L’Unione Fa La Forza. Laurence Jones/Christina Skjolberg/Albert Castiglia – Blues Caravan 2014 Live

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Laurence Jones/Christina Skjolberg/Albert Castiglia – Blues Caravan 2014 Live – Ruf 

Nata nel 1994 per promuovere la carriera di Luther Allison, di cui Thomas Ruf era il manager ai tempi, l’etichetta tedesca è diventata nel corso degli anni una delle migliori realtà della musica blues-rock europea, inserendo nel corso degli anni nel proprio roster di artisti, nomi classici della storia del rock, promesse del blues, chitarristi, cantanti e gruppi (dai Colosseum a Dana Fuchs, dai Royal Southern Brotherhood ai Savoy Brown, per citarne alcuni). Gli ultimi arrivati sono questi tre signori che troviamo riuniti in un sontuoso doppio Live (CD+DVD) registrato nel febbraio del 2014 all’Harmonie di Bonn, proprio per festeggiare il 20° Anniversario della Ruf: Laurence Jones, 22 anni non ancora compiuti, una delle giovani promesse del blues-rock inglese, già due prove alle spalle, l’altrettanto giovane Christina Skjolberg, dalla Norvegia e il veterano statunitense, ma di origini italo-cubane, Albert Castiglia. Ammetto che, a parte qualche ascolto veloce, non mi ero mai interessato più di tanto ai loro dischi, ma alla luce di questo album dal vivo penso che approfondirò: presi separatamente i tre sono bravi, ma sentiti insieme nello stesso disco, soprattutto Castiglia, una vera sorpresa, costituiscono una miscela di blues e rock veramente esplosiva. Soprattutto nella versione video, con il supporto delle immagini il concerto si gode in tutta la sua esplosiva carica.E questa volta, finalmente, il DVD contiene una abbondante porzione di materiale che non si trova nel dischetto audio (anche se per i soliti misteri, alcuni brani che troviamo nel CD non appaiono nel Video).

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I tre all’inizio appaiono sul palco tutti insieme, quella che si nota subito (scusate; ma anche l’occhio vuole la sua parte) è Christina Skjolberg, una biondona tutta curve, minigonna nera, calze a pois, che si pone al centro dal palco. Precisiamo subito, ad onor di cronaca, che la ragazza è anche veramente brava, mancina, con chitarra pure quella glitterata, tatuaggio di Jimi Hendrix, il suo idolo, sul braccio e una voce potente e grintosa, anche se forse un filo forzata, non naturale. A sinistra Laurence Jones, che appare anche più giovane di quanto sia in effetti, chitarrista fluido, di ottima tecnica e con il blues elettrico nel cuore, voce vibrante e anche autore di buon valore, la Blues Caravan che apre il concerto è sua https://www.youtube.com/watch?v=oR4uQVdh7LU ; a destra quello che secondo me è il vero protagonista della serata, Albert Castiglia (già con una copiosa discografia americana), vero istrione della sei corde, con la sua Gibson dimostrerà più volte nel corso dello show un virtuosismo impressionante. Dopo l’inizio in comune ogni musicista ha la sua porzione di concerto: prima la Skjolberg con tre brani, la bluesata e funky Come And Get It, dove la bionda scandinava usufruisce anche dei servigi di Jones (senza doppi sensi) che rimane sul palco in qualità di organista, ottima a questo proposito la sezione ritmica formata dal bassista Roger Inniss, eccellente al basso fretless a sei corde e il batterista finlandese Miri Miettinen, essenziale nel suo supporto, entrambi fanno parte proprio del gruppo di Jones. Segue l’hendrixiana Close The Door dove la brava Christina si disimpegna ottimamente in un lungo assolo al wah-wah e conclude il suo breve set con il classico rock di Hush.

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Molto bravo anche Laurence Jones, più vicino al blues classico in Wind Me Up con la solista che viaggia spedita e sicura e nella più raffinata e di atmosfera Fall From The Sky (solo sul CD) e nel rootsy southern di Soul Swamp Rider, scritta con Mike Zito (solo sul DVD). La conclusione, in entrambi i formati, è una lunghissima versione di All Along The Watcher, dove il giovane inglese mette in mostra tutta la sua tecnica, in una versione torrenziale e carica di wah-wah del brano di Dylan/Hendrix https://www.youtube.com/watch?v=2NlUHBBi-p0 . Poi è il turno di Albert Castiglia, una vera forza della natura in un paio di strumentali, Fat Cat https://www.youtube.com/watch?v=DR1ScyDf5Pk  e Freddie’s Boogie (di Freddie King), dove pare di ascoltare l’Alvin Lee esuberante ed inarrestabile del periodo a cavallo di Woodstock, o il miglior Bugs Henderson, con le mani che volano a velocità vertiginose sul manico della chitarra, in una serie di soli veramente impressionanti per tecnica, feeling e controllo dello strumento, un mostro di bravura e anche ottimo showman, quando scende a suonare in mezzo al pubblico, nello stile dei classici bluesmen neri nei piccoli locali di Chicago. Nel video ci sono pure due brani cantati da Castiglia, il primo una cover tiratissima di Bad Avenue, il secondo una versione fantastica e da lasciare senza fiato di Going Down Slow, dove mette in evidenza anche la sua voce roca e vissuta. Solo nel CD ci sono la rocciosa Put Some Stank On It e una bella versione di Sway degli Stones https://www.youtube.com/watch?v=1GzD_kM80_U . Gran finale, di nuovo tutti insieme sul palco, con Cocaine, solo sul DVD e con una poderosa Sweet Home Chicago, dove tutti e tre danno spettacolo alla chitarra https://www.youtube.com/watch?v=oxuPUs44bp8 . Che dire? Tre nomi da tenere d’occhio!

Bruno Conti

Come Un Buon Whisky Irlandese ! Foy Vance – Live At Bangor Abbey

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Foy Vance – Live At Bangor Abbey – Glassnote/Caroline Records

Foy Vance non è proprio uno di primo pelo (viaggia sui quaranta), ma è balzato alla mia attenzione (e di pochi altri) con il lavoro precedente Joy Of Nothing (13), passato purtroppo quasi inosservato. Foy è nato nella città di Bangor, Irlanda Del Nord, figlio di un predicatore, e subito dopo la nascita si è trasferito con la famiglia in America (Oklahoma e stati limitrofi), assimilando fin da piccolo le ricche tradizioni musicali del posto (soul, blues, gospel, in pratica tutta la musica nera) e, al suo ritorno in Irlanda alcuni anni più tardi, ha cominciato a creare la sua musica modellandola sui suoni acquisiti nella sua gioventù.

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Dopo anni di gavetta suonando in piccoli e fumosi locali e pub, Vance percorre molta strada in tour vari, aprendo i concerti di artisti del calibro di Bonnie Raitt, Michael Kiwanuka, Snow Patrol e David Gray (forse il suo punto di riferimento), arrivando all’esordio discografico con Hope (07) che getta le basi per il citato Joy Of Nothing (distribuito dalla stessa etichetta dei Mumford & Sons), dove  nei solchi virtuali del disco troviamo come ospiti la grande Bonnie Raitt e il giovanissimo emergente del pop-folk Ed Sheeran https://www.youtube.com/watch?v=2nnw4STQMSc . Inevitabilmente il passo successivo per Foy, raggiunto un certo successo, è stato registrare un disco dal vivo nella sua città natale, nella leggendaria Abbazia di Bangor,in due serate “old-out” nel mese di Agosto dello scorso anno.

Salgono sull’inconsueto palco, oltre a Vance chitarra e voce, Colm McClean alle chitarre e pedal steel, Conor McCreanor al basso, Michael Keeney al piano, Paul Hamilton alla batteria, e una sezione completa d’archi composta da Clare Hadwen e Kathleen Gillespie al violino, Richard Hadwen alla viola, e Kerry Brady al cello, che danno alle canzoni una melodia che cattura gli ascoltatori presenti.

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Il concerto parte con le candele accese e l’Abbazia zeppa di “fedeli” con una trascinante At Least My Heart Was Open (sembra uscita da un disco dei Mumford & Sons), a cui fanno seguito la nota Joy Of Nothing https://www.youtube.com/watch?v=9eYJRkhLTqg , l’elettroacustica dolcezza di Be The Song, la pianistica Closed Hand, Full Of Friends (dove entrano in scena gli archi) https://www.youtube.com/watch?v=l20m8xtzAPI , mentre con la ballata Regarding Your Lover https://www.youtube.com/watch?v=A8RBezOoFJ0 , Foy viaggia dalle parti del miglior David Gray. Dopo un sentito applauso, si prosegue con l’accattivante Janey, un altro brano pianistico come Paper Prince, passando poi alle delicatezze acustiche di Homebird, all’evocativa Two Shades Of Hope, e (tirate fuori i fazzoletti) alla splendida ballata strappacuore Feel For Me, cantata con anima e sentimento da Vance https://www.youtube.com/watch?v=8Hv83MGSFC0&list=PLWv-5ZeL4p5EovbkrBL_A2jfh-AY8rxwe&index=10 . Dopo un altro “singhiozzante” applauso e un breve discorso di ringraziamento da parte di Foy, il concerto riparte con la tambureggiante e acustica Be My Daughter, mentre la bella You And I viene eseguita senza il controcanto (nel disco duettava con la Raitt), mentre un bel lavoro della “slide” apre la struggente Concerning The Horizon, per poi chiudere con la melodia “bluesy” di Shed A Little Light e il lamento emozionale (tipico della natia Irlanda) di una accorata Guiding Light, cantata in coro con i “fedeli” presenti in chiesa. Hallelujah https://www.youtube.com/watch?v=yoX7bMKaKjw ! *NDB E c’è anche Make It Rain, la bonus su iTunes https://www.youtube.com/watch?v=wRnkFeywfBE

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Foy Vance possiede una bella voce, una buona scrittura, è un personaggio dalla faccia simpatica (con l’immancabile “coppola irlandese”), con dei baffetti da “sparviero”, che sotto l’imponente soffitto a volta dell’Abbazia di Bangor è tornato a suonare per la sua gente, con canzoni che non disdegnano la musica di buona qualità, e, per chi scrive, Vance è sicuramente il miglior nuovo cantautore che l’Irlanda del Nord ha prodotto in questi ultimi anni, e per scoprirlo è sufficiente acquistare questo CD, sedersi sulla poltrona di casa sorseggiando un buon whisky irlandese, e ascoltare con attenzione.

Tino Montanari

Ma Che Cosa Si Sono “Fumato”? 3rd Ear Experience – Incredible Good Fortune

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3rd Ear Experience – Incredible Good Fortune – Thousand Thunders Music

Si scopre sempre qualcosa di nuovo cercando nell’enorme serbatoio della musica “indipendente” americana: prendete questi 3rd Ear Experience, un quintetto californiano che gravita intorno all’area del deserto del Mojave e quella di Joshua Tree, fino ad oggi mai sentiti (almeno dal sottoscritto), ma già autori di ben tre album, dal 2012, anno della loro formazione, ad oggi https://www.youtube.com/watch?v=JyMGdzJubNo . Che genere fanno? Potremmo proporre uno space rock alla Hawkwind, con derive psichedeliche e progressive, accenni di stoner e desert rock, ma anche del suono della Kosmische Musik tedesca (Amon Duul II, i Popol Vuh meno elettronici e più californiani) molto seventies oriented. Lunghissimi brani di improvvisazione programmata, si va dagli oltre 19 minuti della iniziale Tools ai “soli” otto di White Bee, cinque pezzi in totale per quasi 75 minuti di musica.

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Le chitarre sono le protagoniste principali ma si inseriscono su un tappeto di tastiere, un synth sibilante vecchia maniera (quello che più ricorda gli Hawkwind citati), cavalcate ritmiche in crescendo ma anche tocchi di musica etnica ed elettronica qui e là, l’utilizzo di musicisti esterni, ad esempio un lungo intervento di sax nella parte centrale di Tools https://www.youtube.com/watch?v=TDRAflD9ut8 , affidato a tale John Whollilurie, flauto, percussioni, djembe e mouth organ in altri momenti del disco, ogni tanto ci sono degli spettrali inserti vocali, come in One, dove è il leader della band nonché uno dei due chitarristi, Robbi Robb, a fare sentire la sua voce e qui il sound vira verso la scuola stoner rock desertico, con qualche vaga analogia pure con i primi Pink Floyd, quelli più sperimentali, ma anche con le improvvisazioni strumentali di gente come Bo Hansson, per citare un nome del passato o con le jam band più “estreme”, quelle senza elementi blues e country nel loro Dna, per rimanere nel presente.

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Il titolo del disco (anche in doppio vinile) viene da una raccolta di poesie della bravissima e visionaria autrice americana di fantasy e fantascienza Ursula K. Le Guin, e in effetti la musica ha questo afflato sci-fi, con chitarre e tastiere che si insinuano su dei ritmi costanti, ipnotici e ripetuti, dove di solito strumentalmente peraltro poco si muove, per approdare ad improvvise oasi sonore durante le quali la musica si fa quieta e dominano rumori e sensazioni più intime e raccolte, anche se forse non particolarmente eccitanti. Il terzo brano over 15 (come durata), presenta anche delle componenti orientali, con inserti vocali della presenza femminile della band, tale Amritakripa (?!?), che è colei che si occupa dei synth, anche se in questi picchi e vallate, stop e ripartenze quasi costanti, sono comunque le chitarre, spesso suonate all’unisono (l’altro solista è Eric Ryan), a guidare le danze, lavorando più su impressioni soniche che sul virtuosismo spicciolo, anche se ogni tanto qualche assolo selvaggio tra psichedelia ed heavy rock ci scappa.

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Magari, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nonostante la musica sia sicuramente energica e poderosa, la varietà dei temi, ad andare bene a vedere, non è proprio così totale come appare, che è un po’ il difetto che di tanto in tanto fa capolino anche nelle migliori jam band, molto apprezzate dai fruitori del genere ma non poi sempre così originali, ovvero, come direbbe qualcuno: dove sono le canzoni? Per i 3rd Ear Experience,  potrei azzardare che dipende in parte da cosa si sono fumati, ma forse anche no. Qualcuno ha citato nelle proprie impressioni di ascolto il Miles Davis di Bitches Brew tra le influenze del gruppo, e non lo escluderei, bisognerebbe chiederlo però a loro. White Bee, la traccia più breve, a otto minuti e spiccioli, è il brano più lento e sperimentale, con interventi parlati e la batteria che nel caso specifico è quella che guida la struttura sonora molto frammentaria del pezzo, che poi esplode in un emozionante crescendo strumentale nel finale, con le chitarre distorte di nuovo protagoniste. La conclusiva Shaman’s Dream è forse la “canzone” più vicina all’hard rock classico, con ritmi serrati, tastiere sibilanti, canti tribali pellerossa (lo Sciamano del titolo) e le chitarre immancabili in ripetuta modalità jam. Non so dirvi se sia un album che incoraggia ascolti ripetuti, ma sicuramente è un prodotto interessante dalla fervente scena alternativa californiana https://www.youtube.com/watch?v=QE0DDxRWcoE , se amate i generi citati all’inizio fateci un pensierino. Ripeto, “strano” ma interessante.

Bruno Conti

Veterani, Cittadini Onorari Di New Orleans. Fo’Reel – Heavy Weather

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Fo’Reel – Heavy Water – Self-released

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I Fo’Reel sono un gruppo nuovo, almeno per me, ma i “nomi” (almeno uno in particolare, Johnny Neel) non sono quelli di novellini: il leader e chitarrista, Mark Domizio, viene da Philadelphia, ma da molti anni vive ed opera in quel di New Orleans, il succitato Johnny Neel, grande tastierista (più volte anche con gli italiani W.i.n.d.) è una sorta di membro aggiunto del giro Allman Brothers, ma nel corso degli anni ha suonato con moltissimi bluesmen e rockers di pregio, il cantante C.P. Love ha una voce da cantante nero di quelle importanti (forse perché nero lo e davvero), ed è nativo dei dintorni di New Orleans, l’altro black in formazione è il bassista David Barard, ma nel disco suona un altro David, Hyde, poderoso bassista che ha suonato, tra gli altri, con Tommy Malone, Bobby Charles, Clarence Gatemouth Brown, come lui artisti della Louisiana. Quindi, per capire il genere dei Fo’Reel, pensate a blues, soul, R&B, rock, funky e frullateli insieme (o teneteli divisi, comunque si sentono tutti) e a gruppi come i Subdudes, o ancor di più i Radiators, magari con una quota rock little featiana meno presente, con il piedino che non può fare a meno di muoversi a tempo con il groove ed il sound del gruppo.

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Dicevo all’inizio che il nome mi è nuovo, forse anche perché questo Heavy Weather è in effetti il loro primo album (già in giro da qualche mese, ma con la solita difficile reperibilità che ultimamente molti dischi di buona qualità purtroppo hanno), ma la musica sicuramente non lo è, variazioni su generi musicali consolidati ma eseguite con classe e grande gusto. Il tono dell’album lo stabilisce subito il primo brano, una cover di Breaking Up Somebody’s Home, un classico del blues funky, che forse si farebbe prima a dire chi non lo ha fatto, perché nel corso degli anni si sono cimentati con questa canzone, tra i tanti, Albert & BB King, Etta James, Ann Peebles, ma anche Bob Seger, Bette Midler e, recentemente, anche Kenny Wayne Shepherd con Warren Haynes, nell’ultimo disco Goin’ Home; e la versione dei Fo’reel è veramente da manuale, un bel funky blues fiatistico (forse avevo dimenticato di dire che nella formazione c’è anche un ottima sezione fiati, guidata dal sassofonista Jon Smith), con la voce superba da soulman di C.P. Love che guida la band, contrappuntata dai pungenti soli della chitarra di Domizio, l’organo di Neel che scivola sullo sfondo e in primo piano con grande libidine e il groove perfetto della sezione ritmica. Ancora più funky-rock la title-track, con il walking bass di Hyde che ancòra il sound, e con i fiati all’unisono che pennellano impressioni della Louisiana e Domizio e Neel impeccabili ai rispettivi strumenti. Ma la band ha puree un secondo vocalist ed autore (che si alterna con Love), Rick Lawson, altro veterano della scena blues, soul & R&B, che viene da poco lontano, dalle sponde del Mississippi, la sua Leave Your Love Alone è una deliziosa variazione più swingante e jazzata (l’organo di Neel è veramente da manuale) della musica della band, mentre nella potente Blues (semplicemente) si viaggia verso un suono alla BB King, un po’ alla Thrill Is Gone, con chitarra limpida e tagliente e Neel che aggiunge un piano elettrico al solito organo, ma il risultato è tutto da sentire.

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Gate è un eccellente strumentale, probabilmente in onore di Clarence “Gatemouth” Brown, uno dei grandi della musica della Crescent City, con il classico dualismo chitarra-organo punteggiato dai fiati, mentre in What Can I Do un sognante brano dalla atmosfera latina quasi santaneggiante, ma con la chitarra di Domizio in modalità slide ad evitare paragoni con Carlos, torna la voce forse più espressiva di Love (comunque Lawson non è male) https://www.youtube.com/watch?v=MtYYvo9AckA  e Neel si divide sempre con profitto tra piano elettrico e Hammond. What’s Going On In My Home è uno di due successivi brani entrambi a firma Luther Allison, molto funky, con wah-wah in fase ritmica e notevole performance vocale di Love che si ripete nell’intensa blues ballad Just As I Am dove le tastiere di Neel sono sempre protagoniste https://www.youtube.com/watch?v=FNgwcJ1t1Po . A seguire altri due brani dell’accoppiata Domizio/Lawson, una Shake N Bake, dove si sfiora quasi il funky alla James Brown, arricchito dalla solista di Domizio e con organo e fiati sempre sugli scudi, notevole l’assolo di Smith https://www.youtube.com/watch?v=_JRt8bxB-8M , mentre Outside Love è blues allo stato puro, con slide in bella evidenza e gli altri strumenti ben delineati https://www.youtube.com/watch?v=DzjleYUYCVA . Curioso che chitarre, voci, fiati e basso siano stati registrati a New Orleans, mentre tastiere e batteria in quel da Nashville, dall’ascolto del disco dove tutto ha un feeling molto live non si direbbe. Per concludere manca un ulteriore vivace e trascinante strumentale come Tater, dove i fiati tirano la volata e gli altri solisti non sono da meno. Per parafrasare il nome del gruppo “Veerameente” bravi!

Bruno Conti

Dalle Cover Di Neil Young … Alle Cover D’Autore ! Rusties – Dalla Polvere E Dal Fuoco

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Rusties – Dalla Polvere E Dal Fuoco – Hard Dreamers/Ird

Per chi ancora non li conoscesse, i Rusties sono una longeva band italiana (conosciuta ai più per essere la migliore “cover band” di Neil Young) https://www.youtube.com/watch?v=LOSrZsoWREU , ma con un indubbia fama conquistata sui palchi di tutta Europa. Formatisi quasi per gioco nel lontano ’98 e dopo centinaia di concerti come “tribute band”, esordiscono con un demo Rusties Never Sleep (02), seguito da Younger Than Neil (05), e da un album dal vivo registrato al festival tedesco Orange Blossom Special, Live In Germany (07) e, per festeggiare i dieci anni di attività, incidono una raccolta di rarità Last Rust The Best & The Rest (08). Poi (giustamente) i Rusties hanno deciso di fare le cose sul serio componendo loro le canzoni, e il risultato è stata la pubblicazione di Move Along (09) https://www.youtube.com/watch?v=iL46AtdtiVM , mantenendo questo filone nel successivo Wild Dogs (11), con la presenza di due ospiti di classe, la bravissima cantante irlandese Mary Coughlan https://www.youtube.com/watch?v=hJ7R9-m_wH8  (che canta nella title-track e nella bonus-track) https://www.youtube.com/watch?v=OAdDOoTKRWg , ed il cantautore (sempre irlandese) Andy White, che co-produce e scrive con i Rusties alcune canzoni che danno al gruppo un respiro internazionale.

RUSTIES - Move along CD cover RUSTIES - Wild Dogs CD cover

I “Rugginosi” (attuali) sono formati dallo storico “leader” Marco Grompi (biografo ufficiale di Neil Young, discografico e vecchio collaboratore del Buscadero)) voce, chitarre e armonica, Osvaldo Ardenghi alla chitarra elettrica (anche  solista in proprio), Fulvio Monieri al basso, Massimo Piccinelli alle tastiere, Filippo Acquaviva alla batteria e percussioni, con la collaborazione della violinista italo-siriana Jada Salem, che hanno elaborato questo nuovo lavoro con nove “cover” d’autore, parliamo di Neil Young (non poteva mancare), Bruce Cockburn, John Martyn, Warren Zevon, Chris Eckman (Walkabouts), Robert Fisher (Willard Grant Conspiracy), e Roger Hodgson (Supertramp), liberamente tradotte e riadattate dal “biografo” Marco Grompi,  e cantate per la prima volta dal gruppo in italiano.

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Dalla Polvere E Dal Fuoco inizia con Ombre All’Orizzonte una cover di Ghost Along The Border, pescata dal disco solista di Chris Eckman Harney Country, riletta in una chiave delicata, mentre la seguente Canzone Logica è la famosissima The Logical Song dei Supertramp  (forse la meno riuscita del lotto), andando poi ad omaggiare Robert Fisher dei grandi Willard Grant Conspiracy con Le Intenzioni di Harrison Hayes, dall’album Regard The End, il Bruce Cockburn di Stealing Fire con Se Solo Avessi Un Lanciarazzi, e Pacing The Cage, con l’acustica Dentro La Gabbia. Con la title track Dalla Polvere E Dal Fuoco si rende omaggio al Neil Young della poderosa Powderfinger qui rifatta come sempre con le chitarre spianate, e una La Signora ripescata da uno dei primi album del “bisonte” Neil Young, passando per la tenue Aria Solida, che non è altro che la famosissima Solid Air (la canzone che John Martyn dedicò a Nick Drake), e a chiudere con la tenerissima Tienimi Con Te versione di Keep Me In Your Heart del grande Warren Zevon di The Wind. Missione compiuta!

Anche se si tratta di un disco di “covers”, in questo disco dei Rusties si respira l’America (e non solo) riletta in chiave molto personale, re-interpretando canzoni di artisti fra i più “veri” che hanno calpestato la musica rock, tenendo ben presente che non è mai facile la rilettura in italiano (scelta per certi versi coraggiosa), e che vi consiglio di ascoltare, se vi piacciano il folk, il country-folk, e la “mitica” West Coast!

Tino Montanari

Chitarre Acide E Vecchi Organetti! The Standells – Live On Tour 1966!

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The Standells – Live On Tour -1966! – Sundazed Music

Nello scorcio di poco più di un anno sono stati pubblicati ben tre “nuovi” CD degli Standells: prima, a dicembre 2013, usciva, molto a sorpresa, un nuovo album, Bomp (45 anni circa dopo il loro periodo d’oro), poi, qualche mese fa, la Rockbeat Records ha edito una versione doppia, potenziata e rivisitata, del classico Riot On Sunset Strip (Revisited appunto, dal vivo, nel 1999), disco attribuito sia agli Standells come alla Chocolate Watchband, e ora la Sundazed pubblica questo concerto “inedito”, registrato nell’ottobre del 1966 all’Hill Auditorium dell’Università del Michigan, ad Ann Arbor, nel corso del tour per promuovere quello che all’epoca era il loro terzo album, Why Pick On Me Sometimes Good Guys Don’t Wear White (che non possiamo dimenticare includeva quella “straordinaria” canzone in italiano Mi hai fatto innamorare, un connubio fra mandolini napoletani e beat, giuro, verificate https://www.youtube.com/watch?v=d13xW6-GG8E!).

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Una frequenza di uscite che rivaleggia con l’output discografico di quel fertile periodo, ricco di successi per la band californiana, vessillifera di un garage proto punk e beat con ampie connotazioni psichedeliche che spopolava all’epoca https://www.youtube.com/watch?v=qdaavm_fVEA , e tra l’altro aveva proprio esordito nel 1964 con un album dal vivo, The Standells In Person at P.J.’s https://www.youtube.com/watch?v=Pu4gTvWvuYA , ma questo Live On Tour-1966 che esce solo oggi per la prima volta nella sua interezza, è nettamente superiore sia a livello qualitativo (ci sono tutti i successi), come a livello sonoro, dove gli specialisti della Sundazed hanno effettuato un ottimo lavoro di restauro dei nastri originali. In questo concerto del 1966, come ci ricorda lo speaker della serata nella presentazione, gli Standells aprono per i Beach Boys, e, come era usanza nell’epoca pre-rock, il tutto dura poco meno di 35 minuti, ricchi di intensità, come evidenzia subito l’intenso interplay tra l’organo di Larry Tamblyn (anche alla chitarra) e l’acida chitarra di Tony Valentino, in una Mr. Nobody https://www.youtube.com/watch?v=ENOjxMvy1Cw  che unisce mirabilmente il suono della british invasion con il primo rock californiano di band di Doors, Jefferson, pre-Grace Slick e le sonorità di band come i citati Chocolate Watchband, Thirteen Floor Elevators, Seeds e molti altri che costituiranno il “cuore” del celebre Nuggets di Lenny Kaye.

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Ma il gruppo, già in pista nei clubs di tutti gli States dal lontano 1962, aveva, come altri, anche una forte componente R&B, più “sbiancata” forse, come dimostra una vivace cover del classico degli Young Rascals, Good Lovin’, uscito proprio in quei mesi, con gli immancabili yeah-yeah vocali del periodo e le mani di Tamblyn che volano sulla rudimentale tastiera dell’organo. Why Did You Hurt Me, una composizione del chitarrista Valentino con il batterista Dick Dodd, è intrisa del grintoso beat sound che imperversava all’epoca, mentre la cover di Lazy Summer Afternoon (così presentata, manco i titoli sapevano!), sarebbe la bellissima Sunny Afternoon dei Kinks di Ray Davies, tuttavia in una versione che non perde la pigra e sorniona aria dell’originale, con l’organo di Tamblyn che aggiunge un tocco alla Lovin’ Spoonful; sempre dalla british invasion viene una Gloria che in America era più nota nella versione dei soci Shadows Of Knight che nell’originale dei Them di Van Morrison, il brano è l’occasione per il gruppo per dimostrare una grinta notevole https://www.youtube.com/watch?v=uJErk-wwEOo , e anche una capacità di improvvisazione, che si divide tra sketches rumoristici ed umoristici che divertono molto il pubblico presente, tanto che la canzone si protrae, forse troppo, oltre i 5 minuti, ingenua, pure se sono i primi esempi di quello che diventerà il rock da lì a poco, spettacolo ma anche impeto dirompente.

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Why Pick On Me, title-track del nuovo album, firmata da Ed Cobb, eminenza grigia, sia come autore che come musicista e produttore della scena garage psichedelica, è un’altra piccola pepita tipica del periodo, mentre il lato soul/R&B viene illustrato da una Please, Please, Please dove il batterista Dobb ci offre la sua versione di James Brown, più bianco e molto meno esplosivo dell’originale, comunque segno di un sentito amore per la musica black, come ribadito nella successiva Midnight Hour, preceduta dal solito siparietto comico, il sound non è travolgente come nell’originale di Wilson Pickett e Steve Cropper, ma ricorda un beat-pop-rock à la Sir Douglas Quintet, con ampio uso d’organo. La conclusione è affidata ai loro cavalli di battaglia più psych-rock, prima Sometimes Good Guys Don’t Wear White (dedicata ironicamente a Lindon B. Johnson, non particolarmente popolare all’epoca) e poi l’inno generazionale Dirty Water (sempre di Cobb), tra i più bei singoli di quell’epoca irripetibile e uno dei riff indimenticabili del rock all-time https://www.youtube.com/watch?v=5apEctKwiD8 , che conclude degnamente questo piacevole reperto discografico, riemerso dalle nebbie del tempo per il nostro piacere.

Bruno Conti   

Si Arricchisce La Saga Infinita Dei Cofanetti! Pretty Things – Bouquets From A Cloudy Sky

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The Pretty Things – Bouquets From A Cloudy Sky – The Complete Pretty Things – 13 CD – 2 DVD – 1 10″ Vinyl Replica Acetate – Madfish/Snapper

E’ uscito in questi giorni un ulteriore mirabile (e costoso) manufatto dedicato ad un altro dei gruppi storici del rock inglese che festeggia il suo 50° Anniversario di attività, i Pretty Things. Anche per Dick Taylor, Phil May e soci il nome è preso da un celebre brano blues composto da Willie Dixon nel 1955 , Pretty Thing, e come per gli amici Jagger & Richards con cui Taylor aveva mosso i primi passi, l’inizio dell’attività live risale al 1963, ma discograficamente esordiscono nel 1964 e il primo album esce nel 1965, per cui, per una volta, ci siamo con i tempi. Il gruppo è tuttora in attività ed insieme agli Stones possono essere considerati una delle band più longeve della storia del rock mondiale, anche se il successo non è sicuramente stato lo stesso. Però pure i Pretty Things hanno attraversato tutti i periodi della musica rock: il proto-blues misto a R&R degli esordi, il beat di metà anni ’60, la psichedelia, le opere rock, S.F. Sorrow, uscita nel dicembre 1968, fu la prima, precedendo Tommy degli Who di qualche mese. E ancora il rock classico degli album pubblicati per la Swan Song, l’etichetta degli Zeppelin, e poi un lento ed inesorabile declino, con vari sussulti di dignità, soprattutto dal vivo, che ce li consegnano ancora oggi tra i vessilliferi del cosiddetto classic rock.

In questo cofanetto trovate più o meno tutto, esclusi i live, ma compresi due DVD (anche dal vivo) che ne tracciano la storia dal 1964 ai giorni nostri. Il box esce in una tiratura limitata di 2.000 copie, tipa quella di Here Come Nice degli Small Faces, e quindi in teoria dovrebbe andare esaurito celermente (ma quello degli Small Faces si trova ancora, costoso, ma pure questo dei Pretty Things non scherza). Per i completisti il motivo di interesse dovrebbero essere soprattutto i due CD di Rarities posti in apertura del cofanetto, comunque, se avete più o meno 200 euro che vi crescono, che questa è lista completa dei contenuti:

Rarities CD 1:

1 Don’t Bring Me Down (Live On The Beat Room 1964) [2:16]
2 Mama Keep Your Big Mouth Shut (Live On The Beat Room 1964) [3:26]
3 Johnny B. Goode (Live On The Beat Room 1964) [1:42]
4 Cry To Me (Alternate Version) [2:44]
5 Photographer (Rough Mix From Acetate) [2:12]
6 Bright Lights Of The City (Demo) [3:00]
7 Out In The Night (Demo) [2:39]
8 One Long Glance (Demo) [2:55]
9 Children (Alternate Version) [3:02]
10 Defecting Grey (Alternate Mix) [3:12]
11 Why (Live In Hyde Park) [6:16]
12 She Says Good Morning (Live At The Paradiso, Amsterdam) [3:41]
13 Alexander (Live At The Paradiso, Amsterdam) [3:29]
14 Renaissance Fair (Live At The Paradiso, Amsterdam) [2:13]
15 S.F. Sorrow Is Born (Live At The Paradiso, Amsterdam) [3:34]
16 You Might Even Say (Philippe Debarge Sessions) [4:01]
17 Eagle’s Son (Philippe Debarge Sessions) [3:00]
18 Graves Of Grey (Philippe Debarge Sessions) [0:50]
19 It`ll Never Be (Philippe Debarge Sessions) [04:33]
20 Scene One (Westbourne Terrace Demo) [01:15]
21 The Good Mr. Square (Westbourne Terrace Demo) [04:33]
22 She Was Tall, She Was High (Westbourne Terrace Demo) [00:56]
23 In The Square/The Letter (Westbourne Terrace Demo) [03:41]
24 Rain (Westbourbe Terrace Demo) [03:20]
25 Cries From The Midnight Circus (Westbourne Terrace Demo) [03:53]

Rarities CD 2:

1 I’d Love Her If I Knew What To Do (Version 1 – Westbourne Terrace Demo) [2:16]
2 Seen Her Face Before (Westbourne Terrace Demo) [1:24]
3 Everything You Do Is Fine (Westbourne Terrace Demo) [4:07]
4 Cold Stone (Westbourne Terrace Demo) [3:28]
5 You Never Told Me Lies (Westbourne Terrace Demo) [2:04]
6 Take A Look At Me (Westbourne Terrace Demo) [4:12]
7 Wild And Free (Demo) [3:42]
8 I’d Love Her If I Knew What To Do (Version 2 – Demo) [1:39]
9 Spider Woman (BBC Radio Session) [4:32]
10 Route 66 (Live At The Hippodrome) [2:52]
11 Joey (Mono US Single Mix) [3:02]
12 Monster Club [3:51]
13 Cause And Effect [3:09]
14 Holding Onto Love (Outtake) [6:07]
15 You Can`t Judge A Book [3:01]
16 Chain Of Fools [4:53]
17 No Questions [4:20]
18 It’s All Over Now Baby Blue (Outtake) [4:04]
19 Hoochie Coochie Man (Outtake) [5:44]
20 Look Away Now (Outtake) [5:15]
21 Helter Skelter [4:54]

DVD 1:

Midnight To Six, The Pretty Things 1965-70, produced by Reelin’ in the Years [2 hours duration]

Bonus Material:

The Pretty Things. On Film [13:00]
Rosalyn (Promo Video) [2:20]
Eve Of Destruction (Promo Video) [3:03]

DVD 2:

S.F. Sorrow – Live At Abbey Road [1 hour]

10″ ‘Replica Acetate’:

Side 1:

1 Defecting Grey (Full Length Demo from acetate) (5:10)
2 Turn My Head (Demo) (2:34)

Side 2:

1 Don’t Bring Me Down (Previously Unreleased Version) (1:40)
2 I Can Never Say (1:58)

Studio albums on CD:

The Pretty Things (1965):

1 Roadrunner [3:12]
2 Judgement Day [2:46]
3 13 Chester Street [2:22]
4 Big City [2:01]
5 Unknown Blues [3:48]
6 Mama, Keep Your Big Mouth Shut [3:23]
7 Honey, I Need [1:59]
8 Oh Baby Doll [3:01]
9 She`s Fine She’s Mine [4:24]
10 Don’t Lie To Me [3:53]
11 The Moon Is Rising [2:33]
12 Pretty Thing [1:38]

Bonus Tracks:

13 Rosalyn [2:18]
14 Big Boss Man [2:36 ]
15 Don’t Bring Me Down [02:08 ]
16 We’ll Be Together [2:08 ]
17 I Can Never Say [3:36 ]
18 Get Yourself Home [2:18 ]

Get The Picture? (1965):

1 You Don’t Believe Me [2:22]
2 Buzz The Jerk [1:54]
3 Get The Picture? [1:55]
4 Can’t Stand The Pain [2:41]
5 Rainin’ In My Heart [2:30]
6 We’ll Play House [2:33]
7 You`ll Never Do It Baby [2:26]
8 I Had A Dream [2:58]
9 I Want Your Love [2:16]
10 London Town [2:26]
11 Cry To Me [2:51]
12 Gonna Find Me A Substitute [2:57]

Bonus Tracks:

13 Get A Buzz [4:01]
14 Sittin’ All Alone [2:47]
15 Midnight To Six Man [2:19]
16 Me Needing You [1:58]
17 Come See Me [2:39]
18 L. S. D. [02:24]

Emotions (1967):

1 Death Of A Socialite [2:41]
2 Children [3:01]
3 The Sun [3:04]
4 There Will Never Be Another Day [2:19]
5 House Of Ten [2:49]
6 Out In The Night [2:40]
7 One Long Glance [2:52]
8 Growing In My Mind [2:19]
9 Photographer [02:07]
10 Bright Lights Of The City [3:02]
11 Tripping [3:22]
12 My Time [3:05]

Bonus Tracks:

13 A House In The Country [3:01]
14 Progress [2:58]
15 Photographer [2:15]
16 There Will Never Be Another Day [2:26]
17 My Time [3:11]
18 The Sun [3:04]
19 Progress [2:42]

S.F.Sorrow (1968):

1 S.F. Sorrow Is Born [3:15]
2 Bracelets Of Fingers [3:38]
3 She Says Good Morning [3:30]
4 Private Sorrow [3:50]
5 Balloon Burning [3:49]
6 Death [3:11]
7 Baron Saturday [4:02]
8 The Journey [2:42]
9 I See You [3:53]
10 Well Of Destiny [1:46]
11 Trust [2:47]
12 Old Man Going [3:07]
13 Loneliest Person [1:27]

Bonus Tracks:

14 Defecting Grey [4:33]
15 Mr. Evasion [3:30]
16 Talkin’ About The Good Times [3:46]
17 Walking Through My Dreams [3:37]

Parachute (1970):

1 Scene One [1:51]
2 The Good Mr. Square [1:27]
3 She Was Tall, She Was High [1:36]
4 In The Square [1:55]
5 The Letter [1:39]
6 Rain [2:29]
7 Miss Fay Regrets [3:28]
8 Cries From The Midnight Circus [6:28]
9 Grass [4:20]
10 Sickle Clowns [6:36]
11 She`s A Lover [3:32]
12 What`s The Use [1:45]
13 Parachute [3:52]

Bonus Tracks:

14 Blue Serge Blues [3:58]
15 October 26 [5:00]
16 Cold Stone [3:15]
17 Stone-Hearted Mama [3:52]
18 Summer Time [4:32]
19 Circus Mind [2:03]

Freeway Madness (1970):

1 Love Is Good [6:53]
2 Havana Bound [3:57]
3 Peter [1:27]
4 Rip Off Train [3:18]
5 Over The Moon [4:31]
6 Religion’s Dead [4:14]
7 Country Road [4:48]
8 Allnight Sailor [1:57]
9 Onion Soup [3:49]
10 Another Bowl? [2:54]

Bonus Tracks:

11 Religion’s Dead (Live Lyceum 1973) [4:48]
12 Havana Bound (Live Lyceum 1973) [4:20]
13 Love Is Good (Live Lyceum 1973) [6:43]
14 Onion Soup (Live Lyceum 1973) [8:28]

Silk Torpedo (1974):

1 Dream / Joey [6:46]
2 Maybe You Tried [4:20]
3 Atlanta [2:41]
4 L. A. N. T. A. [2:24]
5 Is It Only Love [5:05]
6 Come Home Momma [3:41]
7 Bridge Of God [4:57]
8 Singapore Silk Torpedo [5:12]
9 Belfast Cowboys [6:55]

Bonus Tracks:

10 Singapore Silk Torpedo (Live Santa Monica 1974) [7:06]
11 Dream / Joey (Live Santa Monica 1974) [7:21]

Savage Eye (1976):

1 Under The Volcano [6:02]
2 My Song [5:09]
3 Sad Eye [4:29]
4 Remember That Boy [5:02]
5 It Isn’t Rock ‘n’ Roll [3:58]
6 I’m Keeping [3:58]
7 It’s Been So Long [5:04]
8 Drowned Man [4:23]
9 Theme For Michelle [1:46]

Bonus Tracks:

10 Tonight [3:06]
11 Love Me A Little [3:11]
12 Dance All Night [2:54]

Cross Talk (1980):

1 I’m Calling [4:07]
2 Edge Of The Night [3:20]
3 Sea Of Blue [3:14]
4 Lost That Girl [2:50]
5 Bitter End [3:17]
6 Office Love [4:12]
7 Falling Again [0:20]
8 It’s So Hard [3:15]
9 She Don’t [4:08]
10 No Future [4:29]
11 Wish Fulfillment [3:06]
12 Sea About Me [3:23]
13 The Young Pretenders [4:06]

Rage Before Beauty (1999):

1 Passion Of Love [3:22]
2 Vivian Prince [5:15]
3 Everlasting Flame [3:46]
4 Love Keeps Hanging On [8:55]
5 Eve Of Destruction [3:03]
6 Not Givin’ In [4:02]
7 Pure Cold Stone [5:47]
8 Blue Turns To Red [4:01]
9 Goodbye, Goodbye [2:45]
10 Goin’ Downhill [4:12]
11 Play With Fire [4:07]
12 Fly Away [4:31]
13 Mony Mony [4:45]
14 God Give Me The Strength (To Carry On) [6:03]

Balboa Island (2007):

1 The Beat Goes On [4:10]
2 Buried Alive [3:35]
3 Livin’ In My Skin [3:59]
4 (Blues For) Robert Johnson [8:01]
5 Pretty Beat [2:52]
6 In The Beginning [4:42]
7 Mimi [2:34]
8 Feel Like Goin’ Home [2:43]
9 The Ballad Of Hollis Brown [6:28]
10 Freedom Song [4:46]
11 Dearly Beloved [4:59]
12 All Light Up [4:30]
13 Balboa Island [4:42]

I “Giochi Complicati” Di Un Poeta Texano ! James McMurtry – Complicated Game

james mcmurtry complicated game

James McMurtry – Complicated Game – Blue Rose Records/Ird

C’era molta attesa per questo dodicesimo album di James McMurtry, attesa dovuta all’alone culturale che avvolge questo songwriter (è figlio d’arte, suo padre è lo scrittore Larry McMurtry, vincitore di un premio Pulitzer), e a sette anni di distanza dall’ultimo disco in studio, James torna a raccontarci le sue storie di “Giochi Complicati”, con un lavoro molto interessante. Era il lontano ’89 quando il buon James esordiva su Columbia con il folgorante Too Long In The Wasteland, prodotto da John Mellencamp, e naturalmente suonava come un disco di Mellencamp https://www.youtube.com/watch?v=Zbh-JDU3dXE (con tutta la sua gang di musicisti e fonici), come pure il successivo Candyland (92) con stessa squadra, negli stessi studi. Dopo aver incontrato i favori della critica americana, al terzo giro, con Where’d You Hide The Body (95), James si affidò all’esperienza musicale di Don Dixon e alla chitarra di David Grissom, per cambiare lo stile compositivo nelle classiche lente ballate, rette su un semplice giro musicale, ma sostenute dalla personale tonalità dell’autore. Lasciata la Columbia, McMurtry si affida alla Sugar Hill, dove sforna un trittico di capolavori, It Had To Happen (97), Walk Between The Raindrops (98, e l’intenso (e dal bellissimo titolo) Saint Mary Of The Woods (02), con il suono (a)tipico di una jam-band, aiutato solo da una solida sezione ritmica (Ronnie Johnson e Daren Hess). Live In Aught-Three (04) è il primo disco dal vivo di McMurtry, quasi ottanta minuti di musica suonata con cuore e cantata con forza, accompagnato dalla sua band The Heartless Bastards, a cui fa seguire l’ottimo Childish Things (05) con ospiti di riguardo come David Grissom, Bukka Allen e Joe Ely in un duetto, Slew Foot; e ancora l’immancabile raccolta Best Of The Sugar Hill Years (07), arrivando ad un altro dei suoi capolavori con Just Us Kids (08), ricco di canzoni oneste e vere (anche politiche), scritte per raccontare la disperazione e i sogni della provincia americana, seguito dal secondo disco dal vivo Live In Europe https://www.youtube.com/watch?v=A_SakvKz3bM  (09) sempre con i suoi “Bastardi” che sono i già citati Ronnie Johnson,  Daren Hess, Tim Holt, più Ian McLagan, il tutto registrato durante il tour Europeo in Germania e Olanda (CD + DVD edito dalla Blue Rose) https://www.youtube.com/watch?v=mZ7NbFAPdcc , e dopo una pausa lunga di sette anni, questo nuovo lavoro Complicated Game, di cui mi accingo a parlarvi.

JamesMcMurtry2014-3 JamesMcMurtry2014-2ShaneMcCauley

Questo lavoro ha avuto una lunga gestazione in quel di New Orleans, e sotto la produzione del duo CC Adcock e Mike Napolitano, James, dalla Big Easy, ha saputo trarre un “sound” ricco e corposo, al servizio sia della narrazione che della scrittura https://www.youtube.com/watch?v=JztgL_r0OfE . Come al solito McMurtry oltre alla sua attuale band composta da Daren Hess alla batteria, Tim Holt alle chitarre, Ronnie “Cornbread” Johnson al basso, si avvale di validi musicisti di “area”, e di alcuni ospiti di valore quali il grande Benmont Tench al piano e all’organo, Derek Trucks alla slide-guitar e Ivan Neville alle armonie vocali, il tutto registrato ai Nappy Dug Marigny Studios a New Orleans.

Queste“ intricate storie” iniziano con Copper Canteen https://www.youtube.com/watch?v=IM_BjzDCDXs  e You Got To Me, entrambe con un ottimo lavoro (come è consuetudine nei dischi dell’artista texano) di chitarre, e sono seguite dai ritmi dettati dal banjo in Ain’t Got A Place https://www.youtube.com/watch?v=UCIXXqbrv9I  e dalla danzante atmosfera country-blues che si respira in She Loves Me, dal “talking-blues” intrigante di How’m I Gonna Find You Now, passando anche per la folk-ballad (marchio di fabbrica dell’autore) These Things I’ve Come To Know. Le narrazioni si semplificano con il country campagnolo di Deaver’s Crossing, per poi proseguire con la dolce e dolente ballata Carlisle’s Haul (con Tench che dispensa sapienti note all’Hammond B3), una southern song come Fargotten Coast con Derek Trucks che si diverte e ci intriga alla “slide”, un’altra ballata cantata à la Lou Reed come la “cinematografica” South Dakota, mentre con Long Island Sound  la mente e la melodia viaggiano verso l’amata Irlanda, con strumentazione del posto e una “pub-gang” alle armonie vocali, terminando la narrazione delle “storie complicate”, con le note acustiche di una Cutter di nuovo con Benmont Tench e la band in gran spolvero, a chiudere un’altro grande disco di McMurtry.

james mcmurtry 1 james mcmurtry 2

James McMurtry, occhiali da professore e cappello da cowboy, con questo Complicated Game rompe un silenzio discografico di circa sette anni, con un ritorno a suoni prevalentemente acustici, con le consuete ballate caracollanti che spaziano tra folk e country, senza dimenticare un pizzico di rock, con le “solite” storie di persone perdenti, confermandosi uno dei più acuti “storytellers” della sua generazione. Forse doveva fare lo scrittore James McMurtry (come voleva la famiglia), ma certamente non occorre essere un cultore del genere “americana”, per apprezzare l’arte del “songwriting” che dispensa questo cantore magnifico della “desolation row” della provincia americana e infatti, non a torto, qualcuno lo ha definito il Dylan del Sud.

Tino Montanari

Le Origini Di Alex Chilton. Box Tops – The Original Albums 1967-1969

box tops original albums 1967-1969

The Box Tops – The Original Albums 1967-1969 – 2 CD Raven distr. IRD

Alex Chilton è giustamente considerato uno dei grandi della musica rock americana, soprattutto per il suo contributo come leader dei Big Star, una delle più importanti band culto degli anni ’70 e anche per la successiva carriera come solista, proseguita nelle tre decadi successive. Ma il vero grande successo comerciale lo ha conosciuto proprio come cantante dei Box Tops, uno dei primi gruppi del cosiddetto “blue-eyed-soul”, inventato dal suo mentore e scopritore Dan Penn, cantante ma soprattutto autore, nonché produttore e talent-scout che, in collaborazione, con Chips Moman Spooner Oldham, prima agli American Studios di Memphis e poi ai Muscle Shoals fu una delle figure principali nella diffusione del soul e del R&B nelle classifiche americane (ma sarebbe una storia lunga, che peraltro andrebbe, ed è stata raccontata più volte). Quello che ci interessa in questo caso è la sua liaison con Chilton, giovane di belle speranze e leader di un gruppo di assoluti sconosciuti, i Devilles, che praticavano a metà anni ’60 un pop influenzato dal suono della british invasion. Chips Moman e Dan Penn erano alla ricerca di un cantante sulla falsariga di Stevie Winwood, un bianco con la voce da nero, che sull’altro lato dell’Atlantico stava sbancando le classifiche con lo Spencer Davis Group, per cui le due vecchie volpi acquisirono in toto i Devilles cambiando il loro nome in Box Tops ed istruirono Chilton per farlo cantare come un maturo cantante soul, mentre all’epoca il giovane Alex, aveva da poco compiuto 16 anni.

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Ovviamente il gruppo venne guidato, per non dire “plagiato” da Penn e dal giro abituale di musicisti suoi collaboratori, che erano quelli che suonavano nei dischi soul della Atlantic e della Stax, e poi avrebbero suonato con Presley e con le stelle del futuro movimento dei country outlaws, oltre agli stessi Penn e Spooner Oldham, tastierista sopraffino, possiamo ricordare il chitarrista Reggie Young, ma anche Tommy Cogbill, Bobby Emmons, il grande soulman Bobby Womack e tantissimi altri. A fianco di questi musicisti c’era anche un gruppo di autori di talento, a partire da Wayne Carson Thompson, l’autore di The Letter, un megasuccesso come singolo sul finire del ’67 (e successivamente ripresa anche da Joe Cocker, in una versione memorabile) e prima traccia dell’album di esordio dei Box Tops, intitolato proprio The Letter/Neon Rainbow. La voce originale di Chilton non era quella aspra, rauca e poderosa che il giovane impiegò nel singolo, ma venne studiata a tavolino, comunque con risultati devastanti, perché il timbro usato era veramente fantastico, degno dei migliori cantanti neri, ma non sarebbe stato quello di Alex nel resto della carriera. Anche i suoi compagni nel gruppo, con un vorticoso giro di membri utilizzati nei due anni di vita della band, con il solo chitarrista James Talley, oltre a Chilton, componente fisso, non avevano nessun compito specifico nella band, un po’ come succedeva con i Monkees, Alex cantava e Penn dirigeva, con ottimi risultati, tutta la baracca. Diciamo chiaramente che i Box Tops sono stati una band da singoli, le altre canzoni contenute negli album non dico che fossero dei meri riempitivi, ma diciamo che non erano dei capolavori.

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Anche se, come dimostra questa ottima doppia antologia della australiana Raven che raccoglie tutti i brani registrati per i quattro dischi pubblicati dalla Bell tra il Novembre 1967 ed il settembre 1969, oltre ai grandi successi, che erano anche le canzoni più belle, qualche piccola chicca era comunque presente. Naturalmente gli appassionati di musica saranno più che contenti di accappararsi questi CD, curati con la solita certosina abilità dai compilatori della etichetta, sia a livello suono, sia per l’ottimo libretto di 16 pagine che riporta tutte le notizie che occorre sapere, ma se trovate una antologia che contiene solo i singoli va bene lo stesso, per i “maniaci” la Sundazed aveva pubblicato anche i singoli CD con bonus.I quattro album sono stati inseriti in origine cronologico: nel primo, oltre a The Letter, c’è l’altro grande successo, Neon Rainbow https://www.youtube.com/watch?v=2ZtV2BDUPwwsempre firmata da Wayne Carson Thompson, autore anche di She Knows How, un altro discreto blue-eyed soul, che mette in evidenza la voce di Chilton, appesantita da un arrangiamento di archi e fiati che erano tipici dell’epoca, ci sono anche quattro brani firmati da Penn/Oldham, il lato B Happy Times, presente in versione mono (il resto è in stereo, a parte le bonus), sempre del sano soul con l’organo di Oldham in evidenza, ma Everything I Am e I Pray For Rain non sono memorabili, anzi, come pure la versione di I’m Your Puppet, grande successo per James & Bobby Purify, e anche la versione copia carbone di A Whiter Shade Of Pale, pur suonata e cantata benissimo non gli fa un baffo a quella dei Procol Harum https://www.youtube.com/watch?v=qB0z7ZV93e0 (voi direte, e i Dik Dik?) , la cover di un brano di Bacharach e anche le due canzoni scritte da Bobby Womack non vanno oltre la sufficienza.

Nel primo CD c’è anche il secondo long playing completo del 1968, Cry Like A Baby, con il singolo che gli dà il titolo come brano migliore, anche grazie all’intervento della chitarra-sitar di Young e alla verve della canzone (c’era stata pure una versione italiana Mi Sento Felice, purtroppo non inserita nel doppio https://www.youtube.com/watch?v=LwMA8D5yfg4 ): ma nel secondo album, forse il più compiuto della discografia per il tipo di suono, non male il blue-eyed-soul con i soliti archi e fiati di Deep In Kentucky, un paio di brani di Mickey Newbury, non tra i suoi migliori, e questo della qualità delle canzoni è il problema di tutti gli album, Oldham e Penn ne firmano altre tre, oltre alla title-track. c’è una versione di You Keep Me Hangin’ On delle Supremes, trasformata in un pezzo rock, che sarebbe una idea geniale se non l’avessero già fatta i Vanilla Fudge l’anno prima https://www.youtube.com/watch?v=nTKb1btXDSwEvery Time, piacevolissima https://www.youtube.com/watch?v=9yFwBxbp27E , sembra una delle canzoni che faceva Tom Jones, in quel periodo, del pop di gran classe, come pure Fields Of Clover e Lost, dove Young si cimenta ancora al sitar elettrico e 727, una gagliarda pop song con la bella voce di Chilton in primo piano https://www.youtube.com/watch?v=fmAJGJjW08o . Per completare il primo CD la Raven ha aggiunto come bonus le versioni mono dei grandi successi e qualche lato B dei singoli, due canzoni con la firma di Alex Chilton, le prime scritte dal geniale musicista americano, lontane dai fasti futuri dei Big Star, anche se Come On Honey non è malaccio.

box tops dimensions box tops non stop

Il secondo CD contiene Non-stop, il terzo album uscito nel luglio del 1968 e Dimensions, il quarto e ultimo, pubblicato nel settembre del 1969: come al solito sono i singoli i brani migliori, Choo Choo Train, scritta da Donnie Fritts ed Eddie Hinton, è un ennesimo esempio di ottima soul music fatta da bianchi https://www.youtube.com/watch?v=2TRfjxTNKcw  e I Met Her In Church, di Penn e Oldham è quasi un gospel-rock soul degno del grande Elvis https://www.youtube.com/watch?v=BDDBRt8_O1w , I’m MovinOn, il celebre brano di Hank Snow, è un ottimo country-rockabilly, Sandman, scritta da Wayne Carson Thompson è fin troppo melodrammatica, come usava all’epoca, nonostante l’elettrica minacciosa di Young, buona People Gonna Talk, sulla scia dei successi dei Box Tops, con quell’andatura ondeggiante, una prima versione di Rock Me Baby di BB King, che non inserirei tra le migliori 100 versioni del brano, anche se Chilton ci mette del suo, come pure i musicisti impegnati, ma non c’entra niente con il resto, che non resterà negli annali del pop. Dimensions si apre con Soul Deep, l’ultimo grande singolo del gruppo https://www.youtube.com/watch?v=IhN6IqCKzkw  ed è seguita da una bella versione di I Shall Be Released, la canzone di Dylan resa immortale dalla Band su Music From Big Pink, qui Chilton canta con la sua voce normale, non sforzata, quella che userà in futuro e lascia intravedere le potenzialità del futuro genio del pop-rock che sarà https://www.youtube.com/watch?v=VLz985ozQ3M . Midnight Angel si lascia ascoltare come Together, uno dei tre brani a firma Chilton contenuti nell’album, gli altri due I Must Be The Devil, uno strano blues, che fa il paio con un’altra versione lunghissima, oltre nove minuti, di Rock Me Baby, posta in chiusura dell’album e decisamente migliore di quella presente nel LP precedente. Per completismo ricorderei pure una canzone di Neil Diamond, Ain’t No Way, puro pop dell’epoca, tipo quelle che scriveva ai tempi per i Monkees, ma non così bella. Direi che è tutto: ribadisco, soprattutto per appassionati di white soul e buona, anzi ottima pop music, forse “troppo” ma comunque due bei dischetti!

Bruno Conti

Dal Profondo Nord, Grande Musica. Basko Believes – Idiot’s Hill & Johan Orjansson – Melancholic Melodies For Broken Times

johan orjansson basko believes idiot's hill

Basko Believes – Idiot’s Hill – Rootsy/Ird

Johan Orjansson – Melancholic Melodies For Broken Times – Rootsy/Ird

Il protagonista dei due dischi è sempre lo stesso, lo svedese Johan Orjansson, che quando decide la mossa di confrontarsi con il mercato americano assume il nome d’arte di Basko Believes, più facile da memorizzare rispetto al suo cognome, ma i tratti distintivi della musica, benissimo inquadrati dal titolo dell’album pubblicato con il proprio vero nome (peraltro già il quarto uscito nella sua nativa Svezia, dove con una certa dose di ironia, forse humor svedese, dice la sua biografia essere il nostro amico una star nella cittadina della costa occidentale, Falkenberg https://www.youtube.com/watch?v=BXVaxqn1cXM ) sono proprio, per coniare un neologismo composito, quelli di una sorta di neo folk-rock-nordic-soul, malinconico, ma ricco nelle melodie. Pensate al Ryan Adams più raccolto, come hanno detto molti in relazione a Melancholic…, ma anche a brani come la stupenda Rain Song in Idiot’s Hill https://www.youtube.com/watch?v=X4tLA6V8gjQ , dove però aleggia pure lo spirito di Ray LaMontagne e del suo “padre putativo” Van Morrison, altrove la voce assume un timbro vocale che ricorda in modo impressionante quello del miglior David Gray o del Damien Rice più intenso, in un vorticare intimo di organo, tastiere, fiati, archi e chitarre che accompagnano il canto partecipe ed acceso.

basko believes live Basko-Live

Vado un poco a caso, saltando tra i due album, che sono uno la conseguenza dell’altro. Con il più vecchio dei due (anzi da prima ancora) Johansson si fa conoscere da musicisti americani come Israel Nash Gripka, che duetta con lui nella dolcissima If I Were To Love You https://www.youtube.com/watch?v=_NhjFRjLR3I , un brano dove, nella mia opinione, a fianco delle evidenti influenze del suono roots-Americana (d’altronde per chi incide per la Rootsy è quasi un destino) https://www.youtube.com/watch?v=JoylMPYhcSk , possiamo trovare, anche grazie alle tonalità vocali, il Bono (ebbene sì, almeno come timbro basso) più ispirato delle ballate del “periodo americano” degli U2, che, detto per inciso, una volta facevano ottima musica, non dimentichiamolo! Tra i colleghi ammiratori anche Will Kimbrough e i Deadman, e, soprattutto i Midlake, nei cui studi di Denton, Texas, Orjansson, dopo il cambio di nome in Basko Believes, si reca ad incidere il nuovo CD Idiot’s Hill, un album dove la voce ricca di soul di Johan si fonde a meraviglia con i ricchi arrangiamenti pensati dal chitarrista Joey McClennan e dal batterista McKenzie Smith (i due Midlake). Aggiungete il basso di Aaron McClennan (parente?) in prestito dalla band di Gripka e tutto un florilegio di musicisti vari, altri Midlake passati e presenti, come Evan Jacobs alle tastiere e Jesse Chandler al flauto, e ancora Buffi Jacobs al cello e Daniel Hart, ex dei Polyphonic Spree, al violino, le armonie vocali sognanti di Kaela Sinclair ed i fiati di Pete Clagett e David Monsch, tutti utilizzati alla perfezione nella lunga Going Home https://www.youtube.com/watch?v=vts5kBmJsGU, una ardente ballata ricca di picchi e vallate sonore, con la musica che sale e scende seguendo l’umorale cantato di Orjansson, punteggiato dallo struggente violino di Hart e dal flauto di Chandler, quasi a ricreare atmosfere care ai Caravan più pastorali e meno progressivi.

Basko BlackWhite press portrait

La scelta di Orjansson di abbandonare i vecchi amici musicisti svedesi con i quali aveva condiviso i primi album non deve essere stata facile, anche alla luce delle ottime musiche che scaturiscono dall’eccellente Melancholic Melodies For Broken Times, che al di là degli opulenti arrangiamenti e di un suono più professionale, a livello di intensità non ha nulla da invidiare al nuovo album: Down The Avenue ha già quella epica rock & soul, dove LaMontagne e David Gray (per la voce, somigliante in modo incredibile, in entrambi gli album) si incontrano per interpretare una melodia alla Ryan Adams o alla Jayhawks, per non parlare del grande Van. Il delicato intreccio di chitarre acustiche nel country-rock dell’iniziale Honey Pie, dove si evidenzia anche un insinuante tocco di armonica confluisce in un’altra ballatona ariosa come Papercuts, caratterizzata da un felice uso delle armonie vocali atte a creare dei piccoli ganci sonori che evidenziano la melodia del brano, caratteristica che ricorre spesso nelle canzoni dello svedese. The Yellow Fields con l’uso di una slide pungente ha le caratteristiche di un suono più di matrice “Americana” e grintoso, a tratti, pur se l’arte della ballata, “melanconica” mi raccomando, è pur sempre la caratteristica più evidente https://www.youtube.com/watch?v=1fGbVzu4AuQ , come dimostra vieppiù Houses, una delizia semiacustica nell’incipit e che poi si affida ad un leggero ma sicuro crescendo di chiariscuri sonori, che ribadiscono la classe e l’ecletticità di questo signore delle terre del nord che non teme di affrontare neppure il country honky-tonkeggiante di Pointless Alleys, ove i sospiri di una pedal steel e della lead guitar si fanno largo nelle pieghe della melodia accattivante, per poi concludere il suo percorso nella batteria spazzolata, nella seconda voce femminile e nelle atmosfere jazzate della dolcissima Rather Be With You, che saranno una sorta di preludio alle atmosfere del nuovo album.

Basko_Believes

Continuando a vagare tra i due dischi e tornando definitivamente, per concludere, a Idiot’s Hill, come non ricordare i due brani strumentali, In A Glade e Out Of A Glade, che aprono e chiudono l’album e che possono ricordare gli sketches sonori dei dischi di Nick Drake, altro musicista che occorre ricordare tra i punti di riferimento della musica dei/di Basko Believes: Wolves, con i lupi che iniziano ad uscire metaforicamente dalla radura è più scura ed autunnale https://www.youtube.com/watch?v=AfEdVZb3Dmc , anche se la musica si fa più elettrica e vicina agli U2 meno pomposi (l’ho detto e lo ripeto, sarà quella chitarrina tremolante), o se preferite i Midlake meno prog, persino Mumford and Sons quando abbandonano le tematiche folk; The Waiting, con un ritornello cantabile, fiati, archi e tastiere avvolgenti https://www.youtube.com/watch?v=8hoCLW3uamA , è un altro magistrale esempio di questo soul nordico, grazie anche ai vocalizzi ripetuti di un Orjansson quasi ingrifato. Lift Me Up con la sua elettrica riverberata potrebbe ricordare le atmosfere felpate delle creature sonore di Mark Kozelek https://www.youtube.com/watch?v=vdz4BQvhpM8 , mentre The Entertainer, con un leggero falsetto, è intensa e mirabile come le migliori canzoni dei Gray e Rice ricordati prima. Detto di Rain Song e Going Home rimangono la cameristica e sofisticata Archipelago Winds https://www.youtube.com/watch?v=SwUbtHF8Vq8  e il folk-rock quasi jingle-jangle della delicata Leap Of Faith a completare questa opera che si presenta come un piccolo gioiello di equilibri sonori e che fa il paio con il disco precedente, per una quasi imprescindibile accoppiata destinata agli amanti delle belle sorprese e dei talenti sicuri e certi. Prendete nota, dopo Richard Lindgren, dalla Svezia, Basko Believes o Johan Orjansson, comunque non potete sbagliare!

Bruno Conti