In Piccolo, Ma Pure Loro Sono Re, Del Chicago Blues. Cash Box Kings – Royal Mint

cash box kings royal mint

Cash Box Kings  – Royal Mint – Alligator Records/Ird

Li avevo lasciati nel 2015 su etichetta Blind Pig con l’album Holding Court http://discoclub.myblog.it/2015/05/07/vecchia-scuola-del-blues-elettrico-cash-box-kings-holding-court/ , e me li ritrovo nel 2017 con questo nuovo Royal Mint su Alligator. Dovrebbe essere il loro ottavo album, almeno stando alle discografie disponibili, ma nelle note interne del CD, Joe Nosek e Oscar Wilson, i due leader della band, scrivono che si tratta del nono, e chi siamo noi per contraddirli? Purtroppo non c’è più Barrelhouse Chuck, il pianista che aveva condiviso con loro una lunga parte di carriera, che ha dovuto soccombere ad una lunga battaglia con il cancro, ma per il resto non è cambiato molto, i Cash Box Kings sono sempre fieri rappresentanti di quel blues vecchia scuola di Chicago, sia pure fuso al rockabilly di Memphis (e aggiungo io, a soul, R&B e Jump) in quello che il gruppo definisce “bluesabilly”. La missione è quella di perpetrare la grande tradizione delle registrazioni Chess, che un po’ rappresentavano tutti questi stili, cercando di modernizzarlo, ma appena un poco, forse più dal lato delle tecniche di registrazione, e magari con l’iniezione, a fianco di brani classici, di composizioni che portano la firma di Nosek e Wilson, ma nello spirito sono identiche ai brani in modalità anni ’40 e ’50 che compongono il loro repertorio.

Per fare tutto ciò si avvalgono più o meno degli stessi musicisti del disco precedente: Billy Flynn, il solista, e Joel Paterson, l’altro chitarrista, Kenny “Beedy Eyes” Smith, presente solo in tre brani, viene affiancato alla batteria da Mark Haines, mentre c’è un nuovo bassista Brad Beer, che sostituisce Gerry Hundt. E. ovviamente, in sostituzione di Barrelhouse Chuck, c’è un nuovo tastierista aggiunto, Lee Kanahira, oltre ad una piccola sezione fiati, in un brano. L’apertura, House Party, un piccolo classico di Amos Milburn, uno dei veri re del jump blues, indica quale sarà l’atmosfera dell’album, allegra e divertita, con Al Falaschi presente al sax solo in questo pezzo, con il vocione poderoso di Oscar Wilson a guidare le danze e l’armonica amplificata del virtuoso Joe Nosek, a farsi largo tra piano e chitarra, mentre la ritmica swinga di brutto. I’m Gonna Get My Baby è classico Chicago blues, e anche se l’autore Jimmy Reed non ha mai inciso per la Chess,  il sound è quello di quei dischi, poi ribadito nel classico slow di una Flood, proveniente dal repertorio di Muddy Waters, ancora con la bella voce espressiva di Wilson in evidenza, ma anche la slide di Flynn, e gli altri solisti si danno da fare. Comunque il risultato sonoro non cambia neppure quando i Cash Box Kings cantano e suonano le proprie canzoni, come nel divertente rockabilly di Build That Wall, con la piacevole e squillante voce di Nosek e la chitarra twangy di Flynn, oppure nel solido Blues For Chi-Rag, scritta a quattro mani da Joe e da Oscar, che la canta con la sua potente ugola, mentre i fiati aggiungono spessore all’eccellente lavoro del sempre eccellente Billy Flynn.

Certo, un pezzo di Robert Johnson, come Travelling Riverside Blues, anche in una versione solo per voce e chitarra bottleneck, ha ben altro spessore autorale; poi ci si torna a divertire con la leggera e vorticosa If You Get A Jealous Facebook Woman Ain’t Your Friend (titolo che segue la “modernità” della Download Blues del precedente album, anche se il sound è pur sempre quello del secolo scorso). E pure la leggiadra Daddy Bear Blues, cantata in modo suadente da Nosek, è sempre musica da club degli anni ’50, con il pianino barrelhouse di Kanahira che si fa notare, come pure il mandolino di Flynn; altro “bluesaccio” torrido del grande Muddy in una pimpante Sugar Sweet, https://www.youtube.com/watch?v=vQI2o5oP35w sempre più o meno Chess Records metà anni ’50, fedele all’originale, forse fin troppo, e questo è per certi versi il (piccolo?) limite di questo album, fin troppo didascalico e citazionista a tratti, anche se assai godibile. I’m A Stranger è un buon slidin’ blues, con uso puree di armonica e piano, e la solita voce passionale di Wilson, che rilancia nella successiva I Come All The Way From Chi-Town, un omaggio alla propria città di origine, ovvero Chicago, sede della loro nuova etichetta Alligator, solo per voce, chitarra e armonica, prima di tornare al divertimento con la spensierata e scatenata All Night Long di Clifton Chenier e al “bluesabilly” di Don’t Let Life Tether You Down, affidata di nuovo a Joe Nosek.

Bruno Conti    

In Piccolo, Ma Pure Loro Sono Re, Del Chicago Blues. Cash Box Kings – Royal Mintultima modifica: 2017-07-26T13:50:18+02:00da bruno_conti
Reposta per primo quest’articolo