Non Solo Musica Malinconica! Sophia – As We Make Our Way (Unknown Harbours)

sophia as we make our way

Sophia – As We Make Our Way – Flower Shop Records / Self

Dopo un silenzio abbastanza lungo (sette anni), torna alla ribalta musicale Robin Proper Sheppard con i suoi Sophia, una formazione nata dalle ceneri dei sottovalutati God Machine. Originari della California meridionale (San Diego per la precisione), i God Machine iniziano a suonare in patria nel lontano ’90, ma ben presto si trasferiscono nel Regno Unito e incidono alcuni singoli apripista che precedono l’esordio Scenes From The Second Show (93), un lavoro caratterizzato da atmosfere con duri suoni di chitarra, venate da una psichedelia più malinconica. Le premesse per una carriera più che brillante venivano interrotte dalla tragica fine del bassista Jimmy Fernandez che muore durante la registrazione del secondo disco, con i compagni che decidono ugualmente di completare il lavoro e il risultato è One Last Laugh In A Place Of Dying (94), un album più elegante e meno duro rispetto all’esordio https://www.youtube.com/watch?v=gCXv08JNkhg .

Il gruppo inevitabilmente si scioglie, e il leader Robin Proper-Sheppard amico fraterno di Jimmy, devastato dal dolore, impiega due anni per tornare con una nuova formazione, i Sophia, e un disco Fixed Water (96), nel quale sono le ballate lente e malinconiche a prendere il sopravvento. Ancora sotto l’etichetta di Propher-Sheppard (la Flower Shop), il gruppo in seguito pubblica The Infinite Circle (98), lo splendido live (da recuperare assolutamente) De Nachten (01), con la meravigliosa The Sea https://www.youtube.com/watch?v=9LIw9NMAIo0  e una cover appassionata di Jealous Guy  di John Lennon, e dopo una ulteriore breve pausa ritornano con l’ottimo People Are Like Season (04), per proseguire nella medesima strada elettro-acustica con Technology Won’t Save Us (07) e There Are No Goodbyes (09), che completano una trilogia nel classico stile dei Sophia. Questo nuovo As We Make Our Way (Unknown Harbours), è stato registrato tra le varie città preferite di Robin, Bruxelles, Londra e Los Angeles, con il super fidato ingegnere del suono (fin dai tempi dei God Machine) Kenny Jones, e con l’attuale “line-up” del gruppo composta oltre che da Proper-Sheppard chitarra e voce, da Jeff Townsin alla batteria, Will Foster alle tastiere, e con l’ingresso del nuovo bassista  belga Sander Verstraete, per dieci tracce che certificano che Sheppard non ha perso sicuramente il tocco dei momenti migliori.

Il nuovo capitolo targato Sophia si apre con lo strumentale Unknown Harbours dagli ossessivi tocchi di pianoforte, seguito dal singolo Resisting con Sukie Smith degli “sconosciuti” Madam ai cori, per poi passare alle ballate melanconiche e classiche del gruppo come The Drifter (che inizialmente ricorda un vecchio brano degli australiani Church Under The Milky Way dall’album Starfish), e una Don’t Ask vellutata e struggente (da ascoltare possibilmente con la persona amata), e anche una Blame, di nuovo leggermente psichedelica. La seconda parte inizia con una solare pop song come California, percorrendo poi anche strade diverse con l’alt-rock di St.Tropez/The Hustle, i synth di una tambureggiante You Say It’s Alright, toccando lo splendore acustico di Baby Hold On, per terminare con quello che a Robin riesce meglio, una It’s Easy To Be Lonely avvolgente, con un maestoso arrangiamento di chitarre e pianoforte.

Con questo nuovo lavoro Robin Proper-Sheppard evidenzia contemporaneamente la sintesi e la sublimazione di una carriera “ispirata”, iniziata con i God Machine e proseguita, attraverso un passaggio doloroso, con i Sophia, e a sensazione sembra che le canzoni di As We Make Our Way siano la via più facile per arrivare al cuore e accostarsi a questo mondo: e per quanto mi riguarda sentivo la mancanza di questa band e del suo “profeta”. Per chi ama il “genere” e ancora non li conosce, da scoprire assolutamente.!

NDT: Se volete toccare con mano, Venerdì 6 Maggio 2016 suoneranno al Covo Club di Bologna!

Tino Montanari

Sempre Buona Musica Dal Texas! Josh Ward – Holding Me Together

josh ward holding me together

Josh Ward – Holding Me Together – Buckshot Records CD

Escluse certe aberrazioni dovute più che altro all’esplosione dei cosiddetti social networks (il cui abuso, più dell’uso, è una delle pratiche più fastidiose legate al modo tecnologico assieme al proliferare dei selfies), l’avvento di internet ha indubbiamente cambiato in meglio le nostre vite, anche se ha creato una dipendenza tale da mandarci nel panico qualora ci troviamo alle prese con connessioni problematiche. Uno dei punti di forza del web è senz’altro YouTube, ormai diventato indispensabile per la promozione di giovani talenti in campo musicale e non: nello specifico, il sito basato sulla pubblicazione di video può essere indiscutibilmente utile per gli appassionati di vera musica country, che ogni mese si trovano a doversi districare tra decine di nuove pubblicazioni e schiere di nomi ben poco noti (dato che non ci si può di certo basare sulle copertine dei dischi, da tempo ormai tutte uguali tra loro).

Se qualcuno navigando si fosse imbattuto nel nome di Josh Ward avrà certamente drizzato le orecchie: a dispetto dell’aspetto fisico piuttosto convenzionale, ci troviamo infatti di fronte ad un talento di spessore di gran lunga maggiore della media del settore; texano di Houston, Josh è infatti un country-rocker vero, dal pelo duro, in possesso di una gran bella voce, forte e maschia, un senso del ritmo non comune ed una capacità innata di coniugare belle melodie ad arrangiamenti giusti, rendendo tutti i pezzi del suo nuovo lavoro Holding Me Together (il suo terzo, anche se i precedenti due erano più che altro un affare locale) fruibili sin dal primo ascolto. Il disco (uscito a fine ottobre 2015) è prodotto molto bene da Greg Hunt (uno che ha lavorato con LeAnn Rimes, Pat Green e Jon Wolfe), che ha dato ai brani un suono forte e preciso, mettendo in risalto le chitarre e il piano e dando chiaramente spazio alla voce potente del nostro: il risultato è un lavoro gradevolissimo di puro country-rock texano, da gustare dall’inizio alla fine magari con l’accompagnamento di birra e tacos.

Il CD si apre con Last Night’s Makeup, un vibrante rockin’ country dai bei riff chitarristici ed una melodia immediata che sfocia in un ottimo refrain, un avvio incoraggiante. Broken Heart, cadenzata, non abbassa la guardia: Josh ha una gran voce ed un notevole senso del ritmo e della melodia e questo brano, giusto a metà tra tradizione e Texas, lo certifica appieno; Highway è un irresistibile rock’n’roll, una perfetta truckin’ song, tutto ritmo e chitarre, forse non originalissima (ma cosa lo è oggi?), ma godibile fino in fondo. Whiskey & Whitley rallenta il mood, ma fa vedere che il nostro sa dire la sua anche nelle ballate: motivo fluido, un bel piano sullo sfondo (Gary Leach, bravo come tutti i musicisti coinvolti, sebbene praticamente degli sconosciuti) e niente zucchero in eccesso; Somewhere Between Right And Wrong ricomincia a roccare, tempo veloce, grande feeling e tracce di Sud: ricorda, anche nella voce, il miglior Travis Tritt.  Molto bella pure What I’m Doin’, introdotta da un riff evocativo e servita da uno dei migliori ritornelli del disco: la bravura di Ward sta proprio qua, nell’unire motivi immediati ad arrangiamenti di sostanza, pur senza scoprire l’acqua calda; Between An Old Memory And Me è lenta, intensa e di base acustica, mentre la limpida e solare Change My Mind è una country ballad perfetta per gli spazi aperti. L’album termina con la potente You Don’t Have To Be Lonely, ancora ritmo e melodia coniugati alla grande (la specialità della casa), e con la languida Together.

Josh Ward è uno giusto, e merita di essere notato.

Marco Verdi

Sinceramente Non Me Lo Aspettavo. A Sorpresa Se Ne E’ Andato Anche Prince, Aveva Solo 57 Anni!

prince 2016 prince hit and run 2

Ammetto onestamente di non essere stato un suo grande fan, non l’ho mai trovato questo genio assoluto per cui molti volevano farlo passare, ma delle tante icone nate negli anni ’80 Prince Rogers Nelson era sicuramente tra quelli di maggiore talento e in quella decade (anche se il suo esordio discografico risale al 1978 con For You) ha pubblicato alcuni album di buon spessore, da 1999 al mega successo del 1984 Purple Rain (uno dei dischi più venduti della storia, con oltre 13 milioni solo negli Stati Uniti), il quasi psichedelico All Around The World In A Day e il doppio Sign “O” The Times, il suo ultimo album unanimemente considerato dalla critica un piccolo capolavoro. Poi ha pubblicato ancora una serie di album per la Warner, con cui aveva un rapporto di odio-amore, prima di essere uno dei primi artisti a vendere i suoi album direttamente in rete (ma su YouTube i suoi filmati non appaiono), anche se poi trovavano comunque pure una diffusione nei canali tradizionali. Dal 1993 ha iniziato ad utilizzare una serie di nomi d’arte, che spesso erano simboli impronunciabili, arrivando anche ad un “The Artist Formerly Known As Prince”, prima di tornare al classico Prince nel 2000. prince super bowl

https://www.youtube.com/watch?v=7NN3gsSf-Ys

Da allora, negli anni 2000 ha pubblicato almeno quindici album, l’ultimo dei quali HITnRUN Phase Two, era stato venduto prima sui vari canali di streaming, Tidal in primis, poi in formato fisico ai suoi concerti ed ora, il 29 aprile, uscirà, su etichetta NPG, nuovamente distribuita dalla Warner Bros. Proprio di recente, ai suoi concerti, nel mese di aprile, Prince aveva avuto dei problemi di salute che si pensava fossero di carattere influenzale, costringendolo a sospendere un concerto e  poi a rinviare alcune date. Evidentemente ci sono state altre complicazioni perché l’artista di Minneapolis è stato stato trovato morto nel suo studio di registrazione Paisley Park, situato a Chanhassen, proprio nei sobborghi di Minneapolis, dove aveva quasi sempre vissuto. Definito da Miles Davis, forse esagerando, “il Duke Ellington del nostro tempo”, Prince da molti anni aveva un rapporto controverso con la critica e, obiettivamente, i suoi ultimi album, non solo non vendevano più come un tempo, ma difficilmente rimarranno nella storia della musica. Anche se il nostro amico, che sicuramente era un grande chitarrista, spesso veniva chiamato a partecipare ai tributi dedicati ad altri artisti scomparsi o da celebrare, e i colleghi lo tenevano in grande considerazione.

Purtroppo, a soli 57 anni, si va ad aggiungere ad una lunghissima sequenza di musicisti che sono scomparsi in questi primi mesi del 2016. Quindi non rimane che augurare un Riposa In Pace anche a questo “piccolo grande artista!” controverso, ma a tratti geniale, una delle sue ultime apparizioni è stata al Super Bowl del 2016.

E pure il Boss, a sorpresa, ha voluto ricordarlo.

Bruno Conti

Ogni Tanto Si Rifà Viva Anche Lei! Ronnie Spector – English Heart

ronnie spector english heart

Ronnie Spector – English Heart – 429 CD

E’ di pochi mesi fa il mio post sul Best Of dedicato a Veronica Yvette Bennett, meglio conosciuta come Ronnie Spector, un’ottima antologia con qualche rarità che però non conteneva nulla di nuovo http://discoclub.myblog.it/2015/11/26/darlene-love-ecco-la-piu-famosa-delle-spector-girls-ronnie-spector-the-very-best-of-ronnie-spector/ : l’ultima fatica dell’ex leader delle Ronettes (ed ex moglie del leggendario produttore Phil Spector) risaliva a ben dieci anni fa, il discreto ma non eccelso Last Of The Rock Stars. Ma Ronnie nel corso della sua carriera ha pubblicato davvero poco come solista, e quindi ogni suo disco deve essere considerato come un piccolo evento, essendo lei una delle artiste di punta dei vocal groups tanto in voga nella musica pop degli anni sessanta. English Heart, il suo nuovissimo album, è però un disco particolare: se la quasi totalità dei gruppi e solisti inglesi dei sixties si rifacevano dichiaratamente ad un suono di origine americana (chi blues, chi rock’n’roll, chi soul), con questo lavoro Ronnie ha voluto fare il percorso inverso, omaggiando tutta una serie di artisti e di brani a lei particolarmente cari, dichiarando anche nelle note di copertina il suo smisurato amore per la musica britannica dell’epoca. Quindi un disco di cover, scelte per lo più in maniera personale dalla cantante di origini afro-irlandesi, con pochi pezzi veramente famosi anche se presi dai songbook di band popolarissime: l’album è prodotto da Scott Jacoby, uno con un curriculum non proprio aderente ai gusti abituali di chi scrive su questo blog (Coldplay, Sia, John Legend), ma che qua ha fatto un lavoro impeccabile a livello di suono (tranne un caso), rivestendo i brani di suoni moderni ma nello stesso tempo mantenendo un certo sapore d’altri tempi, utilizzando una lunga serie di sessionmen proprio come faceva l’ex marito di Ronnie (ed i cui nomi, devo confessare, mi sono sconosciuti).

Poi c’è la voce della Spector, sempre bellissima e resa ancora più affascinante da un misto di età, sigarette e chissà cos’altro, che le ha conferito un timbro giusto a metà tra la limpidezza dei brani con le Ronettes ed il tono roco e vissuto di Marianne Faithfull (un’altra che non si è mai fatta mancare niente): il tutto per un dischetto (meno di 35 minuti) che, anche se non imprescindibile, posso tranquillamente definire riuscito, in quanto non annoia e si lascia ascoltare con piacere (e la cosa secondo me non era scontata, in certi casi il pericolo ciofeca è sempre dietro l’angolo). L’album inizia con Oh Me Oh My (I’m A Fool For You Baby), ripresa molto sofisticata e quasi afterhours di un successo minore di Lulu, con un marcato retrogusto soul (una costante nel disco), non malaccio anche se un po’ più di brio non avrebbe guastato. Because è un vecchio pezzo dei Dave Clark Five, B-side in Inghilterra ma lato A in America, proposta con un arrangiamento più vintage (anche se si sente benissimo che è incisa oggi), un botta e risposta tra leader e coro femminile che fa molto Ronettes e melodia squisitamente sixties, e che voce che ha ancora Ronnie.

I’d Much Rather Be With The Girls è una canzone poco nota dei Rolling Stones (scritta dall’inedita coppia Keith Richards – Andrew Loog Oldham e pubblicata nella compilation di rarità Metamorphosis), un brano che già in origine era un omaggio a Spector (il marito), e quindi Ronnie non deve cambiare molto per portare a casa il risultato pieno (a parte il titolo, dove Boys viene sostituito da Girls); Don’t Let The Sun Catch You Crying (Gerry & The Pacemakers) è invece ripresa in maniera quasi cameristica, con solo due chitarre acustiche ed un violoncello (ed anche una leggera percussione) ad accompagnare la voce carismatica di Ronnie, una rilettura di classe, parola non abitualmente associata ad una che ha il soprannome di “bad girl of rock’n’roll”. Tired Of Waiting è una (bella) canzone dei Kinks, anche se non tra le più note, e la nostra Veronica la rifà con un approccio rock asciutto e diretto ed un leggero sapore errebi che non guasta; Tell Her No (Zombies) è la più mossa finora, con ancora un arrangiamento in perfetto stile anni sessanta, un blue-eyed soul di presa immediata, mentre con I’ll Follow The Sun (Beatles, of course) non si sforza più di tanto, lasciando intatta la struttura folk dei Fab Four ed eseguendola con due chitarre e poco altro. You’ve Got Your Troubles è un oscuro brano di un’altrettanto oscura band (The Fortunes) ed è il primo e per fortuna unico caso di suono un po’ finto, con drum programming e synth ben in vista, ed anche la canzone non è niente di che, meglio Girl Don’t Come (di Sandie Shaw, la “cantante scalza” molto popolare anche in Italia), che mantiene il gusto pop dell’originale ed è suonata in maniera classica, e pur non essendo un grande brano si lascia ascoltare.

Don’t Let Me Be Misunderstood è invece un capolavoro della nostra musica (ed è anche la più famosa tra le canzoni scelte dalla Spector), ed anch’essa viene rivestita di sonorità tra rock e rhythm’n’blues, dando un sapore nuovo ad un pezzo che ha avuto più di una versione superlativa (Animals e Nina Simone su tutte… e che nessuno si azzardi a dire Santa Esmeralda, a parte Carlo Conti!): gran ritmo e melodia trattata con il dovuto riguardo. Il CD si chiude con l’unico “sconfinamento” negli anni settanta, con la nota How Can You Mend A Broken Heart dei Bee Gees, un pezzo che non ho mai amato particolarmente (ma è un mio problema, Ronnie la rifà bene): quindi, ripeto, un dischetto forse non indispensabile, ma in definitiva ben fatto ed ottimamente interpretato, e vista la (poca) regolarità con la quale incide Ronnie Spector, l’acquisto ci può anche stare.

Marco Verdi

Uscite Prossime Venture: Esattamente Tra Un Mese, Il 20 Maggio. Bob Dylan, Eric Clapton, Mudcrutch 2 (Tom Petty), Day Of The Dead Tribute, Highwaymen Box Live + Allen Ginsberg Cofanetto (con Dylan)

bob dylan fallen angels

Tutti i nomi riportati nel titolo del Post sono previsti in uscita per il 20 maggio (e sono solo i più importanti, ho visto annunciati per quella data anche i No Sinner di Colleen Rennison, Posies, Brett Dennen, Marissa Nadler e altri meno conosciuti o che non interessano per i contenuti del Blog). Del nuovo Bob Dylan Fallen Angels abbiamo già parlato nei giorni scorsi con la  recensione dell’EP giapponese http://discoclub.myblog.it/2016/04/08/gustoso-antipasto-attesa-maggio-della-portata-principale-bob-sinatra-scusate-dylan-melancholy-mood/, quindi veniamo alle altre uscite.

eric clapton still i do 

Il 20 maggio si ricostituirà anche la coppia Eric Clapton – Glyn Johns, con “Manolenta” che tornerà a farsi produrre da colui con il quale realizzò nel 1977 appunto il celebre Slowhand (e Johns fu quello che produsse il primo Led Zeppelin, Get Yer Ya-Ya’s Out degli Stones, alcuni dei primi album degli Humble Pie e della Steve Miller Band, dei Family, Who’s Next, i primi Eagles, in anni recenti l’ultimo bello di Ryan Adams, Ashes & Fire, il cui album migliore, Heartbreaker, di prossima ristampa il 6 maggio, in versione tripla, era stato prodotto dal figlio di Glyn, Ethan Johns, insomma uno “bravino”). Clapton aveva annunciato il suo “ritiro”, ma evidentemente solo dai tour lunghi e stressanti (infatti il 13 aprile di quest’anno era in concerto a Tokyo, https://www.youtube.com/watch?v=CfjgDNMzGTA, mi sembra tanto che si ripeta la storia di Tina Turner che è si ritirata a ripetizione) comunque ad un anno dai concerti alla Royal Albert Hall eccolo in pista con un album nuovo.

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Vi pareva che non dovessero uscire edizioni Deluxe dell’album nuovo? Certo che no, ed infatti I Still Do, uscirà nelle due versioni che vedete effigiate qui sopra, una definita (da me) del “tubo”, che è quella in formato chiavetta USB, e l’altra Deluxe Denim Box, del colore dei giubbetti che usava Eric, in teoria saranno in vendita solo sul sito di Clapton, a prezzi esorbitanti, ma quella più lussuosa andrà anche nei canali normali, distribuita dalla Universal, la major che pubblica i prodotti della Bushbranch/Surfdog, ossia l’etichetta del nostro. E che mirabolanti bonus conterrà, per un prezzo che è previsto circa del quadruplo rispetto alla versione singola? Ben 2 bonus tracks, Lonesome Freight Train, più un video di 45 minuti con il Making Of, e qualche filmato in studio e dal vivo, nonché la versione in WAV dell’album e due videoclip. Però, direi che questa è la sublimazione della “fregatura” della Deluxe Edition, per due canzoni inedite questa volta si sono superati.

Comunque questa è la tracklist della versione normale:

1. Alabama Woman Blues
2. Can’t Let You Do It
3. I Will Be There
4. Spiral
5. Catch The Blues
6. Cypress Grove
7. Little Man, You’ve Had A Busy Day
8. Stones In My Passway
9. I Dreamed I Saw St. Augustine
10. I’ll Be Alright
11. Somebody’s Knockin’
12. I’ll Be Seeing You

Tra i musicisti annunciati nell’album, Henry Spinetti, Dave Bronze, Andy Fairweather-Low, Paul Carrack, Chris Stainton, Simon Climie, Dirk Powell, Walt Richmond, Ethan Johns (toh!) e Michelle John Sharon White, le due vocalist di colore, viene riportato anche l’Angelo Mysterioso, chitarra acustica e voce, che era lo pseudonimo che usò George Harrison in Badge dei Cream, chi sarà questa volta?

Comunque devo dire che però dell’album si parla bene, e a giudicare dalla prima canzone rilasciata potrebbe essere vero, quindi può “ritirarsi” tutte le volte che vuole se poi fa dei dischi belli.

mudcrutch 2

Per il recente Record Store Day sono usciti due prodotti legati al nome di Tom Petty, uno è il vinile di Kiss My Amps 2, con materiale dal vivo raro e di cui più avanti parleremo nel Blog, e un un 7″ con due canzoni dei Mudcrutch (che non sono inedite, ma verranno pubblicate nel prossimo album della band).

Mudcrutch 2 uscirà per la Reprise/Warner con questo contenuto:

1. Trailer
2. Dreams Of Flying
3. Beautiful Blue
4. Beautiful World
5. I Forgive It All
6. The Other Side Of The Mountain
7. Hope
8. Welcome To Hell
9. Save Your Water
10. Victim of Circumstance
11. Hungry No More

Il bassista del gruppo, quel Tom Petty, mi sembra bravo!

day of the dead

In passato erano usciti parecchi tributi dedicati ai Grateful Dead (penso a Deadicated del 1991 come al migliore https://www.youtube.com/watch?v=1CDuQmhTyD4), ma dopo il cinquantennio della band hanno deciso di fare le cose in grande e la 4AD pubblicherà questo mastodontico Day Of The Dead, un box di 5 CD curato da Aaron and Bryce Dessner dei National, con un cast di partecipanti veramente strepitoso, molti nomi noti ma anche “promesse”, emergenti e nomi che mi sono del tutto ignoti.

Ecco la lista completa, quando sarà il momento ne parleremo diffusamente (come per tutti gli album del post odierno):

1. Touch of Grey – The War on Drugs
2. Sugaree – Phosphorescent, Jenny Lewis & Friends
3. Candyman – Jim James & Friends
4. Cassidy – Moses Sumney, Jenny Lewis & Friends
5. Black Muddy River – Bruce Hornsby and DeYarmond Edison
6. Loser – Ed Droste, Binki Shapiro & Friends
7. Peggy-O – The National
8. Box of Rain – Kurt Vile and the Violators (featuring J Mascis)
9. Rubin and Cherise – Bonnie ‘Prince’ Billy & Friends
10. To Lay Me Down – Perfume Genius, Sharon Van Etten & Friends
11. New Speedway Boogie – Courtney Barnett
12. Friend of the Devil – Mumford & Sons
13. Uncle John’s Band – Lucius
14. Me and My Uncle – The Lone Bellow & Friends
15. Mountains of the Moon – Lee Ranaldo, Lisa Hannigan & Friends
16. Black Peter – Anohni and yMusic
17. Garcia Counterpoint – Bryce Dessner
18. Terrapin Station (Suite) – Daniel Rossen, Christopher Bear and The National (featuring Josh Kaufman, Conrad Doucette, So Percussion and Brooklyn Youth Chorus)


19. Attics of My Life – Angel Olsen
20. St. Stephen (live) – Wilco with Bob Weir
21. If I Had the World to Give – Bonnie ‘Prince’ Billy
22. Standing on the Moon – Phosphorescent & Friends
23. Cumberland Blues – Charles Bradley and Menahan Street Band
24. Ship of Fools – The Tallest Man On Earth & Friends
25. Bird Song – Bonnie ‘Prince’ Billy & Friends
26. Morning Dew – The National
27. Truckin’ – Marijuana Deathsquads
28. Dark Star – Cass McCombs, Joe Russo & Friends
29. Nightfall of Diamonds – Nightfall of Diamonds
30. Transitive Refraction Axis for John Oswald – Tim Hecker
31. Going Down The Road Feelin’ Bad – Lucinda Williams & Friends
32. Playing in the Band – Tunde Adebimpe, Lee Ranaldo & Friends
33. Stella Blue – Local Natives
34. Eyes of the World – Tal National
35. Help on the Way – Bela Fleck
36. Franklin’s Tower – Orchestra Baobab
37. Till the Morning Comes – Luluc with Xylouris White
38. Ripple – The Walkmen
39. Brokedown Palace – Richard Reed Parry with Caroline Shaw and Little Scream (featuring Garth Hudson)
40. Here Comes Sunshine – Real Estate
41. Shakedown Street – Unknown Mortal Orchestra
42. Brown-Eyed Women – Hiss Golden Messenger
43. Jack-A-Roe – This Is the Kit
44. High Time – Daniel Rossen and Christopher Bear
45. Dire Wolf – The Lone Bellow & Friends
46. Althea – Winston Marshall, Kodiak Blue and Shura
47. Clementine Jam – Orchestra Baobab
48. China Cat Sunflower -> I Know You Rider – Stephen Malkmus and the Jicks
49. Easy Wind – Bill Callahan
50. Wharf Rat – Ira Kaplan & Friends
51. Estimated Prophet – The Rileys
52. Drums -> Space – Man Forever, So Percussion and Oneida
53. Cream Puff War – Fucked Up
54. Dark Star – The Flaming Lips
55. What’s Become of the Baby – s t a r g a z e
56. King Solomon’s Marbles- Vijay Iyer
57. Rosemary – Mina Tindle & Friends
58. And We Bid You Goodnight – Sam Amidon
59. I Know You Rider (live) – The National with Bob Weir

higjwaymen live american outlaws

Nel 1991 uscì una VHS intitolata Highwaymen Live, registrata l’anno prima al Nassau Coliseum. Poi negli anni di quel concerto si sono perse le tracce, ora la Sony/Bmg pubblicherà un box quadruplo, tre CD + DVD o tre CD + Blu-Ray, con il concerto completo del 14 marzo 1990 al Nassau Coliseum, Uniondale, New York, 35 brani in tutto, sia nei due CD come nel video, con in più 11 brani nel terzo CD, 10 registrati dal vivo ai Farm Aid del 1992 e 1993 e una versione inedita di One Too Many Mornings, un pezzo di Dylan che Johnny Cash Waylon Jennings incisero nell’album Heroes del 1986, al quale Willie Nelson Kris Kristofferson, gli altri due Highwaymen, hanno aggiunto nuova parti vocali nel 2014.

Ecco la lista dei brani contenuti nelle varie edizioni:

[CD1]
1. Mystery Train
2. Highwayman
3. Mammas Don’t Let Your Babies Grow Up To Be Cowboys
4. Good Hearted Woman
5. Trouble Man
6. Amanda
7. There Ain’t No Good Chain Gang
8. Ring Of Fire
9. Folsom Prison Blues
10. Blue Eyes Crying In The Rain
11. Sunday Morning Coming Down
12. Help Me Make It Through The Night
13. The Best Of All Possible Worlds
14. Loving Her Was Easier (Than Anything I’ll Ever Do Again)
15. City Of New Orleans
16. Always On My Mind
17. Me And Bobby McGee

[CD2]
1. Silver Stallion
2. The Last Cowboy Song
3. Two Stories Wide
4. Living Legend
5. The Pilgrim: Chapter 33
6. They Killed Him
7. I Still Miss Someone
8. Ragged Old Flag
9. (Ghost) Riders In The Sky
10. Are You Sure Hank Done It This Way
11. Night Life
12. The King Is Gone (So Are You)
13. Desperados Waiting For A Train
14. Big River
15. A Boy Named Sue
16. Why Me
17. Luckenbach, Texas
18. On The Road Again

[CD3]
1. Mystery Train
2. Highwayman
3. The King Is Gone (So Are You)
4. I ve Always Been Crazy
5. The Best Of All Possible Worlds
6. City Of New Orleans
7. Folsom Prison Blues
8. Intro/Highwayman
9. Shipwrecked In The Eighties
10. Desperados Waiting For A Train
11. One Too Many Mornings (Previously Unreleased)

[DVD or Blu-ray]
1. Concert Film

Come detto il DVD o il Blu-Ray ripetono (con la parte video, e non è secondario) la tracklist dei due CD.

allen ginsberg the last words

Perché parlare di un triplo cofanetto di Allen Ginsberg? Perché come risulta chiaro nel titolo del Post, alle sessions che diedero vita al materiale contenuto in questo triplo CD The Last Word On First Blues, che verrà pubblicato dalla Omnivore Recordings, partecipò in modo massiccio un certo Bob Dylan, chiamato proprio da Ginsberg, insieme a David Amran, Happy Traum e al giovane (allora, siamo nel 1971) cellista Arthur Russell. Autore dei testi (ovviamente) e voce solista fu Allen Ginsberg. Le registrazioni rimasero inedite fino al 1983 quando furono pubblicate in un doppio vinile chiamato First Blues, insieme ad altre sessions, una del 1976 prodotta da John Hammond e una del 1981, a cui parteciparono anche Peter Orlovsky David Mansfield. Nella nuova versione tripla della Omnivore ci sono altri 11 brani inediti, anche live con Dylan, e un brano dove Don Cherry si esibisce al kazoo.

Quindi chi sarà interessato a questo cofanetto? Fans della Beat Generation o di Bob Dylan? Voi che dite? Io pensi entrambi. Comunque questa è la lista completa dei brani:

Tracklist
[CD1]
1. Going Down To San Diego
2. Vomit Express
3. Jimmy Bergman (Gay Lib Rag)
4. Ny Youth Call Annunciation
5. Cia Dope Calypso
6. Put Down Yr Cigarette Rag
7. Sickness Blues
8. Broken Bone Blues
9. Stay Away From The White House
10. Hardon Blues
11. Guru Blues

[CD2]
1. Everybody Sing
2. Gospel Nobel Truths
3. Bus Ride To Suva
4. Prayer Blues
5. Love Forgiven
6. Father Death Blues
7. Dope Fiend Blues
8. Tyger
8. You Are My Dildo
10. Old Pond
11. No Reason
12. My Pretty Rose Tree
13. Capitol Air

[CD3: Bonus Disc – More Rags, Ballands, and Blues 1971-1985]
1. Nurses Song
2. Spring (Merrily Welcome)
3. September On Jessore Road
4. Lay Down Yr Mountain
5. Slack Key Guitar
6. Reef Mantra
7. Ny Blues
8. Come Along Vietnam (Rehearsal)
9. Airplane Blues (Live at Folk City)
10. Feeding Them Raspberries To Grow (Live at Folk City)
11. Do The Meditation Rock

Direi che anche per oggi è tutto.

Bruno Conti

Appendice Graham Nash – This Path Tonight: Molto Più Di Un Semplice Bonus DVD!

graham nash this path tonight

Graham Nash – An Evening With Graham Nash DVD

La settimana scorsa vi avevo parlato in anteprima del nuovo lavoro di Graham Nash, This Path Tonight (comprese le tre bonus tracks disponibili solo per il download), ma adesso che ho avuto la possibilità di visionare anche il DVD allegato alla versione deluxe (che Amazon spaccia come esclusiva, ma vale solo per l’America) mi rendo conto che il contenuto merita una breve disamina a parte. Normalmente nei supporti video presentati come bonus si trovano un po’ sempre le stesse cose, tipo il making of del disco in questione, interviste ai musicisti (che pure qui non mancano), un paio di videoclip dei singoli e, quando si sentono generosi, una manciata di brani live: qui invece sono state fatte le cose in grande, in quanto il DVD, intitolato An Evening With Graham Nash, presenta appunto un intero concerto (venti canzoni) tratto dalla tournée dello scorso anno (per la precisione la data è quella a St. Louis) nella quale Nash si esibiva accompagnato esclusivamente da Shane Fontayne.

Ed il concerto, nonostante la dimensione pressoché acustica (ma Fontayne si esibisce spesso all’elettrica, rilasciando anche più di un bellissimo assolo, mentre Nash occasionalmente si siede al pianoforte) è altamente godibile e non annoia neppure per un momento: Nash, vestito con un completo di jeans ed a piedi scalzi, è in grande forma vocale e si dimostra un interprete di gran classe, oltre ad essere anche un abile intrattenitore, introducendo le canzoni sempre con brevi e divertenti aneddoti, con un’ironia da vero englishman (e la sua pronuncia è comprensibilissima). Fontayne, poi, si dimostra un gran chitarrista (ed anche buon vocalist di supporto), che sa stare nelle retrovie quando serve ma al bisogno rilascia assoli infuocati che fanno dimenticare che sul palco sono solo in due (come in Immigration Man e Chicago), un partner perfetto per Graham. Il concerto è una sorta di autobiografia in musica del nostro, che inizia con due noti brani degli Hollies (Bus Stop e King Midas In Reverse) per poi deliziare i presenti con pagine note e meno note tratte dalla sua carriera solista e dai dischi con CSN (&Y), ma anche dagli album in duo con David Crosby, inserendo in anteprima anche due dei migliori pezzi da This Path Tonight, cioè Golden Days e Myself At Last, ed anche uno tutt’ora inedito, una bella folk song dal testo arrabbiato intitolata Watch Out For The Wind, che non avrebbe sfigurato affatto sul nuovo album. Chiaramente non mancano i brani più popolari di Graham (Marrakesh Express, Just A Song Before I Go, la drammatica Cathedral, la già citata Chicago, Our House, oltre al solito gran finale di Teach Your Children), ma anche pezzi meno battuti come Marguerita e Simple Man, oltre ad una squisita ripresa a due voci del classico dei Beatles Blackbird (già eseguita più volte anche con Crosby e Stills).

Ecco comunque la setlist completa:

 

  1. Bus Stop

  2. King Midas In Reverse

  3. I Used To Be A King

  4. Marrakesh Express

  5. Immigration Man

  6. Golden Days

  7. Myself At Last

  8. Wasted On The Way

  9. Wind On The Water

  10. Our House

  11. Military Madness

  12. Simple Man

  13. Marguerita

  14. Taken At All

  15. Watch Out For The Wind

  16. Just A Song Before I Go

  17. Cathedral

  18. Chicago

  19. Blackbird

  20. Teach Your Children

Un ottimo concerto, che per pochi Euro in più non dovrebbe lasciare dubbi su quale sia la versione di This Path Tonight da avere.

Marco Verdi

Eccone Un Altro Davvero Bravo! Parker Millsap – The Very Last Day

parker millsap the very last day

Parker Millsap – The Very Last Day – Okra Homa/Thirty Tigers CD

Di dischi di alternative country, roots, Americana o come diavolo volete chiamare quella musica strettamente legata alle radici ne escono, tra ottimi, buoni e meno buoni, un’infinità durante l’anno, ed ogni tanto qualcuno realizza dei lavori talmente belli che vengono ricordati anche a distanza di tempo: ad esempio, nell’ultimo biennio le fatiche di Chris Stapleton, Nathaniel Rateliff, Thom Chacon, Jason Isbell ed Anderson East hanno davvero meritato un posto di primo piano nelle classifiche di gradimento di chiunque ami la vera musica. Lo stesso destino potrebbe essere riservato a Parker Millsap, giovane songwriter dell’Oklahoma con già due dischi alle spalle (il secondo dei quali, omonimo, nel 2014 aveva già fatto intravedere delle doti non comuni) https://www.youtube.com/watch?v=SwFbuOUxmNc , che con questo nuovo The Very Last Day ci consegna uno dei migliori album di questi primi quattro mesi del 2016, almeno per quanto riguarda il genere Americana. Millsap, oltre ad essere in possesso di una voce roca, potente e talvolta quasi stridula (ma non fastidiosa), è un talento molto particolare, in quanto, pur partendo da una base folk ed usando una strumentazione tradizionale, affronta le sue canzoni con una forza ed un impeto da vero rocker, inserendo spesso e volentieri all’interno dei brani delle melodie inusuali e mai banali o prevedibili, creando un cocktail sonoro molto stimolante e consegnandoci una manciata di canzoni (undici) che forse necessitano di più di un ascolto per essere apprezzate appieno, ma di sicuro poi farete fatica a togliere il CD dal lettore.

Una miscela di folk, country, rock e blues suonata, ripeto, con una forza non comune e con soluzioni melodiche spesso non abituali: l’esempio perfetto è l’opening track Hades Pleads, un folk-grass potente e pieno di ritmo, con la vocalità aggressiva del nostro a dominare in lungo e in largo, una vera esplosione di suoni anche se gli strumenti sono acustici. A produrre il disco è stato chiamato l’esperto Gary Paczosa (già con Kathy Mattea, Darden Smith e responsabile nel 2014 del bellissimo tributo a Jackson Browne, Looking Into You) e ad accompagnare Parker, che si occupa delle parti di chitarra, troviamo l’ottimo Daniel Foulks al violino, Michael Rose al basso, Patrick Ryan alla batteria e Tim Laver al piano. Già detto dell’iniziale Hades Pleads, che ci catapulta all’interno del disco quasi con uno schiaffo, troviamo a seguire la creativa Pining, un brano che, basato su una struttura folk, ha una melodia ed un andamento quasi errebi, con un ottimo intervento centrale di pianoforte. Già da questi due pezzi capiamo che Millsap non ti dà quasi mai quello che ti aspetti, ma inserisce sempre qualcosa di personale all’interno dei brani. Morning Blues è sempre cantata con voce forte, ed è quasi una country ballad con il violino grande protagonista, ed i continui stop & go fanno sì che l’ascoltatore non si rilassi ma presti attenzione ad ogni singola nota; Heaven Sent si apre con un suggestivo arpeggio di chitarra ed una melodia che, almeno dalle prime note, ricorda The River di Springsteen, poi cambia direzione e diventa una ballata elettroacustica di notevole livello e con un ritornello al solito di grande forza ma nello stesso tempo immediato, direi una delle migliori del CD.

La title track ha uno sviluppo ritmico molto particolare ed abbastanza complesso e, anche se nel refrain il brano si fa più fluido, non è tra le mie preferite (e la vocalità debordante del nostro qui è un po’ fuori luogo); Hands Up è invece molto diretta, quasi rock’n’roll, un pezzo decisamente piacevole ed anche coinvolgente, mentre Jealous Sun è completamente acustica, voce e chitarra, con Parker che dimostra che anche da “tranquillo” sa toccare le corde giuste. Molto bella anche Wherever You Are, una ballata molto classica e con una splendida melodia dal tono epico e maestoso, un pezzo di bravura che ci fa vedere ancora una volta di che pasta è fatto il ragazzo; You Gotta Move è l’unica cover del disco (è un vecchio blues reso noto da Mississippi Fred McDowell ed inciso anche dai Rolling Stones nel mitico Sticky Fingers), ed è proposta in maniera sorprendentemente tradizionale, non molto diversa da come la facevano Jagger e soci: voce nel buio, un chitarra indolente, armonica bluesy e violino straziante, una rilettura di indubbio fascino. A Little Fire è l’ennesima perla, un brano di puro folk ancora eseguito in perfetta solitudine, mentre Tribulation Hymn conclude l’album con un piccolo capolavoro, una bellissima ballata folk-rock dal sapore vagamente irlandese e grande feeling interpretativo.

Avrete notato che non ho fatto neppure un paragone con artisti famosi ai quali Parker Millsap si può essere ispirato, ed infatti The Very Last Day, oltre ad essere un gran bel disco, è anche originale ed innovativo, e di questi tempi non è poco.

Marco Verdi

Ancora Una “Giovane” Promessa Del Blues Elettrico: Corey Dennison Band

corey dennison band

Corey Dennison Band – Corey Dennison Band – Delmark Records 

Ultimamente anche la Delmark (a parte le splendide ripubblicazioni di alcuni titoli cruciali del loro catalogo, vedasi Black Magic di Magic Sam http://discoclub.myblog.it/tag/magic-sam/), sembra avere ripreso a mettere sotto contratto nuovi nomi della scena musicale blues, come fanno le rivali Alligator, Telarc, Delta Groove e altre, così dopo il recente disco di Guy King Truth, ecco un altro “giovane” talento della chitarra messo sotto contratto dall’etichetta di Chicago. Il nostro amico, che dalle foto e dai filmati sembra un “energumeno” tatuato, con i capelli rasati e dall’aspetto poco raccomandabile, uno che francamente avrei paura ad incontrare di sera in qualche vicolo sperduto, una specie di fratello separato alla nascita di Popa Chubby. Pero sul palco (e su disco) suona, ragazzi se suona, e canta pure bene. Giovane nel blues è sempre un termine abbastanza relativo, lui racconta di avere fatto una gavetta di almeno una dozzina di anni nella band di Carl Weathersby, altro eccellente chitarrista blues, e di essere cresciuto ascoltando i dischi della collezione di suo padre, prima Gatemouth Brown, Albert King e Albert Collins, poi la scoperta del soul con Wilson Pickett, Curtis Mayfield e Sam Cooke (ognuno ha i suoi preferiti), l’esordio solista avviene con un Live in Chicago distribuito a livello locale (che non mi dispiacerebbe sentire, perché i dischi dal vivo hanno sempre qualcosa di speciale) e ora questo Corey Dennison Band che è il suo esordio di studio.

Dennison è nativo di Chattanooga, Tennessee e ha sempre vissuto tra Tennessee e Georgia, prima di trasferirsi a Chicago, quindi anche la musica del Sud fa sentire la sua presenza in questo esordio. Non vi so dare molte informazioni sugli altri musicisti che suonano nel CD, a parte i nomi, Gerry Hundt alla seconda chitarra, come da tradizione delle band di blues elettrico classico, Nicholas Skilnick al basso e Joel Baer alla batteria.. Sono 13 brani, poco meno di un’ora, che si aprono con il turgido e cadenzato funky-rock-blues dell’iniziale Getcha’ Pull, dove la voce negroide di Corey Dennison fa da apripista al sound tirato della sua Gibson Les Paul che inizia a disegnare  linee sinuose e ricorrenti, mentre basso e batteria vanno di groove alla grande; Tugboat Blues è subito il classico shuffle Chicago Style che difficilmente manca in un disco targato Delmark , ma ricorda anche il classico battito del vecchio British Blues targato fine anni ’60, con il suono “economico” ma vibrante della chitarra di Corey, che torna al funky-soul per la mossa e divertente The Deacon, sempre con la chitarra ben delineata in quel suo alternarsi di riff e lick solisti. Room To Breathe è una sorta di soul ballad, con il cantato di Dennison che si rifà ai grandi citati prima, sullo sfondo si sente anche un organo, che aggiunge il classico tocco sudista ad un brano di ottima fattura, mentre la solista lavora di fino; City Lights, con l’aggiunta dei fiati e un bel R&B deciso e godibile.

She’s No Good va quasi di boogie, con una strana tonalità di chitarra, ma prende meno di altri brani, seguita da una Aw, Snap! che avrebbe fatto la gioia di Wilson Pickett, ma anche dell’Albert King più errebi. Don’t Say You’re Sorry è di nuovo soul music, di quella buona, grazie anche ai coretti del call and response nel corpo del brano, con la chitarra sempre presente e mai sopra le righe, qui il rock-blues sembra bandito, ma lo slow blues torrido ed intenso non può certamente mancare e allora vai con A Fool’s Goodbye, tipologia già sentita obietterà qualcuno, ma se ben eseguita, come nel caso, sempre gradita. Di nuovo shuffle time con Jasper’s Hop, altro classico del Chicago blues, lo strumentale, per dare modo alla band di sfogare le proprie velleità soliste, e qui si apprezza anche il tocco di Gerry Hundt che risponde colpo su colpo ai soli di Dennison. Altro gran brano risponde alla atmosferica serenità di Shame On Me, dove i tempi sono più dilatati e ricchi di improvvisazione, i due Albert, King e Collins, avrebbero approvato. Strange Things Happenin’ ha il suono di classici chitarristi di scuola Delmark come Magic Sam o Jimmy Dawkins, aspra e ritmata come il Chicago sound richiede, e per concludere un altro boogie blues intenso e corale come Good Enuff, con Corey Dennison che si prende il suo tempo alla solista. Un ottimo esordio per questo “giovanottone” che i 40 anni però li ha già passati, anche se per il Blues rimane un poppante: se volete verificare, in rete c’è un bellissimo concerto di circa 4 ore girato in occasione appunto del suo 40° compleanno  https://gigity.tv/event/106725.

Bruno Conti

Anche Questo E’ “Bruttino”: Direi Che Possiamo Pure Passare Oltre! Brothers Osborne – Pawn Shop

brothers osborne pawn shop

Brothers Osborne – Pawn Shop – EMI Nashville CD

Questo duo non è da confondere con gli Osborne Brothers, anche loro in due ma provenienti dal Kentucky,  specializzati in bluegrass ed attivi dalla fine degli anni sessanta all’inizio degli ottanta: i Brothers Osborne (T.J. e John Osborne) vengono dal Maryland, fanno classico country elettrico e Pawn Shop è il loro album di debutto. Non sono esordienti totali, in quanto nel 2014 hanno pubblicato un EP omonimo con cinque pezzi disponibile però solo per il download (che ha ottenuto comunque un discreto successo): per Pawn Shop la divisione di Nashville della EMI ha voluto però fare le cose in grande, mettendo a disposizione dei due un cospicuo stuolo di sessionmen professionisti ed affidando la produzione a Jay Joyce, uno dei nomi più in voga nella capitale del Tennessee (tra le sue collaborazioni troviamo ottimi acts come John Hiatt, Emmylou Harris, Patty Griffin, ma anche gente più famosa benché di livello decisamente inferiore, come Eric Church, Carrie Underwood e Cage The Elephant).

Avere un produttore di vaglia e dei musicisti esperti a disposizione aiuta di certo, ma non ti fa fare un grande disco se non hai le canzoni, il feeling, l’attitudine, ed il problema di fondo di Pawn Shop è proprio questo: una serie di brani formalmente impeccabili, con un suono professionale al massimo (a volte pure troppo), ma che non riescono a smuovere più di tanto l’animo di chi ascolta (almeno questo è quanto è successo al sottoscritto). Non posso neppure dire che ci troviamo davanti al solito disco di pop commerciale travestito da country, in quanto le sonorità sono elettriche quanto basta e le sdolcinature sono quasi assenti, ma sembra quasi che T.J. e John siano i primi a non essere convinti di quello che suonano ed i brani, pur essendo scritti da loro, suonano quasi come quelli prodotti in serie dai vari songwriters di Nashville.

Il CD non inizia neanche male, con la mossa e cadenzata Dirt Rich, che ha leggere velleità southern ed una ritmica spezzettata che la rende abbastanza particolare. Discreta anche 21 Summer, che ha uno sviluppo più fluido e disteso ed un’atmosfera solare in relazione con il titolo, ricorda un po’ Kenny Chesney, quando fa meno il nashvilliano e si sposta dalle parti di Jimmy Buffett; Stay A Little Longer potrebbe non essere male in quanto a melodia, ma il suono è un po’ troppo rotondo e levigato, meglio la title track che ha elementi blues, anche se non so quanto sentiti e spontanei. Anche in Rum le intenzioni sono quelle di rivestire il brano di sonorità maschie, ma la canzone in sé vale poco e la miccia non si accende; Loving Me Back, nonostante la presenza di Lee Ann Womack alla seconda voce, risulta un po’ involuta, noiosa e con una preoccupante assenza di pathos. American Crazy tenta di dare la scossa, ma un po’ per la sua ripetitività un po’ per le sonorità troppo preconfezionate, il risultato è alquanto misero; a poco servono i restanti quattro pezzi, anche se Greener Pastures è un gradevole country-rock in odore di Waylon e Heart Shaped Locket ha un motivo trascinante che ricorda certe cose di Chris Isaak (se tutto il disco fosse stato a questo livello il mio giudizio sarebbe stato ben diverso).

Non un brutto disco, ma irrisolto e statico, senza guizzi particolari: un po’ poco comunque per essere definiti the next big thing, sentitevi questo e poi Chris Stapleton, la differenza si sente!

Marco Verdi

Viste Le Premesse Mi Aspettavo Di Più! Andy Frasco And The U.N. – Happy Bastards

andy frasco happy bastards

Andy Frasco And The U.N. – Happy Bastards – Ruf records **

Dopo una serie di almeno quattro album pubblicati a livello indipendente, Andy Frasco And The U.N. approdano su etichetta Ruf. Conoscendo il repertorio dell’etichetta tedesca, incentrato su blues, rock,vecchi  gruppi classici di rock anni ’70, molte voci femminili e chitarristi, mi aspettavo qualcosa di simile, ma devo dire che sono rimasto sorpreso, purtroppo non in modo positivo dal nuovo lavoro di questa band californiana. Come sapete io rispetto il lavoro di tutti i musicisti, perché immagino la fatica e l’impegno che ci sono dietro ogni disco che viene pubblicato, però conoscendo a grandi linee i nomi degli artisti che vengono abitualmente recensiti su queste pagine avrete notato che certa musica non viene trattata per principio, basta leggere i nomi che stazionano abitualmente ai primi dieci posti delle classifiche americane o inglesi e per principio il 90% e oltre non vengono proprio trattati, come si suole dire, se li conosci li eviti, poi se a uno piacciono è libero di ascoltarli.

In teoria Andy Frasco e i suoi pard, che vengono definiti nelle cartelle stampa come una “American rock-blues band”, sono fautori di un genere che miscela funky armonico e influenze jazzy in uno stile che viene presentato come “Party Blues”. Per correttezza mi sono andato a risentire i dischi precedenti del gruppo e mi sono ritrovato in parte con queste definizioni, ma il nuovo Happy Bastards, ovviamente parere personale, è la tra le cose più deludenti in ambito rock che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi anni. Sto ascoltando ancora il CD, anche in questo momento in cui scrivo, cercando di trovare qualcosa di buono nel guazzabuglio di suoni, grooves e ritmi che si susseguono nell’album: a voler essere generosi si salvano l’iniziale The You Up che sembra una versione anni 2000 della vecchia One Of These Nights degli Eagles, con le sue sferzate di chitarra elettrica e ritmi serrati e sospesi, la gioiosa scorribanda nel R&R  misto a R&B della frenetica When You’re Lonely (Fill You Up), dove fiati e arrangiamenti vocali corali danno questa impressione di party music che può ricordare certe cose dei Blues Brothers e sicuramente Andy Frasco And The U.N. saranno strepitosi dal vivo, con il leader libero di lasciar scorrere le sue mani su piano e organo che sono i suoi strumenti, il sassofonista Ernie Chang di soffiare con vigore nel proprio strumento e Shawn Eckles di inventare ritmi funky sulla chitarra, come succede parzialmente nel disco anche in (Oh My My) Can’t Get You Off My Mind, titoli lunghi ma idee poche. Forse il latineggiante blues acustico Let’s Get Down To Business, esile esile, o il gagliardo funky-rock della salace Blame It On The Pussy, che lascia intravedere un certo potenziale della band e qui Eckles è veramente bravo. E pure Good Ride, un pezzo rock che ricorda vagamente i Doobie Brothers dei primi anni ’70, non è male, come pure la conclusiva, movimentata My Recovery, ma niente di memorabile comunque.

Per il resto è notte fonda, alcuni pezzi sono veramente irritanti nella loro sciatteria, anche considerando le potenzialità della band. Quindi gli diamo la condizionale e li rimandiamo ai lavori forzati dal vivo, dove pare siano veramente bravi, com’è testimoniato da parecchi video che si trovano in rete, di cui uno lo vedete qui sopra.

Bruno Conti