Da Nashville, Tennessee Un Bravissimo Rock Troubadour Americano. Will Hoge – Anchors

will hoge anchors

Will Hoge – Anchors – Edl Records/Thirty Tigers

Will Hoge non è un novellino, esordisce nel 2001 con Carousel pubblicato dalla Atlantic (ma ne aveva già pubblicato uno autogestito nel 1997 Spoonful – Tales Begin To Spin), presentandosi come un cantautore rock abbastanza tirato, non molto dissimile (salvo forse nel talento) dall’amico Dan Baird dei Georgia Satellites, che gli dà una mano in questo primo album per una major, discreto ma non memorabile, senza una direzione musicale ben definita. L’Atlantic gli dà fiducia e nel 2003 esce un nuovo album per loro, Blackbird On A Lonely Wire: Baird non c’è più, ma il chitarrista che lo sostituisce non scherza, tale Brian Layson, che oggi è uno dei sessionmen più apprezzati a Nashville, tra gli ospiti troviamo la rocker Michelle Branch, Rami Jaffee dei Wallflowers all’organo, e un sound che rimane energico ma vira verso un buon blue collar rock con elementi jangle. Naturalmente il disco non vende e Hoge viene scaricato, ma persiste con la sua musica, pubblicando un terzetto di album per la Rykodisc negli anni che vanno tra il 2007 e il 2009, tra cui Draw The Curtains, di nuovo con Baird e Jafee, ma anche Garrison Starr; Pat Buchanan Reese Wynans, che mostra una vena sudista e The Wreckage, forse il suo migliore fino ad oggi, prodotto da Ken Coomer dei Wilco, che suona anche la batteria nel disco, dove appare la futura Pistol Annie Ashley Monroe e il bravissimo chitarrista Kenny Vaughan dei Fabulous Superlatives di Marty Stuart, disco che vira verso un country(rock) di qualità, già presente comunque anche negli album precedenti e che contiene Even If It Breaks Your Heart, che gli frutterà un numero 1 nelle classifiche country nella versione della Eli Young Band.

Pure in Number Seven, a dimostrazione della stima di cui gode Hoge tra i colleghi arriva come ospite Vince Gill, e ad affiancare Vaughan come chitarrista ci sono anche Carl Broemel dei My Morning Jacket, Bucky Baxter alla pedal steel e Kenny Greenberg. Senza dimenticare che comunque nei dischi di Will suona spesso anche la band con cui gira l’America per concerti. Finito il periodo Rykodisc Hoge pubblica due ulteriori dischi a livello indipendente, Never Give In, che grazie alla presenza di Doug Lancio alla chitarra, tra i tantissimi musicisti impiegati, molti gli stessi dei dischi precedenti, indica una influenza di Hiatt, ma anche Mellencamp e Bob Seger vengono citati tra le fonti di ispirazione e l’ultimo Small Town Dreams,sempre per la piccola etichetta di Nashville, la Cumberland Records, disco che conferma le bontà delle sue composizioni (non a caso tra quelli che firmano i brani con lui c’è un certo Chris Stapleton) e le influenze country-rock, roots e blue collar, con una predilezione per le ballate.

Come si evince da questa lunghissima introduzione (ma il personaggio merita) Will Hoge è uno di quelli bravi, come conferma il nuovo Anchors, disco numero 10 della sua discografia, autoprodotto per la propria etichetta Edl Records e poi affidato alla eccellente Thirty Tigers che ne cura la distribuzione. Nel frattempo il nostro amico ha sciolto la band che lo accompagnava nei concerti, girando da solo nel 2016, solo voce, chitarra e tastiere (ma nei suoi dischi lo ha sempre fatto, suonando anche armonica e vibrafono) e preparando le canzoni per il nuovo album, dove si produce da solo, ma utilizza ancora una volta ottimi musicisti come Jerry Roe, batterista (Emmylou Harris & Rodney Crowell, ma anche l’ultimo ottimo di Shannon McNally) il bassista Dominic Davis (Jack White, Wanda Jackson; Luther Dickinson, Jim Lauderdale) e i due chitarristi Brad Rice (Son Volt, Rayn Adams) Thom Donovan (Ruby Amanfu e in passato Robert Plant), Dave Cohen al piano (anche lui con Shannon McNally di recente) oltre a Fats Kaplin, violino, mandolino e pedal steel, nonché una piccola sezione fiati in un brano. Come ospite, a duettare in un pezzo è presente Sheryl Crow, che è la seconda voce in Little Bit Of Rust, uno dei pezzi più country del disco, una bella ballata midtempo rootsy-rock con uso di mandolino e violino affidati a Kaplin e un tagliente assolo di slide che non guasta, tra le migliori del disco, che comunque mantiene un ammirevole elevato livello qualitativo in tutti i gli undici brani che lo compongono.

Per intenderci siamo dalle parti di quei troubadours alla Hayes Carll, Pat Green Jack Ingram, forse non dei numeri uno, ma comunque ottimi autori e cantanti. Will Hoge ha una voce leggermente roca e vissuta il giusto, come confermano brani come la splendida southern ballad Cold Night In Santa Fe, che ha profumi che rimandano addirittura alla Band. Ottima anche l’iniziale The Reckoning, una country song cadenzata che ricorda i primi Son Volt o i Wilco, quelli più melodici e avvolgenti, con un bel lavoro elettroacustico delle chitarre, oppure la deliziosa 17, una canzone dove qualcuno ha visto delle analogie con il miglior Bob Seger degli anni ’70, e quando entrano i fiati nel finale e una slide di nuovo a tagliare in due il brano, qualche elemento del Van Morrison californiano aggiungerei io, ebbene sì è così bella. Young As We Will Ever Be rimanda al jingle jangle del miglior Tom Petty, con le chitarre spiegate e un assolo alla Mike Campbell; groove e ambiente sonoro poi replicati anche nell’eccellente Baby’s Eyes che è più dalle parti di Wildflowers, con qualche tocco anche alla George Harrison, sempre bella comunque.

The Grand Charade è un’altra ballatona di quelle malinconiche e dolenti, brani come quelli che si trovano nei migliori dischi country dei cantanti californiani degli anni ’70, con un bel lavoro del piano di David Cohen. Non manca il R&R a tutte chitarre presente nei dischi precedenti e (This Ain’t) An Original Sin ne è un ottimo esempio, ritmo, grinta, sudore, coretti springsteeniani e riff a tutto spiano, per un brano da sentire a volume adeguato mentre viaggiate in automobile. Will Hoge veleggia per i 45 anni e tiene famiglia, ma ogni tanto gli scappa la ballata “amorosa” come la delicata Through Missing You, con un breve assolo di slide degno del miglior David Lindley. Per non dire della splendida Angels Wings una country ballad di quelle perfette nobilitata dal grande lavoro di Fats Kaplin alla pedal steel, brano che rimanda di nuovo alle canzoni più emozionanti del Bob Seger targato anni ’70 con una interpretazione vocale veramente ispirata di Will Hoge. Manca ancora la title-track Anchors (come avrete notato i brani non appaiono nella recensione nella sequenza del disco, ma in fondo chi se ne frega), un altro mid-tempo dall’andatura riflessiva e sobria, dove le chitarre acustiche ed elettriche costruiscono ancora una volta una sognante atmosfera sonora di grande impatto emotivo per l’ascoltatore, Per il sottoscritto, fino a questo punto, il disco è una delle più piacevoli sorprese del 2017. Peccato non averlo visto quando è venuto in Italia all’anteprima del Buscadero Day il 4 luglio scorso.

Bruno Conti

Da Nashville, Tennessee Un Bravissimo Rock Troubadour Americano. Will Hoge – Anchorsultima modifica: 2017-08-22T00:33:09+02:00da bruno_conti
Reposta per primo quest’articolo