And Beautiful [Instrumental Demo]

DVD Bonus Film (Box Set Only)

  1. “Silly Love Songs” Music Video
  2. Wings Over Wembley
  3. Wings In Venice

Visto quanto li faranno pagare, i cofanetti intendo, tra gli 85 e i 90 euro, sempre molto indicativamente, dovete meditare se vale la pena di sborsare circa 70 euro in più rispetto alla versioni in doppio CD per avere un DVD dai contenuti sempre “esclusivi” ma sembrerebbe non molto eccitanti e delle confezioni interessanti ma non particolarmente lussuose. Tutto sommato molto più “conveniente” come prezzo il Box di George Harrison!

Ovviamente “al fan non si comanda”, io riferisco poi decidete voi!

Bruno Conti

Le Ballate “Pietose” Di Un Poeta Blues! Malcolm Holcombe – Pitiful Blues

malcolm holcombe pitful blues

Malcolm Holcombe – Pitiful Blues – Gypsy Eyes Music

L’ultima volta che ho visto Malcolm Holcombe dal vivo (qualche mese fa nel locale dell’amico Paolo Pieretto, in quel di Pavia), sono rimasto impressionato per la carica e l’intensità che era in grado di comunicare con la sua musica, accompagnato solamente dalla chitarra acustica e dalla sua voce roca e piena di dolore, in un concerto dove si evidenziava la sua maestria al “fingerpicking”.  A meno di due anni dall’uscita di Down The River (puntualmente recensito su queste pagine http://discoclub.myblog.it/2012/10/05/lungo-il-fiume-del-country-blues-malcolm-holcombe-down-the-r/ ), arriva dalle nostre parti (e ovunque) il nuovo lavoro di Holcombe, intitolato Pitiful Blues, dieci canzoni di folk-blues suonate in punta di dita, con un manipolo di eccellenti musicisti, tra i quali il produttore Jared Tyler, anche chitarre dobro e mandolino, Paddy Ryan, batteria, solo in Words Not Spoken, Matt Hayes, contrabbasso, Luke Bulla, violino, Travis Fite, chitarra ed ingegnere del suono,  Arthur Thompsonbatteria, nel resto del disco, tutti uniti per raccontare, come sempre, storie della provincia americana, con le quali il nostro buon Malcolm convive quotidianamente.

malcolm holcombe 2

L’album si apre con l’intensa title-track Pitiful Blues, un brano tagliente e sofferto come pochi https://www.youtube.com/watch?v=GwWKrfUKj7w , seguito dalle trame guidate da un violino malinconico in Roots e poi dalla giocosa Sign For A Sally, passando per lo strisciante blues di Savannah Blues https://www.youtube.com/watch?v=CiA_uDtzeqY  e per le atmosfere prettamente folk di Another Despair. Le ballate e i racconti “pietosi” si intensificano con il country-blues di By The Boots, con la dolce e malinconica Words Not Spoken, negli arpeggi acustici con sottofondo di violino di Words Of December, passando per una strepitosa ballata “appalachiana” come The Music Plays On e chiudendo con la commovente e sentita For The Love Of A Child, dove il cuore e il “songwriting” di Malcolm si dimostra più nostalgico del solito.

malcolm holcombe3

Pitiful Blues, decimo album di Holcombe (se non ho sbagliato i conti), contiene il “solito” buon mix di ballate sospese tra blues e folk, accompagnate, oltre che dalla sua chitarra acustica, da slide guitar, violino e banjo, che lascia gli ascoltatori del genere “americana” (quello che viene dalle radici) pienamente soddisfatti, ricco di canzoni dure ma anche piene di speranza, interpretate con la sua voce vissuta ed inconfondibile. Malcolm Holcombe è uno di quegli artisti davvero unici (adorato da personaggi come Steve Earle https://www.youtube.com/watch?v=ESxmy3JmgMs Lucinda Williams), e anche se a chi ultimamente ha visto i suoi concerti appare esteriormente come un vagabondo senza un soldo, uscito miracolosamente con l’aiuto della moglie dalla dipendenza dall’alcolismo e altro, è invece uno che canta meravigliose canzoni ricche di poesia https://www.youtube.com/watch?v=eMVSM8hrxDE , con una voce impregnata di una vita vissuta “pericolosamente”, uno stile che lo avvicina a musicisti come Guy Clark e Townes Van Zandt, tra i pochi che non si limitano a cantare le canzoni, ma le vivono, perché con Malcolm quello che si sente è quello che si ottiene: un segreto della canzone d’autore americana, che una volta tanto sarebbe bene che venisse svelato.

Tino Montanari

Dischi Dal Vivo, Quasi Ufficiali! Bruce Springsteen – Live At The Capitol Theatre, Passaic, NJ September 19th 1978

bruce springsteen live at the capitol theatre

Una volta si chiamavano bootleg (anche oggi invero), ma chi li produce, in qualche modo, e in alcuni paesi, periodicamente ha trovato il sistema per pubblicarli, in un un modo più o meno ufficiale. Non sto parlando di quelli “veri”, under the counter, da vendere sottobanco, spesso con registrazioni relative a concerti tenuti pochi giorni prima o di chiara provenienza illegale, e neppure dei cosiddetti Instant Live, distribuiti dagli stessi artisti, ma di quell’area grigia di prodotti che riproducono concerti che ai tempi sono stati broadcast radiofonici, tramessi dalle radio per fare promozione a questo o a quel disco e artista in modo del tutto legittimo, e che ora, a distanza di anni, appaiono sul mercato regolare, venduti attraverso i canali di vendita abituali. Ne escono sempre di più e spesso nel Blog ne ho parlato nelle rubriche dedicate alle novità discografiche. Considerando che ultimamente non l’ho fatto, dedico questo Post a uno dei più famosi, riservandomi di integrarlo nei prossimi giorni con una serie di quelli più interessanti, già usciti o di prossima pubblicazione. Ma veniamo al Boss!

Bruce Springsteen – Live At The Capitol Theatre, Passiac NJ, September 19 1978 – 3 CD Klondike Records

Se vi state chiedendo se è il famoso Pièce De Résistance, uno dei bootleg più famosi della storia di Springsteen, quello dell’era del “bootleggers roll your tapes”, posso confermare, è proprio lui. Già uscito anche in CD, in varie edizioni nel corso degli anni, la più famosa, con il titolo originale, pubblicata in Italia dalla Great Dane Records nel 1990, quando, per un breve periodo, grazie ad alcuni escamotages, i dischi pirata furono legali nel nostro paese e anche in alcuni altri paesi europei. Questa edizione ha una masterizzazione che migliora il suono, già buono, e ripropone la trasmissione radiofonica completa dell’epoca, mandata in onda da tre emittenti ai tempi, WNEW-FM New York, WIOQ-FM Philadelphia e WIYY-FM Baltimore, con presentazione dei DJ, interviste e dialoghi vari. Fu la prima di tre serate al Capitol Theatre, il 19, 20 e 21 settembre del 1978.

bruce springsteen piece de resistance lp bruce springsteen piece de resistance

Questa la tracklist completa del triplo:

Disc 1

  1. Badlands
  2. Streets Of Fire
  3. Spirit In The Night
  4. Darkness On The Edge Of Town
  5. Independence Day
  6. The Promised Land
  7. Prove It All Night
  8. Racing In The Street
  9. Thunder Road
  10. Meeting Across The River
  11. Jungleland
  12. DJ Chat with John Scher

Disc 2

  1. DJ Chat with John Scher
  2. Vin Scelsa interview
  3. DJ Chat
  4. Kitty’s Back
  5. Fire
  6. Candy’s Room
  7. Because The Night
  8. Point Blank
  9. Not Fade Away
  10. She’s The One

Disc 3

  1. Backstreets
  2. Rosalita
  3. DJ Chat
  4. 4th Of July
  5. Born To Run
  6. Tenth Avenue Freeze-out
  7. Detroit Medley
  8. Raise Your Hand
  9. Closing comments

Se proprio vogliamo i nostri amici cercatori di pepite d’oro musicali della Klondike, che ha pubblicato il cofanettino sul mercato inglese (e non costa neanche pochissimo, siamo sulla trentina di euro o giù di lì), potevano almeno riuscire a scrivere in modo corretto il nome della città dove si è tenuto il concerto, che è Passaic, New Jersey, e non Passiac (sic), come è riportato sulla copertina del triplo (nel titolo del post è corretto, qui sopra ho lasciato la dicitura errata).

bruce springsteen passaic night

Per il resto, se non avete il vinile originale o la ristampa in CD della Great Dane, o anche questa edizione qui sopra della Scorpio inglese, Passaic Night, edita nel 2011 (questa volta invece del link c’è proprio il video, magari, ok l’audio da YouTube) direi che  si tratta di un documento talmente fondamentale e formidabile da avere, Bruce Springsteen ai massimi della sua potenza in concerto, che l’acquisto è quasi obbligato. Oppure siete dei fans incalliti e avete già tutto!

Bruno Conti

*NDB Probabilmente avrete notato che, rispetto al passato, da alcuni mesi a questa parte nei Post, anziché direttamente il filmato da YouTube ci sono i link per accedere agli stessi. E’ un sistema che ho adottato per permettere alle pagine di essere meno “pesanti” di filmati e quindi più rapide nel caricarsi, sostituendo l’immagine del filmato con foto e immagini varie inerenti all’articolo (ormai ce ne sono più di 1.850 in archivio), ma se preferite un ritorno al passato, fatemelo sapere nei Commenti.

Solo Jenny, Senza Johnny? Jenny Lewis – The Voyager

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Jenny Lewis – The Voyager – Warner Bros

Riprende la carriera solista della ex frontwoman dei Rilo Kiley, dopo una pausa durata cinque anni esce il nuovo album solista di Jenny Lewis. Per la verità nel 2010 era uscito un CD a nome Jenny & Johnny di cui potete leggere qui http://discoclub.myblog.it/2010/12/03/chi-e-quella-brava-dei-due-2-jenny-johnny-i-m-having-fun-now/ e lo scorso anno era uscita una compliation di demo, b-sides ed inediti in generale dei Rilo Kiley, intitolata Rkives. Il sodalizio con il compagno in musica ( e nella vita), Johnathan Rice, che è presente in alcuni brani di questo The Voyager, sembra reggere, se volete leggere i capitoli precedenti della vita e della carriera della Lewis andate al link qui sopra, mentre del nuovo album, come promesso una decina di giorni fa, andiamo a parlarne adesso. jenny lewis 1

Uscito il 29 luglio su etichetta Warner Bros, il disco ha avuto una lunga gestazione, durata quasi cinque anni, un periodo in cui c’è stato lo scioglimento della sua band, che è stato un duro colpo a livello psicologico, seguito anche dalla scomparsa del padre e da altri problemi di natura familiare. Stranamente il suo “salvatore” è stato un personaggio che uno non vedrebbe nel ruolo dello stabilizzatore, il nostro amico Ryan Adams, che, in attesa di pubblicare il suo nuovo album solista omonimo ai primi di settembre, nel frattempo ha accolto Jenny Lewis nei suoi Pax AM Studios dove il disco è stato registrato, curando sia la co-produzione dello stesso ma anche facendo da catalizzatore e da sprone per far ripartire la carriera della bella californiana (anche se nata in quel di Las Vegas), a colpi di brani dei Creed, che non sapevo avessero questi effetti taumaturgici. Comunque l’ha detto lei in una intervista e c’è da crederle perché l’album è molto piacevole, come al solito, a livello musicale ed è andato bene anche a livello commerciale, avendo debuttato in questi giorni al numero nove delle classifiche americane.

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Per chi scrive il disco migliore rimane sempre il primo da solista, Rabbit Fur Coat, con le Watson Twins https://www.youtube.com/watch?v=JRpScJzx41U , ma sia a livello solista che nelle sue varie collaborazioni la Lewis ha sempre pubblicato dei dischi di qualità medio alta, con quel sound californiano in bilico tra la West Coast classica, il sound dei Seventies di gente come Fleetwood Mac/Stevie Nicks, ma anche l’alternative rock più melodico degli anni ’90, ben rappresentato dall’asse Evan Dando/Juliana Hatfield, con qualche spruzzata del Paisley rock meno lisergico delle Bangles e del pop radiofonico meno becero e più raffinato di qualsiasi epoca. Prendete Head Underwater, il brano che apre questo The Voyager, è una perfetta confezione pop https://www.youtube.com/watch?v=E5HAD_PxBvI , con la bella voce di Jenny in primo piano, armonie vocali piacevolissime la circondano, il suono è commerciale quanto volete ma rimanda al sound, se non alla voce, dei dischi solisti della citata Stevie Nicks, quasi in concorrenza con certe cose alla Katy Perry o altre voci fatte a stampino che imperversano attualmente nelle classifiche mondiali, ma con altra classe ed allure, anche se le sonorità potrebbero avvicinarsi, Ryan Adams e la stessa Jenny riescono a tenere gli eccessi sotto controllo.

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Le chitarrine elettriche raffinate di She’s Not Me si intrecciano nuovamente con quel sound che sta a cavallo tra Bangles e pop vocale della vecchia West Coast, un po’ come una sorta di Mamas & Papas “alternativi”, con delicate armonie vocali, tastiere e le chitarre elettriche di Adams, oltre alla batteria di Griffin Goldsmith dei Dawes, che danno un’aria à la Fleetwood Mac al tutto https://www.youtube.com/watch?v=k9hKp2zm6X4 . In Just One Of The Guys (accompagnato da uno stupidello ma delizioso video musicale, dove la Lewis, Kristen Stewart e altre giovani attrici americane appaiono anche in versione simpaticamente baffuta jenny lewis just one of the guys) si fa aiutare da Beck, che producendo il brano apporta un lato “narcotico” e sognante al folk-rock psichedelico della canzone, con coretti curatissimi e chitarre lievemente acide che si sovrappongono al ritmo scandito, quasi marziale del brano, frutto di una collaborazione con Johnathan Rice di qualche anno fa, una buona canzone non si butta mai via! Slippery Slopes ha sempre questa aria sognate e lievemente psych, ma il suono è più rock, forse è il brano che più ricorda i vecchi Rilo Kiley, chitarre più aggressive che ci portano alla California post West Coast e alternativa degli anni ’80/’90. Late Bloomer dall’andatura decisamente più West Coast vecchio stile e anche jingle-jangle https://www.youtube.com/watch?v=q5GDwuUTYAY , potrebbe ricordare certe cose del Tom Petty solista o di quello che una volta, magari impropriamente, si chiamava country-rock, ora alternative country (in effetti Lou Barlow dei Sebadohdal quale il brano è ispirato, appare nella canzone), chitarre tintinnanti, ritornelli al solito assai curati e quella voce calda ed accattivante, quasi malinconica, in ricordo di tempi andati che forse non ritorneranno.

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You Can’t Outrun ‘Em è uno dei due brani in collaborazione con Johnathan Rice, ancora quel folk-rock elettroacustico dal ritmo urgente ma rilassato al tempo stesso con la voce della Lewis che assume delle tonalità quasi vicine alla prima Kate Bush, se fosse vissuta in California, fresca e giovanile https://www.youtube.com/watch?v=SX9VDoKSj4k . Nuovamente jingle-jangle aggiornato per i giorni nostri, delicato e frizzante, in The New You, altra confezione pop raffinata, solare ed estiva che andrebbe consigliata a tutte le radio più illuminate, con le chitarre ben delineate che suggeriscono lo zampino di Ryan Adams dietro a tutto ciò. Una slide insinuante apre le procedure più energiche di Aloha & The Three Johns (bel titolo e bella canzone), un rock chitarristico e grintoso che alza la temperatura del disco. Sound ribadito nel festival di chitarre e voci che è la vorticosa Love U Forever, altro chiaro esempio di come fare una musica che unisce pop lisergico, ma anche orecchiabile, all’urgenza garage del miglior rock californiano, scegliete voi l’epoca . In conclusione il brano più riflessivo di questa raccolta di canzoni, la title-track The Voyager https://www.youtube.com/watch?v=tPFWeMtTob0con chitarre acustiche, archi e tastiere sintetiche, ma non invadenti, che accarezzano la voce nuovamente malinconica e pensosa di Jenny Lewis, che si conferma, se ben guidata, un personaggio da seguire, magari senza le esagerazioni della stampa di settore che ha assegnato a questo The Voyager voti oscillanti tra il sette e le otto, forse esagerati ma che indicano la buona considerazione in cui viene tenuta dalla critica. In definitiva, una brava e da continuare a tenere d’occhio.

Bruno Conti

Il “Canto Del Cigno” Di Una Grande Folk-Rock Band? Black 47 – Last Call

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Black 47 – Last Call – BLK Records – Self Released

Ogni uscita discografica dei Black 47 rappresenta per il sottoscritto un evento particolare: amo la loro musica, l’accavallarsi di culture e di stili diversi che si incontrano nella loro proposta, e la  bravura con cui riescono a far convivere umori così forti e così differenti tra di loro. Essendo un “irlandese” di cultura (nato per sbaglio a Pavia), sono totalmente coinvolto da questa musica che prende le mosse dalla tradizione celtica, e più precisamente dalla storia del suo popolo, che si fonde con le sonorità urbane della Grande Mela, un autentico miscuglio di ritmi e colori provenienti da tutto il resto del mondo. Quindi ogni mio giudizio sull’opera del gruppo, pur tendendo ad essere il più oggettivo possibile, risente inesorabilmente di questa sfrenata passione, a maggior ragione per questo Last Call, (che dopo 25 anni di carriera e 15 album), viene annunciato con una e-mail dallo stesso leader della band Larry Kirwan come “l’ultima chiamata” del gruppo, che staccherà la spina con un ultimo concerto a New York nel Novembre di quest’anno https://www.youtube.com/watch?v=80kXCFSdNiQ .

black 47 1

La band (che prende il nome dalla carestia che colpì l’Irlanda nello scorso secolo) è stata fondata dal commediografo Larry Kirwan e dall’ex poliziotto Chris Byrne, entrambi di origine irlandese, ma ormai definitivamente trapiantati a New York come il resto della “ciurma”, e propone un suono inimitabile in cui convogliano tutti gli umori metropolitani, dal rock al reggae, dal rap all’hip-hop (poco), senza assolutamente dimenticare la tradizione folk dell’isola dello smeraldo, con uso di chitarre distorte e cornamuse. La saga inizia nel lontano ’91 con l’esordio dell’omonimo Black 47, a cui faranno seguire un trittico di album Fire Of Freedom (93), Home Of The Brave (94), Green Suede Shoes (96) di un livello entusiasmante, dove la tradizione celtica riveste un ruolo più importante. Il gruppo in quel periodo suonava quasi tutte le sere nei locali di New York, e questa frenetica attività live li porta ad incidere due ottimi lavori “on stage” Live In New York City (99) e On Fire (01) con un suono potente e elettrico che coinvolge l’ascoltatore, intervallato dallo splendido Trouble In The Land (00) dove svettava una granitica sezione ritmica composta da Andrew Goodsight e Thomas Hamlin. Dopo una breve pausa si ripresentano con New York Town (04), Elvis Murphys’ Green Suede Shoes (05) e una raccolta di canzoni popolari e rarità Bittersweet Sixteen (06). L’ultimo periodo li vede affrontare tematiche politiche con un disco coraggioso come Iraq (08), la svolta con il “rhythm and blues” di Bankers And Gangsters (10) e un’introvabile raccolta A Funky Cèilì (11), con diciotto brani scelti dagli stessi componenti, da suonare sempre con il volume al massimo.

black 47 live

L’attuale line-up del gruppo oltre al leader indiscusso e letterato Larry Kirwan (autore di romanzi e buoni lavori solisti Kilroy Was Here e Keltic Kids), è formata dal nucleo storico con Geoffrey Blythe (membro fondatore dei Dexys Midnight Runners) ai sassofoni, Thomas Hamlin alla batteria e percussioni, Fred Parcells al trombone e tin whistle, e il duo Joe Burcaw al basso e Joseph Mulvanerty al flauto, bodhràn e uilleann pipes, che hanno sostituito brillantemente gli ex-componenti Chris Byrne e Andrew Goodsight, con l’apporto delle belle e brave (un po’ di sano femminismo!) coriste Christine Ohlman, Oana Roche e Mary Ann O’Rourke.

black 47 larry kirwan

Il disco si apre con i fiati di Salsa O’keefe e Larry è sempre lo stesso, con la sua voce acuta, calda e confidenziale https://www.youtube.com/watch?v=hURcX53Gieg (che si avvicina a quella del miglior Kevin Rowland dei Dexys Midnight Runners), seguito dalle note irlandesi di Culchie Prince con tanto di cornamuse, e un brano imperioso come Dublin Days in cui tutta la band gira a mille (con un ritornello che ricorda la Thunder Road del Boss), mentre Us Of A 2014 è uno spaccato dell’America attuale, raccontato con un brillante suono con sottofondo“ska”. The Night The Showbands Died (drammatico racconto dell’assassinio di una gruppo musicale) è una ballata lenta in cui la voce assume toni caldi e confidenziali, per poi diventare aggressiva nella parte centrale, e tornare di nuovo gentile sul finire https://www.youtube.com/watch?v=ScoCAZQ39Gc , seguita da una Johnny Comes A’Courtin (sul tema della schiavitù irlandese) https://www.youtube.com/watch?v=H1ZwD-i_2ow  che viene introdotta e cantata in coppia con la delicata voce della Roche, dai ritmi giamaicani, per passare ancora al groove funky-rap di Let The People In sull’immigrazione. Il breve brano cornamusa Lament For John Kuhlman introduce St. Patricks Day, brano dalla tipica spavalderia irlandese che scorre come un fiume in piena https://www.youtube.com/watch?v=lKYyVMsIHIc , assieme alla seguente Queen Of Coney Island dove Mary Ann O’Rourke presta la sua voce per un divertente duetto. Con Shanty Irish Baby, con i fiati in spolvero, si respira un’aria quasi “dixieland”, mentre Ballad Of Brendan Behan ci riporta in Irlanda, una ballatona da pub , marchio di fabbrica dei migliori Pogues, andando infine a chiudere un grande disco con una cover di Stephen Foster (riconosciuto come “il padre” della musica americana), Hard Times. una canzone sofferta dove Larry Kirwan domina la scena con la sua splendida voce, e la band sembra seguirlo in punta di piedi.

black 47 2

La loro storia è iniziata con quel primo concerto nel Bronx nel novembre del lontano ’89, e sono stati negli ultimi 25 anni una delle più originali e valide band venute alla ribalta negli States, non hanno ceduto un millimetro dalla linea musicale intrapresa, divertenti, eccessivi e generosi con un leader, Kirwan, irlandese vero (cantante, autore e scrittore di pieces teatrali, come già detto), che continua a cantare e declamare con la stessa forza e allo stesso tempo comporre canzoni dagli spunti autobiografici, da ascoltare sempre con il volume al massimo. Last Call è un addio inebriante (se così sarà, mai dire mai), e non posso che consigliare l’ascolto di questo disco a tutti, sia a quelli che già li conoscono, ma in particolar modo a quanti ancora non sono entrati in contatto con un mondo inimitabile, e quindi si lasceranno trasportare da questa “miscellanea” di suoni esaltante. Per quel che mi riguarda, grazie ragazzi e in alto i calici!

NDT:  Disco di difficilissima reperibilità, comunque si può acquistare come ha fatto il sottoscritto in download, attraverso le piattaforme abituali in rete, oppure sul loro sito http://www.black47.com/ Ne vale la pena!

Tino Montanari

Se Non Ci Fossero Bisognerebbe Inventarli! Phish – Fuego

phish fuego

Phish – Fuego – Jemp Records

Avevo letto in rete, come di consueto, pareri contrastanti sul nuovo album dei Phish Fuego (sempre titoli brevi che si ricordano con facilità, al contrario delle canzoni), per la verità, fino ad ora, negativi solo un paio, un sito italiano, Rootshighway e la webzine Tiny Mix Tapes, per il resto tutti hanno parlato in termini, più o meno, positivi di questa nuova fatica della band del Vermont. Già deponeva a loro favore il fatto di avere scelto un produttore esterno come Bob Ezrin, poi anche la scelta degli studi dove registrare, parte a Nashville, parte ai famosi Fame Studios di Muscle Shoals in Albama e infine nel Barn in Vermont, a casa. Il loro problema, se tale vogliamo definirlo, è sempre stato quello che i dischi di studio, undici fino ad ora, non sempre sono stati stati all’altezza delle loro leggendarie esibizioni dal vivo, problema peraltro comune a quasi tutte, anzi direi tutte, le jam bands. Ma non si può neppure dire che si sia trattato di brutti dischi o solo accozzaglie di idee in attesa di essere trasfigurate dalle esecuzioni in concerto (ogni tanto; magari), questo Fuego, il dodicesimo, a parere di chi scrive, è una delle loro migliori opere, o così mi pare https://www.youtube.com/watch?v=NNaOM5YZB0c !

phish 1

Un disco compatto, dieci brani, meno di cinquantacinque minuti di musica, con l’unico pezzo lungo, quello da jam band tipica, la title-track Fuego, quasi dieci minuti di classic Phish, posto in apertura, con i suoi continui e vorticosi cambi di tempo, un inizio vagamente beatlesiano, poi sprazzi zappiani, intrecci vocali e strumentali subito complessi e dall’aura quasi progressiva che confluiscono nei soli lirici ed aerei di Trey Anastasio. The Line, sempre con ottimi intrecci vocali (caratteristica più marcata rispetto al passato in questo album), sia le voci soliste che quelle di supporto intrecciate, con risultati complessi ma anche assai piacevoli all’ascolto, un pop ricercato e ben realizzato https://www.youtube.com/watch?v=mX6kUM4Guro . Pure Devotion To A Dream ha questi intrecci tra il pop più raffinato e la voglia della improvvisazione, tipo i Grateful Dead più leggeri, canzoni che spesso sono canovacci per le future esibizioni live, ma anche costruzioni sonore compiute, dove chitarre, tastiere ed una ritmica geniale ed inventiva come poche in circolazione si esaltano in un lavoro di gruppo che poi lascia spazio ad un assolo di Anastasio che molto ricorda il miglior Garcia, di cui viene ritenuto uno degli eredi più credibili, quella musica “cosmica” ma terrestre al tempo stesso.

trey anastasio

Altro brano notevole è Halfway To The Moon, l’unica firmata in solitaria da Page McConnell, il tastierista, che rilascia un ottimo assolo di piano acustico, su ritmi e progressioni di stampo più jazzistico, divagazioni armoniche tastiere-chitarra e le immancabili armonie vocali. I tre brani successivi costituiscono il contributo di Trey Anastasio dal lato compositivo: Winterqueen, scritta con Tom Marshall, è sempre questa miscela di pop raffinato e fruibile al tempo stesso, con strumenti e voci ben delineate dalla produzione di Ezrin, che prefersice la cura dei particolari rispetto al suono d’insieme, forse brano che a tratti diviene indulgente, ma si riprende nella parte strumentale dove fanno capolino anche dei fiati e il suono della solista di Anastasio è quantomai efficace. Sing Monica ha una andatura più rock con un call and response tra le voci moltiplicate di Trey e quelle degli altri, si tratta del brano più breve ma non per questo meno compiuto, con il “solito” assolo di chitarra a nobilitarlo. 555, ancora di Anastasio, con Scott Murawski, un brano che esplora il lato più funky e nero della band, non per nulla registrato ai Fame Studios, tra chitarre wah-wah (che si lasciano andare nel finale), coretti femminili, di nuovo i fiati, l’organo di McConnell, esplora il lato più ludico del sound della band https://www.youtube.com/watch?v=kl1Od2fkeYQ .

phish waiting all night

Waiting All Night, di nuovo firmato dal gruppo al completo, come i primi tre, se non lo avevo ricordato, potrebbe ricordare i Beatles o CSNY, ma anche gli Xtc, in trasferta ai Caraibi, musica rock ma con vaghe cadenze latine, i soliti curatissimi intrecci vocali e strumentali, il tutto reso nello stile unico dei Phish https://www.youtube.com/watch?v=mmxHvGCo2wQ . Wombat illustra il lato più goliardico della formazione, “stupido”, gli americani dicono “goofy”, che in Italia potrebbe suonare come “Pippesco”, nell’accezione Disneyana, non il Pippo nazionale, tra liriche nonsense, vocine e vocione improbabili come pure parte della strumentazione, con ritmi funky e spezzati che ci conducono sempre dalle parti del Zappa più sardonico e il funk più sofisticato, musica che ha già avuto il suo collaudo con il concerto di Halloween dello scorso anno. Posta in conclusione Wingsuit è probabilmente quella che preferisco, una meravigliosa e morbida ballata in bilico tra i Pink Floyd “spaziali” e la West Coast di Crosby & Co, con arrangiamenti complessi, deliziose armonie vocali, le tastiere liquide di McConnell e un fantastico assolo di Trey Anastasio, il tutto a conferma che questi giovanotti di belle speranze si sono trasformati in una delle migliori rock band dell’orbe terracqueo https://www.youtube.com/watch?v=oAKWyptfQB8 , dal vivo eccezionali, in studio più che adeguati alla loro fama, con un disco che arrivando al settimo posto delle classifiche di Billboard ha fatto bene anche a livello commerciale!

Bruno Conti

Sempre Meno “Giovani”, Ma Sempre Bravi! Young Dubliners – 9 “Nine”

young dubliners nine

Young Dubliners – “Nine”– YD Records

Nuovo lavoro per la band di nativi irlandesi, ma di elezione statunitense (si sono trasferiti a Los Angeles, California praticamente da subito), un ensemble particolarmente creativo, dall’anima “punk”, a cui potrebbe stare bene la definizione “celtic roots” o “Celtic Rock And Roll”, come riporta il loro sito http://youngdubliners.com/ . Gli Young Dubliners, fondati a Dublino nel 1988 dai vocalist e chitarristi Keith Roberts e Paul O’Toole (che ha lasciato nel 2000), sono oggi un sestetto che comprende oltre al leader Roberts, il bassista Brendan Holmes (anche lui un membro fondatore irlandese), Dave Ingraham alla batteria e percussioni, Bob Boulding alle chitarre, banjo, mandolino e lap steel, Chas Waltz al violino e piano, e il membro aggiunto Eric Rigler, agli strumenti tradizionali irlandesi, Uilleann Pipes e Tin Whistles, ma che suona nella propria band, i Bad Haggis.

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Hanno al loro attivo, ricordando anche lo splendido EP d’esordio Rocky Road del lontano ’93 e il primo disco in studio Breathe apparso l’anno seguente, un torrido live Alive Alive’O (98), due dischi molto apprezzati dalla critica Red (00) e Absolutely (02,) usciti per la loro etichetta Omtown Records, e sempre mantenendo una frenetica attività “on stage”  https://www.youtube.com/watch?v=1QxJY6OBKlY (dove si sono conquistati un seguito di fedelissimi quasi, ma quasi. pari a quello di band come i Phish e la Dave Matthews Band https://www.youtube.com/watch?v=E1JQNHZS4mY ) hanno inciso il poco considerato Real World (05), a cui hanno fatto seguito With All Due Respect, The Irish Sessions (07) una sorta di tributo ai maestri della tradizione irlandese passata e presente, e Saints And Sinners https://www.youtube.com/watch?v=Y-1tzmBdOfQ  (09), entrambi distribuiti dalla nuova etichetta, 429 Records, prima di riapparire, dopo una pausa di qualche anno, con questo autogestito nono album Nine-9-Naoi (la fantasia non abbonda!) prodotto da Tim Boland, già uscito da qualche mese, ma giunto solamente ora nelle mani del vostro umile recensore.

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Gli “old” Young Dubliners (scusate il bisticcio, voluto) danno subito segnali di vitale energia aprendo questo nuovo CD con la muscolare We The Mighty, mentre la seconda traccia, Say Anything ricorda sfumature anni ’80, per poi ritornare rapidamente al ritmo punk-pop di Up In The Air, con un uso intrigante del megafono. L’intro di mandolino svela il lato folk-celtico della band, che si manifesta nella suggestiva ballata Rain, a cui fa seguito una Seeds Of Sorrow che prende la forma di una danza irlandese, sorretta da un grezzo coro punk, per poi arrivare allo strumentale Abhainn Mòr, guidato da un violino da corsa, uilleann pipes e fischietti, brano dove il gruppo mostra la solita energia e un solido talento per la melodia celtica. Si riparte con The Deep, un brano dall’andatura più moderata e il tono delicato, per poi cambiare ancora subito il ritmo con la frizzante e accelerata Fall, il pop-rock di un motivo orecchiabile come One Touch, dal refrain accattivante, e andare a chiudere con la ballata pianistica Only You & Me (un lento ricco di passione), degna conclusione di una serie di canzoni che mostrano il “nuovo corso” degli Young Dubliners, con un “songwriting” maturo e il suono che sprizza energia e si evolve in ogni nota come la loro arte, rimanendo allo stesso tempo fedele ai loro credo musicali.

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Mi auspico, e spero, che Nine sia un nuovo punto di partenza per Roberts e compagni, e che l’ispirazione dimostrata in questo lavoro possa continuare a supportarli anche in futuro, consentendogli una volta di più di produrre della buona musica che li possa catapultare, ma sarà assai difficile, all’attenzione di un pubblico più vasto, magari ai “fans” di gruppi come i grandi Waterboys https://www.youtube.com/watch?v=idBIyL0nkWk , dei Levellers, di Saw Doctors, Wolfstone, Black 47 (di cui andremo a parlare sul Blog nei prossimi giorni del nuovo album), Oysterband, senza dimenticare i Pogues e altre “anime gemelle”, in varie declinazioni, del celtic rock .

Tino Montanari

Ricordi Di Gioventù Di Un “Hobo”! Otis Gibbs – Souvenirs Of A Misspent Youth

otis gibbs souvenirs

* NDB Un breve “cappello” prima di lasciarvi alla recensione del buon Tino. Ogni tanto mi piace prendermi qualche merito, sia pure marginale e destinato ad una ristretta cerchia di appassionati. Credo di essere stato il primo in Italia ( anche se non ne sono certo al 100%, mi pare) a parlare di Otis Gibbs, o per dirla alla Pippo Baudo “questo l’ho scoperto io, l’ho scoperto io!”, come potete rilevare da questo Post del 2010 http://discoclub.myblog.it/2010/04/06/le-ceneri-di-joe-hill-otis-gbbs/.

Otis Gibbs – Souvenirs Of A Misspent Youth – Wanamaker Recording Company

Purtroppo in pochi conoscono Otis Gibbs, pure se il suo nome si sta facendo strada (anche per merito del titolare di questo blog), tramite il passaparola fra gli appassionati della buona musica https://www.youtube.com/watch?v=TJp8o1Sp4VM . Dopo tre dischi assolutamente indipendenti (e introvabili) 49th And Melancholy (02), Once I Dreamed Of Christmas (03), One Day Our Whispers (04), al quarto tentativo con Grandpa Walked A Picketline (08) il corpulento e buon Otis è riuscito finalmente ad ottenere l’attenzione degli addetti ai lavori, facendo ancora meglio con i successivi Joe Hill’s Ashes (10) e Harder Than Hammered Hell (12) http://discoclub.myblog.it/2012/03/21/dopo-joe-hill-s-ashes-il-nuovo-album-di-otis-gibbs-harder-th/ , per giungere ora a questo settimo album della serie, Souvenirs Of A Misspent Youth,  l’occasione ideale per il musicista, e anche fotografo, di Wanamaker, Indiana (ora residente a Nashville) di far conoscere la sua musica, e uscire finalmente da quella “nicchia” che lo vede in compagnia di tanti altri bravi e sottovalutati “songwriters” americani (per citarne uno per tutti, Chris Kinght).

otis gibbs 1   

Otis Gibbs è un classico esponente dell’America rurale, e le dieci canzoni di questa raccolta sono come sempre storie di vita vissuta, ricordi di famiglia e esperienze di gioventù, raccontate con la sua voce asciutta e profonda, che si ispira musicalmente alla grande tradizione americana dei Guthrie. Ad accompagnarlo in questo viaggio di “ricordi di gioventù sprecati”, oltre a Otis, alla voce e chitarra, troviamo il co-produttore Thomm Jutz alla chitarre, Mark Fain al basso, Justin Moses al banjo e violino, Fats Kaplin (autore di buoni lavori con Kevin Welch e Kieran Kane) alla pedal-steel e violino, Paul Griffith alla batteria, e Amy Lashley, sua compagna e valida autrice in proprio, alle armonie vocali, senza dimenticarsi la parte meritoria dei “fans” che hanno permesso di finanziare una buona fetta di questo progetto.

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I ricordi di Otis iniziano con l’intro di ottanta secondi di un violino “appalachiano” in Cuzmina, storia di una tempesta di neve affrontata con i pastori nomadi sui monti Carpazi della Romania, mentre la seguente Ghosts Of Our Fathers è una bellissima “story song” (sulla perdita di un suo vicino di casa nella guerra del Vietnam) sorretta da chitarre e violino https://www.youtube.com/watch?v=Tc4zWf7AnGU , passando per un brano radiofonico come Back In My Day Blues e due storie di “perdenti”,  raccontate con arrangiamento bluegrass in It Was A Train e The Darker Side Of Me, con la pedal-steel di Kaplin (uno dei migliori strumentisti di Nashville) e il banjo di Moses in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=sulwOnz8eX4 . Con la “rootsy” No Rust On My Spade, Gibbs si ricorda dei dieci anni trascorsi a piantare alberi (oltre 7.000), mentre la pista seguente Wrong Side Of  Gallatin è un valzer a ritmo di country firmato dalla compagna Amy Lashley, a cui fanno seguito Nancy Barnett che ricorda la Gallo Del Cielo del grande Tom Russell, e il lento country-blues di Kokomo Bar, con il suono di una batteria spazzolata e di una dolce pedal-steel (ricordo di una ragazza seduta al tavolo ad aspettare un uomo, che forse non arriverà mai), andando a chiudere un lavoro affascinante con una sontuosa ballata “noir” come With A Gun In My Hand, cantata con la sua voce intrisa di sigarette e whisky.

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Sulla vita di Otis Gibbs si potrebbe tranquillamente scrivere un romanzo, un personaggio unico, la cui storia piuttosto travagliata da anni lo porta instancabilmente in giro per il mondo, suonando dove è possibile, un “vagabondo” con la chitarra acustica in spalla che viaggia tra l’America e l’Europa, e vive alla giornata raccontando la sua vita di“hobo”.  Gibbs pubblica questo nuovo Souvenirs Of A Misspent Youth, che si candida (per chi scrive) ad essere quanto di meglio in circolazione per gli amanti di quel cantautorato americano che ha strette connessioni con il folk: una bella voce che richiama molto un altro grande autore di cui colpevolmente ho perso le tracce (Guthrie Thomas), un autentico “outsider”, praticante l’arte del perdente, che continua a vivere e lottare insieme a noi, che scrive ballate semplici, cantandole con una voce aspra e vera come poche, per un album di grande impatto emotivo, il lavoro di un cantastorie originale che forse renderà il nostro mondo un posto migliore e più giusto in cui vivere, perché l’universo musicale ha dannatamente bisogno di personaggi come Otis Gibbs, da aggiungere nei nostri scaffali vicino alla lista dei nuovi “fuorilegge”.

Tino Montanari  

Volete Un Altro Bel Jethro Tull? Eccolo: Thick As A Brick – Live In Iceland

jethro tull thick as a brick live in iceland 2cd

Jethro Tull – Thick As A Brick Live In Iceland – 2CD DVD Blu-ray Eagle Rock 25-08-2014

Oggi sono stato trattenuto in “ostaggio” in comune per rinnovo carta d’identità (alla Fantozzi, tanto in agosto non c’è nessuno, ah ah ah: lo so che dei miei problemi non ve ne frega niente, ma era per giustificare questo Post rapido e volante, rimediato all’ultimo minuto).

Comunque ve lo avrei segnalato in ogni caso, quindi ricordiamo a tutti che “finalmente” il 25 agosto uscirà un nuovo prodotto dei Jethro Tull. Si tratta della performance di Thick As A Brick 1 & 2 dal vivo a Reykjavik in Islanda nel 2012, questo il contenuto:

CD One – Thick As A Brick:

1) Thick As A Brick parts 1 and 2

CD Two – Thick As A Brick 2:

1) From A Pebble Thrown
2) Pebbles Instrumental
3) Might Have Beens
4) Upper Sixth Loan Shark
5) Banker Bets, Banker Wins
6) Swing It Far
7) Adrift And Dumbfounded
8) Old School Song
9) Wootton Bassett Town
10) Power And Spirit
11) Give Til It Hurts
12) Cosy Corner
13) Shunt And Shuffle
14) A Change Of Horses
15) Confessional
16) Kismet In Surburbia
17) What-ifs, Maybes And Might-Have-Beens

Della formazione originale (e neanche delle successive) non c’è nessuno, ovviamente a parte Ian Anderson. Florian Opahle, chitarra solista, John O’Hara, tastiere e fisarmonica, David Goodier, basso, Scott Hammond, batteria e Ryan O’Donnell, voce di supporto. Non ne conosco uno! O meglio, li conosco tutti, sono quelli che suonano nei vari dischi solisti di Ian Anderson usciti negli anni 2000 a nome suo, compreso Thick As A Brick 2. Ci fosse un Martin Lancelot Barre ci si potrebbe pensare (anche se, peraltro, in base a questo teaser, non sembra male, c’è pure il mimo https://www.youtube.com/watch?v=SnVJK3LxwMg) .

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Come vedete esce anche in DVD e Blu-ray, durata complessiva 144 minuti.

Bruno Conti