Un Chitarrista Per Tutte Le Stagioni. Così Parlò Robben Ford!

robben ford interview Robben-Ford

In occasione dell’uscita del nuovo album di Robben Ford Into The Sun mi è stato chiesto di fare, attraverso gli auspici della sua etichetta, quattro chiacchiere con il  grande chitarrista californiano, uno dei più longevi, eclettici e multiformi virtuosi della chitarra, uno che ha attraversato, in cinque e più decadi di attività musicale, praticamente tutti i generi, dal blues al jazz, passando per rock, fusion, soul e qualsiasi altro stile vi venga in mente. Ha suonato con una infinità di musicisti nel corso degli anni, dagli esordi blues con la Charles Ford Blues accompagnando Charlie Musselwhite, passando per Jimmy Witherspoon ed approdando alla fusion degli L.A. Express di Tom Scott che lo portano a suonare con Joni Mitchell, poi l’avventura con un altro gruppo fusion come i Yellow Jackets, ma anche un breve assaggio con i Kiss, poi la collaborazione con Miles Davis, ma anche nella band dello show televisivo Sunday Night della NBC, oltre a decine di album a nome proprio che sono andati in tutte le direzioni musicali. Veramente un chitarrista per tutte le stagioni. Quindi mi sono preparato una serie di domande, tenendo conto che nel momento in cui le facevo, avevo ascoltato il nuovo disco solo in streaming ed ero quasi completamente a digiuno delle circostanze che avevano portato alla registrazione e quindi mi accingevo a chiederle al soggetto in questione http://discoclub.myblog.it/2015/03/17/la-classe-acqua-2-robben-ford-into-the-sun/ . Devo dire che le risposte sono state cortesi e puntuali, ma molto laconiche e stringate, non dico che apparisse seccato ma quasi l’impressione era quella, forse si tratta semplicemente di riservatezza. Per chi non ha avuto occasione di leggerla sul Buscadero, comunque ecco il fedele resoconto della conversazione via mail: ogni tanto ho riunito più domande visto che le risposte erano veramente brevissime.

Ciao Robben, come va? Spero tutto bene! Prima di iniziare una domanda “geografica”. Io ti chiamo da Milano, tu dove ti trovi al momento, ed è il luogo dove risiedi attualmente?

Ojai, California.

Se non sbaglio i due dischi precedenti sono stati registrati a Nashville, A Day In Nashville, come suggerisce il titolo, addirittura in un giorno, mentre anche Bringing It Back Home, ho letto, è stato realizzato in soli tre giorni di sessions a LA. Questo nuovo, Into The Sun, ha avuto lo stesso tipo di approccio?

BIBH è stato registrato a Los Angeles, tre giorni per le registrazioni basiche, poi gli overdubs e il mixaggio hanno richiesto ancora un poco di tempo. Il nuovo album è stato fatto in un periodo di due mesi, adattandosi agli impegni dei musicisti coinvolti nelle registrazioni.

Nelle poche note di presentazione dell’album che ho ricevuto per recensirlo, sembrava che Niko Bolas, l’ingegnere del suono da molti anni tuo collaboratore, non fosse però il produttore del disco.  Quindi lo hai prodotto tu, giusto?

E’ stato prodotto da Cozmo Flow, una nuova conoscenza dal Minnesota (NDA?!?, mai sentito e non trovato neppure in rete),

Ho anche notato che nel nuovo disco, a parte un brano firmato con la cantante ZZ Ward e quattro pezzi scritti con Kyle Swan, le canzoni sono tutte tue, è vero?

Generalmente scrivo sempre io la mia musica. ZZ Ward ha contribuito i primi quattro versi del brano dove canta, mentre ho scritto tutta la musica del disco, con l’eccezione di Same Train, di Kyle Swan e So Long For You di mio nipote Gabe. Kyle ha anche contribuito con i testi di altre tre canzoni.

Nel disco appare anche il giovane chitarrista e cantante texano Tyler Brown, che recentmente ha fatto un disco con il gruppo degli Shakedown. Non sapevo nulla di Kyle Swan, ma per curiosità sono andato a sentirmi il suo disco Gossamer e, sinceramente, non ho capito che genere di musica faccia:“strana” è il termine corretto?

(Robben glissa su Tyler Brown) Kyle è uno che rompe la regole, molto creativo, ricco di talento. Ama Mingus e Monk, che è il motivo per cui ci siamo trovati a collaborare insieme.

Sembrerebbe che le tue orecchie (come sempre) siano aperte a tutti i generi di musica e ti tieni anche aggiornato con i nuovi nomi in circolazione e quindi, come conseguenza vorrei chiederti se sei sempre un amante della musica, non solo un ascoltatore casuale, oltre che un facitore della stessa?

Sì amo sempre la musica. Non sono poi così aggiornato e ascolto ancora soprattutto un sacco di gente morta. Il musicista vivente che preferisco è Sonny Rollins.

Ovviamente nel disco appaiono molti altri eccellenti musicisti: Warren Haynes, Sonny Landreth, Keb’ Mo’, Robert Randolph e in passato, nel corso degli anni, hai collaborato praticamente con quasi tutti, nel campo musicale. L’arte della collaborazione sembra innata nel tuo modo di fare musica, è così?

Mi piace lavorare con altre persone. Lo farei ancora di più se ci fosse più creatività in circolazione. La gente mi sembra pigra, non si spingono abbastanza in là.

Come giovane musicista, secondo le tue biografie, sei stato influenzato principalmente dal blues e Michael Bloomfield sembra essere stato il primo chitarrista che ammiravi quando eri un ragazzino, è vero? Ma nel corso degli anni hai sviluppato un tipo di suono di chitarra che è solamente tuo. Quando ti ascolto suonare la prima cosa che mi viene in mente quasi automaticamente è “Wow, questo è Robben Ford”! Come nel passato era stato per Hendrix, Clapton, Peter Green (un mio pallino), Santana, nel Blues i tre Kings (BB., Albert and Freddie), e, in anni recenti,  Stevie Ray Vaughan, e molti altri che sono istantaneamente riconoscibili. Come hai ottenuto quel tipo di suono? Il tipo di chitarre, Gibson SG e Telecaster? Tante prove? Talento assoluto? Una combinazione di tutti questi elementi? E sei conscio del tipo di suono che crei?

Ascoltare soprattutto suonatori di sax tenore mi ha realmente aiutato a creare il mio particolare suono alla chitarra. E’ un buon consiglio, ad un certo punto, smettere di ascoltare chitarristi e andare a cercare la tua fonte di ispirazione da qualcosa d’altro.

Ma tornando al nuovo disco, mi sembra che questa volta il tuo obiettivo fosse di mescolare tutte le tue passioni musicali: blues, rock, jazz, persino musica pop, intesa nel suo senso più nobile, per creare un approccio più fresco alla musica, e in questo senso il disco è molto riuscito, uno dei tuoi migliori in assoluto?

L’ispirazione è imprevedibile, e tu vai dove la tua Musa ti porta. Si potrebbe dire che ci sono voluti anni per arrivare a questo disco e non assomiglia a nulla di ciò che ho realizzato in passato. Non ho mai fatto un disco migliore di questo. 

Ho provato a chiedergli chi erano i musicisti che hanno suonato nel disco, anche in relazione ad alcuni specifici brani ed alcuni commenti su Robert Randolph (da me definito una sorta di Hendrix della pedal steel) e gli altri ospiti presenti del disco, nonché una lista di chitarristi contemporanei (ma anche del passato) con cui ha collaborato nel corso degli anni, ma non solo quelli e la stringatissima risposta alle due domande, legata insieme, è la seguente.

Ho incontrato Robert (Randolph) al North Jazz Sea Festival. Per ciò che riguarda i chitarristi contemporanei che ammiro, certamente Mike Landau e Eric Johnson.

Ho provato anche a chiedergli un giudizio su alcuni cosiddetti “chitarristi” di culto, Link Wray, Lonnie Mack, Roy Buchanan, Danny Gatton e sulle sue collaborazioni musicali passate con grandi musicisti. La risposta è stata questa.

Mentre sul tipo di musica che ama suonare, mi ha risposto

Mi piacciono le buone canzoni, ed è il motivo per cui scrivo così tanto. Lo stile non è importante, la qualità sì.

Non avendo ancora in mano il disco ho provato a chiedere se il primo brano, Rose Of Sharon, uno di quelli dalla costruzione sonora “più strana” fosse frutto della collaborazione con Swan, ma la risposta è stata.

Rose Of Sharon non ha nulla a che fare con Kyle.

Ho ancora provato a chiedere se il suono decisamente rock del brano con Tyler Bryant, e anche quelli con Haynes e Landreth, segnalava uno spostamento verso un sound più rock e grintoso, e indovinate quale è stata la risposta?

Mentre risponde alla domanda sul sound fresco e favoloso, dal timbro soul e R&B, di  Days Of The Planets e Breath Of Me, con il suono della chitarra perfettamente evidenziato nel mixaggio, in modo quasi cristallino, il tipico “Robben Ford sound”, come viene ottenuto?

In Breath ho usato la mia Telecaster ’60, attraverso gli amplificatori Dumble in “impostazione Overdrive” (NDA Qualsiasi cosa voglia dire!), mentre in Planets ho utilizzato la Gibson Sg del ’64, che ormai uso da molti anni, sempre attraverso gli stessi amplificatori.

Appurato da questa risposta che era il “vero Robben” a rispondere alle mie domande, ho provato a buttargli lì la classica domanda sui cinque dischi da portare sull’Isola Deserta e qui si è animato un po’ nella risposta, sorprendendomi anche con la prima scelta.

New York Tendaberry- Laura Nyro; Live At The Village Vanguard- John Coltrane; Juju- Wayne Shorter; My Funny Valentine- Miles Davis; Sonny Rollins On Impulse!- Sonny Rollins.

Un bel grazie da R. per concludere e fine delle trasmissioni.

Bruno Conti

P.S. Attualmente Robben Ford è nel pieno del suo tour europeo, con 2 date anche in Italia:

14 maggio Roma
Auditorium Parco della Musica Sala Sinopoli

16 maggio Padova
GranTeatro Geox

Prossime Uscite Future: Alcuni Suggerimenti. Jeff Beck, Paul Weller, Pete Townshend, Dawes, Indigo Girls, Rickie Lee Jones, Richard Thompson

jeff beck - live+

Qualche suggerimento su alcuni titoli interessanti in uscita tra fine maggio e fine giugno (oltre a quelli già segnalati con appositi Post, tipo le ristampe degli Stones  e il nuovo James Taylor e altri in uscita a maggio, che saranno oggetto del solito riepilogo riassuntivo di fine mese, oltre alle singole recensioni, che non mancano mai). Partiamo con il CD che vedete effigiato qui sopra, come dice il titolo Jeff Beck Live+ è l’ennesimo album dal vivo del grande chitarrista inglese, tuttora in giro per il mondo con il tour da cui è stato estrapolato il disco, registrato in diverse date del 2014. La tournée è in parte in solitaria, con alcune serate dove Jeff Beck si esibisce con i ZZ Top. Questo nuovo album dal vivo è in uscita per la Atco/Rhino/Warner in data 19 maggio e conterrà anche due pezzi nuovi in studio (il + del titolo), mentre entro fine anno dovrebbe uscire anche un album di studio completo, il seguito di Emotion & Commotion del 2010. CD, Ep e DVD Live di Beck ne sono usciti parecchi in questi ultimi anni, tra cui un titolo, Yosogai, solo per il mercato giapponese, che conteneva due brani in studio e una versione dal vivo di Danny Boy con Imelda May alla voce, ma questo Live+ si annuncia come una uscita particolarmente interessante: in formazione, oltre alla bassista Rhonda Smith e al batterista Jonathan Joseph, troviamo un secondo chitarrista, Nicolas Meier, ma soprattutto, alla voce, Jimmy Hall, proprio quel Jimmy Hall dei Wet Willie, già presente come cantante in quello che è probabilmente il disco più brutto di Beck Flash (ma erano gli anni ’80 e la versione di People Get Ready con Rod Stewart, salvava in parte l’album). Per l’occasione Hall, anche all’armonica, è in grande spolvero, aiutato anche dal repertorio scelto per l’occasione:

1. Loaded
2. Morning Dew
3. You Know You Know
4. Why Give It Away
5. A Change Is Gonna Come
6. A Day In The Life
7. Superstition
8. Hammerhead
9. Little Wing
10. Big Block
11. Where Were You
12. Danny Boy
13. Rollin And Tumblin
14. Going Down
15. Tribal
16. My Tiled White Floor

Negli ultimi due brani, quelli in studio, ci sono due voci femminili, Ruth Lorenzo e Veronica Bellino. Qui un piccolo assaggino https://www.yahoo.com/music/hear-it-first-jeff-beck-previews-live-118130062071.html

paul weller saturns patterns paul weller saturns patterns deluxe

Sempre il 19 maggio, anche Paul Weller pubblica il suo nuovo album Saturns Pattern, il primo ad uscire per la Parlophone del gruppo Warner ( e Paul corona il sogno di incidere per la stessa etichetta dei Beatles). Naturalmente non manca la versione Deluxe, anzi ce ne sono due, quella con CD, DVD, Vinile colorato, poster e libretto di 20 pagine, che vedete qui sopra, e quella “solo” CD+DVD.

Quest’ultima contiene l’album con 9 brani e un DVD con making of vari e due videoclips, mente la Superdeluxe ha 12 brani nel primo CD:

Tracklist
CD:
1. White Sky
2. Saturns Pattern
3. Going My Way
4. Long Time
5. Pick It Up
6. I’m Where I Should Be
7. Phoenix
8. In The Car…
9. These City Streets
[Bonus Tracks For Deluxe Box Set Only]
10. (I’m a) Roadrunner
11. Dusk Til Dawn
12. White Sky (Prof. Kybert vs. The Moons Remix)

DVD:
1. Saturns Pattern (Behind the Album)
2. Saturns Pattern (track-by-track)
3. White Sky (video)
4. Long Time (video)
5. Long Time (behind-the-scenes)
6. Saturns Pattern photo-shoot (behind-the-scenes)

indigo girls one lost day

A quattro anni dal precedente Beauty Queen Sister, esce il nuovo album, sempre per la Vanguard, delle Indigo Girls. Si chiama One Lost Day, esce il 2 giugno p.v https://www.youtube.com/watch?v=iNe6Cgewxik  e a differenza dell’ultima uscita non sembrerebbero esserci ospiti più o meno famosi, anche se la pattuglia dei musicisti utilizzati è consistente: nuovo produttore Jordan Brooke Hamlin (Lucy Wainwright Roche) e, già presenti in Beauty, Brady Blade e Carol Isaacs. oltre alla touring band delle Indigo Girls e alcuni musicisti addizionali, tra parentesi è indicato con chi hanno suonato in passato: Lex Price (k.d. lang, Mindy Smith), Butterfly Boucher (Ingrid Michaelson, Katie Herzig, Mat Kearney), Fred Eltringham (Sheryl Crow, The Wallflowers, Gigolo Aunts) e Chris Donohue (Dave Matthews, Patty Griffin, Lucinda Williams, Robert Plant) https://www.youtube.com/watch?v=PyO2JDbmsNs . Ai link trovate alcuni video del work in progresso nella registrazione dell’album https://www.youtube.com/watch?v=DUuRKu2zAF4 e https://www.youtube.com/watch?v=7ZtzcdP8uOg

dawes all your favorite bands

Sempre il 2 giugno nuovo CD anche per i californiani Dawes All Your Favorite Bands: secondo i componenti del gruppo si tratta del loro miglior album in assoluto, ma, come detto in altre occasioni, raramente ho sentito qualcuno dire il contrario, salvo pentirsene in un secondo momento. Non sembrerebbe il caso di questo album, etichetta Hub Records (??), visto che il produttore è Dawid Rawlings, da sempre garanzia di qualità, e a giudicare dalla esibizione al David Letterman Show di qualche settimana fa le premesse sono ottime https://www.youtube.com/watch?v=ym3KKRDB9-c. Nella stessa occasione hanno anche eseguito una bellissima versione del brano di Warren Zevon Desperadoes Under The Eaves richiesta espressamente dall’anchorman, in quanto tra le sue canzoni preferite in assoluto e non andata poi in onda nello show https://www.youtube.com/watch?v=drXEp-JjD6U

pete townshend classic quadrophenia cd+dvd pete townshend classic quadrophenia

Un’altra versione? Ebbene sì, dopo la versione rock, quella cinematografica, quella teatrale e innumerevoli versioni dal vivo, in fondo ci mancava un bel Classic Quadrophenia su etichetta Deutsche Grammophon (dove raggiunge Sting, tra gli autori classici dell’etichetta tedesca). A nome Pete Townshend, arrangiato dalla compagna Rachel Fuller, eseguito dalla Royal Philarmonic Orchestra diretta da Robert Ziegler, interpretato dal tenore Alfie Boe, ospiti Billy Idol e Phil Daniels, oltre allo stesso Townshend. Però al sottoscritto non mancava, e continuerà a mancare, anche dopo l’uscita, prevista, dopo vari rinvii, per il 9 giugno, almeno a giudicare dal teaser https://www.youtube.com/watch?v=o-ev6f53g8M e da questo brano eseguito da un cantante classico (magari mi sbaglio, ma mi sembra come sentire Hey Jude o Like A Rolling Stone cantate, chessò, a caso, da Bocelli, orrore)! Canzoni bellissime, ma è rock, per favore…però ognuno è libero di apprezzare. Questo non ve lo suggerisco, ve lo segnalo solo!

rickie lee jones the other side

Nuovo Rickie Lee Jones, The Other Side Of Desire, etichetta di distribuzione Thirty Tigers, la stessa di Lucinda Williams, finanziato dai fans attraverso Pledge Music e registrato a New Orleans, città dove ora vive, ispirato dall’opera di Tennesse Williams ambientata nelle strade della città della Louisiana, prodotto da John Porter, uscirà il 23 giugno. Titoli delle canzoni, le prime, nuove, scritte da una decina di anni a questa parte:

1. Jimmy Choos
2. Valtz de Mon Pere (Lovers’ Oath)
3. J’ai Connais Pas
4. Blinded By The Hunt
5. Infinity
6. I Wasn’t Here
7. Christmas in New Orleans
8. Haunted
9. Feet On The Ground
10. Juliette
11. Finale; (A Spider In The Circus Of The Falling Star)

E una piccola anticipazione…

richard thompon still

Last but not least, come dicono quelli che parlano bene, e mai fu più vero, Richard Thompson è pronto a pubblicare un nuovo disco, Still, che uscirà il 23 giugno, Proper in Europa e Fantasy negli Stati Uniti. Si tratta di una collaborazione, a livello musicale e di produzione, con Jeff Tweedy dei Wilco (nello studio di Chicago del quale è stato registrato il disco). Mica male come accoppiata: i due, in alcune interviste, hanno detto di essersi trovati molto bene a lavorare insieme, e Thompson in particolare ha ricordato che questo nuovo approccio al suono e agli arrangiamenti potrebbe essere una sorpresa per gli ascoltatori, variazioni sottili ma percepibili. Ma d’altronde quando è stato l’utimo album brutto del grande Richard (uno dei miei preferiti in assoluto)? Credo mai. Comunque ci sarà anche una versione Deluxe doppia, come usa molto spesso ultimamente nella produzione del musicista inglese, che ormai vive negli States da moltissimi anni. Questi i brani del doppio CD:

1. She Never Could Resist A Winding Road
2. Beatnik Walking
3. Patty Don’t You Put Me Down
4. Broken Doll
5. All Buttoned Up
6. Josephine
7. Long John Silver
8. Pony In The Stable
9. Where’s Your Heart
10. No Peace, No End
11. Dungeons For Eyes
12. Guitar Heroes

Deluxe Edition Bonus CD2 Variations:
1. Fork In The Road
2. Wounding Myself
3. The May Queen
4. Don’t Take It Laying Down
5. Fergus Laing

 E’ tutto per oggi, alla prossima.

Bruno Conti

Oscure E “Rumorose” Trame Sonore. Midnight Ghost Train – Cold Was The Night

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The Midnight Ghost Train – Cold Was The Ground – Napalm Records

Vengono da Topeka, Kansas, o meglio, questi Midnight Ghost Train nascono a Buffalo, nello stato di New York, nel 2008, ma già nel 2010 sono nel Kansas dove registrano il primo album omonimo nel loro studio casalingo, ora con questo Cold Was The Ground approdano al terzo disco di studio, inframmezzato da un disco dal vivo, uscito nel 2013. Si tratta del primo album pubblicato dopo avere firmato per la Napalm Records, etichetta austriaca nota per il suo catalogo di heavy metal estremo, ma che ogni tanto si cimenta anche con gruppi dell’area stoner e hard rock più classico. La prima cosa che colpisce è la copertina inquietante del CD, una foto da american gothic, alleggerita e mitigata dalla foto sul retro che ci presenta una “panterona” discinta su un divano, che ammicca verso la camera del fotografo. Lo stile musicale, come forse si intuisce da questa breve presentazione, oscilla appunto tra lo stoner rock cattivo di band come Fang, Clutch ed altre simili, che abitualmente non frequento nei miei ascolti musicali, ma che hanno ovviamente un loro seguito e anche elementi dei Kyuss, tra i progenitori del genere, e andando più indietro, il classico hard dei primi Black Sabbath. La voce del leader, cantante e chitarrista della band, Steve Moss, è stata descritta come una via di mezzo tra Chuck Billy (sempre per non chi frequenta, cantante della band trash metal dei Testament) e Tom Waits, e qui conosciamo.

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Per il sottoscritto mi sembra più avvicinarsi ai “cantanti” di band di death metal nordiche, e quindi non propriamente tra i miei preferiti, francamente faccio abbastanza fatica (per usare un eufemismo) a digerire questo stile canterino (Lemmy è un “raffinatone” al confronto), ma la parte prettamente strumentale non è male: il classico heavy power trio, direi assai heavy, pochissimi gli assolo, quasi assenti, comunque capace di escursioni in un rock-blues sporco e cattivo, molto “polveroso”, dove le storie di donne, birra, tabacco e whisky si mescolano a narrazioni più oscure in cui voodoo, dark ladies, pastori protestanti e strani personaggi che popolano le lande americane si confondono con atmosfere musicali laddove anche una certa dose di southern rock (giusto un briciolo), quello più cattivo, neanche a dirlo, si amalgama con il desert rock e il primo heavy metal degli anni ’70. Quindi siete stati avvisati e sapete cosa aspettarvi ascoltando questo disco.

Se siete ancora qui, vediamo anche una breve disamina dei brani contenuti in Cold Was The Ground. Il suono è duro e grezzo, la voce è difficile da digerire (ma anche Tom Waits, fatte le debite proporzioni, non è un cantante “facile”, però ha un suo lato romantico, totalmente assente nell’attitudine di questo Steve Moss): Among The Chasm, l’intro strumentale, sembra un brano di Master Of Reality dei Sabbath (o dei Masters Of Reality), con ampio uso di wah-wah, mentre già in Gladstone le atmosfere si stemperano e si fanno più complesse, pur se in un ambito costantemente heavy https://www.youtube.com/watch?v=L1ep1mzAsi8 , anche se l’ascolto della vocalità di Moss è da subito “faticoso” per non i non adepti, con il suo timbro ursino. BC Trucker, un inno ai conducenti di camion, accelera i tempi verso un classico metal seventies con un suono denso di riff https://www.youtube.com/watch?v=0sCRSZPfHHA , mentre Arvonia   vira verso lo stoner, o desert rock, se preferite, alla Kyuss, con chitarre, basso e batteria che pestano di brutto, con leggere variazioni sul tema https://www.youtube.com/watch?v=fvUZB0ft-7g . One Last Shelter, è un altro strumentale, che, tra accelerazioni e frenate, si muove sempre negli stessi territori https://www.youtube.com/watch?v=32YmNIldGJ0 , seguito da un’altra durissima The Canfield. Insomma, più o meno ci siamo capiti, 227 è un blocco unico, granitico, mentre per Little Sparrow, parlando di passerotti, Moss ci concede un attimo di tregua, quasi waitsiano nella sua inconsueta, per lui, lievità. Ma è un attimo, le conclusive Twins Souls e Mantis, i brani più lunghi del disco, tornano sulle consuete coordinate di “viulenza abatantuoniana”.

Bruno Conti

Una Sorta Di Moderna Nitty Gritty Dirt Band, Musica Solare E Deliziosa! Session Americana – Pack Up The Circus

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Session Americana – Pack Up The Circus – Continental Song City / Ird

Come minacciato e promesso, eccomi a parlarvi dei bravissimi Session Americana, visti e sentiti domenica scorsa 3 maggio al Bar Trapani in quel di Pavia, con tanta bella gente e la presenza di personaggi famosi della musica italiana roots, come l’amico Ed Abbiati dei Lowlands, il chitarrista Maurizio “Gnola” Glielmo (è uscito in questi giorni il nuovo album della Gnola Blues Band, Down The Line), Veronica Sbergia e Max De Bernardi dei Red Wine Serenaders, e meno famosi come il sottoscritto e il titolare di questo blog, ma tutti abbiamo apprezzato con gusto la serata.

I Session Americana sono una “all-star-band” che si è formata a Boston nel 2004, iniziando il loro percorso con canzoni country tradizionali e brani classici della tradizione “bostoniana”, andando poi a rileggere pagine di autori come Jimmy Ryan, Mark Sandman (Morphine) e Dennis Brennan. Il loro debutto discografico avviene con Table Top People Vol. 1 e 2 (05), seguito a breve da The Blue Void Trilogy (06) e Table Top People Vol. 3: Beertown (07) che li porta ad avere una certa visibilità e diventare band di supporto di artisti quali Patty Griffin, Peter Wolf e Bill Janovitz dei Buffalo Tom tra gli altri. In seguito la formazione del Massachusetts pubblica una serie di album che vedono alternarsi diversi collaboratori, a partire da Diving For Gold (09), la registrazione di un Live (11), lo splendido Love And Dirt (13), fino ad arrivare a questo nuovo lavoro Pack Up The Circus (con cui si sono fatti notare anche dalle nostre parti), prodotto dalla brava Anais Mitchell.

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Il nucleo base attuale della formazione (quello che si è esibito in questo mini-tour) è composto da Ry Cavanaugh alle chitarre, Billy Beard alla batteria, il polistrumentista Dinty Child al banjo, mandolino, organetto e fisarmonica, Kimon Kirk al basso, Jim Fitting all’armonica (componente con Beard anche dei Treat Her Right, storica band i Boston e “antenati” dei Morphine), e la brava italo-americana Laura Cortese al violino, e li vede proporre una musica che spazia dal folk al country, dal soul al bluegrass (con una delicata spruzzatina di jazz), ricca di armonie vocali (cantano tutti), alternando brani classici della tradizione americana, e brani originali composti da alcuni componenti della band.

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Il viaggio “circense” del nuovo album inizia con il gradevole folk-pop della title track Pack Up The Circus, per poi passare alle atmosfere soul di Willing To The Lucky, il delicato swing diYou Always Hurt The One You Love, impreziosito dalle note della tromba e clarinetto, alla tenue ballata folk It’s Not Texas, e cambiare ancora ritmo con la trascinante Vitamin T, dai sapori “caraibici” . Il delicato violino della Cortese introduce una struggente ballata come All For You, per poi ritornare a percorrere i sentieri dello swing con Time Winds Me Up con l’armonica di Fitting in evidenza, alla marcetta Country & western di una piacevole Notary Public, andando a chiudere con due splendide ballate folk, la sognante Mighty Long Time dove spicca la lap-steel di Child, e il solenne incedere di una corale Dark Clouds, fatta su un tessuto di violini e fiati, che cala il sipario su un meraviglioso spettacolo sonoro.

La Session Americana è uno straordinario collettivo di musicisti, che oltre a quelli citati in queste righe annovera: Jon Bistine, Dietrich Strause, Jefferson Hamer, Alec Spiegelman, Adam Moss, Zachariah Hickman, Charlie Rose, Duke Levine, Eliza Carthy e Jennifer Kimball ( delle Story, nonché moglie di Cavanaugh, tanto per non fare torti), un gruppo che in patria ha ricevuto numerosi premi e nomination, diventando per l’area “bostoniana” una vera e propria istituzione. I loro spettacoli dal vivo sono travolgenti, con un vecchio microfono sul tavolo e i musicisti intorno che, a turno, intrecciano voce e strumenti (come se un gruppo di amici si trovasse a suonare insieme), con un mix di brani originali e cover d’autore di Gram Parsons, Emmylou Harris, Little Feat https://www.youtube.com/watch?v=buQ5OGvgDQg  (a Pavia hanno chiuso con una spettacolare versione di Pancho & Lefty del compianto Townes Van Zandt) https://www.youtube.com/watch?v=h_GuW2y_r3E , creando nel pubblico un’atmosfera di forte complicità e divertimento reciproco. Per chi ama il genere una formazione assolutamente da scoprire, che gestisce la sua musica come un continuo “happening”, con canzoni nel segno della tradizione popolare americana, ma contaminate in parte da sonorità moderne e altre volte recuperando i suoni “vintage” delle radici. Vivamente consigliato!

Tino Montanari

“Vecchia Scuola” Del Blues Elettrico. Cash Box Kings – Holding Court

cash box kings holding court

The Cash Box Kings – Holding Court – Blind Pig Records/Ird

Terzo album per la Blind Pig e settimo in totale per i Cash Box Kings, un gruppo di Chicago che ruota attorno alle figure di Joe Nosek, autore, cantante e soprattutto armonicista, il “bianco” e Oscar Wilson, il cantante carismatico “nero”, un omone che ricorda fisicamente nella stazza Muddy Waters; entrambi sono dediti a tramandare la grande tradizione del blues classico, quello della Windy City, dei dischi Chess, come dicono spesso nelle presentazioni dei loro concerti. Ovviamente non parliamo di un duo acustico, perché poi la formazione è allargata dalla presenza di vari ospiti, vogliamo chiamarli componenti aggiuntivi? Kenny “Beedy Eyes” Smith alla batteria, Joel Paterson alla chitarra, ma anche Gerry Hundt al basso, l’ottimo Billy Flynn alla chitarra e, quando serve, Barrelhouse Chuck al piano. Il repertorio della band viene pescato anche da classici minori del repertorio del Chicago blues elettrico: la pimpante Ain’t Gonna Be No Monkey Man, porta la firma di Big Smokey Smothers, vecchio chitarrista della band di Howlin’ Wolf https://www.youtube.com/watch?v=e6xcFVHcoLc , mentre Joe Nosek affronta anche tematiche più “moderne” in una Download Blues dove i nostri amici “soffrono” le 12 battute in modo digitale, cambiano le parole, ma il suono è sempre ancorato all’interscambio tra l’armonica e la chitarra, anche slide, dalle sonorità comunque sempre discrete e mai troppo spudoratamente rock. In Gotta Move Out To The Suburbs, una sorta di blues sociologico, c’è anche un organo dal suono vintage che si agita sullo sfondo, mentre è la chitarra la protagonista di questo brano decisamente più grintoso rispetto ad altre tracce del CD e racconta della “gentrificazione” dei centri delle aree urbane (anche a Chicago) con gli abitanti spinti verso le aree periferiche https://www.youtube.com/watch?v=mZNQTVCCAg4 .

Cash Box Boogie, cantata da Nosek e con il pianino di Barrelhouse Chuck a dividersi gli spazi con armonica e solista, è un divertente brano tra blues swingante e boogie appunto, sempre molto old school; Hobo Blues è un pezzo non conosciutissimo di John Lee Hooker ma porta inciso l’imprinting del vecchio “Hook”, il classico slow blues, ipnotico e ripetitivo, scandito dalla potente voce di Oscar Wilson, cantante in grado di incanalare le intense emozioni del blues più genuino, anche in questo formato solo voce e chitarra. Baby Without You, ancora Nosek, vira verso un jump blues più leggero, spensierato e divertente, con la chitarra sugli scudi e il piano che tiene bordone https://www.youtube.com/watch?v=GXGUfCukZ6Y , con Juju ci si spinge, a tempo di danza, verso le paludi sonore della Crescent City, con i ritmi della Lousiana che si sommano al blues in modo naturale https://www.youtube.com/watch?v=kOuHpinuMKE . Everybody’s Fishin’ viene addirittura dal repertorio di Willie Love, un vecchio pianista del Delta, attivo a cavallo delle due guerre mondiali, il brano, a tempo di boogie-woogie, viene rivisitato senza l’uso del piano, con la chitarra di Paterson e l’armonica di Nosek che si alternano con Wilson alla guida della canzone. Out On The Road è il classico slow che non può mancare in un disco di blues elettrico urbano che si rispetti, con lo spirito di Muddy e Wolf a guardare benefici questi loro discendenti che proseguono con passione la tradizione, non per nulla il brano porta la firma di Jimmy Rogers, altro grande del Chicago Blues. Quando guida le danze a livello vocale Nosek, l’atmosfera si alleggerisce e diviene più piacevole e scanzonata, come in Sugar Pea e I Miss You Miss Anne, ma in I’m A Real Lover Baby, altro oscuro manufatto della penna di tale Honey Boy Allen, Oscar Wilson ci riporta al Mississippi Delta Blues più classico con la sua bella vociona vissuta e la conclusione è affidata ad un altro blues lento ed intenso, l’unico strumentale dell’album https://www.youtube.com/watch?v=C0peeDk33gg , Quarter To Blue che conferma i Cash Box Kings come una delle migliori attuali formazioni portatrici sane del morbo delle 12 battute.

Bruno Conti

“Americana “ All’Olandese ! Point Quiet – Ways And Needs Of A Night Horse

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Point Quiet – Ways And Needs Of A Night Horse – Continental Record Service / Ird

Era dai tempi di Gullit, Rijkaard e Marco Van Basten che non mi entusiasmavo per degli olandesi, mi succede ora a distanza di anni dopo l’ascolto di questi sconosciuti Point Quiet. Il debutto di questa formazione avviene però sotto la sigla White Sands con Deseronto (07), undici canzoni lente e malinconiche di buona qualità (con influenze alt-country), a cui segue il cambio di nome e l’uscita dell’omonimo Point Quiet (11), con brani di frontiera e musiche da “noir di paese” https://www.youtube.com/watch?v=zcP7gJo4GLg , fino ad arrivare, dopo quattro anni di concerti sparsi per il mondo, a questo nuovo lavoro Ways And Needs Of A Night Horse, formato da una serie di canzoni che parlano di perdite, speranza e fiducia, brani che esplorano il lato oscuro del genere “americana”. La perfetta fusione di questa band è composta dal cantante paroliere Pascal Hallibert (fondatore del gruppo, ma già sulla scena con altre formazioni) alle chitarre, mandolino e organo, e da altri quattro musicisti olandesi che rispondono al nome di Hans Custers al contrabbasso e trombone, Daan Van Diest alla batteria e percussioni, la dolce Simone Manuputty al violino e viola, e il bravissimo polistrumentista Jan Van Bijen a suonare di tutto, pedal steel, dobro, banjo, mandolino, armonica, vibrafono, fisarmonica e altro.

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Queste “esigenze notturne” del cavallo, simbolo ricorrente nelle copertine dei Point Quiet, iniziano con la meravigliosa title-track Ways And Needs Of A Night Horse, una ballata di frontiera intrisa di fisarmonica e violino, accompagnata dalla voce profonda e malinconica di Hallibert https://www.youtube.com/watch?v=ZdLo0yUXH4k , proseguono con Run All You Want con ancora il violino in evidenza, cambiando poi ritmo con l’irresistibile country-rock di NY Or Not NY, mentre The Man I Once Was e Trembling Stars ricordano a chi scrive le note avvolgenti dei Tindersticks, che fanno da preludio alla struggente melodia di Told. Il percorso riparte con il violino e i toni acustici di una The West Wind e dall’armonica “Morriconiana” di una sofferta Threnody, transitando per un’altra sontuosa ballata come Bright As City Lights, agli archi cameristici di una dolente Horses, con al controcanto Simone Manuputty, andando poi a chiudere il tutto (con riferimento al brano di apertura), con le note di una strumentale Maneras Y Necessidades in perfetto stile Calexico.

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La musica dei Point Quiet è una miscela assai riuscita di atmosfere notturne https://www.youtube.com/watch?v=gk87YPEGQZQ  che richiamano formazioni come gli Spain, i citati Tindersticks, ed i poco conosciuti scozzesi Bathers, con aggiunte sonorità desertiche di gruppi storici quali  Giant Sand, Willard Grant Conspiracy e ovviamente i Calexico, che si traduce in questa serie “scintillante” di undici brani, che si fondano sulla voce amichevole e calda del frontman Pascal Hallibert, e sulla bravura di musicisti che fanno una musica appassionata (su tutti Jan Van Bijen e Simone Manuputty), perfettamente inserita nel genere americana, e con questo lavoro Ways And Needs Of A Night Horse, dimostrano che la buona musica non ha confini, e può arrivare anche dal paese dei “tulipani”, e (con nostalgia) del trio Gullit, Rijkaard e Van Basten. (*NDB mi scuso con i non milanisti!)

Tino Montanari

NDT: Faccio appello all’amico Paolo Pieretto del Bar Trapani, se riesce a portarli a suonare nel suo locale a Pavia, dove recentemente si sono visti i Session Americana, eccellente formazione statunitense dell’area del Massachusetts, di cui vi consiglio caldamente l’ultimo album Pack Up The Circus (distribuito in Italia sempre dalla Ird e di cui andremo a parlare prossimamente sul Blog), ed in generale tutta la loro discografia.

Lo Shakespeare Del Blues? Magari! Laurence Jones – What’s It Gonna Be

laurence jones what's it gonna be

Laurence Jones – What’s It Gonna Be – Ruf/Ird

Continua l’irresistibile ascesa di Laurence Jones, uno dei giovani rampanti del blues inglese (e nelle foto sembra ancora più giovane dei suoi 23 anni): nativo di Stratford-upon-Avon (ops, il “bardo” per eccellenza!) e mi chiedo come uno che scrive recensioni come il sottoscritto abbia potuto farselo sfuggire, mentre scrivevo del suo recente ed eccellente live Blues Caravan con Christina Skjolberg e Albert Castiglia http://discoclub.myblog.it/2015/03/11/lunione-fa-la-forza-laurence-joneschristina-skjolbergalbert-castiglia-blues-caravan-2014-live/ . Comunque, luogo di nascita a parte, il giovane Laurence è uno di quelli bravi, già al suo terzo album di studio, dopo l’ottimo Temptation, registrato in quel di Lafayette, Louisiana, con la sezione ritmica dei Royal Southern Brotherhood, Yonrico Scott e Charlie Wooton, e con la produzione di un altro ex RSB come Mike Zito (incidentalmente vi confermo che sia lui che Devon Allman non fanno più parte della formazione nel nuovo ottimo Don’t Look Back, uscito in questi giorni) , che se ve lo siete lasciato sfuggire vi consiglio di recuperare https://www.youtube.com/watch?v=n0zLIFx8qMc . Questo nuovo What’s it Gonna Be, come dice lo stesso lo stesso Jones nelle note del CD, contiene nove nuovi brani ( e due cover, di cui tra un attimo) tutti ispirati dalla vita on the road sperimentata nel tour Blues Caravan del 2014. Il disco è stato registrato in quel di Cambridge (altro luogo ricco di storia, anche musicale) con la produzione dello stesso Laurence affiancato dal bravo bassista Roger Innis, che con il batterista finlandese Miri Mettinen costituisce la Laurence Jones Band. Nel disco appaiono anche, di tanto in tanto, due tastieristi, Julian “Mr Jools” Grudgings e Lewis Stephens, ma giusto un minimo sindacale.

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Come vi dicevo recensendo quel live, il nostro amico è in possesso di una bella voce, ed è soprattutto un notevole axeman, nella grande tradizione che discende da chitarristi come Walter Trout, Clapton, Gary Moore, Albert Collins e Rory Gallagher, con cui condivide una passione per le Fender vecchie e scrostate, ma dal suono sempre inconfondibile. Jones fa parte di quella generazione di nuovi musicisti blues inglesi da cui viene anche gente come Aynsley Lister, Oli Brown , Joanne Shaw Taylor, Dani Wilde, Ian Parker, e potremmo andare avanti per ore, tutti legati da una passione per il blues, mediata però da anni di frequentazione con il classico rock della scena britannica https://www.youtube.com/watch?v=Sh1ZluqPX6A . Non a caso una delle cover più appassionate di questo nuovo album è una versione scintillante del classico Can’t Get Enough, un brano scritto da Mick Ralphs dei Bad Company (e prima ancora dei Mott The Hoople), qui ripreso sotto forma di duetto con la scoppiettante voce di Dana Fuchs, altra compagna di etichetta nella benemerita Ruf, che si è costruita un roster di artisti di tutto rispetto https://www.youtube.com/watch?v=yoh_lrja8ew . Il brano non sarà forse blues, ma è rock di quello sapido e grintoso, con chitarre e voci che si amalgamano alla perfezione e i soli di Jones sono fluidi e scorrevoli come raramente è dato ascoltare, e anche Being Alone con il suo riff ricorrente alla Free, si inserisce nel filone del classico rock inglese dei Settanta https://www.youtube.com/watch?v=DmOg0uZ1bZM . Ma andiamo con ordine: il disco si apre con il poderoso blues-rock della title-track dove la chitarra di Jones ha un che di claptoniano nella pulizia delle sue evoluzioni solistiche, grinta replicata nella successiva Don’t Need No Reason, dove i ritmi si fanno più funky, ma gli assolo rimangono torridi e ricchi di tecnica e controllo della solista, con seconda parte del brano dove si vira decisamente sul blues.

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E anche Evil ha il classico train sonoro del rock-blues deluxe, con la sezione ritmica che costruisce un solido groove dove Laurence può improvvisare un altro lirico assolo della sua chitarra, innestando anche per la prima volta il pedale del wah-wah. Touch Your Moonlight accelera ancora i ritmi, tra il boogie dei Canned Heat e di Thorogood e l’hard rock meno becero https://www.youtube.com/watch?v=Iicd9B0jMAo . Don’t Look Back è un duetto con la cantante scozzese Sandi Thom, una bella slow ballad tra pop, soul e rock, dove le atmosfere si fanno più morbide e radiofoniche e la chitarra si fa sentire solo nel finale. All I Need è un’altra ballata mid-tempo, melodica e piacevole, che però spezza di nuovo la grinta del resto del disco, che riappare nelle già citate Being Alone e Can’t Get Enough, oltre che nella cover di Good Morning Blues, un vecchio brano di Leadbelly che subisce un trattamento che definire energico ne minimizza la portata, con la chitarra che viaggia che è un piacere https://www.youtube.com/watch?v=O3RGnSKNy6c . Set It Free è un altro brano rock di quelli orecchiabili, che si salvano soprattutto in virtù dell’eccellente lavoro della solista, mentre Stop Moving The House ci riporta la grinta del miglior Laurence Jones, e anche grazie alla presenza di un piano saltellante e di una chitarra tagliente si ispira al sound del Rory Gallagher doc anni ’70  https://www.youtube.com/watch?v=hnf45aLdreM e costituisce una degna conclusione per un album, con alti e bassi, che conferma il talento di questo giovanotto di belle speranze.

Bruno Conti

Un Chitarrista Per Chitarristi (Non Solo)! Mike Henderson Band – If You Think It’s Hot Here

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The Mike Henderson Band – If You Think It’s Hot Here – Eller Soul Records

Questo signore, partito dal natio Missouri per recarsi a Nashville, dove sarebbe diventato uno stimato sessionman, prima come mandolinista e chitarrista slide, poi anche armonicista (e se serve, violinista), nel corso degli anni ha sviluppato una carriera solista parallela che lo ho portato ad essere uno degli artisti “indipendenti”  più amato dai colleghi. Mark Knopfler, che ha firmato le note per il suo album del 1996 First Blood (uno dei migliori di Mike, il secondo album uscito per la Dead Reckoning, etichetta fondata insieme a Kieran Kane, Kevin Welch, Tammy Rogers) gli valse poi, anni dopo, la chiamata a far parte della Band di Knopfler nel Sailing to Philadelphia Tour. Recentemente lo si è visto e sentito, come armonicista, nel fantastico Muddy Wolf At Red Rocks di Bonamassa e il chitarrista newyorkese, nello scrivere le brevi note di questo nuovo If You Think it’s Hot Here, si è chiesto perché non gli abbia chiesto di cantare almeno un brano in quella serata (e di suonare la chitarra, magari slide, aggiungiamo noi, infatti attualmente fa parte della touring band di Joe). Ma Mike Henderson, anche se non incideva un disco solista dal 1999, è veramente un uomo per tutte le stagioni, country, blues e rock sono stati il suo pane quotidiano, è un ottimo autore, tanto che Adele ha interpretato la sua If It Hadn’t Been For Love per il Live At The Royal Albert Hall; con la band bluegrass Steeldrivers di cui fu uno dei membri fondatori nel 2008, insieme all’amica Tammy Rogers, ha inciso due album, anche se nel nuovo CD firma solo tre brani, insieme ad un paio di rivisitazioni di classici e alcune cover di stampo decisamente blues.

Perché, in effetti, pur con tutte le influenze musicali citate, stiamo parlando di un gagliardo disco di blues elettrico. I Bluebloods, con cui ha firmato l’ultimo Thicker Than Water nel 1999, non ci sono più (e parliamo di gente del calibro di Reese Wynans e Glen Worf), e neppure Kingsnakes e Bel Airs, con cui pure ha suonato, ma nella nuova formazione troviamo Kevin McKendree, uno dei migliori tastieristi attualmente in azione, al basso c’è Michael Rhodes e alla batteria Pat O’Connor, meno conosciuto, già vecchio socio di Mike dai tempi dei Bel Airs, che a giudicare dal disco ha comunque un bel drive. Se aggiungiamo che Henderson ha pure una bella voce, era quasi inevitabile che il risultato sarebbe stato ottimo. Si passa dall’iniziale I Wanta Know Why, un solido rockin’ blues dove Henderson scalda subito voce e chitarra slide, ben coadiuvato dal piano di McKendree, anche produttore dell’album, subito grintoso e dal ritmo scandito https://www.youtube.com/watch?v=BnDECpKNVbk , poi seguito da ben due cover estratte dal songbook di Hound Dog Taylor, una vorticosa Send You Back To Georgia, dove il classico boogie blues di Taylor è ben segnato dalla batteria di O’Connor, mentre Henderson, dopo un intermezzo travolgente del pianino di McKendree, continua ad esplorare il fretboard della sua Fender, con un’altra sventagliata di bottleneck guitar devastante https://www.youtube.com/watch?v=KWT0GJMNuJs  e poi raddoppia con le classiche 12 battute di una It’s Alright dove il blues è ancora il padrone assoluto, sempre con la slide in evidenza. R.S. Field, recente produttore del Terraplane di Steve Earle, gli dà una mano a livello compositivo, per una title-track che ha profumi soul e gospel, anche grazie alla presenza di due vocalist aggiunti, bella ballata di stampo sudista questa If You Think It’s Hot Here, mentre McKendree si divide tra piano e organo Hammond con risultati eccellenti.

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Un altro brano notevole di  Henderson è Weepin’ And Moanin’, slow blues di quelli torridi con la chitarra sugli scudi, e anche la voce non scherza https://www.youtube.com/watch?v=yGAtjuxUzHQ , pezzo che non ha nulla da invidiare alla ripresa di Mean Red Spider, un Muddy Waters “minore”, se mai ne ha fatti, dove il ritmo funky della batteria ben si sposa con l’intensità della traccia, per non parlare della versione di If I Had Possession di Robert Johnson, che parte sulle ali di una slide acustica e poi diventa un fantastico blues elettrico in crescendo con gli altri strumenti che entrano a canzone già sviluppata e la rendono travolgente https://www.youtube.com/watch?v=6k1KEkcErqk . Notevole anche Unseen Eye, dal repertorio di Sonny Boy Williamson, dove Henderson inchioda uno dei soli più fluidi e passionali del disco, prima di dedicarsi al puro R&R, via blues, di una Matchbox nuovamente travolgente anche grazie al piano di McKendree https://www.youtube.com/watch?v=lPMXQCgQ0LA  e Gamblin’ Blues ci spinge più a Sud, verso il Texas, sulle note di un poco noto brano di Melvin Jackson, con Mike Henderson di nuovo sugli scudi, istigato dal groove eccellente della sua sezione ritmica deluxe. Conclude Rock House Blues, l’unico brano dove il nostro si esibisce all’armonica, accompagnato solo dal piano di McKendree. Degna conclusione di un ottimo album di uno dei migliori gregari in circolazione, per una volta ancora protagonista assoluto.

Bruno Conti

Un Altro Supergruppo? Senza Parole! The Word – Soul Food

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The Word – Soul Food – Vanguard/Caroline/Universal

Quando nel 2001 i cinque componenti dei Word unirono per la prima volta le forze per formare un gruppo destinato ad incidere un disco nessuno probabilmente immaginava che 14 anni dopo ci sarebbe stato un seguito e neppure che i vari componenti della band sarebbero diventati più o meno famosi.

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Il disco in questione, quello qui sopra, copertina abbastanza anonima con la scritta The Word, univa i tre componenti dei North Mississippi Allstars, Luther e Cody Dickinson e il bassista Chris Chew, allora agli inizi del loro percorso artistico, avendo appena pubblicato i primi due dischi (forse il secondo non era ancora uscito), con il tastierista John Medeski del trio jazz-funky-rock-groove Medeski, Martin & Wood, che era quello interessato a lavorare con il giovane Robert Randolph, virtuoso della pedal steel guitar, allora sconosciuto ai più, avendo partecipato solo a un paio di brani (forse uno) della compilation Sacred Steel vol. 2 Live pubblicata dalla Arhoolie. Affascinato dal viruosismo di questo giovane musicista (che all’epoca faceva l’impiegato in uno studio di avvocati), Medeski voleva unire lo stile Sacred Steel, che era già una fusione di generi, tra gospel, funky, soul, un pizzico di country, blues naturalmente, con l’improvvisazione del jazz, l’energia del rock e gli schemi liberi delle jam band. Il tutto chiamando disco e gruppo The Word, “la parola”, per un album che era completamente strumentale. Il CD, all’epoca pubblicato dalla Atalantic, fu un buon successo, sia di di critica che di pubblico, lanciando la carriera di Robert Randolph, che oggi con i suoi Family Band raduna folle non dico oceaniche, ma comunque consistenti, partecipando a Festival vari (uno per tutti, il Crossroads Guitar Festival di Eric Clapton, che è un altro dei suoi tanti estimatori https://www.youtube.com/watch?v=hRCyTzXRJBw ) e dischi degli artisti più disparati (non ultimo proprio Heavy Blues di Bachman, recensito giusto ieri). Guadagnandosi lungo il cammino l’attributo di “Jimi Hendrix dalla pedal steel”, per il suo estremo virtuosismo e per la capacità di esplorare le capacità tecniche dello strumento, apportando anche molto migliorie tecniche che lo rendono in grado di creare spesso sonorità quasi impossibili da credere, allontandolo dal classico sound del country e dei gruppi country-rock, che pure hanno avuto i loro virtuosi, da Sneaky Pete Kleinow a Buddy Cage, passando per Rusty Young, Al Perkins, lo stesso Jerry Garcia, senza dimenticare il suono più mellifluo di gente come Santo & Johnny o gli “antenati” hawaiiani.

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Dimenticate tutto, perché nel caso di The Word possiamo parlare di una sorta di fusione tra il soul ricco di groove di Booker T. & The Mg’s, innervato dallo stile jam delle band southern, per non fare nomi gli Allman Brothers, l’improvvisazione jazz-rock già citata di Medeski, Martin & Wood e lo stile tra gospel, R&B e spiritual delle chiese episcopali degli Staples Singers. Il tutto ben esemplificato in questo Soul Food, registrato tra New York, e soprattutto ai leggendari Royal Studios di Memphis, dove il grande Willie Mitchell produceva i dischi di Al Green, Ann Peebles, Otis Clay e moltissimi altri, per la sua Hi Records (di recente anche Paul Rodgers ci ha inciso il suo disco dedicato al soul http://discoclub.myblog.it/2014/01/25/incontro-nobili-quel-memphis-paul-rodgers-the-royal-sessions/). Deep soul arricchito da mille sfumature di musica dal sud degli States. Naturalmente tutto nasce dal gusto per l’improvvisazione e da lunghe jam in assoluta libertà, che mentre nel primo album prendevano lo spunto soprattutto dai brani della tradizione gospel e religiosa, con un paio di pezzi scritti da Luther Dickinson, nel nuovo album sono firmati per la più parte dai componenti del gruppo, ma sono solo un canovaccio per permettere ai vari solisti, soprattutto a Robert Randolph, che è sempre il vero protagonista, di improvvisare in piena libertà.

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Ed ecco quindi scorrere il puro Booker T Sound  in trasferta a New Orleans di New Word Order, dove la pedal steel di Randolph assume tonalità quasi da tastiera, una sorta di synth dal suono “umano” ed analogico, mentre l’organo di Medeski dà  pennellate di colore e la slide di Dickinson duetta da par suo con la chitarra del buon Robert  https://www.youtube.com/watch?v=4m_jSBbiplw . In Come By Here, le sonorità della pedal steel si fanno ancora più ardite, e il brano è anche cantato (una primizia, poi ripetuta nel CD), solo il titolo del pezzo reiterato più volte, con un effetto d’insieme quasi alla Neville Brothers, mentre Dickinson e Randolph lanciano strali quasi hendrixiani con le loro soliste infuocate su una base ritmica tipo Experience . https://www.youtube.com/watch?v=DZ5cJfePE8k  In When I See Blood, un bellissimo gospel soul, appare pure Ruthie Foster con la sua voce espressiva e partecipe, una variazione anche gradita sullo spirito strumentale dell’album, è sempre un piacere ascoltare una delle migliori cantanti dell’attuale scena musicale americana, e in questo caso l’organo di Medeski, molto tradizionale, assurge a co-protagonista del brano, con la solita folleggiante steel di Randolph. Anche Play All Day è un vorticoso funky-rock-blues con i tre solisti che danno sfogo a tutta la loro grinta, per passare poi a Soul Food 1 e Soul Food 2 due parti estratte da una lunga jam improvvisata nei Royal Studios di Memphis, dopo avere mangiato il cibo sopraffino preparato dalle figlie di Willie Mitchell, parte come un brano di Santo & Johnny e poi va nella stratosfera dell’improvvisazione.

You Brought The Sunshine è considerata una delle canzoni più famosi di Gospel nero (perché c’è anche quello bianco, come ricordano i fratelli Dickinson, ricercatori, come il babbo, della tradizione musicale americana), il brano delle Clark Sisters parte come un reggae, poi diventa un ibrido tra blues, rock e soul quasi alla Little Feat, con Medeski al piano e i due chitarristi sempre liberi di improvvisare. Early In The Moanin’ Time, gioca sul titolo di brani blues famosi e il termine Moanin’ appropriato per definire le sonorità della pedal steel guitar di Robert Randolph che con i suoi “gemiti” sembra veramente un Moog Synthesizer dei primi anni ’70, quelli più genuini e piacevoli delle origini del rock. Swamp Road ha quell’aria dei duetti organo/chitarra di Wes Montgomery e Jimmy Smith se fossero vissuti ai giorni nostri e l’organo di Medeski avesse dovuto misurarsi con due piccoli geni della chitarra rock, ma tiene botta alla grande. Chocolate Cowboy introduce anche l’elemento country, con tutti i musicisti che improvvisano a velocità supersoniche come se fossero in un gruppo bluegrass di virtuosi, mentre The Highest è un maestoso lento di puro sacred steel style, un inno quasi religioso di grande fascino, prima di tuffarci in Speaking In Tongues dove John Medeski sfoggia tutte le sue tastiere, piano elettrico, organo e synth e ci mostra la sua classe e bravura. La conclusione è affidata a Glory Glory, il famoso traditonal reso come un folk-blues acustico, con tanto di acoustic slide e con la brava Amy Helm che la canta in coppia con Randolph, e come verrebbe da dire, tutti i salmi finiscono in gloria. Alla fine, dopo averne spese tante, rimaniano senza parole per la bravura dei protagonisti, musica che è veramente cibo per l’anima di chi ascolta! Esce martedì prossimo.

Bruno Conti

 

Vecchie Glorie Canadesi, Con Amici! (Randy) Bachman – Heavy Blues

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Bachman – Heavy Blues – Linus/True North/Ird

Randy Bachman è uno dei musicisti “storici” più importanti del rock canadese: fondatore prima dei Guess Who (con Burton Cummings, che era il pianista e cantante della band) e poi dei Bachman-Turner Overdrive, BTO per tutti, due vere fabbriche di riff, e di successi, grazie alla penna prolifica del nostro. American Woman https://www.youtube.com/watch?v=gkqfpkTTy2w  e No Sugar Tonight per i primi, You Ain’t Seen Nothing Yet https://www.youtube.com/watch?v=7miRCLeFSJo  e Roll On Down The Highway per i secondi, non possono non dire nulla all’appassionato del rock classico e schietto, quello appunto costruito attorno ad un riff di chitarra. Le due band hanno avuto i loro picchi di popolarità negli anni ’70, ma poi di fatto sopravvivono a tutt’oggi, anche se le ultime prove discografiche di Bachman, con Cummings in Jukebox del 2007 e con Fred Turner, in un live del 2012, non possono essere definite memorabili. Anche questo Heavy Blues, volendo, non brilla per originalità, ma quanto meno lo spunto, l’idea che sta alle spalle del progetto, se non innovativa, è comunque intrigante. Tutto nasce da un colloquio con il suo vecchio amico Neil Young, che ha detto a Randy: “Ascolta un consiglio! Non fare la solita vecchia robaccia e chiamarla poi qualcosa di nuovo. Non suonare sempre le solite cose e poi dire che è un nuovo album. Fermati e pensa a un qualcosa senza paura, fiero, feroce, reinventati. Prendi un produttore esterno e fatti aiutare!” (notoriamente tutte cose che Young fa abitualmente!?!).

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Però Bachman lo ha stranamente preso in parola, prima si è cercato una nuova etichetta, l’indipendente True North, poi ha scelto un produttore che nell’ambito rock va per la maggiore, Kevin Shirley, e infine ha deciso di puntare su una nuova formazione per creare questo power rock trio: caso ha voluto che la scelta sia caduta su due donne, prima Dale Ann Brendon, la batterista, vista ad una esibizione della rock opera Tommy, insieme al produttore dello spettacolo, che non sapeva fosse una donna, e scoprendo che la signora aveva studiato a memoria tutte le parti di batteria originali di Keith Moon, con lei Bachman voleva fare un duo alla White Stripes o Black Keys. Dissuaso dai suoi nuovi discografici ha deciso di cercarsi un bassista, e la scelta è caduta su Anna Ruddick, che suonava in un gruppo canadese di country-rock chiamato Ladies Of The Canyon, ma che si è presentata all’audizione con una maglietta di John Enwistle. A questo punto con una sezione ritmica così, un produttore come Shirley ed una serie di amici chitarristi pronti ad offrire i loro servigi era quasi inevitabile che questo Heavy Blues risultasse un album fortemente influenzato dal classico rock-blues britannico degli anni ’70, il power trio di gente come Who, Cream, Led Zeppelin (l’altra passione di Randy dopo Presley e Beatles). Il nostro un riff sa come crearlo, e questo CD è un vero festival del riff: in un blind test potreste fare ascoltare il brano di apertura The Edge e spacciarlo per un brano degli Who, tale è la carica di Brendon e Ruddick che sembrano veramente delle novelle Moon ed Entwistle, in un brano che ha tutta l’energia degli Who più classici, anche se Bachman purtroppo non può competere con Daltrey, e la parte vocale è in effetti il punto debole di tutto il disco, ma quanto a chitarre ed energia ci siamo, l’inizio (e anche il resto) sembra Won’t Get Fooled Again, ma non sottilizziamo https://www.youtube.com/watch?v=xa_pOrgh47c .

Ton Of Bricks sembra Kashmir, o qualche altre pezzo dei Led Zeppelin, ma la cosa è voluta, quindi non scandalizziamoci, i musicisti si sono sempre copiati tra loro, basta dirlo https://www.youtube.com/watch?v=8hsIUDYG7E8 , Bachman duella gagliardamente con Scott Holiday, solista dei Rival Sons, grandi ammiratori degli Zeppelin. Bad Child  è un altro poderoso rock-blues, un duetto con Joe Bonamassa, per cui Randy ha speso delle belle parole. Little Girl Lost, il pezzo con Neil Young è un’altra costruzione ad alta densità rock e sembrano i BTO accompagnati dai Crazy Horse, chitarre a manetta e vai https://www.youtube.com/watch?v=clVbqpeViyg . Learn To Fly è uno dei rari brani veramente blues, con un giro alla Jimmy Reed, ma coniugato all’immancabile rock, anche se la parte cantata non è memorabile. Oh My Lord, con il maestro della sacred steel Robert Randolph in azione, vive sempre sul lavoro delle chitarre https://www.youtube.com/watch?v=vUMRjZF7qf0 ; in Confessin’ To The Devil Bachman e Shirley hanno costruito il brano partendo da un assolo di Jeff Healey tratto da un concerto alla Massey Hall di Toronto di parecchi anni fa, un ritmo alla Bo Diddley e il gioco è fatto https://www.youtube.com/watch?v=bgpER5MtTJA . Heavy Blues, il brano, con Peter Frampton, “casualmente” sembra un brano degli Humble Pie o dei Cream https://www.youtube.com/watch?v=xa_pOrgh47c , mentre Wild Texas Ride è un altro classico rifferama con accenti sudisti e Please Come To Paris, con il canadese Luke Doucet alla seconda solista, è l’omaggio inevitabile al grande Jimi https://www.youtube.com/watch?v=w20jcIyJf5M . We need to talk, posta in chiusura, è una discreta ballatona a tempo di valzer, ma spezza il ritmo serrato del resto del disco.

Bruno Conti