Forse Sempre “Uguale”, Ma Anche Unico! Richard Thompson – 13 Rivers

richard thompson 13 rivers 14-9

Richard Thompson – 13 Rivers – New West/Proper

Ammetto una grande passione personale per Richard Thompson (da solo, con i Fairport Convention e con la moglie Linda) e lo considero uno dei più grandi artisti degli ultimi 50 anni, quindi in questo Blog le recensioni dei suoi dischi direi che sono quasi obbligatorie (e anche l’amico Marco Verdi condivide questa predilezione, come direi il 90% della critica musicale), anche considerando che è rarissimo che Thompson abbia fatto, non dico un album brutto, ma neppure al di sotto di una qualità complessiva medio-alta, in molti casi altissima. E questo 13 Rivers non è certo l’eccezione che conferma la regola, anzi, direi che ancora una volta l’artista inglese colpisce al cuore dell’ascoltatore con un’opera veramente maiuscola. Il titolo del Post non è criptico o denigratorio, semplicemente vuole significare che il nostro amico non è ascrivibile a nessun genere musicale specifico, fa del rock, del folk, della musica da cantautore, ma in un modo assolutamente personale che lo rende unico ed inimitabile, il suo stile è semplicemente “Richard Thompson”: quindi forse, ma dico forse, i suoi prodotti potrebbero sembrare uguali tra loro, ma sono realizzati con una classe, una abilità compositiva, una maestria strumentale, che anno dopo anno non finiscono di stupire anche chi è appassionato della sua musica a prescindere. Uno dei rari casi ai giorni nostri in cui si possono acquistare i suoi CD a scatola chiusa. Fatta questa questa breve concione iniziale passiamo a vedere i contenuti e l’ambientazione di questo nuovo album.

Thompson, dopo i due recenti album acustici, con 13 Rivers torna a prodursi in proprio, quindi archiviate le collaborazioni con Jeff Tweedy dei Wilco Buddy Miller che comunque ci avevano regalato due album eccellenti come https://discoclub.myblog.it/2015/06/30/altro-disco-richard-thompson-still/  e https://discoclub.myblog.it/2013/02/22/semplicemente-richard-thompson-electric/  , ritorna ai Boulevard Recording Studios di Hollywood (quelli che una volta si chiamavano Producer’s Workshop e dove gli Steely Dan, i Fleetwood Mac, Carly Simon, e anche i Pink Floyd in parte con The Wall, registravano i loro dischi) per realizzare quello che è il suo 18° disco di studio come solista, sempre accompagnato dai fedelissimi Michael Jerome alla batteria e Taras Prodaniuk al basso, nonché il recente arrivo Bobby Eichorn alla seconda chitarra, e a Zara Phillips Siobhan Maher Kennedy alle armonie vocali, più Judith Owen, voce aggiunta in in No Matter. Il risultato, manco a dirsi, è ancora una volta esemplare, secondo molti il suo migliore album degli anni 2000 (ma anche i due precedenti citati e Sweet Warrior erano comunque dischi di rara consistenza), benché, come capita ormai da parecchi anni ormai, forse manca la canzone memorabile, quella che rimane negli annali della musica, brani come The Calvary Cross, I Want To See The Bright Lights Tonight, For Shame Of Doing Wrong, Dimming Of The Day, Night Comes In, Walking On A Wire, Man In Need, Shoot Out The Lights, Turning Of The Tide, 1952 Vincent Black Lightning, From Galway To Graceland e potrei andare avanti per delle ore, ma, come ha detto lo stesso Richard, le canzoni hanno bisogno di un lungo tempo per diventare dei classici e quindi forse anche alcune di quelle delle due ultimi decadi prima o poi entreranno in questa lista di magnificenze. Perché in ogni caso, anche in 13 Rivers, la qualità media dei brani è comunque tale da rendere proprio tutto l’assieme sempre soddisfacente ed appunto “unico”.

Come sanno coloro che amano Thompson, nei suoi dischi troviamo tutto: testi pungenti, brillanti, satirici, ironici, taglienti, ma anche ballate d’amore struggenti e malinconiche, uniti ad arrangiamenti sempre geniali e diversi tra loro, e soprattutto una maestria strumentale alla chitarra che rende l’esecuzione di queste composizioni sempre fonte continua di sorpresa, per le traiettorie sonore che, a differenza degli altri grandi solisti della storia, non attingono dal blues o dal rock tradizionale, ma si ispirano al folk, alla musica orientale e a solisti non convenzionali, gente come Django Reinhardt, Les Paul, Chuck Berry, James Burton, Hank Marvin, tutti ricordati in una canzone, Guitar Heroes, che si trovava su Still. Ma poi nel corso degli anni tutto questo sapere è confluito, come i 13 Fiumi di questo album, in uno stile che non deve nulla a nessuno, per le timbriche e le sonorità della sua chitarra che ancora una volta emergono con forza nei pezzi di questo CD. Il brano di apertura evidenzia subito il notevole affiatamento di Richard con la sua sezione ritmica, ormai in grado di interagire quasi a livello telepatico con il proprio leader, The Storm Won’t Come, dal testo minaccioso e quasi apocalittico, “I am longing for a storm to blow through town, blow these sad old buildings down”, Jerome e Prodaniuk impostano un groove incalzante, quasi galoppante, su cui si innesta la voce quasi declamante ma asciutta di Thompson, che poi inizia a lasciare partire i suoi classici strali chitarristici, mentre il ritmo si fa ancora più marziale, mantenendo però la complessità di un arrangiamento articolato, che viaggia dalle parti del rock, ma se ne discosta per l’unicità del suono, avvolgente e con continui rimandi a questa tempesta che sta per arrivare e poi si infine manifesta con un assolo al solito prodigioso della solista,  in grado di creare sonorità che nessun altro chitarrista attualmente è in grado di riprodurre così magistralmente. The Rattle Within, ancora con un approccio ritmico che definire inconsueto è fargli torto, parte dal folk e dalla musica popolare per investirle di turbini di elettricità rock che rimandano ai primi Fairport Convention e a qualche deriva orientaleggiante, mentre la solista si inventa sonorità aspre e quasi distorte, grazie al timbro unico che l’inglese è in grado di estrarre nuovamente dalla sua chitarra, sempre vorticosa e tiratissima.

Ma Richard Thompson è capace anche di slanci amorosi, sempre conditi dalla sua arguzia ed ironia, nonché da un malinconico pessimismo, “Cupid shoots just like a baby/Now Romeo won’t let her be”, come dimostra la scandita e potente Her Love Was Meant For Me, una ballata elettrizzante nel suo trasporto, ma che sprizza anche il solito vigore dei pezzi migliori del suo autore, con le due chitarre e la ritmica che martellano comunque con grinta, mentre gli assoli al solito virano verso sonorità quasi impossibili nella loro forza dirompente, senza dimenticare l’afflato melodico sottolineato dai cori proposti dai componenti della sua band. Bones Of Gilead è quasi un rockabilly-folk, se mi passate il termine, che dimostra che il suo autore non ha dimenticato le sue vecchie passioni per Chuck Berry e James Burton, ma le riveste con il suo stile inusuale che improvvisamente si apre al rock classico, grazie anche alle armonie vocali della Kennedy e della Phillips e al solito testo ironico ed irriverente, “What’s my name/My name is trouble/Trouble of the tender kind,” prima di scatenare altri fiumi di note dalla solista. The Dog In You, uno dei rari brani lenti e riflessivi di questa nuova raccolta, in teoria dovrebbe essere una canzone d’amore, smentita in parte dal titolo, ma cantata con intensa ed inusuale passione dal suo autore, che poi all’impronta estrae dal cilindro un assolo ancora una volta ricco di intense volute sonore di una bellezza disarmante. Trying, scandita da un potente giro di basso di Prodaniuk, è un altro pezzo dove il rock non si nasconde, con le due chitarre che si confrontano quasi con rabbia in improvvise esplosioni sonore, mentre le due voci femminili rispondono nuovamente all’accorato cantato di Thompson, forse un brano minore per lui, ma non per chiunque altro.

Do All These Tears Belong To You?, con il suo quesito quasi meravigliato e sorpreso, si avvale nuovamente delle deliziose armonie vocali delle due voci femminili che si alternano con gli interventi strumentali e creano un brano che ancora una volta dimostra la maestria del suo autore nel creare canzoni di squisita fattura e al contempo di grande impatto sonoro. Un altro esempio della penna sublime di Thompson è nella ballata My Rock My Rope, un ulteriore lezione nell’arte della scrittura di brani mai banali, sia nel testo quasi angosciato, “In my pain/In my darkness/Is my comfort/And hope/In my loss/In my sorrow/Is my rock/Is my rope.”, sia nello svolgimento sonoro superbo, che nel tempo potrebbe renderla una delle nuove composizioni da aggiungere alla lista dei “classici”, grazie al trasporto con cui viene cantata e agli arpeggi deliziosi della chitarra. Che ritorna protagonista nel potente riff della coinvolgente You Can’t Reach Me, un pezzo rock fatto e finito che grazie alla sua pura energia non può non coinvolgere l’ascoltatore. O Cinderella, nonostante il titolo, è una delle tipiche canzoni malinconiche, buie e pessimiste che costellano il suo songbook nel corso degli anni, e che però grazie anche all’uso di un insinuante mandolino regala ulteriori e brillanti sapori musicali che contribuiscono alla varietà dei suoni e degli stili impiegati in questo album, con la chitarra che torna ad imperversare con forza nel finale del brano. No Matter è il brano cantato a due voci con Judith Owen, altra bellissima canzone, ancora con il mandolino in leggiadra evidenza in un brano che comunque non manca di nerbo e belle melodie che dal vivo nel tempo assumeranno ulteriore sapidità https://www.youtube.com/watch?v=QuoITfJoxgcPride è un’altra sferzata del Thompson più rock, vivace e avvincente grazie al solito lavoro di grande forza e finezza delle chitarre. Ma il meglio forse è riservato al gran finale di Shaking The Gates, altra ballata dal gusto sopraffino che chiude su una nota gentile un album che conferma le qualità e i pregi di un autore sempre in grado di stupire e gratificare i propri ascoltatori grazie ad una classe innata.

Ovviamente, come sempre, sarà nella mia lista dei migliori dischi dell’anno.

Bruno Conti

Una Delle Sorprese Piacevoli Di Quest’Ultimo Periodo. E Che Voce! Ann Wilson – Immortal

ann wilson immortal 14-9

Ann Wilson – Immortal – BMG CD

Mi sono sempre piaciute le Heart, duo femminile formato dalle sorelle Ann e Nancy Wilson, sia nelle loro espressioni più rock (spesso influenzate dai Led Zeppelin), sia nelle pagine più AOR della loro carriera (la seconda metà degli anni ottanta) https://discoclub.myblog.it/2016/12/24/un-po-di-sano-classic-rock-al-femminile-heart-live-at-the-royal-albert-hall/ , anche se non le ho mai seguito più di tanto né i loro progetti collaterali (The Lovemongers) né i loro album solisti. Sono stato però da subito incuriosito da questo Immortal, nuova fatica di Ann Wilson senza la sorella Nancy (ad undici anni dal suo primo solo album Hope & Glory, mentre i due EP a nome Ann Wilson Thing sono storia recente), in quanto trattasi di un album di cover. Fin qui nulla di strano, anche Hope & Glory non presentava brani originali, ma qui Ann ha deciso di omaggiare artisti che l’hanno influenzata od altri che semplicemente le piacciono, però con il comune denominatore del fatto che tutti i dieci nomi omaggiati sono ormai passati a miglior vita. Un tributo quindi sentito a musicisti che non sono più tra noi, con alcune scelte logiche ed altre decisamente più sorprendenti (lo dico subito, gli Zeppelin non ci sono, forse Ann ha considerato John Bonham un personaggio “collaterale” per quanto riguarda le composizioni dello storico gruppo).

Il disco, prodotto dalla Wilson insieme a Mike Flicker, è decisamente riuscito, in quanto Ann nella maggior parte dei casi reinterpreta brani più o meno noti con indubbia personalità, senza riproporre delle copie carbone degli originali, ed in più confermando di avere una delle più belle e potenti voci dell’intero panorama rock femminile. Un valido aiuto glielo ha dato anche la house band (Craig Bartok, chitarre, Andy Stoller, basso, Daniel Walker, tastiere, e Denny Fongheiser, batteria) ed un ridotto numero di validissimi ospiti che vedremo tra poco. Da un cover album di Ann Wilson mi sarei forse aspettato una preponderanza di omaggi a cantanti donne, ma in realtà ne troviamo solo due: You Don’t Own Me, grande successo della quasi dimenticata Lesley Gore, apre il CD in maniera splendida, con nientemeno che Warren Haynes alla chitarra solista, una versione solida, potente e bluesata, molto diversa dall’originale, cantata in maniera divina da Ann e con Warren che fende l’aria da par suo (e la mente va alle migliori pagine della collaborazione tra Beth Hart e Joe Bonamassa), mentre la nota Back To Black, di Amy Winehouse, è tutta giocata sulla vocalità profonda e ricca di sfaccettature della Wilson, un’interpretazione drammatica e densa di pathos (il languido violino è di Ben Mink, noto per le sue collaborazioni con k.d. lang) che rende giustizia nel modo migliore alla cantautrice inglese entrata a far parte del cosiddetto “Club dei 27”.

Ann si ricorda anche di Chris Cornell, ma non ripropone un pezzo dei Soundgarden, bensì degli Audioslave, I Am The Highway, che diventa una toccante rock ballad elettroacustica, cantata ancora splendidamente e con voce leggermente arrochita, mentre l’accompagnamento è limpido e scintillante, quasi di stampo californiano: bella canzone e grandissima interpretazione, una delle migliori del disco. Non viene dimenticato Tom Petty, anche se viene scelta la poco nota Luna (dal disco d’esordio del 1976 del biondo rocker), ancora con Haynes protagonista: la struttura del pezzo rimane “pettyana”, ma Warren le dona un tocco blues ed Ann canta in maniera decisamente sensuale, aiutata anche dal ritmo soffuso del brano. Grande classe. Anche I’m Afraid Of Americans non è tra i pezzi più noti di David Bowie (scritta dal Duca Bianco con Brian Eno, era sul controverso Earthling del 1997), ed Ann elimina le sonorità techno e drum’n’bass dell’originale e la indurisce oltremodo, con un mood quasi zeppeliniano (eccallà, direbbero a Roma), complici anche certi passaggi strumentali orientaleggianti: versione tosta di un brano comunque non memorabile. Con Politician (Cream, l’omaggio è chiaramente per Jack Bruce) la Wilson è invece nel suo ambiente naturale: canzone che già in origine era possente e granitica, e la “sorellona” non deve far altro che sfoderare la sua voce più “plantiana” per portare a casa il risultato, aiutata anche dagli ottimi interventi alla solista di Doyle Bramhall II https://www.youtube.com/watch?v=5qLRh6vYqqU .

Cambio completo di registro con la soffusa A Thousand Kisses Deep di Leonard Cohen, guidata ancora dal violino di Mink e con un background musicale da club jazz-lounge (ed anche i rumori di sottofondo sembrano provenire dall’interno di un bar), con la Wilson che mostra di saper usare anche il fioretto, modulando la voce con un tono confidenziale da femme fatale. Forse per omaggiare Glenn Frey c’erano canzoni più rappresentative di Life In The Fast Lane, che vede sì Glenn tra gli autori ma è sempre stata una canzone più di Henley e Walsh: Ann elimina il noto riff chitarristico, rallenta il tempo e le dona un sapore funky ed un arrangiamento moderno che non mi convince molto, anche se un mezzo scivolone si può perdonare. Come chiusura dell’album ecco due brani che non mi aspettavo: A Different Corner è un pezzo di George Michael, uno che non mi sarebbe mai passato per la testa di omaggiare, ma Ann non la pensa come me e ne fornisce una rilettura fin troppo sofisticata, che non solleva i dubbi del sottoscritto né sulla canzone né sull’arrangiamento un po’ artefatto; meglio Baker Street, il classico per antonomasia di Gerry Rafferty: ritmo accelerato, arrangiamento anche qui moderno ma con un marcato mood folk-rock, ed un notevole crescendo elettrico che rinuncia al celebre riff di sax: quasi un’altra canzone.

A parte un paio di incertezze, Immortal è quindi un gran bel disco, ed Ann Wilson conferma di avere una voce straordinaria, unita ad una capacità interpretativa non comune.

Marco Verdi

Prossime Uscite Autunnali 5. Fleet Foxes: 2006-2009. Non Solo Dischi Storici Anche Il Loro Album Riceve il Trattamento Deluxe Per Il 10° Anniversario, Esce il 9 Novembre

fleet foxe first collection 2006-2009

fleet foxe first collection 2006-2009 vinile

Fleet Foxes – Collection 2006-2009 – 4 CD oppure Box in vinile con un 12″ e tre 10″ – Nonesuch EU – Sub Pop USA e Resto del mondo – 09-11-2018

Anche il primo album dei Fleet Foxes, pubblicato in origine nel 2008, viene ampliato in un cofanetto da quattro CD o quattro vinili, il primo con un prezzo decisamente contenuto, il secondo formato molto più costoso. La band di Robin Pecknold, in attività dal 2006, agli inizi era molto più prolifica, tanto da avere pubblicato oltre all’album omonimo diversi EP, e poi nel 2011 un secondo album Helplessness Blues, prima di entrare in una sorta di letargo, interrotto solo poco più di un anno fa dal disco del 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/06/02/fortunatamente-non-si-sono-persi-per-strada-anteprima-fleet-foxes-crack-up/  , di cui potete leggere al link.

Ma tra il 2006 e il 2009 il gruppo aveva pubblicato parecchio materiale che ora viene raccolto in questo box da 4 CD, che oltre all’album raccoglie l’EP Fleet Foxes del 2006, pubblicato solo su CD-R e 10″ autogestiti a tiratura ultra limitata, l’EP Sun Giant del 2008, e una serie di brani definiti B-Sides And Rarities, usciti su diversi singoli di quel periodo. Come leggete ad inizio Post il tutto esce per due differenti etichette, la Sub Pop che era quella che aveva edito il tutto in quegli anni, che pubblica il cofanetto negli Stati Uniti e nel resto del mondo, e la Nonesuch, l’attuale casa discografica del gruppo di Seattle, che invece cura l’uscita per il mercato europeo, Italia inclusa, data di rilascio prevista il 9 novembre.

Ecco la lista completa dei contenuti.

 CD1]
1. Sun It Rises
2. White Winter Hymnal
3. Ragged Wood
4. Tiger Mountain Peasant Song
5. Quiet Houses
6. He Doesn’t Know Why
7. Heard Them Stirring
8. Your Protector
9. Meadowlarks
10. Blue Ridge Mountains
11. Oliver James

[CD2]
1. Sun Giant
2. Drops In The River
3. English House
4. Mykonos
5. Innocent Son

[CD3]
1. She Got Dressed
2. In The Hot Hot Rays
3. Anyone Who’s Anyone
4. Textbook Love
5. So Long To The Headstrong
6. Icicle Tusk

[CD4]
1. False Knight On The Road
2. Silver Dagger
3. White Lace Regretfully
4. Isles
5. Ragged Wood (transition basement sketch)
6. He Doesn’t Know Why (basement demo)
7. English House (basement demo)
8. Hot Air (basement sketch)

Alla prossima uscita.

Bruno Conti

Un Archeologo Texano Che Vive In Inghilterra Che Musica Fa? Facile: Del Country-Rock Californiano! George St. Clair – Ballads Of Captivity And Freedom

george st.clair ballads of captivity

George St. Clair – Ballads Of Captivity And Freedom – George St. Clair CD

Interessantissimo debutto per questo texano che da anni risiede in Inghilterra, dove svolge la sua professione principale di archeologo ed antropologo. George St. Clair, grande appassionato di musica, da anni si diletta nella composizione, ed oggi ha finalmente deciso di pubblicare in proprio questo Ballads Of Captivity And Freedom (bel titolo), un disco che nella sua ora di durata ci regala una bella serie di canzoni di classico country-rock cantautorale. C’è poco del nativo Texas in questi brani, la fonte di ispirazione principale di George sono le sonorità californiane degli anni settanta, il suo pane quotidiano sono gruppi come gli Eagles ed i Poco, o solisti come Jackson Browne, e le canzoni hanno arrangiamenti diretti, classici, con chitarre e pianoforte in evidenza e quasi sempre una bella steel in sottofondo: i musicisti rispondono ai nomi di David Cuetter, Dan Lebowitz, Amy Scher, Mike Stevens, Kirby Hammel e Ben Bernstein, sessionmen sconosciuti ma in grado di fornire un suono limpido e compatto, perfetto per le ballate terse di George.

L’album inizia in maniera scintillante con Tularosa, un country-rock che profuma di California anni settanta, ed il paragone con gli Eagles viene rafforzato dalla voce di George, che ricorda quella di Glenn Frey: motivo decisamente orecchiabile e solare, con steel e violino protagonisti. The Places Where They Prayed si mantiene sullo stesso livello https://www.youtube.com/watch?v=VBuQCtgXejU , e non si sposta musicalmente dal Golden State (di Texas neanche l’ombra, ma va bene lo stesso), una ballata limpida e discorsiva tra Browne ed il miglior John Denver, mentre Autumn 1889, con i suoi otto minuti di durata, è uno degli highlights del disco, uno slow dal delizioso gusto melodico e dal raffinato accompagnamento basato su chitarra acustica e pianoforte, con il motivo che si apre a poco a poco. Niente male anche Corridors, tutta giocata su una chitarra arpeggiata, un leggero gioco di percussioni ed una ritmica veloce ma leggera.

Good Times è vero country in puro stile honky-tonk, un bel piano da taverna e la chiara influenza di Byrds e Flying Burrito Brothers. La lunga Cynthia propone un’accattivante fusione tra una classica melodia folkeggiante ed una percussione che dona un tocco esotico https://www.youtube.com/watch?v=b0VSkfLF3IQ , Up To Fail è decisamente più elettrica, quasi come fosse una rock ballad sferzata dal vento alla Neil Young (ed è una delle più riuscite), mentre Lie To Them è ancora country, spedito, scorrevole e di nuovo con la steel in primo piano. Cimarrones è un lento molto classico, forse già sentito ma piacevole, New Mexico è una bellissima western song, tersa ed immediata, e che non si schioda dai seventies come decade di riferimento. Il CD, quasi un’ora di musica davvero piacevole, si chiude con Pedro Paramo, tra California e Messico https://www.youtube.com/watch?v=6L3t60H7rdA , e con il puro folk di Talkin’ Mesquite, con George che si cimenta con successo anche nel talking, come da titolo. E’ uscito da qualche mese ma vale la pena di cercarlo.

Marco Verdi

Tutto Popa E Niente “Grasso” Superfluo, Si Fa Per Dire. Popa Chubby – Prime Cuts: The Very Best Of The Beast From The East

popa chubby prime cuts

Popa Chubby – Prime Cuts: The Very Best Of The Beast From The East – 2 CD earMusic/Edel

Se avete già molti dei dischi di Ted Horowitz a.k.a. Popa Chubby, forse questo Prime Cuts: The Very Best Of The Beast From The East potrebbe essere considerato superfluo, una antologia che pesca da 28 anni di carriera passati al setaccio dal nostro amico, che poi ha scelto quelli che secondo lui sono i brani miglior dal proprio catalogo. Però la storia non finisce qui e nel secondo CD il buon Ted ha pensato bene di aggiungere altre undici tracce inedite, nove in studio e due dal vivo. Una compilation interessante sia per i fans come per i novizi, che possono ascoltare una scelta di canzoni di uno dei cantanti e chitarristi (rock)blues più eclettici delle ultime generazioni. La scaletta non segue (strettamente) un ordine cronologico, per cui si parte con la autobiografica e molto piacevole Life Is A Beatdown, dove una buona melodia e un groove accattivante si sposano con le evoluzioni della chitarra, il tutto tratto dall’album del 2004 Peace, Love And Respect https://www.youtube.com/watch?v=mFUMiH4yYt4 ; Angel On My Shoulder viene da Booty And The Beats, il primo e probabilmente migliore disco di studio di Popa del 1995, un gagliardo brano di rock classico, con profumi e rimandi hendrixiani https://www.youtube.com/watch?v=3BGkgHZ-t3g , che poi vengono ribaditi in una notevole e fedele rilettura del classico Hey Joe dell’amato Jimi, una versione dove si può apprezzare tutta la potenza e la classe del chitarrista newyorkese, che quando vuole è in grado di rilasciare brani dove gli assoli di chitarra sono spesso ricchi di feeling e tecnica di prima categoria.

Ottime anche Stoop Down Baby, sempre dal primo album, un funky-rock-blues con uso d’organo e sax di ottima fattura e Sweet Goddess Of Love And Beer, dai retrogusti soul classici e qualche tocco springsteeniano; dall’album del 1996 Hit The High Hard One, il suo primo live, viene la notevole blues ballad San Catri, un lungo brano strumentale ispirato ancora dal songbook di Hendrix, dove si apprezza nuovamente il suo solismo ispirato, da vero mago della 6 corde. Sempre dal live viene anche il divertente boogie Caffeine And Nicotine, mentre lo splendido e lancinante slow Grown Man Crying Blues https://www.youtube.com/watch?v=AbM1tSa0RrUviene da Deliveries After Dark del 2007  , come pure la sua velocissima versione strumentale del tema del Padrino; molto bella anche la cover di Hallelujah, più vicina all’originale di Leonard Cohen che alla rilettura di Jeff Buckley, con un lirico solo di chitarra aggiunto. Somebody Let The Devil Out viene da The Good, The Bad And The Chubby del 2002, un blues elettroacustico che illustra anche il lato più tradizionale di Horowitz, con slide ed armonica, e qualche vago accenno rap che in questo brano ci sta, e ancora dallo stesso album I Can’t See The Light Of Day, una bella ballata che ricorda certi brani della Band e quindi il lato più roots di Popa Chubby.

Sempre dal disco del 2002, uno dei suoi migliori, viene anche la robusta Dirty Lie con ampio uso di wah-wah. Daddy Played The Guitar( And Mama Was A Disco Queen) era su How’d a White Boy Get the Blues? del 2000, non uno dei dischi migliori, e pure il brano è alquanto pasticciato, A chiudere un ottimo Best arriva il raro singolo natalizio There On Christmas dalla classica atmosfera festosa e piacevole. Il secondo CD raccoglie, come detto, 11 inediti: Go Fuck Yourself illustra in modo brutale la sua filosofia di vita, mentre molto buone sono le due tracce dal vivo, If The Diesel Don t Get You Then The Jet Fuel Will, un poderoso rock’n’roll che ricorda le sue cose migliori https://www.youtube.com/watch?v=FPGWD6_mk60 e anche lo scatenato rockabilly Race From The Devil sprizza energia da tutti i solchi virtuali. Hey Girl è un altro omaggio a tutto wah-wah al maestro Hendrix, Sidewinder è un notevole strumentale di impronta jazz rivisto comunque nel suo stile ruspante e Walking Through The Fire un altro strumentale dove si apprezzano le sue virtù solistiche, Sorry Man vira momentaneamente verso il country in modo gradevole, Back To N.Y.C, in versione demo, rimane un altro buon brano hendrixiano, il resto è un riempitivo, comunque piacevole, ma  globalmente l’album rimane interessante, anche per i “completiisti” di Popa Chubby.

Bruno Conti

Prossime Uscite Autunnali 4. Bob Dylan – More Blood, More Tracks Bootleg Series Vol.14: Album Fantastico, Confezione Strepitosa, Il Contenuto Forse Un Po’ Meno. Esce Il 2 Novembre

bob dylan more blood more tracks

Bob Dylan – Bootleg Series Vol.14: More Blood, More Tracks – Columbia/Legacy Deluxe Edition 6 CD – 2 LP – 1 CD Standard – 02-11-2018

Si avvicina il Natale e si fa dunque quella stagione in cui viene annunciato il nuovo capitolo delle Bootleg Series di Bob Dylan. Siamo arrivati al volume 14 e il disco che viene trattato è uno di quelli epocali del nostro amico, Blood On The Tracks, l’album del 1975 che nel comune sentire rappresentava la fine tormentata della sua storia d’amore con Sara Lownds, attraverso una serie di dieci splendidi acquarelli. Ma essendo Bob anche Dylan, il nostro amico lo ha sempre smentito, anche nella sua autobiografia del 2004 Chronicles – Vol. 1, affermando che i testi dei brani erano stati ispirati dalla lettura dei racconti di Anton Cechov. Sarà, quello che è certo è che si tratta di uno dei dischi più belli in assoluto della sua discografia e quindi era molto atteso il trattamento Deluxe che sarebbe stato riservato a questo caposaldo assoluto della sua opera.

Devo dire che leggendo i contenuti sono rimasto un po’ deluso da come sono stati compilati i 6 CD che comporranno la Deluxe Edition: confezione splendida, come si vede sopra, con il solito mega libro rilegato con le foto dell’epoca e le note curate da Jeff Slate, più la riproduzione di uno dei leggendari taccuini dove Dylan annotava a mano tutti gli sviluppi cronologici dei testi delle sue canzoni. Ovviamente quello da 57 pagine contenuto nella confezione riguarda Blood On The Tracks. Però, visto il prezzo, che dalle prime notizie in arrivo dagli Usa dovrebbe superare i 150 dollari (poi magari scenderà, soprattutto nelle versioni europee quando saranno annunciate, anche se non sembra visto che si parla di “strictly limited edition”, ma per le uscite precedenti della serie è sempre successo), mi pare “deludente”, notasi il virgolettato: un totale di 87 pezzi, di cui 70 mai pubblicati prima, e fin qui ci siamo, ma leggendo bene la tracklist, che trovate subito sotto, non si può fare a meno di notare che, brani “rari” se ne trovano veramente pochi, direi due, per il resto sono decine di takes alternative delle stesse canzoni ripetute più e più volte, anche se il criterio utilizzato è quello di proporre i brani nella sequenza cronologica in cui vennero registrati nelle sessions di New York dal 16 al 19 settembre 1974, outtakes, false partenze e chiacchiere di studio incluse, mentre le ultime cinque canzoni del 6° CD sono quelle rimaste dalle sessions di Minneapolis, registrate tra il 27 e il 30 dicembre 1974 e poi uscite sul disco pubblicato nel 1975, naturalmente e opportunamente rimasterizzate utilizzando, ove disponibili i master originali dell’epoca. Ottimo ed affascinante, per quanto te lo facciano pagare non poco, quindi indicato per “dylaniani” e “dylaniati”, soprattutto facoltosi, oppure disposti al sacrificio finanziario in quanto collezionisti compulsivi, forse meno per gli altri, ma quando uscirà magari ascoltandolo potrei ammettere di essermi sbagliato: la missione come al solito sarà affidata all’amico Marco Verdi, che probabilmente sta leggendo questo Post e sa che gli tocca, anche in qualità di fan. Per il momento.

DISC 1

A & R Studios
New York
September 16, 1974

If You See Her, Say Hello (Take 1) – solo
If You See Her, Say Hello (Take 2) – solo – previously released on The Bootleg Series, Vols. 1-3: Rare and Unreleased, 1961-1991
You’re a Big Girl Now (Take 1) – solo
You’re a Big Girl Now (Take 2) – solo
Simple Twist of Fate (Take 1) – solo
Simple Twist of Fate (Take 2) – solo
You’re a Big Girl Now (Take 3) – solo
Up to Me (Rehearsal) – solo
Up to Me (Take 1) – solo
Lily, Rosemary and the Jack of Hearts (Take 1) – solo
Lily, Rosemary and the Jack of Hearts (Take 2) – solo – included on Blood on the Tracks test pressing

Bob Dylan – vocals, guitar, harmonica

DISC 2

A & R Studios
New York
September 16, 1974

Simple Twist of Fate (Take 1A) – with band
Simple Twist of Fate (Take 2A) – with band
Simple Twist of Fate (Take 3A) – with band
Call Letter Blues (Take 1) – with band
Meet Me in the Morning (Take 1) – with band – edited version included on Blood on the Tracks test pressing and previously released on Blood on the Tracks
Call Letter Blues (Take 2) – with band – previously released on The Bootleg Series, Vols. 1-3: Rare and Unreleased, 1961-1991
Idiot Wind (Take 1) – with bass
Idiot Wind (Take 1, Remake) – with bass
Idiot Wind (Take 3 with insert) – with bass
Idiot Wind (Take 5) – with bass
Idiot Wind (Take 6) – with bass
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Rehearsal and Take 1) – with band
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 2) – with band
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 3) – with band
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 4) – with bass
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 5) – with band
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 6) – with band
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 6, Remake) – with band
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 7) – with band
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 8) – with band

Bob Dylan: vocals, guitar, harmonica
Eric Weissberg, Charles Brown III, Barry Kornfeld: guitars
Thomas McFaul: keyboards
Tony Brown: bass
Richard Crooks: drums
Buddy Cage: steel guitar (5-6)

DISC 3

A & R Studios
New York
September 16, 1974

Tangled Up in Blue (Take 1) – with bass

A & R Studios
New York
September 17, 1974

You’re a Big Girl Now (Take 1, Remake) – with bass and organ
You’re a Big Girl Now (Take 2, Remake) – with bass, organ, and steel guitar –included on Blood on the Tracks test pressing and previously released on Biograph
Tangled Up in Blue (Rehearsal) – with bass and organ
Tangled Up in Blue (Take 2, Remake) – with bass and organ
Spanish is the Loving Tongue (Take 1) – with bass and piano
Call Letter Blues (Rehearsal) – with bass and piano
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 1, Remake) – with bass and piano
Shelter From The Storm (Take 1) – with bass and piano – previously released on the Jerry McGuire original soundtrack
Buckets of Rain (Take 1) – with bass
Tangled Up in Blue (Take 3, Remake) – with bass
Buckets of Rain (Take 2) – with bass
Shelter From The Storm (Take 2) – with bass
Shelter From The Storm (Take 3) – with bass
Shelter From The Storm (Take 4) – with bass – previously released on Blood on the Tracks

Bob Dylan: vocals, guitar, harmonica
Tony Brown: bass
Paul Griffin: keyboards (2-9)
Buddy Cage: steel guitar (3)

DISC 4

A & R Studios
New York
September 17, 1974

You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 1, Remake 2) – with bass
You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 2, Remake 2) – with bass – previously released on Blood on the Tracks

A & R Studios
New York
September 18, 1974

Buckets of Rain (Take 1, Remake) – solo
Buckets of Rain (Take 2, Remake) – solo
Buckets of Rain (Take 3, Remake) – solo
Buckets of Rain (Take 4, Remake) – solo

A & R Studios
New York
September 19, 1974

Up to Me (Take 1, Remake) – with bass
Up to Me (Take 2, Remake) – with bass
Buckets of Rain (Take 1, Remake 2) – with bass
Buckets of Rain (Take 2, Remake 2) – with bass
Buckets of Rain (Take 3, Remake 2) – with bass
Buckets of Rain (Take 4, Remake 2) – with bass – previously released on Blood on the Tracks
If You See Her, Say Hello (Take 1, Remake) – with bass – previously included on Blood on the Tracks test pressing
Up to Me (Take 1, Remake 2) – with bass
Up to Me (Take 2, Remake 2) – with bass
Up to Me (Take 3, Remake 2) – with bass
Buckets of Rain (Rehearsal) – with bass
Meet Me in the Morning (Take 1, Remake) – with bass – previously released on the “Duquesne Whistle” 7” single
Meet Me in the Morning (Take 2, Remake) – with bass
Buckets of Rain (Take 5, Remake 2) – with bass

Bob Dylan: vocals, guitar, harmonica
Tony Brown: bass (1-2, 7-20)

DISC 5

A & R Studios
New York
September 19, 1974

Tangled Up in Blue (Rehearsal and Take 1, Remake 2) – with bass
Tangled Up in Blue (Take 2, Remake 2) – with bass
Tangled Up in Blue (Take 3, Remake 2) – with bass – included on Blood on the Tracks test pressing and previously released on The Bootleg Series, Vols. 1-3: Rare and Unreleased, 1961-1991
Simple Twist of Fate (Take 2, Remake) – with bass
Simple Twist of Fate (Take 3, Remake) – with bass – previously released on Blood on the Tracks
Up to Me (Rehearsal and Take 1, Remake 3) – with bass
Up to Me (Take 2, Remake 3) – with bass – previously released on Biograph
Idiot Wind (Rehearsal and Takes 1-3, Remake) – with bass
Idiot Wind (Take 4, Remake) – with bass
Idiot Wind (Take 4, Remake) – with organ overdub – included on Blood on the Tracks test pressing and previously released on The Bootleg Series, Vols. 1-3: Rare and Unreleased, 1961-1991
You’re a Big Girl Now (Take 1, Remake 2) – with bass
Meet Me in the Morning (Take 1, Remake 2) – with bass
Meet Me in the Morning (Takes 2-3, Remake 2) – with bass

Bob Dylan: vocals, guitar, harmonica
Tony Brown: bass

DISC 6

A & R Studios
New York
September 19, 1974

You’re a Big Girl Now (Takes 3-6, Remake 2) – with bass
Tangled Up in Blue (Rehearsal and Takes 1-2, Remake 3) – with bass
Tangled Up in Blue (Take 3, Remake 3) – with bass

Sound 80 Studio
Minneapolis, MN
December 27, 1974

Idiot Wind – with band – previously released on Blood on the Tracks
You’re a Big Girl Now – with band – previously released on Blood on the Tracks

Sound 80 Studio
Minneapolis, MN
December 30, 1974

Tangled Up in Blue – with band – previously released on Blood on the Tracks
Lily, Rosemary and the Jack of Hearts – with band – previously released on Blood on the Tracks
If You See Her, Say Hello – with band – previously released on Blood on the Tracks

Bob Dylan: vocals, guitar, harmonica, organ (4-5), mandolin (8)
Tony Brown: bass (1-3)
Chris Weber: guitar (4-6, 8)
Kevin Odegard: guitar (6)
Peter Ostroushko: mandolin (8)
Gregg Inhofer: keyboards (4-8)
Billy Peterson: bass (4, 6-7)
Bill Berg: drums (4-8)

All songs written by Bob Dylan except Spanish is the Loving Tongue (traditional, arranged by Bob Dylan)

New York sessions originally engineered by Phil Ramone

Minneapolis sessions originally engineered by Paul Martinson

 

bob dylan more blood more tracks 1 cdbob dylan more blood more tracks vinyl

Ci sarà anche la versione per “poveri”, ma questa volta non sarà il solito doppio CD, ma un misero disco singolo con 11 brani, le dieci canzoni dell’album più Up To Me

SINGLE DISC/ 2 LP
1. Tangled Up in Blue (Take 3, Remake 3)
2. Simple Twist of Fate (Take 1)
3. Shelter from the Storm (Take 2)
4. You’re a Big Girl Now (Take 2)
5. Buckets of Rain (Take 2, Remake)
6. If You See Her, Say Hello (Take 1 Edit)
7. Lily, Rosemary and the Jack of Hearts (Take 2)
8. Meet Me in the Morning (Take 1, Remake Edit)
9. Idiot Wind (Take 4, Remake Edit)
10. You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (Take 1, Remake 2)
11. Up to Me (Take 2, Remake)

Big Brother And The Holding Co. – Sex, Dope And Cheap Thrills. Anche “Questo” Album Compie 50 Anni E Recupera Il Suo Titolo Originale (Oltre A 25 Tracce Inedite): Esce il 30 Novembre.

Big Brother And The Holding Company Sex Dope And Cheap Thrills

Big Brother & The Holding Co. – Sex, Dope And Cheap Thrills – 2 CD Sony Legacy – 30-11-2018

Naturalmente stiamo parlando di quel disco che all’origine si chiamava Cheap Thrills, uscito il 12 agosto del 1968, si trattava del secondo album della band guidata da Janis Joplin (con Sam Andrew, James Gurley, Peter Albin Dave Getz), quello della loro consacrazione, che li porterà al primo posto delle classifiche di vendita americane di Billboard, e segnerà anche l’inizio della fine della loro breve vita come gruppo, in quanto già il 1° Dicembre, dopo un concerto a San Francisco, Janis Joplin lascia la la band, anche se continueranno comunque come Big Brother fino al 1972, ma senza Janis non è più stata la stessa cosa. L’album all’inizio doveva chiamarsi Sex, Dope And Cheap Thrills, abbreviato su richiesta della Columbia, che bocciò anche la foto di copertina che li ritraeva nudi sul letto di una camera di albergo, sostituendolo con il famoso disegno di Robert Crumb, va bene che era la Summer Of Love, ma l’America era ancora molto puritana. Il disco era anche un finto Live, in quanto gli applausi erano stati aggiunti in post produzione e l’unico pezzo veramente dal vivo era la strepitosa versione di Ball And Chain, registrata al San Francisco’s Winterland Ballroom il 12 Aprile del 1968. Ecco qui sotto come doveva essere la copertina originale, che non è stata recuperata, solo il titolo non usato, e quella dell’album dell’epoca.

Big Brother And The Holding Company Sex Dope And Cheap Thrills coverBig Brother And The Holding Company Cheap Thrills

Il fatto interessante è che in questa nuova edizione non appaiono i brani del disco originale, meno uno (quindi un’ottima cosa se lo avete già, in caso contrario è d’uopo provvedere, in quanto si tratta di uno dischi più belli dell’era psichedelica, e per meno di 10 euro fate vostra l’edizione rimasterizzata del 1999, arricchita anche da 4 bonus tracks), a cui aggiungere il CD doppio in cui ci sono trenta pezzi, di cui 25 sono inediti su disco, mentre i restanti cinque era apparsi nei seguenti CD: Summertime (Take 2) (su una compilaton del 1993 della Joplin); Roadblock (Take 1) (era l’unica presente come bonus nella versione 1999 di Cheap Thrills); It’s A Deal (Take 1) e Easy Once You Know How (Take 1) (entrambe erano sul disco Rare Pearls nel Box Pearls); e Magic Of Love (Take 1) (dal disco Columbia/Legacy per il Record Store Day, Move Over!). Tutto il resto è inedito, come potete verificare nella tracklist completa che leggete sotto; in questo caso quelli con l’asterisco sono i pezzi già editi.

[CD1]
1. Combination Of The Two (Take 3)
2. I Need A Man To Love (Take 4)
3. Summertime (Take 2) *
4. Piece Of My Heart (Take 6)
5. Harry (Take 10)
6. Turtle Blues (Take 4)
7. Oh, Sweet Mary
8. Ball And Chain (Live, The Winterland Ballroom, April 12, 1968)
9. Roadblock (Take 1) *
10. Catch Me Daddy (Take 1)
11. It’s A Deal (Take 1) *
12. Easy Once You Know How (Take 1) *
13. How Many Times Blues Jam
14. Farewell Song (Take 7)

[CD2]
1. Flower In The Sun (Take 3)
2. Oh Sweet Mary
3. Summertime (Take 1)
4. Piece Of My Heart (Take 4)
5. Catch Me Daddy (Take 9)
6. Catch Me Daddy (Take 10)
7. I Need A Man To Love (Take 3)
8. Harry (Take 9)
9. Farewell Song (Take 4)
10. Misery’n (Takes 2 & 3)
11. Misery’n (Take 4)
12. Magic Of Love (Take 1) *
13. Turtle Blues (Take 9)
14. Turtle Blues (Last Verse Takes 1-3)
15. Piece Of My Heart (Take 3)
16. Farewell Song (Take 5)

* Previously released

Di Janis Joplin, che, detto per inciso, è una delle mie voci femminili rock preferite in assoluto (probabilmente la numero uno, e un’altra delle grandissime come Grace Slick ha firmato proprio le note del libretto del doppio CD, insieme a Dave Getz) mi è capitato di scrivere in un paio di occasioni sul Blog: trovate i Post qui https://discoclub.myblog.it/2010/10/04/janis-joplin-19-01-1943-04-10-19701/ e qui https://discoclub.myblog.it/2012/04/02/quatto-ragazzi-e-una-ragazza-44-anni-fa-big-brother-the-hold/ . Dopo l’uscita del disco, prevista per il 30 novembre p.v., non mancheremo di tornarci nuovamente con la recensione completa.

Per il momento prendete buona nota.

Bruno Conti

Vero Rockin’ Country, Molto Rockin’ E Poco Country! Jesse Dayton – The Outsider

jesse dayton the outsider

Jesse Dayton – The Outsider – Blue Elan CD

Jesse Dayton, texano di Beaumont, ha scelto un titolo perfetto per il suo nuovo CD. Stiamo parlando infatti di un musicista che ha iniziato ad incidere album a suo nome ben più di vent’anni fa, nel 1995, senza mai riuscire a far parlare di sé. Anzi, essendo un ottimo chitarrista, si è guadagnato da vivere più come axeman che come musicista in proprio: il suo curriculum comprende una lunga serie di artisti country e non, tra i quali John Doe ed i suoi X, i Supersuckers, ma soprattutto tre quarti degli Highwaymen, cioè Johnny Cash, Waylon Jennings e Kris Kristofferson, con i quali è talvolta andato anche in tour. Il disco che lo ha riportato alle cronache è stato The Revealer, uno degli album di rockin’ country più interessanti usciti nel 2016, pubblicato dopo diversi anni di silenzio, e che ci ha fatto conoscere un countryman dal pelo decisamente duro, che a violini e banjo preferisce nettamente le chitarre elettriche e sezioni ritmiche che pestano secco https://discoclub.myblog.it/2016/11/05/divertimento-purocosa-volete-piu-jesse-dayton-the-revealer/ .

Ora abbiamo tra le mani il seguito di quel lavoro, The Outsider, che dimostra che Jesse non è il tipo che si siede sugli allori e ripropone lo stesso disco all’infinito: infatti ci troviamo di fronte ad una serie di brani ancora più rock che in The Revealer, con le chitarre che arrotano che è un piacere, ed il nostro che ci mette tutta la grinta che ha in corpo, centrando ancora una volta il bersaglio, grazie anche ad una solida band che non va tanto per il sottile. Certo, il country non manca di certo, ma anch’esso viene suonato con il piglio del vero rocker. L’album inizia in maniera potente con May Have To Do It, un rock-blues grintoso e chitarristico, dal ritmo acceso e con un paio di assoli che di country hanno molto poco. Decisamente “cattiva” anche Jailhouse Religion, ritmica pulsante ed un’atmosfera paludosa ed annerita, come se Tony Joe White si fosse fatto un giro in Texas, ed anche qui non manca un’ottima prova del nostro con la chitarra (slide); con Changin’ My Ways iniziamo a sentire un po’ di country, una ballatona solida e comunque elettrica e vibrante, quasi come se a suonarla ci fosse un gruppo southern.

Hurtin’ Behind è pressante, roccata, vigorosa, con altri assoli lancinanti buttati lì con nonchalance, We Lost It è uno slow sontuoso, figlio delle sonorità degli outlaws degli anni settanta (soprattutto Waylon, ed anche qualcosa di Merle Haggard, che era un fuorilegge onorario), mentre Tried To Quit (But I Just Quit Tryin’) è un trascinante pezzo ad alto tasso elettrico, a metà tra rock’n’roll e honky-tonk texano, davvero irresistibile. L’elettroacustica Charlottesville è invece puro country, ancora dal ritmo elevato ed un sapore quasi bluegrass, anche se suonato alla maniera di un rocker, ed ancora ottimi interventi solisti (qui acustici), Belly Of The Beast rimanda invece a Cash, con tanto di ritmica boom-chicka-boom, mentre Burnin’ concede un momento di relax, un gustoso folk-blues acustico che sa di Mississippi. Il CD si chiude con la limpida Killer On The Lamb, un brano country & western dall’incedere epico e con un motivo di sicuro impatto, uno dei migliori del lavoro.

Sembra che Jesse Dayton sia tornato stabilmente tra noi, e pare con discreti risultati di critica e pubblico, anche perché su quelli artistici non avevo molti dubbi: per gli amanti del country-rock più elettrico, quelli per cui Nashville è soltanto la capitale del Tennessee.

Marco Verdi

Non E’ Nuovo, Ma E’ Comunque Un Recupero Dovuto. Tyler Childers – Live On Red Barn Radio I & II

tyler childers live on red barn radio I & II

Tyler Childers – Live On Red Barn Radio I & II – Hickman Holler/Thirty Tigers CD

Tyler Childers, cantautore del Kentucky consigliato da Colter Wall, e che ci aveva ben impressionato lo scorso anno con il suo secondo lavoro Purgatory https://discoclub.myblog.it/2017/09/04/eccone-un-altro-bravo-questa-volta-dal-kentucky-e-lo-manda-sturgill-simpson-tyler-childers-purgatory/ , ha deciso di battere il ferro finché è caldo, e ha quindi deciso di rendere disponibile su supporto digitale i due live EP che erano usciti solo per il download nel 2013 e 2014, intitolati entrambi Live At Red Barn Radio, dal nome di un programma musicale molto popolare nella sua regione d’origine. A quell’epoca Tyler era ancora praticamente sconosciuto, aveva all’attivo solo un album uscito nel 2011, Bottles And Bibles, passato quasi inosservato, e si dava un gran da fare esibendosi dal vivo, e questi due EP di quattro canzoni ciascuno sono un valido esempio dei primi passi del nostro.

La cosa interessante è che, delle otto canzoni totali, soltanto due provengono dai due album di Childers, ed altre quattro sono totalmente inedite (mentre le restanti due sono cover). I primi quattro pezzi, incisi nel Maggio del 2013, vedono Tyler e la sua chitarra accompagnati da un gruppo ristretto formato da Jesse Wells al violino, Scott Wilmoth al basso, Scott Napier al mandolino e Arthur Hancock al banjo, un combo dal suono molto tradizionale che si adatta benissimo alle canzoni del leader. Apre Shake The Frost, ballata malinconica dominata dal mandolino e dal languido violino di Wells, con la voce di Tyler che qui appare quasi fragile. Più vivace Deadman’s Curve, ancora con un ottimo lavoro strumentale in sottofondo ed un motivo che profuma di tradizione lontano un miglio (ed invece è di Childers, anche se il titolo potrebbe far pensare ad un noto brano di Jan & Dean); in Charleston Girl spunta il banjo, ed il brano è giusto a metà tra folk e country, mentre Whitehouse Road, che finirà quattro anni dopo su Purgatory, è un valido pezzo dal sapore appalachiano, con Childers che canta in maniera forte e convinta.

Il secondo volume, inciso nel Novembre dello stesso anno, vede il nostro in perfetta solitudine, ma la qualità della performance non ne risente: si parte con le due cover, la splendida Rock Salt And Nails (di Bruce “Utah” Phillips, resa nota da Steve Young), che Tyler riesce ad interpretare con la giusta dose di pathos nonostante l’accompagnamento spoglio, e Coming Down, del semisconosciuto cantautore contemporaneo John R. Miller, lenta e malinconica, con il pubblico che segue in rigoroso silenzio. Chiudono il CD (che con la sua mezz’ora scarsa può essere considerato anch’esso un EP) la bella Follow You To Virgie, folk song pura da cantautore classico, e la title track del suo primo album, Bottles And Bibles. Se Purgatory vi è piaciuto, questo piccolo dischetto live può essere una valida aggiunta nella discografia ancora scarna di Tyler Childers, in attesa, speriamo, che confermi con il prossimo full length quanto di buono ci aveva fatto sentire lo scorso anno.

Marco Verdi

Ormai E’ Una Garanzia, Prolifico Ma Sempre Valido: Ha Fatto Tredici! Joe Bonamassa – Redemption

joe bonamassa redemption 21-9

Joe Bonamassa – Redemption – Mascot/Provogue

Sono già passati due anni e mezzo dall’ultimo album di studio di Joe Bonamassa Blues Of Desperation, uscito nel marzo 2016 https://discoclub.myblog.it/2016/03/20/supplemento-della-domenica-anteprima-nuovo-joe-bonamassa-ormai-certezza-blues-of-desperation-uscita-il-25-marzo/ . Calma, vi vedo irrequieti: lo so che in questo periodo  il musicista newyorkese ha pubblicato almeno tre album dal vivo https://discoclub.myblog.it/2018/05/13/uno-strepitoso-omaggio-ai-tre-re-inglesi-della-chitarra-joe-bonamassa-british-blues-explosion-live/ , la reunion dei Black Country Communion, ha partecipato al disco dei Rock Candy Funk Party, e alla fine di gennaio è uscito l’album in coppia con Beth Hart Black Coffee https://discoclub.myblog.it/2018/01/21/supplemento-della-domenica-di-nuovo-insieme-alla-grande-anteprima-nuovo-album-beth-hart-joe-bonamassa-black-coffee/ . Ma stiamo parlando di Bonamassa, “the hardest working man in show business”, uno che i dischi li fa anche quando dorme. E quello che sorprende, a parte per i suoi detrattori, o quelli che non lo amano, è che la qualità dei dischi rimane sempre sorprendentemente alta. Il CD Redemption, disco di studio n* 13, uscirà il 21 settembre, quindi visto che la recensione, come al solito, l’ho scritta qualche tempo prima dell’uscita, non ho tutte le informazioni precise.

Comunque si sa che questa volta il produttore Jerry Shirley, su suggerimento di Bonamassa si presume, ha voluto apportare alcune modifiche al sound: ci sono due chitarristi aggiunti alla formazione abituale, ossia Kenny Greenberg e Doug Lancio, per consentire a Joe di concentrarsi di più sulle parti soliste, un ospite a sorpresa come il cantante country Jamey Johnson, e tra gli autori o co-autori delle canzoni troviamo Dion DiMucci, Tom Hambridge sempre più lanciato, James House, Gary Nicholson e Richard Page. Per il resto la band è quella solita, ormai collaudata: Anton Fig, batteria, Michael Rhodes, basso e Reese Wynans alle tastiere, oltre alla piccola sezione fiati , Lee Thornburg  e Paulie Cerra, usata in alcuni brani, Gary Pinto alle armonie vocali e le coriste Mahalia Barnes, Jade McRae, Juanita Tippins. Il risultato è più variegato del solito, sono stati impiegati diversi stili ed approcci e il menu sonoro è abbastanza diversificato: Evil Mama parte violentissima, con citazione del classico riff di Rock And Roll dei Led Zeppelin, poi diventa un possente rock-blues fiatistico dal solido groove ,con le coriste di supporto al cantato vibrante di Joe, brano che sfocia in uno dei suoi immancabili assoli torcibudella, con finale wah-wah e le altre chitarre che lavorano all’unisono di supporto, notevole. King Bee Shakedown ancora con fiati sincopati vira verso un blues tinto di rockabilly e boogie, mosso e divertente, con la slide che impazza.

Molly O è uno dei suoi tipici brani di hard rock classico che alterna nel repertorio solista e in quello dei Black Country Communion, storia tragica e drammatica, di impianto marinaro, riff gigantesco zeppeliniano e suono veramente poderoso con la ritmica in modalità 70’s, mentre le chitarre mulinano di gusto, Deep In The Blues Again è più agile e scattante, con le chitarre stratificate e un approccio da rock classico americano, molto radiofonica, sempre radio buone comunque e non mancano gli assoli, meno invasivi di altre occasioni. Self-Inflicted Wounds è un brano quasi da cantautore, Bonamassa lo considera una delle sue migliori prove come autore, molto atmosferico nel suo dipanarsi, assolo liberatorio incluso, mentre Pick Up The Pieces, notturna e jazzata, con piano e sax a sottolinearne una certa drammaticità, potrebbe ricordare certe collaborazioni con Beth Hart, più soffusa e felpata grazie ad una National acustica.

A questo punto a sorpresa Bonamassa goes country, magari southern, grazie alla collaborazione in quel di Nashville (dove comunque è stato registrato gran parte del disco, ma anche a Las Vegas, Sydney e Miami) con Jamey Johnson, The Ghost Of Macon Jones è un country-rock and western di ottimo impatto dal ritmo galoppante. Just Cos You Can Don’t Mean You Should sembra un omaggio di Joe al suono e al timbro di Gary Moore, un brano lento e cadenzato con uso di fiati, dove Bonamassa “imita” l’approccio blues-rock del chitarrista irlandese con ottimi risultati, bellissimo l’assolo https://www.youtube.com/watch?v=XbNgt8jh9io . La title track è il pezzo scritto con Dion, un blues elettrocustico di sicuro fascino, con un arrangiamento avvolgente e raccolto, che poi esplode in un assolo crudo e violento fatto di tecnica e feeling https://www.youtube.com/watch?v=wDe-dI3c5d0 ; anche I‘ve Got Some Mind Over What Matters rimane in questo approccio blues molto classico e misurato, senza eccessi particolari, prima di sorprenderci con una quasi spoglia Stronger Now In Broken Places, quasi solo voce e chitarra acustica, intima e malinconica il giusto, con dei tocchi sonori aggiuntivi di Jim Moginie dei Midnight Oil e Kate Stone, per questa traccia registrata in Australia. La chiusura è affidata ancora a un torrido slow blues elettrico, con uso fiati e piano, Love Is A Gamble dove Joe Bonamassa scatena ancora una volta tutta la sua verve chitarristica in un lancinante assolo.

Non si può negare che sia sempre bravo e ancora una volta centra l’obiettivo, come detto esce il 21 settembre.

Bruno Conti