Ryley Walker – Golden Sings That Have Been Sung. Affascinante Folk-Jazz-Rock Sospeso Tra Passato E Presente!

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Ryley Walker – Golden Sings That Have Been Sung (Deep Cuts Edition) – 2 CD Dead Oceans – 19-08-2016

Di questo disco si parla ormai da diverso tempo, anzi, molti siti e riviste specializzate lo hanno già recensito, quasi tutti in modo positivo e spesso entusiastico, in netto anticipo sulla uscita ufficiale che sarà questo venerdì 19 agosto. Io ho preferito aspettare l’imminenza della data di pubblicazione, visto che spesso quando se ne parla troppo presto quando poi il disco esce effettivamente è giù vecchio o ce ne siamo dimenticati. E in questo caso sarebbe un peccato, perché l’album è veramente bello. Questo signore, Ryley Walker, viene da Rockford, Illinois, una piccola cittadina nei dintorni di Chicago, ha iniziato con alcuni EP pubblicati a livello indipendente nel 2011 ed ora approda al terzo album di studio con questo Golden Sings That Have Been Sung. Walker è pure un abile chitarrista, e infatti nel 2015 ha pubblicato un album strumentale in coppia con Bill MacKay, ma nel corso degli anni ha sempre più curato anche il lato vocale della propria musica, diventando sempre più un cantante interessante e dalle molteplici influenze: sul lato chitarristico vengono citati Davey Graham, Sandy Bull, John Fahey, Bert Jansch e da quello vocale gente come Tim Buckey, Van Morrison, Tim Hardin John Martyn e i Pentangle, presenti in entrambi i campi, senza dimenticare, aggiungerei, l’Incredible String Band, e tra i musicisti contemporanei Jack Rose, Daniel Bachman, Steve Gunn, James Blackshaw, gruppi come Tortoise e Gastr Del Sol, e altri spiriti affini, legati a questa rinascita di un folk complesso, ricco di influenze jazz, psichedeliche, blues e rock, dove la melodia è importante ma anche il tessuto sonoro, l’improvvisazione, la ricerca di arrangiamenti sofisticati che guardano ai grandi del passato, cercando di riproporre questa musica che già negli anni ’70, più avventurosi a livello musicale, era comunque una musica di nicchia, pur se apprezzata dalla critica e dal pubblico più “curioso” ed attento. Quindi in teoria nulla di nuovo, ma se questa musica viene realizzata con passione e perizia è comunque in grado di costruire un ponte tra le diverse generazioni, continuando ad esplorare un filone che affascina sia l’ascoltatore più smaliziato e di vecchia militanza (quelli che hanno già sentito tutto, ma gradiscono in ogni caso l’arrivo di forze fresche) quanto gli ahimé non più numerosi adepti di una musica che richiede una soglia di attenzione più complessa di quella quasi istantanea delle generazioni digitali.

Per sgombrare i dubbi, anche il sottoscritto conferma che questo Golden Sings That Have Been Sung è un disco riuscito, otto brani di notevole valore (più una traccia dal vivo, nel secondo CD della cosiddetta Deep Cuts Edition): le influenze ed i rimandi ai vari nomi citati, pur essendo certamente presenti, non sono così evidenti e facilmente rintracciabili, in entrambi i sensi, ovvero, nell’insieme la musica ricorda e si riallaccia a questo tipo di musicisti e sonorità, ma non lo fa riferendosi a brani od album del passato specifici, quanto ad un comune intendere, ad una visione che dal passato si allunga sulla musica di Ryley Walker, che poi la rimodella secondo la propria sensibilità. Il nostro amico si è addirittura spinto quasi a prendere le distanze dal precedente, e ottimo album, Primrose Green, ma si sa che, per vari motivi, gli artisti sono sempre legati di più alla loro ultima prova discografica in ordine di tempo, magari poi rivalutando nel tempo il proprio lavoro, in un’ottica di lunga distanza. Il nuovo lavoro è prodotto dal polistrumentista LeRoy Bach, anche lui di Chicago, per il periodo 1997-2004 nella formazione dei Wilco, dove suonava chitarre e tastiere, che ha saputo unire lo spirito più avventuroso della musica di Walker con brani dal respiro più semplice e di attitudine folk, legati ai suoni del passato ma con lo sguardo al futuro, come è sempre più regola nella musica dei giorni nostri. I musicisti sono più o meno quelli utilizzati nel disco precedente, provenienti dalla attuale scena jazz contemporanea di Chicago: Brian Sulpizio alla chitarra elettrica, Ben Boye alle tastiere, Anton Hatwich al basso, Frank Rosaly Quin Kirchner alla batteria, Whitney Johnson alla viola e un altro multistrumentista Ryan Jewell, niente nomi altisonanti ma validi ed adatti alla bisogna.

Ed ecco quindi scorrere Halfwit In Me che fonde gli spiriti della West Coast più ruspante con le atmosfere raffinate di John Martyn o dei Pentangle più solari, soprattutto nell’approccio ritmico e jazzato, attraverso sognanti ma incisive derive strumentali dove la chitarra acustica di Ryley guida le danze, ma tutti gli strumenti sono importanti e la voce denota una ulteriore crescita a livello di personalità e di maturità. Anche A Choir Apart è legata al drive ritmico tra folk, jazz e blues dei Pentangle più sperimentali, quando Renbourn imbracciava l’elettrica, ma ricorda anche il Tim Buckley “liquido” di Starsailor Blue Afternoon, con inserti sonori tra raga e rock e una costruzione quasi circolare del brano che si avvolge su sé stesso in spire larghe ed affascinanti, con contrabbasso e batteria a dettare tempi jazzistici e il testo che contiene il titolo dell’album. Pure Funny Thing She Siad ha questo spirito pigro e quasi strascicato, intenso e notturno, con un cantato sommesso e quasi confidenziale, leggeri tratti blues, ma anche una bella melodia che entra sottopelle, con la chitarra elettrica che lascia ampi spazi a pianoforte e violoncello (o è una viola, o entrambi?) nella parte strumentale. Sullen Mind, che appare anche in una versione allungata, oltre 40 minuti (!?!) e dal vivo nel CD bonus, è una ulteriore fusione tra folk, derive psichedeliche e influenze orientali, un magma sonoro dove chitarre acustiche ed elettriche, tastiere e una ritmica agile e complessa, prima accarezzano la voce intensa di Ryley Walker e poi vengono scatenate in crescendi improvvisi ed acidi di pura improvvisazione, fino ad una affascinante accelerazione finale.

Musica forse non di facile approccio, che si stempera comunque nel leggero acquerello folk della breve e delicata I Will Ask You Twice, dove si agitano gli spiriti inquieti ma affascinanti di Tim Hardin o di Nick Drake, e anche le atmosfere pastorali di The Roundabout fanno rivivere le sonorità del folk-rock più raffinato ed ispirato degli anni d’oro della musica dei cantautori britannici più originali e visionari, sempre con gli arpeggi della chitarra di Ryley in bella evidenza.Torna la West Coast meno acida e sulfurea nelle serene e delicate note di una The Great And Undecided che sparge raffinate cascate di dolcezza nel suo incedere, per poi lasciare spazio nel finale del disco, nella lunga Age Old Tale, alle improvvisazioni di una sorta di “free-folk”  onirico ed improvvisato, dove gli strumenti e la voce sono di nuovo liberi da vincoli sonori e da melodie più definite e immerse in un dipanarsi sonoro quasi stordito e stralunato, che lentamente avvolge l’ascoltatore nella sua bruma fuori stagione (ma il disco è stato registrato lo scorso inverno).

Una conferma per Ryley Walker, un musicista per tutte le stagioni, forse non un genio assoluto ma un artigiano tra i più raffinati ed interessanti in circolazione.

Bruno Conti

Ryley Walker – Golden Sings That Have Been Sung. Affascinante Folk-Jazz-Rock Sospeso Tra Passato E Presente!ultima modifica: 2016-08-17T12:13:27+02:00da bruno_conti
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