Non Solo Per Appassionati. Wynton Marsalis Septet – United We Swing:Best Of Jazz At The Lincoln Center Galas

wynton marsalis united we swing

Wynton Marsalis Septet – United We Swing: Best Of The Jazz At Lincoln Center Galas – Blue Engine CD

Questo blog non si è mai occupato molto di jazz, genere musicale nobilissimo anche se non dico elitario, ma sicuramente rivolto ad un pubblico di estimatori (io stesso ne sono un fruitore occasionale, e non mi ritengo certo un esperto in materia). Il CD di cui mi accingo a parlare secondo me è una storia leggermente diversa, primo perché tratta di un tipo di jazz assolutamente piacevole e fruibile, e poi perché presenta una serie di ospiti di altissimo profilo che nobilitano le varie performance. Wynton Marsalis, compositore e trombettista, è uno dei più stimati artisti jazz contemporanei: fratello del grande sassofonista Branford Marsalis ed appartenente ad una vera e propria famiglia di musicisti, da anni Wynton è anche il direttore musicale di Jazz At Lincoln Center, una sala da concerto situata nei pressi del Columbus Circle a New York (forse il luogo preferito della Grande Mela per chi scrive, nel quale la zona dello shopping si fonde con l’inizio di Central Park). United We Swing è una selezione di brani dal vivo suonati dal 2003 al 2007 in quella venue (ma anche all’Apollo Theatre) dal Wynton Marsalis Septet, un combo formidabile che ha come punti di forza, oltre alla tromba del leader, il sassofono di Wess Anderson, il clarinetto di Victor Goines, il trombone di Ronald Westray (rimpiazzato poi da Wycliffe Gordon), lo splendido piano di Richard Johnson e la sezione ritmica formata da Reginald Veal e Herlin Riley, tutti musicisti di grande bravura ed indubbia classe, in grado con la loro tecnica di accompagnare chiunque, oltre che di agire come band a sé stante.

E poi ci sono gli ospiti, che rendono questo United We Swing un album da avere anche se il jazz non è il vostro genere preferito (non dimentichiamo che Wynton aveva già inciso due live interi con Willie Nelson ed uno con Eric Clapton, ed è quindi abituato alle contaminazioni con il rock). Inizio, dopo un breve intro strumentale, con i Blind Boys Of Alabama che ci deliziano con il gospel-blues tradizionale The Last Time, grandi voci e gruppo che segue con discrezione, quasi in punta di piedi. Trovare Bob Dylan sui dischi di qualcun altro è ormai una rarità, ma non solo il Premio Nobel c’è (la serata in questione è del 2004), ma è anche in gran forma sia come cantante che come armonicista, e la sua It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry brilla particolarmente in questo arrangiamento jazz-blues, con il clarinetto che duetta alla grande con la sua armonica; parlando di grandissimi ecco Ray Charles in una delle sue ultime esibizioni: I’m Gonna Move To The Outskirts Of Town è uno slow blues di gran classe, cantato in maniera eccelsa e con la band che asseconda The Genius in maniera perfetta (splendida la tromba del leader). E’ la volta a seguire proprio di Eric Clapton con una godibilissima I’m Not Rough (di Louis Armstrong), suonata in puro stile dixieland e nobilitata dalla chitarra (acustica) di Manolenta, un pezzo tra i più immediati e piacevoli; la soffusa e raffinatissima Creole Love Call è perfetta per i gorgheggi di Audra McDonald, mentre Willie Nelson non sbaglia un colpo, e ci delizia con una strepitosa Milk Cow Blues, gran voce e band in palla (con il sax protagonista), per uno slow blues di grande effetto.

Non sono un fan di John Mayer, ma devo dire che la sua I’m Gonna Find Another You ha un senso, ed il gruppo lo segue senza fronzoli, in maniera classica, dando al brano un sapore d’altri tempi, mentre Lyle Lovett è un fuoriclasse, e con gli arrangiamenti jazzati ci è sempre andato a nozze, e così è anche qui con una swingatissima My Baby Don’t Tolerate. Natalie Merchant è un’altra cantante che fa rima con “classe”, la sua The Worst Thing è molto sofisticata, forse anche troppo, anche se il gruppo suona come al solito da Dio, mentre John Legend, un altro sopravvalutato, fa il bravo e ci regala una Please Baby Don’t vivace e pimpante. James Taylor non cambierebbe stile neanche con una band heavy metal alle spalle, e così la sua Mean Old Man suona come un rassicurante ed elegante dejà vu (e l’accompagnamento è superlativo, con il sax sopra tutti); una delle maggiori sorprese del CD è certamente Lenny Kravitz, che rifà la sua Are You Gonna Go My Way rallentandola e dandole un sapore blues che in origine non aveva, migliorandola alquanto grazie anche al formidabile apporto di Wynton e compagni, con uno spettacolare cambio di ritmo a metà canzone. Jimmy Buffett è uno che ha nelle corde questo tipo di sonorità, ed in Fool’s Paradise (del bluesman Johnny Fuller) si trascina dietro anche Mac McAnally alla chitarra e Robert Greenidge alle steel drums, portando così un tocco di Caraibi a New York. Molto brava anche Carrie Smith con Empty Bed Blues, appunto un blues diretto e cantato alla grande, con una versione ridotta del gruppo a soli tre elementi (e con Marsalis al pianoforte). Il CD termina con la coppia Susan Tedeschi e Derek Trucks che impreziosisce con voce e chitarra (rispettivamente) la già notevole I Wish I Knew How It Would Feel To Be Free (un classico di Nina Simone), dando una performance di altissimo livello, e con la fluida e bluesata What Have You Done, con solo il settetto senza partecipazioni esterne e Wynton che si cimenta anche alla voce solista.

Grande band, grandi ospiti e grande musica, non solo per “jazzofili”.

Marco Verdi

Non Solo Per Appassionati. Wynton Marsalis Septet – United We Swing:Best Of Jazz At The Lincoln Center Galasultima modifica: 2018-04-22T09:02:22+02:00da bruno_conti
Reposta per primo quest’articolo