Operazioni Discografiche Dovute…E Altre Un Po’ Meno! The Beatles – Live At The Hollywood Bowl/Bruce Springsteen – Chapter And Verse

beatles live at theollywood bowl

The Beatles – Live At The Hollywood Bowl – Apple/Universal CD

Bruce Springsteen – Chapter And Verse – Columbia/Sony CD

Normalmente dopo la pausa estiva (che peraltro riguarda solo l’Italia, all’estero non si fermano) il mercato discografico da Settembre comincia ad inondarci di proposte più o meno valide, con un occhio già al mercato natalizio, e questi due album di cui mi accingo a parlare non fanno certo eccezione: diciamo che nascono sotto altri presupposti, ma visto a chi sono accreditati pensiamo che nel periodo delle festività saranno tra i più gettonati per il classico regalo dell’ultima ora. Due pubblicazioni che nascono in un certo senso come collaterali ad altri progetti (uno cinematografico, l’altro letterario) e che, se in un caso l’esistenza del CD ha una sua ragione di essere, nell’altro ci sarebbe parecchio da discutere. Ma andiamo con ordine.

Per molti i Beatles sono stati il più grande gruppo mai apparso sulla faccia della terra (parere sotto un certo punto di vista condivisibile, anche se altri preferiscono i Rolling Stones, mentre quelli più “di nicchia” prediligono Led Zeppelin o addirittura i Beach Boys), ma anche i fan sfegatati dei Fab Four sono concordi su una cosa: i Baronetti non sono mai stati una live band eccelsa. I loro concerti erano infatti spesso una mezza farsa, piccoli showcase di appena mezz’ora, nei quali il suono (già di suo non proposto con attrezzature all’avanguardia) era costantemente sommerso dalle urla di migliaia di ragazzine impazzite, che erano lì solo per vedere i quattro ragazzi di Liverpool e non certo per la musica (cosa che spesso impediva ai musicisti stessi di sentire quello che accadeva sul palco). Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che il gruppo smise di esibirsi nel 1966, cioè nel momento stesso in cui discograficamente iniziarono a fare sul serio, capiamo perché l’unico loro album dal vivo, Live At The Hollywood Bowl (che raggruppava il meglio di due serate nella mitica location californiana, registrate rispettivamente nel 1964 e 1965), usci postumo solo nel 1977. Oggi l’uscita del film-documentario Eight Days A Week ad opera del famoso regista Ron Howard (Apollo 13, A Beautiful Mind, Frost/Nixon, Il Codice Da Vinci e moltissimi altri film di successo), in cui viene presa in esame la vita dei Fab Four durante le tournée, ha dato il pretesto per una ristampa in CD di quel disco dal vivo, un’operazione in un certo senso dovuta, data l’assenza pluriennale dal mercato di un album a suo modo storico.

Il CD (che si presenta con una copertina bruttissima, sembra un manifesto pubblicitario anche abbastanza a buon mercato) è stato completamente rimasterizzato dai nastri originali da Giles Martin, figlio dello scomparso George (il mitico produttore degli Scarafaggi), il quale ha fatto un lavoro superlativo: Giles non ha eliminato le grida delle fans (non sarebbe stato giusto, dopotutto), ma ha ripulito il suono, lo ha de-masterizzato e l’ha rimesso forte e centrale in primo piano, dando una nuova freschezza a queste registrazioni, cosa che secondo me può giustificare pienamente l’acquisto anche a chi possiede il vinile del ’77. Certo, le canzoni le conosciamo tutte a memoria (e non è che i quattro dal vivo le modificassero più di tanto), ma riascoltiamo con piacere l’energia rock’n’roll di pezzi come Twist And Shout (che apre il CD), Dizzy Miss Lizzy (che voce che aveva Lennon), A Hard Day’s Night, Ticket To Ride, Roll Over Beethoven (con Harrison come voce solista), o la bellezza di classici minori di McCartney come All My Loving e Things We Said Today, fino ad apprezzare la simpatia di Ringo che si gioca bene la sua chance con Boys. Come ciliegina, questa riedizione offre quattro bonus tracks inedite, tre brani minori ma interessanti (You Can’t Do That, Everybody’s Trying To Be My Baby, la bella Baby’s In Black) ed uno dei brani simbolo della Beatlemania come I Want To Hold Your Hand.

bruce springsteen chapter and verse

Diverso è il discorso per Chapter And Verse, il “nuovo” album di Bruce Springsteen,(uscito tra l’altro il 23 settembre giorno del suo 67° compleanno) che si compone di brani scelti dal Boss in persona per accompagnare l’attesissima autobiografia Born To Run (che fantasia), in uscita in contemporanea in tutto il mondo, un’operazione che si rivela deludente ed anche leggermente offensiva verso i fans, a mio parere, in quanto per il 75% per cento non è che l’ennesima antologia, tra l’altro piuttosto lacunosa, con cinque brani inediti messi in apertura in modo da far ricomprare anche ai fans sempre le stesse canzoni. Purtroppo Bruce non è nuovo a certe operazioni, ma se le altre volte si poteva incolpare la Columbia, qui è chiaro e lampante il suo imprimatur: Chapter And Verse è quindi un disco con poco senso, inadatto ai neofiti (ci sono molte antologie del Boss migliori sul mercato) ed un po’ truffaldino per i fans. Ok, c’è qualche pezzo non usuale nei Greatest Hits del Boss (My Father’s House, Livin’ Proof, Long Time Comin’), ma che senso ha riproporre ancora una volta classici strasentiti come Badlands, The River, Born In The U.S.A., The Ghost Of Tom Joad, The Rising e Wrecking Ball? Sarebbe bastato inserire le stesse canzoni in versioni inedite (anche dal vivo), per costruire un prodotto più accattivante e secondo me vendere anche di più.

I cinque inediti sono comunque interessanti, in quanto ci mostrano un Bruce poco conosciuto, agli esordi, prima di cominciare ad incidere; si parte con due pezzi, incisi nel 1966 e 1967, dei Castiles, la prima band giovanile di Bruce, un gruppo con uno stile rock-beat molto lontano da quello che Springsteen assumerà in seguito, e più sulla falsariga di gruppi come Stones, i primi Kinks e i Them: il primo brano, Baby I, non è niente male, musica rock molto energica e con uno stile da garage band, con la voce del Boss non riconoscibile (anche perché canta all’unisono con George Theiss, co-leader del gruppo) https://www.youtube.com/watch?v=aTeJTkSJMVE ; più caotica, e pure incisa peggio, la cover di You Can’t Judge A Book By The Cover di Willie Dixon (tutti gli altri inediti sono originali di Bruce), suonata con foga punk ma lontana anni luce da gruppi come i Sonics https://www.youtube.com/watch?v=4Ee1DlBMrEY . He’s Guilty (The Judge Song) è un pezzo del 1970 degli Steel Mill, altra band del nostro con all’interno futuri compagni di E Street Band come Danny Federici e Vini Lopez: lo stile cambia poco, punk-rock ante litteram, la grinta è tanta ma già si intravede qualcosa di più, come il breve ma potente assolo chitarristico di Bruce subito doppiato dall’organo di Federici, od il tentativo del nostro di salire di livello per quanto riguarda il songwriting. La chicca del CD è sicuramente The Ballad Of Jesse James del 1972 ad opera della Bruce Springsteen Band, un combo al quale a Federici e Lopez si erano aggiunti Steve Van Zandt e Garry Tallent: il brano è un gustoso country-rock con elementi gospel e sudisti, in uno stile molto vicino a quello di Delaney & Bonnie, un Bruce diverso e non più manifestatosi in seguito (ed anche il brano è sparito dai radar). L’ultimo inedito è Henry Boy, un provino del 1972 di un brano che ha qualche elemento in comune con Growin’ Up, che non a caso in questa compilation è stata messa subito dopo (ma non nella versione del primo album di Bruce, bensì il demo acustico pubblicato su Tracks) https://www.youtube.com/watch?v=cFc7Vqsn5oY . A seguire, come detto, una lunga serie di grandi canzoni, peccato che siano le stesse già sentite e risentite un milione di volte.

Marco Verdi

Operazioni Discografiche Dovute…E Altre Un Po’ Meno! The Beatles – Live At The Hollywood Bowl/Bruce Springsteen – Chapter And Verseultima modifica: 2016-09-26T11:49:17+02:00da bruno_conti
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