Sono Veramente Bravi Tutti! Elvin Bishop’s Big Fun Trio – Something Smells Funky ‘Round Here

elvin bishop's big fun trio - something smells funky 'round here

Elvin Bishop’s Big Fun Trio – Something Smells Funky ‘Round Here – Alligator/Ird

Con l’album omonimo dello scorso anno hanno rischiato di vincere il Grammy per il miglior disco di Blues tradizionale nel 2018 https://discoclub.myblog.it/2017/02/04/come-il-buon-vino-invecchiando-migliora-elvin-bishops-big-fun-trio/ , ed Elvin Bishop era già stato candidato nel 2008 con The Blues Rolls On: nel 2015 era anche entrato nella Rock And Roll Hall Of Fame come componente della Butterfield Blues Band, quest’anno a ottobre compirà 76 anni, ma il chitarrista e cantante californiano (cittadino onorario di Chicago, per i suoi meriti nella musica blues) non sembra intenzionato ad appendere la chitarra al chiodo. Si è inventato questa formula del trio dopo tanti anni on the road ,con una big band che aveva almeno sette/otto elementi in formazione, ma ha dichiarato che non è stato per motivi economici che ha cambiato il formato, quanto perché si era stufato di aspettare che il suonatore di trombone finisse il suo assolo (lo humor non gli è mai mancato). Quale che sia il motivo comunque i risultati si sentono: Bishop si è scelto due soci di grande spessore, Willy Jordan (John Lee Hooker, Joe Louis Walker e Angela Strehli), al cajon, e soprattutto vocalist formidabile e Bob Welsh (Rusty Zinn, Charlie Musselwhite, Billy Boy Arnold, James Cotton), piano e chitarra, che sono, come leggete appena sopra, musicisti dal pedigree notevole e tutti e tre insieme fanno un “casino” notevole, inteso nel senso più nobile del termine.

Sono solo dieci brani, ma uno più bello dell’altro, l’album complessivamente mi sembra addirittura superiore al precedente, insomma un gran bel disco di blues, con abbondanti elementi rock, soul e di quant’altro volete sentirci: la title track Something Smells Funky ‘Round Here è firmata da tutti e tre, anche se il testo è di Bishop, che dice di non essere una persona molto politicizzata abitualmente, però l’ultimo inquilino della Casa Bianca è riuscito a fare “incazzare” anche lui, il tutto viene spiattellato a tempo di un rock-blues vibrante e tirato quanto consente un trio in teoria non elettrico, ma con le chitarre che ci danno dentro di gusto. La cover di (Your Love Keeps Lifting Me) Higher And Higher di Jackie Wilson è semplicemente splendida, accompagnamento minimale, ma la voce di Willy Jordan tenta dei falsetti acrobatici e spericolati che neanche Wilson ai tempi raggiungeva, mentre Bishop e Welsh con piccoli accenni di chitarra e slide danno il loro tocco di classe; Right Now Is The Hour è una nuova versione di un pezzo del 1978 che era su Hog Heaven, cantata a due voci da Jordan e Bishop, non sfigura rispetto all’originale del disco Capricorn che aveva un arrangiamento sontuoso, tanta grinta e chitarre anche nella nuova rivisitazione. Pure Another Mule di Dave Bartholomew, il pard storico di Fats Domino, era uscita su un disco di Bishop del 1981, e questa nuova versione mescola Chicago e New Orleans Blues in grande scioltezza, mentre la chitarra è sempre felpata e con sprazzi di gran classe in questo sinuoso blues.

That’s The Way Willy Likes It parte cantata coralmente poi diventa un blues and soul godurioso cantato alla grande da Jordan, con Bishop e Welsh sempre precisi e puntuali alle chitarre. I Can Stand The Rain è l’altra grande cover di un classico della soul music, questa volta di Ann Peebles, di nuovo cantata magnificamente da Wily Jordan, mentre la slide di Bishop e l’organo di Welsh aggiungono ancora tocchi di genio ad una versione intensa, mentre in precedenza in Bob’s Boogie Welsh aveva fatto volare a tutta velocità le mani sulla tastiera del  suo piano. Anche Stomp è un altro strumentale, questa volta di Bishop, sempre a tempo di boogie, con Elvin che mostra la sua abilità sia alla slide come alla solista; prima della conclusione arriva uno dei classici blues confidenziali di Bish che “conversa” con il suo pubblico su pregi  e difetti della terza età, con ironia e dosi di piano e stridente chitarra sparse a piene mani, e ancora il cajun soul godurioso della cover di un vecchio brano di Edwin Hawkins (quello di Oh Happy Day, scomparso di recente a gennaio), con l’accordion di Andre Thierry a duettare brillantemente con piano e chitarra.

Bruno Conti

Una Commovente E Bellissima Testimonianza Postuma Di Un Grande Outsider. Jimmy LaFave – Peace Town

jimmy lafave peace town

Jimmy LaFave – Peace Town – Music Road 2CD

Il 2017 musicale, dal punto di vista dei necrologi, verrà ricordato come l’anno della scomparsa di due grandissimi, Gregg Allman e Tom Petty, ma non sarebbe giusto dimenticarsi di Jimmy LaFave, musicista texano ma con radici in Oklahoma, scomparso a soli 61 anni per un sarcoma incurabile https://discoclub.myblog.it/2017/05/23/la-tregua-e-finita-a-soli-61-anni-se-ne-e-andato-anche-jimmy-lafave/ . LaFave non era famoso, non era una star, ma era oggetto di un culto notevole in Texas ed anche fuori, dato che nella sua vita artistica raramente aveva sbagliato un disco, ed anche nei lavori meno brillanti c’era sempre qualche canzone che emergeva. Era anche un personaggio di una modestia ed umiltà notevole: anni fa andai a sentirlo a Sesto Calende, nella sala consiliare, ed il suo ingresso avvenne dal portone principale, lo stesso dal quale era entrato il pubblico, con il nostro e la sua band che man mano che avanzavano chiedevano permesso alla gente per poter raggiungere il palco! Il suo ultimo lavoro, The Night Tribe (2015) era splendido, uno dei migliori di una carriera quasi quarantennale (ma la visibilità su scala più larga è arrivata solo nei primi anni novanta), un disco di ballate notturne e pianistiche, eseguite con la consueta classe e cantate in maniera perfetta dal nostro, con la sua caratteristica voce dolce e roca allo stesso tempo (una voce che ricorda vagamente quella di Steve Forbert, ma in meglio) https://discoclub.myblog.it/2015/05/18/sempre-buona-musica-dalle-parti-austin-jimmy-lafave-the-night-tribe/ .

Qualche mese prima di lasciarci, Jimmy è entrato in studio ad Austin con un selezionato gruppo di musicisti (tra i quali segnalerei il bravissimo pianista ed organista Stefano Intelisano, oltre alle chitarre di John Inmon e del figlio Jesse LaFave, del violino di Warren Hood e della sezione ritmica formata da Glenn Schuetz, basso, e Bobby Kallus, batteria), ed in soli tre giorni ha registrato addirittura un centinaio di canzoni, tra cover e brani originali, e Peace Town è il fulgido risultato di quella session, un doppio album davvero bello ed emozionante, in cui Jimmy, che probabilmente già sapeva di essere condannato, ha deciso di prendere commiato facendo quello che sapeva fare meglio: grande musica, suonata e cantata più che mai con il cuore in mano (un po’ come aveva fatto Warren Zevon una quindicina di anni fa) Peace Town è dunque uno dei lavori più riusciti di Jimmy, non inferiore a The Night Tribe, e che alterna in maniera disinvolta ballate e brani più mossi, un testamento musicale emozionante che potrebbe anche avere un seguito, data la grande mole di canzoni incise in quei tre giorni. I brani originali scritti da Jimmy non sono poi molti, solo quattro, a partire da Minstrel Boy Holwling At The Moon, una ballatona fluida e distesa, anzi direi rilassata, strumentata con classe, per proseguire con la lenta ed intensa A Thousand By My Side, uno strumentale evocativo con il violino che sostituisce la voce solista, il puro blues texano Ramblin’ Sky, non un genere abituale per Jimmy ma che viene affrontato con disinvoltura, e la potente Untitled, altro strumentale che è più una backing track, un brano che poteva diventare una grande rock song alla Tom Petty.

Ci sono anche tre collaborazioni molto particolari, cioè tre testi inediti di Woody Guthrie ai quali Jimmy ha aggiunto la musica (come fecero Billy Bragg coi Wilco): Peace Town, uno slow elettroacustico cadenzato e dallo spiccato gusto melodico, la bluesata Salvation Train (titolo molto alla Guthrie), elettrica, coinvolgente e con elementi southern, e Sideline Woman, grintoso folk-blues di grande presa, cantato come sempre in maniera impeccabile dal nostro. Il resto dell’album sono cover, un genere nel quale LaFave si è sempre distinto con brillantezza, a partire dall’iniziale e splendida Let My Love Open The Door (un pezzo del Pete Townshend solista), forse il capolavoro del disco, una canzone che nelle mani di Jimmy diventa una solare rock ballad di stampo californiano, che ci porta quasi nei territori occupati dai Fleetwood Mac: una vera delizia. Help Me Through The Day, di Leon Russell, è lentissima, pianistica e struggente, quasi jazzata (Madeline Peyroux potrebbe farla in questo modo), anche se poi entra anche la strumentazione “classica”, mentre la trascinante I May Be Used (But I Ain’t Used Up), di Bob McDill, è puro rock’n’roll texano; il primo CD si chiude con il country-rock travolgente di My Oklahoma Home, brano popolare inciso anche da Springsteen nelle Seeger Sessions, e con il folk cantautorale di Already Gone (Butch Hancock), più di sette minuti di puro Texas.

Le cover proseguono sul secondo dischetto con una sontuosa It Makes No Difference, una delle più belle canzoni di The Band, che Jimmy riesce a far sua con una interpretazione da manuale, la lenta e cupa Don’t Go To Strangers, che è di J.J. Cale ma qui sembra più un brano di Townes Van Zandt, la meno nota When The Thought Of You Catches Up With Me, un pezzo del countryman David Ball che però sembra uscito dalla penna di Jimmy, il famoso rock’n’roll di Chuck Berry Promised Land, che il nostro esegue in scioltezza, per chiudere con la toccante Goodbye Amsterdam di Tim Easton, che non può non far scendere una lacrima a chi ascolta, splendida anche questa. Ma in ogni disco di LaFave che si rispetti non possono mancare brani di Bob Dylan, e qui ne abbiamo tre: se What Good Am I e You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go sono due pezzi minori del songbook del grande Bob (ma sono comunque resi in maniera elegante, con una strumentazione parca), My Back Pages è uno dei capolavori assoluti del Premio Nobel, e Jimmy la rifà che è una meraviglia, rallentandola ad arte e mettendo la splendida melodia al centro di sonorità calde e piene d’anima, e trasformandola in una commovente ballata il cui testo, sapendo la fine alla quale il nostro stava andando incontro, dà i brividi.

Addio Jimmy, insegna pure agli angeli come canta un vero texano.

Marco Verdi

Un Gradito Ritorno…Ma Ci Vorrebbe Un Produttore! Roger McGuinn – Sweet Memories

roger mcguinn sweet memories

Roger McGuinn – Sweet Memories – April First/CD Baby CD

Un disco elettrico con materiale nuovo da parte di Roger McGuinn è da considerarsi un piccolo evento. Molto attivo come solista negli anni settanta, e con lavori di ottimo livello (Cardiff Rose e Thunderbyrd i preferiti dal sottoscritto, mentre invece gli album pubblicati con Chris Hillman e Gene Clark, o anche in duo con il solo Hillman, non sono mai stati il massimo), totalmente assente negli anni ottanta, l’ex leader dei Byrds aveva fatto un ritorno in grande stile nel 1991 con lo splendido Back From Rio, un bellissimo album che richiamava come non mai il suono del gruppo che lo aveva reso celebre, e con ospiti del calibro di Tom Petty con Heartbreakers a seguito, ancora Hillman con l’altro ex compagno David Crosby, ed Elvis Costello. Dopo un live acustico, ma con due nuove (e belle) canzoni elettriche incise in studio (Live From Mars, 1996), Roger si è praticamente ritirato dal mondo rock che conta, iniziando ad esplorare la tradizione ed ad incidere brani folk di dominio pubblico, rendendoli disponibili solo online sotto il nome di Folk Den Project, un’operazione che è durata più di dieci anni e che ha visto la pubblicazione anche di CD a tema, tutti rigorosamente acustici, ma che non mi ha mai fatto impazzire in quanto ho sempre giudicato le sue interpretazioni piuttosto scolastiche e poco ricche di feeling. Per avere un altro CD elettrico con canzoni nuove dobbiamo saltare al 2004, quando Roger pubblica in via indipendente Limited Edition, un lavoro discreto ma che manca di una reale produzione, mentre CCD del 2011 è un altro lavoro di matrice folk a tema marinaresco, praticamente un’appendice del Folk Den.

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Oggi, un po’ a sorpresa, Roger fa uscire (sempre autoproducendosi) questo Sweet Memories, un CD con canzoni originali che mischia nuovo ed antico, in quanto vengono ripresi anche tre pezzi dei Byrds. Roger ha fatto di nuovo tutto da solo, dalla produzione alla strumentazione (c’è solo Marty Stuart alla chitarra in un pezzo), e questo è un po’ il limite del disco, in quanto McGuinn non è certo famoso per essere un polistrumentista: alla chitarra è come al solito validissimo, così come con tutti gli strumenti a corda in genere, ed in Sweet Memories il nostro si concentra quindi su questo tipo di suono in particolare, limitando al massimo l’uso di basso e batteria, e non prendendo neppure in considerazione piano ed organo. Il risultato è un album discreto, ma che avrebbe potuto essere molto meglio con qualche sessionmen in più, un suono più profondo ed una produzione più professionale e meno “piatta” (Stuart sarebbe andato benissimo, dato che è passato dallo studio). Anche i tre brani dei Byrds risentono del confronto con gli originali: se Mr. Tambourine Man è praticamente identica e suonata in maniera corretta, Turn, Turn, Turn per sola voce, basso e Rickenbaker suona un po’ stanca, e So You Want To Be A Rock’n’Roll Star è totalmente priva di pathos (e la canzone in sé non mi ha mai fatto impazzire). C’è anche una cover molto particolare: si tratta di Friday, un brano-parodia che Roger ha trovato su YouTube, un video nel quale un tale Nate Herman, fingendosi un serio musicologo, parla di questo fantomatico e rarissimo brano scritto da Bob Dylan ed inciso dai Byrds in gran segreto, mentre in realtà è tutta una presa in giro; Roger però pare si sia divertito a tal punto che ha voluto incidere la canzone (per sola voce e chitarra elettrica), che in effetti ha un motivo molto byrdsiano, anche se il testo è chiaramente parodistico.

I restanti otto brani sono tutti originali, scritti da McGuinn con la moglie Camilla, ma non sono tutti nuovi, in quanto alcuni di essi sono stati tirati fuori dal proverbiale cassetto (la title track risale addirittura ai primi anni ottanta), cosa che dimostra che Roger da anni non è più un autore prolifico. Chestnut Mare Christmas è il seguito di un’altra famosa canzone dei Byrds, Chestnut Mare appunto, ed è una country ballad bella e profonda, che mantiene la stessa struttura dell’originale (alternanza tra talkin’ e cantato), e ci regala un ottimo ritornello, con Stuart che ricama sullo sfondo: è anche il brano, tra quelli nuovi, più ricco dal punto di vista strumentale. Grapes Of Wrath è puro folk dal sapore irish, che richiama le atmosfere di Cardiff Rose (ma anche del Folk Den), con Roger che gioca con le voci e vari strumenti a corda; Sweet Memories è un tenue slow cantautorale, tutto incentrato sulla voce e su un paio di chitarre arpeggiate (ma in carriera il nostro ha scritto di meglio), mentre Catching Rainbows, pur mantenendo un’atmosfera languida ed un sound spoglio, è decisamente più riuscita, anche se il livello raggiunto in passato dall’ex Byrd resta lontano. Nella breve 5:18 spunta anche un banjo, ed è ancora puro folk, The Tears (scritta dalla sola Camilla) è un’altra ballatona dal passo lento e dalla suggestiva melodia di stampo western, una delle migliori del CD; restano ancora la toccante At The Edge Of The Water, con Roger che canta stratificando varie sue tracce vocali, e la deliziosa Light Up The Darkness, country-folk solare e diretto.

E’ sempre un piacere recensire un nuovo disco di Roger McGuinn, dato che stiamo parlando di uno dei “totem” della nostra musica, anche se sarebbe auspicabile l’affidamento delle mansioni sonore ad un vero produttore e la partecipazione di qualche musicista esterno, un po’ come ha fatto lo scorso anno il suo vecchio compare Chris Hillman (come nel recente tour per i 50 anni di Sweeetheart Of The Rodeo, e si vede nel video qui sopra).

Marco Verdi

*NDB Se poi aggiungiamo che il CD non è proprio di facile reperibilità e costa pure abbastanza caro, mi sembra il classico prodotto destinato solo ai maniaci di Roger McGuinn, come peraltro gli altri CD degli anni 2000

Uno Dei Migliori Tour Di Sempre, E Non Solo Del Boss! Bruce Springsteen & The E Street Band – Wembley Arena, June 5 1981

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Wembley Arena, June 5 1981 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

E’ opinione comune che la parte europea del tour 1980-81 di Bruce Springsteen & The E Street Band sia uno dei punti più alti del nostro come live performer, se non addirittura il più alto: personalmente ritengo questa tournée superiore anche a quella magnifica del 1978, soprattutto perché all’interno dei suoi concerti trovano ampio spazio le canzoni di The River, che giudico il capolavoro assoluto del rocker di Freehold. Mi sono quindi fregato le mani quando ho visto che il nuovo volume degli archivi live del Boss era incentrato su una di quelle serate (*NDB Per la serie “c’ero anch’io”, ero presente al concerto dell’11 Maggio all’Hallenstadion di Zurigo e non posso che confermare https://www.youtube.com/watch?v=PKUhjWSjsKQ ), e precisamente quella del 5 Giugno 1981 alla Wembley Arena di Londra: è la terza uscita di questa serie dal tour di The River, ma le due precedenti erano tratte dalla tranche americana (Nassau e Tampa).

E le premesse sono state rispettate, in quanto ci troviamo di fronte ad un live formidabile, con performances davvero imperdibili di Bruce e dei suoi sei compari (all’epoca mancavano ancora sia Nils Lofgren che Patti Scialfa), uno show che alterna momenti di grandissimo rock’n’roll ad altri in cui i nostri ci commuovono con ballate struggenti, ed in più con una scaletta spettacolare. Lo show inizia in modo insolito, in quanto Born To Run di solito veniva (e viene ancora oggi) eseguita verso fine serata, eppure non solo il brano funziona anche in apertura, ma credo che questa sia una delle più belle, potenti ed accorate versioni che abbia mai sentito. Seguono a ruota una splendida Prove It All Night, con grande assolo chitarristico, e la trascinante Out In The Street, che ci fa entrare definitivamente nel vivo del concerto, oltre ad essere la prima tratta da The River. Da quello storico album Bruce ne suonerà altre undici, alternando rock’n’roll davvero scatenati come You Can Look (But You Better Not Touch), una ruspante Cadillac Ranch e la travolgente Ramrod, a toccanti ballad come la splendida title track e le emozionanti Independence Day e Point Blank.

Non mancano le cover, ben sette, tra cui Follow That Dream, un brano poco noto di Elvis Presley rifatto in maniera molto più lenta, un’irresistibile versione del classico I Fought The Law, che tiene presente la rilettura dei Clash, la stupenda Who’ll Stop The Rain dei Creedence (che è già una grandissima canzone di suo), una This Land Is Your Land solo voce e chitarra (elettrica), ricca di pathos, ed una gioiosa e coinvolgente Jole Blon (che proprio in quel periodo Bruce aveva inciso in duetto con Gary U.S. Bonds), puro E Street sound, impossibile restare fermi. C’è anche una rarissima esecuzione di Johnny Bye Bye, che non è il noto pezzo di Chuck Berry ma un brano originale di Bruce, una toccante ballata sullo stile di Factory, davvero bella. Ovviamente non mancano i classici, tutti eseguiti in maniera sensazionale, da Darkness On The Edge Of Town a The Promised Land, da Badlands a Thunder Road, passando per Because The Night e Rosalita. Il finale vede nell’ordine una monumentale Jungleland, solito strepitoso showcase per le magiche dita di Roy Bittan, una commovente Can’t Help Falling In Love (ancora Elvis) ed una conclusione a tutto rock’n’roll con uno dei Detroit Medley più devastanti che abbia mai ascoltato.

So di essere monotono nel definire imperdibili queste uscite, ma se questa serata londinese fosse uscita all’epoca sarebbe entrato di diritto tra i grandi live album della storia del rock.

Marco Verdi

Non Sarà Brava Come Il Marito, Ma Anche Lei Fa Comunque Della Buona Musica. Amanda Shires – To The Sunset

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Amanda Shires – To The Sunset – Silver Knife/Thirty Tigers

Amanda Shires dal 2013 è la moglie di Jason Isbell, ex Drive-by-Truckers, da qualche anno uno dei musicisti più interessanti del roots-rock, del southern ed in generale del rock americano dell’ultima decade. Entrambi vivono a Nashville, con la loro bambina, nata nel 2015, e sono una delle coppie più indaffarate del cosiddetto alternative country, spesso presenti in dischi di altri artisti come ospiti (le apparizioni più recenti, per entrambi, nei dischi 2018 di Tommy Emmanuel John Prine, mentre lei canta e suona anche nel nuovo Blackberry Smoke, che evidentemente di chitarristi ne hanno abbastanza), oltre che nei rispettivi album dove sono una reciproca presenza costante: Isbell in effetti suona tutte le chitarre e il basso (insieme a Cobb) in questo nuovo To The Sunset, settimo album (contando anche quello in coppia con Rod Picott del 2009), prodotto, come il precedente My Piece Of Land del 2016, dall’onnipresente Dave Cobb. Devo dire che il mio preferito della Shires rimane sempre Carrying Lightning https://discoclub.myblog.it/2011/06/03/un-altra-giovane-bella-e-talentuosa-songwriter-dagli-states/ , anche se i dischi della texana originaria di Lubbock sono sempre rimasti su un livello qualitativo più che valido, pur segnalando un progressivo spostamento dal country e dal folk della prima parte di carriera, che aveva suscitato paragoni con Emmylou Harris Dolly Parton (almeno a livello vocale), verso uno stile che comunque congloba un pop raffinato e melodioso, affiancato da un morbido rock classico al femminile, sferzato di tanto in tanto dalle sfuriate chitarristiche del marito Jason.

L’album ha avuto critiche eccellenti pressoché unanimi, tra l’8 e le quattro stellette (che poi sono la stessa cosa), ma non mi sembra personalmente questo capolavoro assoluto, pur ammettendo che il disco è estremamente piacevole e vario, lo stile forse a tratti si appiattisce un po’ troppo su un suono “moderno” e radiofonico, strano per uno come Cobb che di solito usa un approccio molto naturale e non lavorato eccessivamente nelle sonorità: la voce è anche spesso filtrata, rafforzata da riverberi vari, raddoppiata con il multitracking, che in alcune canzoni ne mascherano la deliziosa “fragilità” che potrebbe ricordare una cantante come Neko Case e forse anche Tift Merritt, o le derive più elettriche di certi vecchi dischi meno tradizionali nei suoni di Nanci Griffith, ma, ribadisco, si tratta di una impressione e di un parere personali, ad altri, visto quello che passa il convento del mainstream rock, il disco piacerà sicuramente. Forse il fatto che per il mio gusto ci siano troppe tastiere e sintetizzatori, suonate da Derry DeBorya dei 400 Unit del marito Jason Isbell, che per quanto non sempre necessariamente invadenti, conferiscono comunque un suono troppo rotondo che non sempre le chitarre riescono a valorizzare e rendere più incisivo, unito al fatto che il violino di Amanda spesso è filtrato da Cobb con pedali ed effetti vari che lo rendono quasi indistinguibile dalle chitarre, a parte in Eve’s Daughter, il brano decisamente più rock e tirato dell’album, dove la chitarra di Isbell suona quasi “burrascosa” e leggermente psichedelica ed interagisce con successo con il violino della Shires.

Altrove regna una maggiore calma, come nell’iniziale Parking Lot Pirouette, dove delle backwards guitars e della sottile elettronica segnalano un complesso arrangiamento, per una avvolgente ballata dove la voce della Shires tenta quasi delle piccole acrobazie vocali, ben sostenuta dal piano elettrico e dalle chitarre sognanti e sfrigolanti del marito, oppure nella nuova versione della dolce e melodica Swimmer, un brano che era già presente in Carrying Lighting e non perde il suo fascino misterioso in questa nuova versione. Molto gradevole il rock “alternativo” della incalzante Leave It Alone, sempre con intricate e complesse partiture costruite intorno a diversi strati di chitarre, tastiere ed al violino trattato, come pure la voce raddoppiata di Amanda. Charms è una delle rare oasi folk-rock del disco, una melodia accattivante che valorizza la voce partecipe della nostra amica e i delicati intrecci chitarristici elettroacustici, mentre l’ironica Break Out The Champagne è un delizioso mid-tempo rock che ha quasi il fascino di certe canzoni di Tom Petty, con un effervescente lavoro della chitarra di Isbell che aggiunge pepe ad una interpretazione vocale particolarmente riuscita di Amanda Shires.

Take On The Dark è più “buia e tempestosa” sin dal titolo, un altro incalzante rock chitarristico dove il drive di basso e batteria rende bene il mood drammatico della canzone; White Feather è una leggiadra pop song dalle gradevoli atmosfere che ricordano i brani più piacevoli di Neko Case, sempre con il lavoro di fino delle chitarre di Isbell e dell’organo di DeBorya e l’ukulele della Shires sullo sfondo. Mirror Mirror ha un suono quasi anni ’80, vagamente alla Kate Bush, quella meno ispirata, con tastiere che impazzano ovunque, ma, se mi passate il gioco di parole, non mi fa impazzire. In chiusura troviamo Wasn’t I Paying Attention, uno dei brani migliori del disco, con un riff circolare vagamente alla Neil Young, ma molto vagamente, un bel giro di basso rotondo, inserti di tastiere che fanno da preludio ad un ennesimo grintoso assolo chitarra di Isbell, per un brano che tratta con toni misteriosi ma moderati la vicenda di un suicidio inaspettato. Piace con moderazione.

Bruno Conti

Una Lunga Storia Nel Blues Rivive Attraverso Nuove Registrazioni. Tribute: Newly Recorded Blues Celebration Of Delmark’s 65th Anniversary

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Tribute – Newly  Recorded Blues Celebration Of Delmark’s 65th Anniversary – Delmark Records

Il titolo per una volta dice tutto: come si intuisce facilmente stiamo parlando di nuove versioni inedite, registrate per l’occasione, di classici estratti dal catalogo della Delmark, una delle etichette storiche della Windy City, che quest’anno festeggia il suo 65° Anniversario. Non è una novità, Bob Koester e i suoi collaboratori hanno iniziato a creare questi eventi dal 1993, quando la Delmark giungeva ai 40 anni, e poi ogni 5 anni, a cadenze regolari, ci sono state pubblicazioni di dischi per festeggiare l’evento. In effetti anche in questo caso le date sono un po’ degli optional, visto che la casa discografica nasce a St. Louis nel 1953, come etichetta di jazz (che è tuttora la sua attività principale), si trasferisce a Chicago solo nel 1958 e diventa punto di riferimento per gli amanti del blues soprattutto da metà anni ’60, con quel formidabile disco di Junior Wells Hoodoo Man Blues che è considerato uno dei capolavori assoluti del genere. Proprio da Wells, ma non da quell’album, parte il tributo agli artisti che hanno fatto la storia della Delmark: il disco è On Tap, un album del 1975, da cui viene rivisitata la bellissima Train I Ride, che illustra in modo pimpante e brillante il tema del treno, tipico dei grandi brani blues, e Omar Coleman è uno dei migliori armonicisti delle ultime generazioni, oltre ad essere un ottimo cantante.

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La house band del CD ruota intorno alla sezione ritmica di Melvin Smith al basso e Willie Hayes alla batteria, con Mike Wheeler e Billy Flynn che si alternano alle chitarre, e altri strumentisti impegnati qui e là, per esempio in One Day You’re Gonna Get Lucky, un tributo a Carey Bell, probabilmente tratto dalle stesse sessioni del recente Tribute To Carey Bell di Lurrie Bell & The Bell Dynasty https://discoclub.myblog.it/2018/07/29/tanto-ottimo-blues-tutto-allinterno-della-famiglia-lurrie-bell-the-bell-dynasty-tribute-to-carey-bell/ , un brano che è l’essenza stessa del Chicago Blues. Per l’omaggio a Jimmy Dawkins, uno dei grandi chitarristi dell’etichetta, e in particolare a All For Business, forse il suo disco migliore, scendono in campo Linsey Alexander, che non è proprio di primo pelo, ma ha ancora una voce fantastica e Billy Flynn, per una cover eccellente della title track, uno slow blues intenso e di grande pathos, dove si apprezzano anche il sax tenore di Hank Ford e il piano di Roosevelt Purifoy , grande versione. Diciamo che nel brano successivo Riverboat, né il soggetto del tributo, Big Time Sarah, né l’interprete dello stesso, Demetria Taylor, sono conosciutissime, quest’ultima forse più nota per essere la figlia di Eddie Taylor, ma comunque in possesso di una voce ragguardevole che usa con profitto in questa canzone, mentre Flynn e Wheeler pennellano con le loro chitarre.

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Jimmy Burns rende omaggio a Big Joe Williams con uno dei suoi cavalli di battaglia, She Left Me A Mule To Ride, solo voce e chitarra, ma di notevole intensità. Lil’Ed, non ha mai inciso per la Delmark, sempre per la Alligator, ma unisce le forze con Dave Weld e i suoi Imperials per un omaggio a tutta slide a J.B. Hutto in una gagliarda Speak My Mind. Ottima anche l’accoppiata che si forma per il tributo al grande Magic Sam, di cui viene ripreso l’ottimo lento Out Of Bad Luck in un tripudio di chitarre, affidate a Jimmy Johnson e Dave Specter, mentre Sumito “Ariyo” Aryhoshi accarezza il suo pianoforte. Corey Dennison, voce e chitarra acustica e Gerry Hundt, mandolino ed armonica, reinterpretano da par loro, cioè ottimamente Broke And Hungry di Sleepy John Estes, e pure Mike Wheeler, chitarrista della house band nel CD, quando è il suo momento non si risparmia in una fluida e sontuosa versione del super classico di Otis Rush So Many Roads. Anche Shirley Johnson non è forse conosciutissima (però ha fatto anche, parecchi anni or sono; un disco per l’Appaloosa di Franco Ratti), ma la sua voce non teme confronti in una struggente Need Your Love So Bad che rende omaggio alla vecchia cantante texana Bonnie Lee. In conclusione di un disco solido, magari non memorabile, ma che sarà apprezzato dagli amanti delle 12 battute Ken Saydak e il suo pianoforte omaggiano il grande Roosevelt Sykes con il frizzante barrelhouse Boot That Thing.

P.S. Non essendo disponibili video dei brani contenuti nel nuovo CD ho inserito nel Post le copertine di alcuni dei più importanti album della Delmark da cui sono state prese le canzoni originali poi riprese nel Tributo.

Bruno Conti

Tre Giorni Fa E’ Morto A Nashville Ed King, Il Vecchio Chitarrista Dei Lynyrd Skynryrd, Aveva 68 Anni. Un Breve Ricordo.

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Ed King è stato il terzo chitarrista e (agli inizi) anche bassista nel primo periodo, quello più glorioso, della lunga epopea dei Lynyrd Skynyrd: entrato in formazione nel 1972, per sostituire brevemente appunto Leon Wilkeson al basso, poi King, che era l’unico non vero “sudista” della band, in quanto nativo della California, poi rimase nell’organico degli Skynyrd per i due album successivi, Second Helping Nuthin’ Fancy, contribuendo a creare quel famoso sound con tre chitarre soliste che ha contribuito a creare la leggenda della band di Jacksonville, Florida. Ed King aveva conosciuto gli altri musicisti degli Skynyrd prima di un concerto, quando faceva ancora parte degli Strawberry Alarm Clock, band di culto, ma di buon valore, della scena psichedelica californiana, che viene ricordata soprattutto per il loro singolo Incense And Peppermints, n° 1 delle classifiche americane nel 1967, con oltre un milione di copie vendute https://www.youtube.com/watch?v=RghL1rViX34  (inserita anche nella versione CD in cofanetto della famosa compilation Nuggets), poi autori di altri tre album, nel 1968 e 1969 e giunta fino al 1971.

Dopo quella esperienza King entra nei Lynyrd Skynyrd per (Pronounced ‘Lĕh-‘nérd ‘Skin-‘nérd), il disco di esordio ufficiale del 1973, poi l’anno successivo quando Wilkeson rientra in formazione passa alla chitarra, ed è uno dei co-autori, con Ronnie Van Zant Gary Rossington, di Sweet Home Alabama (la voce che si sente scandire l’1-2-3 prima del famoso riff è la sua https://www.youtube.com/watch?v=ye5BuYf8q4o ), presente anche nel successivo Second Helping, in cui firma anche Workin’ For MCA e Swamp Music. E pure nel successivo Nuthin’ Fancy è autore di Saturday Night Special, Railroad Song Whiskey Rock-a-Roller, Quindi, al di là delle sue ottime qualità di chitarrista, non una figura marginale nell’economia del gruppo. Da cui esce nel 1975 durante il travagliato Torture Tour americano e pertanto, per sua fortuna, non è presente nel fatidico incidente aereo del 1977. Viene comunque richiamato per la prima reunion del 1987, insieme agli altri sopravvissuti della tragedia Gary Rossington, Billy Powell, Leon Wilkeson e Artimus Pyle, ma non Allen Collins che era rimasto paralizzato per un incidente d’auto del 1986. Ed King, rimane presente nell’organico fino al 1996, quando viene forzato a lasciare per i primi problemi di salute dovuti ad uno scompenso cardiaco, poi risolto con un trapianto nel 2011: comunque nel 2006  partecipa alla “induzione” dei Lynyrd Skynyrd  storici nella Rock And Roll Hall Of Fame.

Da alcuni mesi King stava lottando con un tumore ai polmoni che alla fine ha avuto la meglio il 22 agosto del 2018 a Nashville, Tennesse dove viveva, provocandone la morte, e nelle parole di commiato del suo vecchio compagno di avventura Gary Rossington  “Ed was our brother, and a great songwriter and guitar player. I know he will be reunited with the rest of the boys in Rock and Roll Heaven. Our thoughts and prayers are with Sharon and his family”. Un altro dei grandi sudisti ora “Riposa In Pace”.

Bruno Conti

Onesto E Senza Sbavature, Ma I Capolavori Sono Un’Altra Cosa. Josh Ward – More Than I Deserve

josh ward more than i deserve

Josh Ward – More Than I Deserve – Smith Entertainment CD

Quarto album di studio per Josh Ward, musicista texano di Houston, a quasi tre anni di distanza dal buon Holding Me Together https://discoclub.myblog.it/2016/04/22/sempre-buona-musica-dal-texas-josh-ward-holding-me-together/ . Trentotto anni, faccione da bravo ragazzo che contrasta un po’ con la classica immagine del cowboy arso dal sole del Texas, Ward è comunque un countryman dal pelo duro, che disco dopo disco si è costruito un bel seguito all’interno del Lone Star State, e non solo. More Than I Deserve prosegue il suo discorso, un country-rock dalla temperatura elettrica piuttosto alta, con le chitarre sempre in primo piano, ritmo a mille e grinta che non manca mai. Josh non è uno di quegli artisti dai quali ci si può attendere il capolavoro, e neppure il disco country dell’anno, ma è onesto e diretto e, anche se non scrive moltissime canzoni di suo pugno, è uno che sa quello che vuole.

Che sia uno che va dritto al punto lo si capisce anche leggendo i nomi dei sessionmen: non la solita lunghissima lista di turnisti di Nashville che si limitano a timbrare il cartellino, ma un gruppo decisamente ristretto (due chitarre, basso, batteria e tastiere) che però bada al sodo, il tutto con la produzione essenziale di Greg Hunt e Drew Hall. L’album inizia subito in maniera seria con All About Lovin’ (tra i suoi autori c’è Chris Stapleton), un rockin’ country robusto e vibrante, con le chitarre che assumono da subito il ruolo di protagoniste, e la voce del nostro, perfetta per la parte, che intona un motivo orecchiabile. Ain’t It Baby è un’ariosa ballata, sempre contraddistinta da una strumentazione vigorosa e con un’altra melodia accattivante, il giusto compromesso tra musica buona sia per gli amanti del vero country che per le radio; Say Hello To Goodbye è un lento forse già sentito, ma suonato in maniera pulita ed asciutta, con piano e chitarre in evidenza.

Home Away From Home è puro e trascinante country’n’roll, perfetto da suonare nei bar di Austin, chitarre twang e gran ritmo. The Devil Don’t Scare Me è un altro slow, sempre eseguito in maniera elettrica, discreto anche se la sensazione è che Josh il meglio lo dia nei pezzi più mossi; la tersa A Cowboy Can è puro country, con una bella steel ed un refrain immediato, mentre con Another Heartache siamo in pieno territorio honky-tonk, un suono molto classico, elettrico, saltellante e texano al 100%. God Made A Woman è una solida ballad quasi più rock che country, Loving Right ha un ritornello corale che piace al primo ascolto, ed è una delle più riuscite; il CD termina con l’attendista One More Shot Of Whiskey, sempre tenace nel sound, e con la tenue More Than I Deserved, probabilmente il miglior lento del disco. Forse Josh Ward non sarà il futuro del country, ma è comunque espressione di un presente più che dignitoso.

Marco Verdi

John Lennon – Imagine The Ultimate Collection. Il 5 Ottobre Esce Un Formidabile Cofanetto Per Celebrare Il Più Famoso Album Dell’Ex Beatle (E Anche Un DVD) .

john lennon imagine box

John Lennon – The Ultimate Collection – 4 CD+2 Blu-ray – 2 CD – 2 LP – 1 CD – Universal Music – 05-10-2018

Forse Imagine non è stato il disco più bello della carriera solista di John Lennon dopo lo scioglimento dei Beatles (molti reputano che sia stato John Lennon/Plastic Ono Band del 1970: ma è comunque una bella lotta con Imagine), benché sia stato sicuramente il più significativo e anche il più popolare e venduto dei suoi dischi. Ora, a 47 anni circa dall’uscita del disco originale (che fu pubblicato il 9 settembre del 1971 negli Stati Uniti e l’8 ottobre dello stesso anno in Inghilterra) e a 78 anni dalla data di nascita di Lennon, quindi senza nessun anniversario particolare da festeggiare, esce questa Ultimate Collection di uno degli album più amati di John, e la versione che è stata preparata per questa occasione è veramente pregevole, forse la migliore e più dettagliata in assoluto finora dedicata a un disco dei quattro Beatles. Anzi, le varie versioni in uscita sono comunque tutte interessanti per diverse ragioni; non solo il disco originale che viene arricchito da moltissimo materiale aggiuntivo, ma anche un libro e un DVD (o Blu-ray) collegati.

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Vediamo prima velocemente i contenuti di DVD e libro, poi passiamo più estesamente alla edizione discografica. Partiamo dal DVD (o Blu-ray) che esce per la Eagle Vision, sempre il 5 ottobre: contiene 2 diversi film, entrambi restaurati in HD per la parte video e dolby surround 5.1 per la parte audio, la stessa utilizzata per l’album. Il primo dei due Imagine, uscirà brevemente il 18 settembre anche nelle sale cinematografiche: si tratta proprio del vecchio film, destinato alla televisione, girato nel 1971 a Tittenhurst Park, la magione di John e Yoko ad Ascot e poi pubblicato in Vhs nel 1985 e in seguito in DVD, con i vari promo delle canzoni del disco, il più famoso ovviamente quello del brano Imagine.

Mentre Gimme Some Truth, la cui colonna sonora è sempre stata rimixata in 5.1 dolby surround, è un documentario del 1997 sempre incentrato sul Making Of del disco del 1971. Nella nuova edizione che raccoglie entrambi i film in unico supporto è stato anche aggiunto del materiale esclusivo, mai visto prima che aumenta l’interesse dei fans.

Anche il libro Imagine John Yoko sarà disponibile in diverse edizioni: quella standard, da 320 pagine, che verrà anche tradotta in diverse lingue, italiano compreso, un’altra Collector’s Edition con 176 pagine in più, che costerà intorno ai 200 euro ed infine la edizione per collezionisti autografata, che costerà intorno e oltre i 400 euro. Questo non è il libro contenuto nel cofanetto sestuplo, che comunque, come si rileva dalla immagine ad inizio Post, sarà in ogni caso ricco di informazioni sui contenuti del box, che ora andiamo a vedere.

Prima di tutto un riepilogo a grandi linee dei contenuti, poi alla fine trovate la tracklist con tutti brani presenti nei vari formati, a seconda delle fonti si parla di 140 o 135 pezzi in tutto. Il primo CD contiene l’album regolare con un nuovo mix stereo più i 6 brani tratti dai singoli e alcune tracce extra. Il secondo CD, che è lo stesso della versione doppia che vedete qui sotto, contiene 4 pezzi definiti Elements Mixes, ovvero, solo archi, solo, piano, basso e batteria, e solo voce; poi ci sono 12 outtakes nella forma di demo e versioni alternative varie, oltre a 4 outtakes dai singoli.

john lennon imagine 2 cd

Il terzo CD, presente solo nel box, riporta anche altre versioni inedite recuperate dai nastri originali. Mentre il quarto CD Evolution, sottotitolo From Demo To Mix, contiene l’evoluzione dei brani dalla prima bozza alla versione completa. Infine, per gli audiofili, ma non solo, ci sono una valanga di tracce audio presenti nei due Blu-ray audio, che riportano la bellezza di 89 tracce con moltissime altre chicche in hi-res, dolby surround, versioni quadrafoniche ed altro non presente nei primi 4 dischetti, che sono comunque riportati anche nei due Blu-ray. Quindi, tra le varie opportunità del box, in molti casi sarà possibile anche riascoltare i brani nella loro versione basica (definiti Raw Studio Mix), senza le aggiunte degli archi e altri complementi sonori in post-produzione effettuati da Phil Spector, che era accreditato all’epoca come co-produttore del disco originale del 1971. Come promesso ecco la lista completa dei contenuti del box.

[CD1]
1. Imagine
2. Crippled Inside
3. Jealous Guy
4. It’s So Hard
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die
6. Gimme Some Truth
7. Oh My Love
8. How Do You Sleep?
9. How?
10. Oh Yoko!
11. Power To The People
12. Well… (Baby Please Don’t Go)
13. God Save Us
14. Do The Oz
15. God Save Oz
16. Happy Xmas (War Is Over)

[CD2]
1. Imagine (Elements Mix)
2. Jealous Guy (Elements Mix)
3. Oh My Love (Elements Mix)
4. How? (Elements Mix)
5. Imagine (demo)
6. Imagine (take 1)
7. Crippled Inside (take 3)
8. Crippled Inside (take 6 alt guitar solo)
9. Jealous Guy (take 9)
10. It’s So Hard (take 6)
11. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 11)
12. Gimme Some Truth (take 4)
13. Oh My Love (take 6)
14. How Do You Sleep? (takes 1 & 2)
15. How? (take 31)
16. Oh Yoko! (Bahamas 1969)
17. Power To The People (take 7)
18. God Save Us (demo)
19. Do The Oz (take 3)
20. Happy Xmas (War Is Over) (alt mix)

[CD3]
1. Imagine (take 10) (Raw Studio Mix)
2. Crippled Inside (take 6) (Raw Studio Mix)
3. Jealous Guy (take 29) (Raw Studio Mix)
4. It’s So Hard (take 11) (Raw Studio Mix)
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 4 – extended) (Raw Studio Mix)
6. Gimme Some Truth (take 4 – extended) (Raw Studio Mix)
7. Oh My Love (take 20) (Raw Studio Mix)
8. How Do You Sleep? (take 11 – extended) (Raw Studio Mix)
9. How? (take 40) (Raw Studio Mix)
10. Oh Yoko! (take 1 – extended) (Raw Studio Mix)
11. Imagine (take 1) (Raw Studio Mix)
12. Jealous Guy (take 11) (Raw Studio Mix)
13. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 21) (Raw Studio Mix)
14. How Do You Sleep? (take 1) (Raw Studio Mix)
15. How Do You Sleep? (takes 5 & 6) (Raw Studio Mix)

[CD4]
1. Imagine (Evolution)
2. Crippled Inside (Evolution)
3. Jealous Guy (Evolution)
4. It’s So Hard (Evolution)
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (Evolution)
6. Gimme Some Truth (Evolution)
7. Oh My Love (Evolution)
8. How Do You Sleep? (Evolution)
9. How? (Evolution)
10. Oh Yoko! (Evolution)

[BD5]
1. Imagine
2. Crippled Inside
3. Jealous Guy
4. It’s So Hard
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die
6. Gimme Some Truth
7. Oh My Love
8. How Do You Sleep?
9. How?
10. Oh Yoko!
11. Power To The People
12. Well… (Baby Please Don’t Go)
13. God Save Us
14. Do The Oz
15. God Save Oz
16. Happy Xmas (War Is Over)
17. Imagine (Quadrasonic Mix)
18. Crippled Inside (Quadrasonic Mix)
19. Jealous Guy (Quadrasonic Mix)
20. It’s So Hard (Quadrasonic Mix)
21. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (Quadrasonic Mix)
22. Gimme Some Truth (Quadrasonic Mix)
23. Oh My Love (Quadrasonic Mix)
24. How Do You Sleep? (Quadrasonic Mix)
25. How? (Quadrasonic Mix)
26. Oh Yoko! (Quadrasonic Mix)
27. Imagine (demo)
28. Imagine (take 1)
29. Crippled Inside (take 3)
30. Crippled Inside (take 6 alt guitar solo)
31. Jealous Guy (take 9)
32. It’s So Hard (take 6)
33. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 11)
34. Gimme Some Truth (take 4)
35. Oh My Love (take 6)
36. How Do You Sleep? (takes 1 & 2)
37. How? (take 31)
38. Oh Yoko! (Bahamas 1969)
39. Power To The People (take 7)
40. God Save Us (demo)
41. Do The Oz (take 3)
42. Happy Xmas (War Is Over) (alt mix)

[BD2]
1. Imagine (take 10) (Raw Studio Mix)
2. Crippled Inside (take 6) (Raw Studio Mix)
3. Jealous Guy (take 29) (Raw Studio Mix)
4. It’s So Hard (take 11) (Raw Studio Mix)
5. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 4 extended) (Raw Studio Mix)
6. Gimme Some Truth (take 4 extended) (Raw Studio Mix)
7. Oh My Love (take 20) (Raw Studio Mix)
8. How Do You Sleep? (take 11 extended) (Raw Studio Mix)
9. How? (take 40) (Raw Studio Mix)
10. Oh Yoko! (take 1 extended) (Raw Studio Mix)
11. Imagine (take 1) (Raw Studio Mix)
12. Crippled Inside (take 2) (Raw Studio Mix)
13. Crippled Inside (take 6 alt guitar solo) (Raw Studio Mix)
14. Jealous Guy (take 11) (Raw Studio Mix)
15. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (take 21) (Raw Studio Mix)
16. How Do You Sleep? (take 1) (Raw Studio Mix)
17. How Do You Sleep? (takes 5 & 6) (Raw Studio Mix)
18. How? (takes 7 – 10) (Raw Studio Mix)
19. How? (take 40 alt vocal) (Raw Studio Mix)
20. Oh Yoko! (take 1 tracking vocal) (Raw Studio Mix)
21. Imagine (Elements Mix)
22. Crippled Inside (Elements Mix)
23. Jealous Guy (Elements Mix)
24. It’s So Hard (Elements Mix)
25. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (Elements Mix)
26. Gimme Some Truth (Elements Mix)
27. Oh My Love (Elements Mix)
28. How Do You Sleep? (Elements Mix)
29. How? (Elements Mix)
30. Oh Yoko! (Elements Mix)
31. Imagine (Evolution)
32. Crippled Inside (Evolution)
33. Jealous Guy (Evolution)
34. It’s So Hard (Evolution)
35. I Don’t Wanna Be A Soldier Mama I Don’t Wanna Die (Evolution)
36. Gimme Some Truth (Evolution)
37. Oh My Love (Evolution)
38. How Do You Sleep? (Evolution)
39. How? (Evolution)
40. Oh Yoko! (Evolution)
41. Power To The People (Evolution)
42. Well… (Baby Please Don’t Go) (Evolution)
43. God Save Us/God Save Oz (Evolution)
44. Do The Oz (Evolution)
45. Happy Xmas (War Is Over) (Evolution)
46. Tittenhurst Park (Evolution)
47. Imagine John & Yoko – The Elliot Mintz interviews

Il costo indicativo del cofanetto, se verrà confermato, dovrebbe essere sotto i 100 euro, intorno ai 90 si pensa, ma vedremo.

Direi che è tutto.

Bruno Conti

Questa Volta La Collaborazione Famigliare Non Ha Funzionato? Neil & Liam Finn – Lighsleeper

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Neil & Liam Finn – Lightsleeper – Inertia/[PIAS]/Self     

Neil Finn, per certi versi, è sempre stato uno “specialista” degli album collaborativi, soprattutto con altri membri della famiglia: negli Spli Enz divideva la leadership con il fratello Tim, insieme al quale, dopo la parentesi nei Crowded House, ha dato vita ai Finn Brothers, autori di un paio di album, e anche Paul Kelly è stato tra i suoi compagni di viaggio, Tra i tanti dischi della sua discografia solista forse il più bello è proprio l’album dal vivo collettivo 7 Worlds Collide, dove il musicista neozelandese collaborava con molti musicisti arrivati da tutto il mondo: Eddie Vedder, Johnny Marr, Ed O’Brien, Tim Finn, Sebastian Steinberg, Phil Selway, Lisa Germano, e i Betchadupa che nel 2002 erano la band del figlio Liam https://discoclub.myblog.it/2009/11/03/7-worlds-collide-sun-came-out/ (uno dei primi post del Blog, nel lontano 2009). Ma specie dal vivo i vari componenti della famiglia si sono trovati spesso sul palco, oltre a Neil, Tim e Liam, anche la moglie di Neil Sharon e l’altro figlio Elroy, rispettivamente al basso e alla batteria in alcuni brani di questo nuovo Lightsleeper.

In tre brani è presente anche Mick Fleetwood, e così sbrighiamo un’altra pratica, perché, per chi ancora non lo sapesse, Neil Finn sarà (insieme a Mike Campbell degli Heartbreakers) il nuovo chitarrista e cantante dei Fleetwood Mac per il tour autunnale, in sostituzione di Lindsey Buckingham (che però dice di essere stato estromesso dalla band, e non di essersene andato di propria volontà). Torniamo a questo album: ascolto il disco molto prima della sua uscita che sarà verso la fine di agosto, non ho moltissime informazioni ma sufficienti, per cui quindi mi affido soprattutto alla musica, che però, devo dire, non mi entusiasma. Il disco viene presentato come un incontro tra la sensibilità pop (e rock) del babbo Neil e lo stile più lo-fi e alternative del figlio Liam: in Back To Life che è il singolo che precede l’album ci sono anche i due musicisti greci Elias Dendias e Spiros Anemogianis, a bouzouki e fisarmonica, belle armonie vocali e un uso intelligente dello studio di registrazione, che è quello di Auckland di proprietà di Neil, per uno stile tra pop, qualche accenno di world music e traiettorie musicali raffinate, non lontane da quello di Peter Gabriel, che pure con una vocalità diversa e più “teatrale” potrebbe rimandare ai dischi dell’ex Genesis. Nell’iniziale Island Of Peace, preceduta da un breve preludio, c’è tutto un florilegio di electronics e tastiere da dove faticano ad emergere le abituali brillanti melodie di Finn,  ancora fin troppo annacquate nella morbida e zuccherosa Meet Me In The Air, cantata con un falsetto eccessivamente levigato, tutto molto raffinato, ma poca sostanza.

La lunga Where’s My Room si apre sul consueto tappeto di percussioni programmate, poi vira verso ritmi quasi dance sicuramente “moderni”,  ma che non sembrano consoni al solito sound della famiglia Finn e anche quando la melodia prende il sopravvento mi sembra molto sempliciotta e banale, sempre per i miei gusti ovviamente. In Angel Plays A Part, il primo dei brani dove Fleetwood siede alla batteria, lo spirito pop sembra prendere il sopravvento, la bella voce di Tim intona una piacevole melodia, nulla di memorabile, ma il tocco di classe non manca, anche se la canzone mi pare nuovamente involuta; Listen, una bella ballata pianistica, sempre molto “lavorata”, finalmente mostra il lato più interessante dei brani classici di Finn, con echi quasi Beatlesiani, diciamo lato Paul McCartney. Anche in Any Other Way si insiste con questo dream pop indie che è più farina del sacco di Liam, Fleetwood è ancora accreditato alla batteria, ma francamente non si nota molto; di Back To Life abbiamo detto, Hiding Place introdotta da arpeggi di acustica e piano, poi viene sommersa da un florilegio di tastiere che però questa volta non nascondono del tutto le melodie di Finn, benché al solito siano ”esagerate” e anche Ghosts non risulta particolarmente memorabile. Lasciando a We Know What It Means, l’ultimo brano con Fleetwood, il compito di risollevare il lato pop-rock dell’album, che si chiude sulla nota gentile della dolce e quasi acustica Hold Her Heart. Fin(n) troppo “sonnacchioso”. Esce domani.

Bruno Conti