Marc Broussard – Home (The Dockside Sessions) – G-Man Records
New Orleans, e tutta la Louisiana in generale, in ambito musicale sono rimasti uno degli ultimi baluardi della buona musica, quella vera, naturale, ruspante, rispettosa della tradizioni, una barriera contro il cattivo gusto imperante nella musica attuale: gli artisti, sia quelli autoctoni che i cosiddetti “oriundi”, nati altrove ma che lì si sono stabiliti, offrono una resistenza, quasi una resilienza, verso le derive della massificazione che tendono a rendere tutto uguale ed assimilato, il mondo della rete e dei social media ha questa tendenza a fagocitare tutto (per non parlare dei cosiddetti talent) e quindi i veri talenti fanno fatica ad emergere o appunto a resistere, e diventano purtroppo sempre più piuttosto marginali. A New Orleans e dintorni non è così, la musica si respira ancora nelle strade, nei locali, nei Festival, anche se fa fatica ad uscire da quei confini: qualcuno ci prova ed insiste, come Marc Broussard, che dopo l’uno-due eccellente del 2016-2017 con Save Our Soul 2 e Easy To Love https://discoclub.myblog.it/2017/11/23/diverso-dal-precedente-ma-sempre-musica-di-classe-marc-broussard-easy-to-love/ , ci delizia con questo Home (The Dockside Sessions) che raccoglie una serie di esibizioni (molte peraltro facilmente rintracciabili su YouTube in formato video) registrate appunto ai Dockside, gli studi casalinghi situati a Maurice, sempre in Louisiana.
Un album dove Marc, con l’aiuto di pochissimi musicisti, spesso solo una chitarra acustica ed un pianoforte, non sempre insieme, ha (ri)visitato una serie di canzoni, sia proprie che classici del soul , in una veste intima e delicata, ma non priva della forza intrinseca insita nella musica di Broussard, che è poi la sua voce: splendida, vellutata, da bianco con l’anima nera, con uno stile che per una volta è stato definito con esattezza attraverso il termine di “Bayou Soul”, un misto di R&B, funky, swamp rock, pop, blues e ovviamente soul , eseguito con una naturalezza quasi disarmante. Il nostro amico ha passato la sua giovinezza e gli anni formativi tra Carencro, dove è nato (e che era il titolo del suo secondo album) e Lafayette, dove il babbo Ted Broussard (una leggenda locale con i Boogie Kings) lo ha nutrito a pane e musica, e i risultati si sentono in ogni disco che pubblica: anche il “nuovo” Home è una vera panacea per le nostra orecchie torturate spesso da sonorità insulse e senza costrutto, si tratta sicuramente di musica di culto, destinata a pochi, anche per la scarsa reperibilità dei suoi dischi, che però meritano sicuramente lo sforzo di una ricerca.
French Café, posta in apertura, è una canzone di David Egan (altro figlio della Louisiana, autore sopraffino scomparso nel 2016), un brano solo voce e pianoforte (il padre Ted, anche se è principalmente un chitarrista), ballata suadente e di gran classe, che, anche in questa versione più intima di quella che era presente sul disco di esordio del 2002, riluce delle sue squisite capacità interpretative, uno che in questo campo non è sicuramente inferiore a gente come John Hiatt o Delbert McClinton, tanto per non fare nomi. Broussard non tradisce neppure come autore, canzoni come le bellissime The Wanderer , con chitarra acustica aggiunta, Lonely Night In Georgia, The Beauty Of Who You Are, con i suoi altopiani vocali, la dolce e malinconica Gavin’s Song, l’intensa Let Me Leave, l’avvolgente Send Me A Sign (e le altre che non cito per brevità, ma non ce n’è una scarsa), parlano di un interprete affascinante per la sua capacità di immergersi a fondo nell’atmosfera della canzone.
E che poi eccelle anche quando viene a confrontarsi con canzoni immortali come lo splendido blues I Love You More Than You’ll Ever Know, il brano di Al Kooper che grazie alla voce superba di Marc e alla elettrica di Ted Broussard, nonché di un piano elettrico, raggiunge livelli di intensità straordinari, poi replicati in versioni eccezionali di Do Right Woman, Do Right Man, dove quasi non fa rimpiangere la grande Aretha, per non parlare di una mirabile Cry To Me, il capolavoro di Solomon Burke, che era già presente come bonus in Save Our Soul II, e di una splendida These Arms Of Mine, che sono sicuro il grande Otis Redding da lassù avrebbe certamente approvato. Chiude un album eccellente l’unico pezzo con la band completa, una intensa e tirata Home Anthology che illustra anche il lato elettrico di questo grande cantante. Ancora una volta, sentire per credere.
Bruno Conti