Novità Prossime Venture 21. Jethro Tull – Stormwatch: Anche Dell’Ultimo Album Degli Anni ’70 Il 18 Ottobre Viene Pubblicato Il Box Per il 40° Anniversario

jethro tull stormwatch box 6

Jethro Tull – Stormwatch – 4 CD/2 DVD Audio – Chrysalis/Rhino/Warner – 18-10-2019

Riprendono le pubblicazioni degli album dei Jethro Tull rimasterizzati da Steven Wilson per il 40° Anniversario dalla loro uscita. Questa volta tocca a Stormwatch, l’ultimo disco degli anni ’70 per la band di Ian Anderson, anche l’ultimo tra i dischi “belli” della band britannica, nonché il terzo della trilogia folk-rock iniziata con Songs From The Wood, proseguita con Heavy Horses, e conclusa con il presente album: che è anche l’album finale a presentare la formazione classica anni ’70, con a fianco di Ian Anderson, Martin Lancelot Barre, John Glascock (che poi sarebbe scomparso nel novembre del 1979, sostituito da Dave Pegg al basso, già presente in un brano), John Evan, David (ora Dee, visto che prima nel 1998 e poi definitivamente nel 2004 ha deciso di cambiare sesso, succede anche questo nelle rock bands) Palmer e Barriemore Barlow.

Alla nuova versione è stato assegnato il nome di Stormwatch 40th Anniversary Force 10 Edition e nel primo CD presenta l’album originale nella versione remixata nel 2019 da Steven Wilson, nel secondo dischetto definito “Associated Recordings” ci sono altri 15 brani registrati all’epoca di cui quattro erano già apparsi nella versione in CD del 2004 e nel cofanetto 20 Years Of Jethro Tull, mentre gli altri sono inediti. Il terzo e quarto CD contengono il concerto completo inedito Live In The Netherlands, registrato il 16 marzo del 1980 al Concertgebouw di Amsterdam, mentre gli ultimi due sono DVD Audio, che interessano principalmente gli audiofili con le versioni  5.1 DTS and AC3 Dolby Digital e 96/24 LPCM stereo dei primi due dischi (ma non della parte live) e che ovviamente come al solito faranno lievitare il prezzo del cofanetto che, molto indicativamente dovrebbe avere un prezzo compreso tra il 40 e i 50 euro a seconda dei paesi di uscita.

Ecco la lista completa e dettagliata dei contenuti.

Disc One: Steven Wilson Remix of Original Album

“North Sea Oil”
“Orion”
“Home”
“Dark Ages”
“Warm Sporran”
“Something’s On The Move”
“Old Ghosts”
“Dun Ringill”
“Flying Dutchman”
“Elegy”

Disc Two: Associated Recordings

“Crossword”
“Dark Ages” (early version) [Previously Unreleased]
“Kelpie”
“Dun Ringill” (early version) [Previously Unreleased On CD]
“A Stitch In Time”
“A Single Man” [Previously Unreleased]
“Broadford Bazaar”
“King Henry’s Madrigal”
“Orion” (full version) [Previously Unreleased]
“Urban Apocalypse” [Previously Unreleased]
“The Lyricon Blues”
“Man Of God” [Previously Unreleased]
Rock Instrumental (unfinished master) [Previously Unreleased]
“Prelude To A Storm” [Previously Unreleased]
“Sweet Dream” (live)

Disc Three: Live in the Netherlands (March 16. 1980) [Previously Unreleased]

Intro
“Dark Ages”
“Home”
“Orion”
“Dun Ringill”
“Elegy”
“Old Ghosts”
“Something’s On The Move”
“Aqualung”
“Peggy’s Pub”
“Jack-In-The-Green”
“King Henry’s Madrigal”/Drum Solo
“Heavy Horses”

Disc Four: Live in the Netherlands (March 16. 1980) [Previously Unreleased]

Flute Solo (incl. “Bourée/Soirée/God Rest Ye Merry Gentlemen/Kelpie”)
Keyboard Duet (Bach’s Prelude in Cm from the “Well-Tempered Clavier 1”)
“Songs From The Wood”
“Hunting Girl”
“Jams O’Donnel’s Jigs”
“Thick As A Brick”
“Too Old To Rock ’n’ Roll: Too Young To Die!”
“Cross-Eyed Mary”
Guitar Solo
“Minstrel In The Gallery”
“Locomotive Breath”
“Dambusters March”

DVD One: Audio Only

Stormwatch mixed to 5.1 DTS and AC3 Dolby Digital
Flat transfer of the original 1979 mix at 96/24 LPCM stereo

DVD Two: Audio Only

Contains 13 associated recordings mixed to 5.1 DTS and AC3 Dolby Digital
15 associated recordings mixed to 96/24 LPCM stereo
Five original mixes at 96/24 LPCM stereo

Uno dei volumi più interessanti a livello di contenuti extra: data di pubblicazione il 18 ottobre p.v..

Alla prossima.

Bruno Conti

A 72 Anni L’Iguana Ha Cambiato Pelle! Iggy Pop – Free

iggy pop free

Iggy Pop – Free – Caroline/Loma Vista/Universal CD

L’ottimo Post Pop Depression del 2016 sembrava potesse essere l’ultimo album della carriera di Iggy Pop https://discoclub.myblog.it/2016/04/29/le-pop-songs-che-ci-piacciono-iggy-pop-post-pop-depression/ , ma per fortuna si trattava della solita promessa da marinaio tipica delle rockstar. Free, nuovissimo lavoro dell’ex Stooges, è però un disco completamente diverso dal genere a cui l’Iguana ci ha abituati: niente schitarrate potenti, niente aggressioni elettriche o canzoni tra punk e hard rock, ma atmosfere soffuse, eleganti e jazzate. Iggy stesso ha detto che Free è un album capitato quasi per caso, con canzoni in cui altri artisti parlano per lui ed alle quali ha solo prestato la voce: ed è vero, in quanto la sua mano come songwriter appare solo in tre dei dieci pezzi totali, mentre la maggior parte dei brani vede la firma del trombettista jazz Leron Thomas, ed in seconda battuta della chitarrista Noveller (al secolo Sarah Lipstate), entrambi anche produttori del disco.

Eppure Free risulta intrigante e stimolante anche se Iggy si muove in territori non certo abituali, con il suo vocione che ben si adatta ai paesaggi sonori moderni ma non eccessivi creati dai vari musicisti (c’è anche parecchio synth, ma usato in maniera intelligente): oltre ai due nomi citati sopra, altri protagonisti dell’album sono Aaron Nevezie e Gregoire Fauque alle chitarre, Kenny Ruby al basso e Tibo Brandalise alla batteria. Qualcuno ha paragonato questo lavoro all’epitaffio musicale di David Bowie, Blackstar, ma qui le canzoni sono meno oblique e più dirette, al punto che alla fine degli appena 33 minuti del disco quasi mi rammarico che sia già terminato. La title track, che apre l’album, è un pezzo breve, quasi straniante ma indubbiamente affascinante, con Iggy che si limita a ripetere un paio di volte la frase “I wanna be free” e poi lascia spazio alla tromba di Thomas (indiscussa protagonista del disco) ed alla chitarra sintetizzata della Lipstate. Un ritmo pulsante introduce Loves Missing, affiancato da una chitarra che si fa largo con riff in stile twang ed Iggy che declama i versi a modo suo (e non manca la tromba): un brano potente e non lontano dallo stile del nostro, anche se non ci sono assalti all’arma bianca ma un’atmosfera piuttosto rilassata. Sonali ha una ritmica particolare e spezzettata, un background sonoro moderno e soluzioni melodiche abbastanza “free” (il titolo del CD non è casuale) grazie anche all’onnipresente tromba, eppure il brano non risulta per nulla ostico (e qui il paragone con Bowie ci può stare).

James Bond si apre con un bel riff di basso subito doppiato dalla voce del leader, per un motivo ripetitivo ma intrigante, che vede il resto della band entrare di soppiatto e confezionare un accompagnamento pop-rock classico, con una chitarrina funkeggiante, rendendo il brano uno dei più orecchiabili del lavoro. Dirty Sanchez, dopo un lungo intro per sola tromba, si sviluppa in maniera un po’ sghemba, un pezzo contraddistinto dal continuo botta e risposta tra i versi quasi urlati da Iggy ed un coro maschile, ed un sottofondo tra jazz e musica tribale; Glow In The Dark vede il nostro cantare in un’atmosfera cupa, quasi plumbea, con la band che si lancia in melodie irregolari e libere guidate dalla solita tromba e con una chitarra elettrica che si fa largo man mano che la canzone prosegue, mentre in Page l’Iguana assume un tono quasi da cantante confidenziale e gli strumenti forniscono un background soffuso e raffinato. Il CD si chiude con ben tre brani totalmente “spoken word” e sottofondo per tromba e synth: We Are The People (un testo inedito di Lou Reed), Do Not Go Gentle Into That Good Night (adattamento di una poesia di Dylan Thomas) e The Dawn, tre pezzi indubbiamente affascinanti anche se di musica ce n’è poca.

Lavoro quindi molto interessante questo Free, non certo di facile ascolto ma in grado di crescere alla distanza, anche se forse non è il disco che consiglierei ad un neofita di Iggy Pop.

Marco Verdi

Tra Country “Cosmico” E Derive Rock, Dalla West Coast Una Interessante Voce Femminile. Leslie Stevens – Sinner

leslie stevens sinner

Leslie Stevens – Sinner – LyricLand LLC/Thirty Tigers

Nativa del Missouri, ma da parecchi anni gravitante a livello musicale nell’area di Los Angeles e dintorni, spesso impiegata da artisti che spaziano da Florence & The Machine a Jim James e Jenny O, ma soprattutto Father John Misty e Jonathan Wilson, che le produce questo Sinner, il suo terzo album, Leslie Stevens è stata presentata dalla stampa locale come una delle cantanti più interessanti di quel country californiano che si rifà però in parte anche ai nomi storici, visto che il suo timbro vocale è stato paragonato a Patsy Cline, Emmylou Harris e Dolly Parton , senza peraltro dimenticare un approccio più country-rock come evidenziato dal suo disco a nome Leslie Stevens & the Badgers o in The Donkey And The Rose. Come al solito la produzione di Wilson, che nel disco suona anche chitarre, basso, batteria, percussioni e perfino il mellotron, privilegia comunque anche aspetti più rock e West Coast, sottolineati dalla presenza del batterista James Gadson (Paul McCartney, B.B. King Band), del bassista Jake Blanton (The Killers),  del pianista Keefus Ciancia (Elton John, T Bone Burnett) e del’ organista Nate Walcott (Red Hot Chili Peppers, Bright Eyes), tutti ottimi musicisti in grado di rendere variegato e brillante il sound del disco.

La voce è sottile, fragrante, quasi “timida”, come appare nella iniziale Storybook, con elementi vocali che ricordano le signore citate, in grado quindi di porgere delicatamente le emozioni  delicate della canzone, sulle ali di un accompagnamento dove spiccano piano, organo, una acustica arpeggiata e la ritmica discreta, ma in grado di essere più assertiva in 12 Feet High, un pezzo dove il ritmo si fa più incalzante, la voce potrebbe ricordare la Stevie Nicks dei brani più felpati, con un timbro quasi sognante,  ma con improvvise esplosioni di grinta controllata, che l’arrangiamento complesso studiato da Wilson mette in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=Cheb0VjrCL4 . Falling è una  deliziosa country song old fashioned  cantata con timbro squisito dalla Stevens,  chiaramente ispirata da Cline, Harris e Parton e sull’onda di una pedal steel che sottolinea in modo incantevole la melodia, come pure il piano https://www.youtube.com/watch?v=2iRdVPSJ4p0 . Molto bella anche Depression, Descent, una riflessione sui tempi che stiamo vivendo, narrata con brio in questo vivace country-rock cantato a due voci con Jonathan Wilson, uno dei brani più godibili del disco, grazie alla ottima interpretazione vocale di Leslie e al consueto arrangiamento ad hoc del produttore californiano; You Don’t Have to Be So Tough è una ballata eterea e trasognata, sempre servita da un eccellente arrangiamento di Wilson, dove le chitarre sono appena accennate, ma avvolgono alla perfezione la dolente interpretazione della nostra amica, che poi si lascia andare ad un nostalgico tuffo negli anni ’50 di una Teen Bride che cerca di riprodurre con voluttà quel pop spensierato, ma con uno spirito sonoro raffinato e ricercato https://www.youtube.com/watch?v=4yf7EwA-vOU .

Sinner è un brano notturno e soffuso che potrebbe rimandare alle canzoni delle colonne sonore dei telefilm di David Lynch, se si fosse deciso di affidarne il cantato a Stevie Nicks  e qui cantata in punta di ugola della Stevens; The Tillman Song racconta la storia vera dell’omonima stella del football americano che,  al culmine della sua carriera, decise di arruolarsi ed andare a combattere in Afghanistan, dove fu ucciso in un controverso caso di “fuoco amico”, il ritmo della canzone è incalzante, rende bene e in modo solidale il tragico dipanarsi della vicenda, con la voce compartecipe della nostra amica che quasi galleggia sulle improvvise sferzate acide della solista di Wilson, veramente una bellissima canzone. Sylvie utilizza le armonie vocali della collega Jenny O. per regalarci un’altra piccola gemma, una tenue e dolce ballata che si avvale sempre di una melodia molto accattivante e godibile https://www.youtube.com/watch?v=-6Vfsrfb6Lo , come pure la conclusiva The Long Goodbye dove una “weeping” pedal steel  evidenzia ancora una volta una ottima e profonda interpretazione vocale da brividi.                                                                       Bruno Conti

Novità Prossime Venture 20. Doppia Razione Di Rolling Stones A Novembre: Il 1° Esce La Solita Ristampa Natalizia “Inutile” E Costosa Di Let It Bleed, Il Giorno 8 Un Molto Più Interessante Bridges To Buenos Aires Audio + Video.

rolling stones let it bleed box

Rolling Stones – Let It Bleed – 2xLP/2xSACD/1 45 giri – ABKCO/Universal – 01-11-2019

Nello splendore dell’immagine riportata qui sopra, che cliccandoci sopra potete allargare fino a perdercisi dentro a questo splendido manufatto, che propone la versione Super Deluxe di uno dei dischi più belli in assoluto degli Stones, ovvero Let It Bleed. Poi, al solito, uno comincia a ragionarci sopra: per una cifra indicativa tra i 140 e 150 euro cosa ti offrono? Beh, per iniziare zero inediti e/o brani rari: d’accordo si tratta del materiale del periodo ABKCO, su cui Jagger e soci non possono accampare diritti in quanto è di proprietà della società che faceva capo allo scomparso Allen Klein (morto per Alzheimer nel 2009, e uno potrebbe fare strani collegamenti per come veniva gestito il catalogo degli Stones, ma anche ora le politiche più che musicali sono rimaste sempre strettamente commerciali). Quindi collaborazione dei membri della band ridotta a zero e accesso a materiale inedito non pervenuta (anche se per il Rock And Roll Circus qualcosa era stato fatto). Andando a vedere i contenuti nello speciifico cosa troviamo: versione rimasterizzata da Bob Ludwig, in mono e stereo, sia dei vinili che dei SACD ibridi, 45 giri mono con copertina del singolo del 1969 Honky Tonk Women’/ ‘You Can’t Always Get What You Want, 3 litografie 12×12 numerate, stampate su carta speciale, un manifesto 23×23 con la grafica ripresa dal vecchio album della Decca, più un bellissimo libro rilegato di 80 pagine con nuove foto e note curate dall’onnipresente giornalista David Fricke.

Quindi per chi è interessato alla musica nulla di particolare interesse (oppure se siete interessati ad ascoltare il nuovo remaster del 2019 vi potete acquistare semplicemente il CD singolo oppure le versioni in vinile che verranno annunciate): per carità manufatto molto interessante, ma anche tanta aria fritta, perciò se non siete collezionisti compulsivi feticisti nonché facoltosi, il tutto risulta abbastanza inutile. Cionondimeno ecco la lista completa dei contenuti.

LP 1 – Stereo
Side 1
1. Gimme Shelter
2. Love In Vain
3. Country Honk
4. Live with Me
5. Let It Bleed
Side 2
1. Midnight Rambler
2. You Got the Silver
3. Monkey Man
4. You Can’t Always Get What You Want

LP 2 – Mono
Side 1
1. Gimme Shelter
2. Love In Vain
3. Country Honk
4. Live with Me
5. Let It Bleed
Side 2
1. Midnight Rambler
2. You Got the Silver
3. Monkey Man
4. You Can’t Always Get What You Want

Hybrid Super Audio CD 1 – Stereo
1. Gimme Shelter
2. Love In Vain
3. Country Honk
4. Live with Me
5. Let It Bleed
6. Midnight Rambler
7. You Got the Silver
8. Monkey Man
9. You Can’t Always Get What You Want

Hybrid Super Audio CD 2 – Mono
1. Gimme Shelter
2. Love In Vain
3. Country Honk
4. Live with Me
5. Let It Bleed
6. Midnight Rambler
7. You Got the Silver
8. Monkey Man
9. You Can’t Always Get What You Want

7” vinyl single – (Mono)
Side A – Honky Tonk Women
Side B – You Can’t Always Get What You Want

rolling stones bridges to buenos aires

Rolling Stones – Bridges To Buenos Aires – 1DVD/2CD and 1BD/2CD  Eagle/Universal – 08-11-2019

Molto più interessante l’uscita della settimana successiva, questa volta curata dall’entrourage dei Rolling Stones, che rende disponibile per la prima volta il concerto completo tenuto a Buenos Aires il 5 aprile del 1998 al River Plate Stadium, nel corso del Bridges To Babylon Tour di cui di recente è uscito anche https://discoclub.myblog.it/2019/07/03/due-giorni-con-gli-stones-parte-2-bridges-to-bremen/ , sempre estratto dalla stessa tournée. Dalle prime notizie pareva che nel concerto ci fosse anche la presenza di Bob Dylan, cosa che poi si è rivelata vera, anche se il vecchio Bob appare solo nella versione di Like A Rolling Stone (comunque una rarità assoluta).

Il concerto, grazie al cielo, esce solo nelle due versioni riportate sopra, ovvero le canoniche 2 CD + DVD o 2 CD + Blu-ray, e questo è la tracklist completa (veramente, non posso esimermi, per essere sinceri ed onesti fino in fondo, uscirà anche una versione tripla limitata in vinile colorato blu, molto costosa e il DVD o il Blu-ray singoli).

rolling stones bridges to buenos aires vinile coloratorolling stones bridges to buenos aires dvdrolling stones bridges to buenos aires blu-ray

Tracklist
1. (I Can’t Get No) Satisfaction
2. Let’s Spend The Night Together
3. Flip The Switch
4. Gimme Shelter
5. Sister Morphine
6. Its Only Rock ‘N’ Roll (But I Like It)
7. Saint Of Me
8. Out Of Control
9. Miss You
10. Like A Rolling Stone (featuring Bob Dylan)
11. Thief In The Night
12. Wanna Hold You
13. Little Queenie
14. When The Whip Comes Down
15. You Got Me Rocking
16. Sympathy For The Devil
17. Tumbling Dice
18. Honky Tonk Women
19. Start Me Up
20. Jumpin’ Jack Flash
21. You Can’t Always Get What You Want
22. Brown Sugar

Nei prossimi giorni altri annunci di ulteriori future uscite di particolare interesse per i lettori del Blog.

Bruno Conti

Novità Prossime Venture 19. Bob Dylan – Travelin’ Thru: The Bootleg Series Vol. 15 1967-1969. Questa Volta Tocca Al Periodo Nashville.

bob dylan travelin' thru bootle series vol.15

Bob Dylan – Travelin’ Thru: The Bootles Series Vol. 15 1967-1967 – 3 CD Columbia/Legacy – 01-11-2019

Anche se quest’anno Bob Dylan in teoria aveva già dato con lo splendido box dedicato alla Rolling Thunder Revue https://discoclub.myblog.it/2019/06/11/un-sensazionale-cofanetto-per-uno-dei-tour-piu-famosi-e-belli-di-sempre-bob-dylan-rolling-thunder-revue-the-1975-live-recordings/ , non poteva mancare il consueto appuntamento annuale nel periodo natalizio con un nuovo capitolo delle Bootleg Series. Se ne parlava da tempo come uno dei periodi della carriera musicale di Bob dove era nota la presenza di parecchio materiale inedito interessante. Anche se a ben guardare Travelin’ Thru, il capitolo 15 della serie dedicata agli archivi di Dylan esce solo in una versione in triplo CD: niente mega cofanetti lussuosi e costosi, ma un box essenziale con 50 canzoni estratte dal periodo Nashvilliano del grande cantautore, con ogni CD dedicato ad un argomento specifico.

Nel primo album troviamo diverse versioni alternative estratte dalle sessions per John Wesley Harding, tenutesi la famoso Studio A della Columbia in quel di Nashville, tra il 17 ottobre e il 6 novembre del 1967, e altre sessioni di registrazione con ulteriore materiale mai pubblicato prima (sempre a livello ufficiale), non utilizzate per l’album Nashville Slyline, il 13 e 14 febbraio 1969, tra cui un brano inedito Western Road. Nel secondo e terzo CD ci sono moltissimi brani relativi alla collaborazione con Johnny Cash (che infatti, per la prima volta in uno dei volumi della serie, viene omaggiato in copertina con un Featuring): ci sono le famose sessioni al solito Studio A della Columbia con versioni alternative di canzoni di Nashville Syline, ma anche tracce registrate durante le prove e lo spettacolo per il Johnny Cash Show del 1° Maggio 1969 al Ryman Auditorium, spettacolo che poi sarebbe andato in onda sulla ABC-TV il 7 giugno dello stesso anno. E in conclusione del terzo CD ci sono anche alcuni estratti dallo special registrato per la PBS, la televisione di stato americana, il 17 maggio 1970 e poi mandato in onda a Gennaio del 1971 con il titolo di Earl Scruggs: His Family and Friends, una rara collaborazione con il leggendario banjoista, uno degli inventari del bluegrass nel dopoguerra.

Come al solito ecco il contenuto completo dei 3 CD con tutte le informazioni note finora rese note. Ovviamente al momento dell’uscita sarà nostra cura (allerto già fin d’ora l’amico Marco Verdi) fornirvi un resoconto dettagliato del cofanetto.

[CD1]
1. Drifter’s Escape (Take 1)
2. I Dreamed I Saw St. Augustine (Take 2)
3. All Along the Watchtower (Take 3)
4. John Wesley Harding (Take 1)
5. As I Went Out One Morning (Take 1)
6. I Pity the Poor Immigrant (Take 4)
7. I Am a Lonesome Hobo (Take 4)
8. I Threw It All Away (Take 1)
9. To Be Alone with You (Take 1)
10. Lay, Lady, Lay (Take 2)
11. One More Night (Take 2)
12. Western Road (Take 1)
13. Peggy Day (Take 1)
14. Tell Me That It Isn’t True (Take 2)
15. Country Pie (Take 2)

[CD2: All BD + JC]
1. I Still Miss Someone (Take 5)
2. Don’t Think Twice, It’s All Right / Understand Your Man (Rehearsal)
3. One Too Many Mornings (Take 3)
4. Mountain Dew (Take 1)
5. Mountain Dew (Take 2)
6. I Still Miss Someone (Take 2)
7. Careless Love (Take 1)
8. Matchbox (Take 1)
9. That’s All Right, Mama (Take 1)
10. Mystery Train / This Train Is Bound for Glory (Take 1)
11. Big River (Take 1)
12. Girl from the North Country (Rehearsal)
13. Girl from the North Country (Take 1)
14. I Walk the Line (Take 2)
15. Guess Things Happen That Way (Rehearsal)
16. Guess Things Happen That Way (Take 3)
17. Five Feet High and Rising (Take 1)
18. You Are My Sunshine (Take 1)
19. Ring of Fire (Take 1)

[CD3]
1. Studio Chatter by Bob Dylan & Johnny Cash
2. Wanted Man (Take 1) by Bob Dylan & Johnny Cash
3. Amen (Rehearsal) by Bob Dylan
4. Just a Closer Walk with Thee (Take 1) by Bob Dylan & Johnny Cash
5. Jimmie Rodgers Medley No. 1 (Take 1) by Bob Dylan & Johnny Cash
6. Jimmie Rodgers Medley No. 2 (Take 2) by Bob Dylan & Johnny Cash
7. I Threw It All Away (Live on The Johnny Cash Show) (Mono)
8. Living the Blues (Live on The Johnny Cash Show) (Mono)
9. Girl from the North Country (Live on The Johnny Cash Show) (Mono) by Bob Dylan & Johnny Cash
10. Ring of Fire (Outtake) by Bob Dylan
11. Folsom Prison Blues (Outtake) by Bob Dylan
12. Earl Scruggs Interview (Mono) by Bob Dylan with Earl Scruggs
13. East Virginia Blues (Mono) by Bob Dylan with Earl Scruggs
14. To Be Alone with You (Mono) by Bob Dylan with Earl Scruggs
15. Honey, Just Allow Me One More Chance (Mono) by Bob Dylan with Earl Scruggs
16. Nashville Skyline Rag by Earl Scruggs & Bob Dylan

bob dylan travelin' thru bootle series vol.15 3 lp

Per gli amanti del vinile, ci sarà anche una versione in triplo LP: per il momento è tutto, alla prossima.

Bruno Conti

Doobie Brothers 1969-2019, Cinquanta Anni Di Rock Classico Americano. Parte Seconda

My beautiful picture

doobie brothers 1978

Seconda parte.

220px-The_Doobie_Brothers_-_Stampede

Stampede – Warner Bros 1975 – ****

Un disco dove Baxter è ormai membro effettivo della band, ma tra gli ospiti appaiono nomi di spicco come Ry Cooder, Maria Muldaur, Bobbye Hall, Victor Feldman, e le due coriste Sherlie Matthews e Venetta Fields in una travolgente versione della hit Motown Take Me in Your Arms (Rock Me a Little While) scritta da Holland-Dozier-Holland per Kim Weston che, se mi passate il termine, viene “doobiezzata” da Tom Johnston, che la canta meravigliosamente e che include un assolo da urlo di Jeff Baxter. E come primo brano troviamo anche una rara collaborazione tra Johnston e Simmons nella splendida Sweet Maxine, un pezzo che rimanda al suono classico dei primi dischi della band con il valore aggiunto di Bill Payne al piano e di una sezione fiati non accreditata che aggiunge fascino all’insieme, mentre le chitarre all’unisono tornano a ruggire nel “potere del rock and roll”, come dice il testo.

Basterebbero questi due brani, ma ci sono anche Neal’s Fandango, dedicata al vecchio pard di Jack Kerouac Neal Cassady, una canzone che ricorda i Grateful Dead più gioiosi, con Baxter che se la batte alla steel con le chitarre impazzite di Johnston e Simmons, che musica ragazzi! Texas Lullaby è un country-rock alla Doobie Brothers, cioè splendido, Music Man galoppa come nella fuga precipitosa del titolo dell’album con le sue chitarre sfolgoranti e l’arrangiamento di fiati ed archi curato da Curtis Mayfield , e che dire della lunga e sofisticata I Cheat The Hangman che parte come una outtake di qualche brano di Crosby o dei Jefferson Starship di Grace Slick e Paul Kantner, con Maria Muldaur come voce femminile, un paio di trombe, archi, synth “umani” e un crescendo ispirato dalla Notte Sul Monte Calvo nel finale travolgente. E Ry Cooder ci regala un lavoro al bottleneck magistrale in Rainy Day Crossroad Blues. Il resto del disco non è da meno, uno dei loro migliori, ma ora che succede? Arrivano

Gli Anni Di Michael McDonald 1975-1982

220px-The_Doobie_Brothers_-_Takin'_It_to_the_Streets

Takin’ It To The Streets – Warner Bros 1976 – ***1/2

Invitato su suggerimento di Jeff “Skunk” Baxter, che aveva lavorato con lui negli Steely Dan, Michael McDonald dalla sera alla mattina, dopo un periodo di prova, diventa il nuovo cantante e autore principale della band, che però per me diventa un altro gruppo; rispettabile, con degli ottimi dischi, con il vocione baritonale del nostro in primo piano e uno stile che parafrasando il rockin’ country potremmo definire rockin’ soul. Il pubblico sembra gradire: Wheels Of Fortune, cantata in duetto da Simmons e Johnson è nel solito stile della band, magari più funky (rock), con  Richie Hayward dei Little Feat alla batteria, ma la title track è un’altra storia, non brutta, diversa, molto funky-soul diciamo, con i Memphis Horns ed i loro sax in evidenza, 8th Avenue Shuffle cantata in falsetto da Simmons, sembra quasi un pezzo di blue eyed soul alla Boz Scaggs, Losin’ End è una delle ballatone di McDonald, Rio conferma la svolta danzereccia di Simmons, It Keeps You Runnin’ è l’altra hit di McDonald, con Johnston che contribuisce al tutto con la discreta, ma tipicamente rock, Turn It Loose.

220px-The_Doobie_Brothers_-_Livin'_on_the_Fault_Line

Livin’ On The Fault Line – Warner Bros 1977 – ***

Tom Johnston a questo punto sparisce, ma sul finire del 1976 la Warner pubblica un Best Of The Doobies che nel corso degli anni finirà per vendere 10 milioni di copie, mentre il disco del 1977 non è un gran successo, infatti nessun brano entra nella top 40, benché il disco contenga il duetto You Belong To Me cantato con Carly Simon, anche se la versione di successo sarà quella reincisa da sola nel 1978 https://www.youtube.com/watch?v=ukkRG-flg20 .

220px-The_Doobie_Brothers_-_Minute_by_Minute

Minute By Minute – Warner Bros 1978 – ***1/2

A furia di insistere arriva alla fine il grande successo: Minute By Minute è il primo disco dei Doobie Brothers ad arrivare al primo posto delle classifiche americane, vendendo complessivamente oltre tre milioni di copie, ma a mio modesto parere più che un disco della band, al di là di 5 brani firmati da Simmons, comunque buoni, mi sembra più un disco solista di Michael McDonald accompagnato dai Doobie Brothers, tanto che dopo questo disco, pare a causa di dissapori proprio con McDonald, se ne andarono anche Baxter e il batterista originale John Hartman. Comunque per chi ama il genere, tra blue eyed soul , AOR di classe e pop raffinato, suonato e cantato benissimo, il disco si ascolta con piacere, anche se dei tre Dukes Of September, gli altri sono Fagen e Scaggs, McDonald è quello che amo di meno: in ogni caso What A Fool Believes e Minute By Minute, con Bill Payne al synth, e Dependin’ On You, cantata da Simmons, con il supporto di Rosemary Butler e Nicolette Larson, sono fior di canzoni https://www.youtube.com/watch?v=aiJfwXOwvUw , mentre Steamer Lane Breakdown, è uno strumentale country-bluegrass strepitoso con Norton Buffalo, Herb Pedersen e Byron Berline in azione https://www.youtube.com/watch?v=_EbBsNp9tbI .

Anche Johnston fa una ultima apparizione nel brano più rock del disco, una ottima Don’t Stop To Watch The Wheels e niente male anche Sweet Feelin’ un altro duetto con la Larson.

Il meglio (e il peggio) del resto – 1979- anni 2000.

220px-The_Doobie_Brothers_-_One_Step_Closer The_Doobie_Brothers_-_Farewell_Tour

Vediamo infine velocemente cosa succede dopo. Nel 1980 esce One Step Closer (**1/2), primo disco con John McFee alla chitarra e voce, ancora 3° posto e un milione di dischi venduti, però il brano firmato da McDonald con Paul Anka , Dedicate This Heart, non mi sembra molto rock e Real Love vira pericolosamente verso la disco lite. Nel 1982 Farewell Tour, doppio dal vivo pubblicato nel 1983, ancora una volta tutti insieme appassionatamente, anche Johnston che canta China Grove, Long Train Runnin’ e Slippery Saint Paul, un buon live anche se si poteva fare meglio, e poi in CD è uscito solo in Giappone. Dei vari LP dal vivo postumi forse meglio quello al Greek Theatre del 1982, uscito in CD nel 2011.

doobie brothers warner bros years 1971-1983 boxdoobie brothers original album seriesdoobie brothers original album series 2

Al solito anche i consigli per gli acquisti per chi fosse interessato riguardo a eventuali cofanetti: nel caso dei Doobie Brothers siamo messi piuttosto bene, perché la discografia della band californiana del periodo 1971-1983 è coperta da un box da 10 CD con tutti i dischi del periodo Warner, oppure da due cofanetti da 5 CD ciascuno con gli stessi album, tutti a prezzi decisamente bassi. E li vedete riportati qui sopra.

Mentre delle reunion in studio Cycles del 1989, il primo per la Capitol, con Johnston e Hartman di nuovo in formazione è un discreto disco (***), molto anni  ’90, Brotherhood del 1991 è decisamente peggio, sia a livello di critica che di vendite, per cui vengono cacciati dalla Capitol, genere: disco-rock?!? Tornano nel 2000 con Sibling Rivalry, un po’ meglio, qualche sprazzo di classe, ma giudizio critico sempre un bel “maah”? Nel 2010 per World Gone Crazy (***1/2) torna in cabina di regia il vecchio produttore Ted Templeman, Johnston, Simmons e McFee sono alla guida di una formazione a tre chitarre, un disco più che dignitoso e grintoso, l’ultimo con il batterista Michael Hossack che morirà per un cancro nel 2012, tra gli ospiti oltre all’immancabile e scatenato Bill Payne e a Norton Buffalo (appena scomparso nel 2009), ci sono anche Willie Nelson e Michael Mc Donald che duettano ciascuno in una canzone.

Nel 2014 una idea “geniale”, un intero disco Southbound (***1/2) dove i Doobie Brothers ripropongono in piacevoli versioni country, ma non solo, visto che il rock non manca, il meglio del loro repertorio in una serie di duetti con, tra gli altri, Zac Brown, Huey Lewis, Brad Paisley, Sara Evans, Toby Keith, Vince Gill. Il resto è storia recente: in questi giorni è uscito Live From The Beacon Theater, un eccellente triplo registrato nel 2018, 2 CD + DVD, di cui leggerete in altra parte del Blog, in cui la band ripropone per intero, ed in modo eccellente, Toulouse Street e The Captain And Me https://discoclub.myblog.it/2019/09/13/dopo-quasi-50-anni-ancora-insieme-per-un-concerto-esplosivo-doobie-brothers-live-from-the-beacon-theatre/ .

Anche per questa volta direi che è tutto.

Bruno Conti

Un “Piccolo” Grande Cantautore E Quattro Ristampe Per Ricordarlo. Steve Goodman – Artistic Hair/Affordable Art/Santa Ana Winds/Unfinished Business

steve goodman photo

Steve Goodman – Artistic Hair – Omnivore CD

Steve Goodman – Affordable Art – Omnivore CD

Steve Goodman – Santa Ana Winds – Omnivore CD

Steve Goodman – Unfinished Business – Omnivore CD

Oggi purtroppo in pochi si ricordano di Steve Goodman, bravissimo cantautore originario di Chicago che, dopo una decina di pregevoli album pubblicati tra gli anni settanta ed i primi anni ottanta, ci ha lasciato a soli trentasei anni a causa di una leucemia che lo aveva accompagnato per tutta la sua breve vita, fin dalla scoperta avvenuta a Chicago nel 1968, ma che non gli aveva impedito di sposarsi ed avere tre figlie, tanto che si faceva chiamare con il nomignolo di “Cool Hand Leuk”. Eppure molti di voi avranno ascoltato almeno una volta la splendida City Of New Orleans o nella rilettura di Arlo Guthrie o in quella di Willie Nelson (solo per citare le due più conosciute): ebbene, il brano in questione è stato scritto proprio da Goodman, anche se della sua versione originale del 1971 si ricordano in pochi. Questa è stata un po’ la storia della carriera di Steve, che ha attraversato i seventies ed i primi eighties in punta di piedi, con la massima discrezione, pubblicando ottimi dischi e scrivendo diverse bellissime canzoni, ma senza mai assaporare il successo in prima persona, se non già verso la fine dei suoi giorni quando compose Go Cubs Go, che divenne in breve tempo l’inno della squadra di baseball dei Chicago Cubs. Goodman era però molto stimato dai colleghi: grande amico del concittadino John Prine, che nel corso degli anni scrisse e cantò con lui più di una canzone, Steve aveva tra i suoi fans gente del calibro di Jimmy Buffett, che deve molto al suo stile scanzonato ed ironico e ha inciso più di un suo brano, tra cui Banana Republic (proprio quella tradotta in italiano da Dalla e De Gregori), Johnny Cash, Kris Kristofferson e perfino Bob Dylan, che addirittura nel 1972 si scomodò per partecipare nel secondo album Somebody Else’s Troubles, ai cori in un brano e al piano in due, sotto lo pseudonimo di .Robert Milkwood Thomas.

Oggi la benemerita Omnivore ristampa i quattro album finali della carriera di Steve, in eleganti edizioni in digipak, con nuove liner notes e, cosa più importante, diverse bonus tracks inedite; in realtà solo due di questi lavori furono pubblicati da Goodman quando era ancora in vita, cioè il live Artistic Hair ed Affordable Art, mentre Santa Ana Winds e Unfinished Business sono entrambi usciti postumi (ma mentre il primo era già pronto per essere immesso sul mercato, copertina compresa, il secondo è stato un lavoro di produzione fatto su pezzi lascati in un cassetto). Ed è un grande piacere ascoltare (o ri-ascoltare) questi album, in quanto ci mostrano un cantautore dal tocco gentile e raffinato, ma anche profondamente ironico e diretto (in questo aveva molto di Prine); Steve in quegli anni era in ottima forma, e questi album sono considerati (soprattutto Santa Ana Winds) tra i migliori della sua discografia: non nascondo che ascoltandoli ho provato una certa malinconia per il fatto che un talento simile ci sia stato portato via così presto. Ma andiamo ad esaminare nel dettaglio queste ristampe, cercando da parte mia di non nominare tutte le canzoni anche se lo meriterebbero.

steve goodman artistic hair

Artistic Hair (1983). Album dal vivo che riepilogava la carriera di Steve fino a quel momento. Registrato in varie location e con alle spalle una band perlopiù acustica, Artistic Hair ci mostra l’umiltà di Goodman, che nonostante fosse un songwriter di prima fascia nei suoi concerti suonava anche parecchie canzoni non sue. Così, vicino a classici autografi del calibro di City Of New Orleans (sempre un capolavoro), della splendida You Never Even Called Me By My Name (scritta con Prine e portata al successo nei settanta da David Allan Coe), il quasi rock’n’roll Elvis Imitators e l’applaudita Chicken Cordon Bleus, abbiamo proposte “alternative” come l’umoristica Let’s Have A Party di Carl Martin, il noto strumentale di origine brasiliana Tico Tico (pezzo di bravura di Jethro Burns al mandolino), una scherzosa rivisitazione del classico natalizio Winter Wonderland ed una più seria del traditional The Water Is Wide. Il tutto proposto in maniera coinvolgente da parte di un artista che sapeva stare sul palco e che era dotato di un senso dell’umorismo non comune.

Il CD presenta ben dieci bonus track, in pratica un altro live, che però non sono inedite in quanto incluse nel 1994 nell’antologia No Big Surprise, con titoli che sono già uno spasso da leggere (The I Don’t Know Where I’m Goin’ But I’m Goin’ Nowhere In A Hurry Blues, Wonderful World Of Sex, Men Who Love Women Who Love Men) ed ancora di più da ascoltare.

steve goodman affordable art

Affordable Art (1984). Un album riuscito e molto piacevole, con brani in studio intervallati da qualche episodio live. Proprio dal vivo sono i tre brani iniziali, acustici: If Jethro Were Here, un pregevole strumentale dal sapore vagamente irlandese, seguito dalla godibilissima Vegematic, dal testo umoristico che manda in visibilio il pubblico, e dalla splendida Old Smoothies, una vera delizia di canzone. Talk Backward è uno squisito pezzo ricco di swing con tanto di fiati, che dimostra la versatilità del nostro, capace anche di incursioni nel rock come nell’irresistibile How Much Tequila (Did I Drink Last Night?), brano scanzonato e ricco di ritmo nello stile di Buffett e scritto ancora a quattro mani con Prine. E l’amico John compare in duetto, due voci e due chitarre, in una limpida versione della sua Souvenirs (sempre un grande brano), mentre il country fa capolino nella scintillante When My Rowboat Comes In, che vede Marty Stuart al mandolino e Jerry Douglas al dobro.

Goodman era anche un grande appassionato di baseball, tifoso dei Chicago Cubs, e qui abbiamo ben tre pezzi a tema sportivo: una guizzante cover dello standard Take Me Out To The Ball Game, la spiritosa A Dying Cub’s Fan Last Request (dal titolo sinistramente premonitore) e, come prima bonus track, il già citato inno Go Cubs Go, che ancora oggi viene suonato allo stadio di Chicago quando i padroni di casa vincono. Alla fine le sto citando quasi tutte lo stesso, ma come faccio a non nominare la trascinante Watchin’ Joey Glow, brano tra folk e country che è anche uno dei più belli del CD? Sette le bonus tracks (otto con Go Cubs Go), tutti demo inediti per voce e chitarra tra i quali spiccano le versioni in studio di Vegematic e Old Smoothies ed una deliziosa e limpida cover di Streets Of London di Ralph McTell.

steve goodman santa ana winds

Santa Ana Winds (1984). Steve in quel periodo era anche prolifico, e Santa Ana Winds è un album stupendo, uno dei suoi migliori: peccato che quando uscì il suo autore non era già più tra noi. Accompagnato da una solida band con all’interno tra gli altri George Marinelli alla chitarra, Byron Berline al violino, Steve Fishell alla steel e Jim Rothermel al sax, il disco inizia con la splendida Face On The Cutting Room Floor, una squisita ballata, ariosa e limpida, scritta con Jeff Hanna e Jimmy Ibbotson della Nitty Gritty Dirt Band (e si sente) e con il contributo vocale di Kris Kristofferson, seguita dal travolgente country-rock Telephone Answering Tape, composto assieme a David Grisman e vera delizia per le orecchie. Altri brani degni di nota di un disco comunque senza sbavature sono la bellissima e toccante The One That Got Away, puro songwriting di alto livello, la coinvolgente Queen Of The Road, rara ma riuscita incursione del nostro nel rock’n’roll, la solare country ballad Fourteen Days, con Emmylou Harris ospite, la cadenzata e bluesata Hot Tub Refugee e la jazzata e raffinatissima title track.

Anche qui otto bonus tracks, di cui sei inedite (Where’s The Party e I Just Keep Falling In Love erano già uscite sulla già citata antologia del 1994): una più bella dell’altra, con menzioni speciali per la versione acustica e lenta di Telephone Answering Tape, forse anche più bella dell’originale, e per le elettriche Homo Sapiens e Outside Of Nashville.

steve goodman unfinished business

Unfinished Business (1987). Nell’ultimo periodo della sua vita Steve era diventato decisamente prolifico, e questa collezione di demo alla quale il produttore Peter Bunetta ha aggiunto varie sovrincisioni sembra proprio un disco fatto e finito, al punto che fruttò al suo autore un Grammy postumo.

Arrangiamenti rispettosi delle incisioni originali, come nella gradevole pop song d’apertura, Whispering Man, gentile e raffinata, o nell’irresistibile Mind Over Matter, tra swing e rock’n’roll (un piacere per le orecchie), o ancora nella deliziosa God Bless Our Mobile Home, splendida canzone dal sapore folk. Millie Make Some Chili è ancora uno spigliato e trascinante rockabilly, In Real Life è sofisticata ed elegante, mentre la rockeggiante Don’t Get Sand In It ha una melodia di quelle che piacciono al primo ascolto. Ben nove qui le bonus track (otto inedite), tutte voce e chitarra: splendida Don’t Get Sand In It anche senza band alle spalle e molto bella anche l’intensa You’re The Girl I Love.

Quattro ristampe che definirei quindi imperdibili, sia per la bontà delle canzoni presenti che per la quantità di inediti, che ci fanno riscoprire la figura di Steve Goodman, cantautore sfortunatissimo e colpevolmente sottovalutato.

Marco Verdi

Doobie Brothers 1969-2019, Cinquanta Anni Di Rock Classico Americano. Parte Prima

Doobie-Brothers 1971Doobie_Brothers_1972

Qualche giorno fa sul Blog avete letto del bellissimo live relativo al concerto dello scorso anno https://discoclub.myblog.it/2019/09/13/dopo-quasi-50-anni-ancora-insieme-per-un-concerto-esplosivo-doobie-brothers-live-from-the-beacon-theatre/ , da oggi, in due puntate, tracciamo al storia del gruppo californiano dalle origini ai giorni nostri.

Ecco la prima parte della storia dei Doobie Brothers.

Come per quasi tutte le grandi storie del rock, anche questa in effetti inizia un paio di anni prima della pubblicazione del primo album della band californiana, nel 1969. Il nucleo iniziale, ovvero Tom Johnston, cantante e chitarrista, e il batterista John Hartman (che arrivava dalla Virginia) reduce da un incontro con Skip Spence per una ipotetica reunion dei Moby Grape.  Spence comunque presentò Johnston a Hartman per quello che poi sarebbe stato appunto il nucleo dei Doobie Brothers, all’inizio un power trio che operava nell’area di San Josè, occasionalmente anche con una sezione fiati. Si sa che queste cose richiedono tempo, e colpi di fortuna, come la scelta del nome Doobie Brothers (su suggerimento di un amico della band, che propose questo nome, anche se “doobie” era un nome gergale per marijuana ) che fu adottato in attesa di trovare qualcosa di meglio, ma poi è rimasto negli anni. Nel frattempo nel gruppo era arrivato anche colui che sarebbe stato l’altro grande membro storico, ovvero Patrick Simmons, chitarrista e cantante, nativo di Washington, ma anche lui cresciuto nella zona di tra San José e Santa Cruz, oltre al primo bassista Dave Shogren, che completava il quartetto iniziale, quello che registrerà il primo album omonimo.

220px-The_Doobie_Brothers_-_The_Doobie_Brothers

The Doobie Brothers – Warner Bros 1971 – ***

Registrato tra il novembre e il dicembre del 1970, con due produttori da urlo come Lenny Waronker e Ted Templeman, il disco in effetti è abbastanza “strano”: un sound nella prima facciata molto acoustic oriented, che si staccava dall’immagine, tutta giacche di pelle e motociclette, e dal tono gagliardo delle esibizioni live, in cui soprattutto gli Hell’s Angels erano tra i loro fan più accaniti, e la band privilegiava un suono di stampo decisamente rock. Ma per l’occasione si decise di orientarsi verso un mix di chitarre acustiche, influenze country e quelle armonie vocali a tre parti, influenzate dal soul e dal gospel, oltre che dal country, che poi sono rimaste per sempre nel loro DNA.

Nobody, il primo singolo, che però fallì miseramente nelle classifiche, fu comunque un ottimo esempio di questo approccio, tanto da venire poi ripubblicato con successo nel 1974, e comunque nella seconda facciata del vecchio LP i Doobie di tanto in tanto iniziavano a fare ruggire le chitarre, come nella eccellente Feelin’ Down Farther che comincia ad introdurre quel  rock suadente e raffinato, molto “riffato” e con interventi ficcanti della solista di Johnston, come nella sinuosa e countryeggiante The Master, o nella vigorosa e bluesata Beehive State, una cover di Randy Newman con una bella coda della solista di Tom. Per il resto ci sono alcune similitudini con i primi CSN o i Grateful Dead acustici.

220px-The_Doobie_Brothers_-_Toulouse_Street

Toulouse Street – Warner Bros 1972 – ****

Ma l’anno successivo, dopo il rodaggio dei primi tour americani, e con l’ingresso in formazione del nuovo bassista Tiran Porter e del secondo batterista Michael Hossack, le cose si fanno serie. Il suono della doppia batteria e il basso rotondo di Porter, ottimo anche nei suoi interventi vocali, danno profondità e grinta al suono, in più Bill Payne (amico e collaboratore fin dagli inizi, poi quasi sempre presente negli anni a venire) aggiunge il tocco magistrale delle sue tastiere, che unito alla presenza di alcuni dei classici assoluti della band fanno sì che Toulouse Street sia uno tra i migliori esempi di rock californiano (e per estensione) americano.  Listen To The Music, un inno alla pace e alla gioia, è un brano godibilissimo, cantato da Johnston, con l’aiuto di Simmons nel bridge, un riff ascendente ed irresistibile, intrecci vocali sublimi, il tocco geniale del banjo, anche in phasing, fino al finale chitarristico che tuttora nei concerti è il tripudio conclusivo. Rockin’ Down The Highway è un’altra rock song formidabile a tutte chitarre, mentre la title track Toulouse Street, firmata da Simmons, e dedicata al quartiere francese di New Orleans, è una delicata ed intricata folk song di stampo tipicamente westcoastiano.

Cotton Mouth di Seals & Crofts e Don’t Start Me To Talkin’ di Sonny Boy Williamson prevedono l’uso dei fiati, nel primo caso in un brano solare quasi alla Jimmy Buffett primo periodo, nel secondo caso in un blues-rock molto allmaniano. Jesus Is Just Alright è l’altro grandissimo successo contenuto nell’album, un brano gospel  che riceve un trattamento sontuoso alla Doobie Brothers, con interscambi vocali e strumentali di grande pregio senza perdere quel tocco magico che la band aveva all’epoca, e senza dimenticare la piacevole ballata White Sun e la lunga Disciple dove il gruppo si rivela una macchina da guerra anche in quell’ambito rock a doppia chitarra che poi svilupperanno ulteriormente nel successivo The Captain And Me. Il disco arriva “solo” al 21° posto delle charts, ma vende da subito 2 milioni di copie e prepara la strada per

220px-The_Doobie_Brothers_-_The_Captain_and_Me

The Captain And Me – Warner Bros 1973 – ****

Prodotto come il precedente dall’ottimo Ted Templeman, che conferisce all’album un suono strepitoso. tanto che ne verrà realizzata anche una versione quadrafonica, il disco è passato alla storia (oltre che per una bella e suggestiva copertina) per i due singoli stupendi che per certi versi sono l’essenza del rock americano: Long Train Runnin’ e China Grove, entrambi scritti da Tom Johnston, con dei riff iniziali indimenticabili, poi rimasti fino ai giorni nostri nell’immaginario collettivo dell’air guitar davanti allo specchio di casa vostra, tutto è perfetto, dal giro di basso, al lavoro intrecciato della doppia batteria e della doppia chitarra, all’arrangiamento vocale, unito ad una grinta e ad una melodia impeccabili. Anche il resto dell’album, per usare un eufemismo, non è male: l’iniziale Natural Thing prende ispirazione dai Beatles, con synth e archi maneggiati con cura da Malcolm Cecil e Robert Margouleff, due geniali precursori di questo tipo di sonorità lavorate e complesse, che la coppia stava sperimentando all’epoca anche in un ambito soul con l’ispiratissimo Stevie Wonder di quegli anni, e deliziosi gli inserti delle due elettriche suonate all’unisono;

Dark Eyed Cajun Woman è un brano bluesato dove si apprezzano anche i contributi degli ospiti Bill Payne e del nuovo arrivato Jeff “Skunk” Baxter che libero dagli impegni con gli Steely Dan si aggiunge in pianta stabile alla formazione con la sua maestria a tutti i tipi di chitarra, soprattutto pedal e lap steel. Clear As The Driven Snow, di Simmons, fa un neppure troppo velato riferimento alle sostanze “ricreative” in uso dalla band, attraverso un’altra piccola perla acustica del loro songbook, che poi si anima in un finale chitarristico tiratissimo. Without You, firmata collettivamente da tutta la band, è una jam rock trasformata in canzone o viceversa, un omaggio al suono degli Who, potente ed irresistibile, con chitarre fiammeggianti, South City Midnight Lady, scritta da Simmons, è un’altra eccellente ballata con Skunk Baxter che nel finale si sbizzarrisce alla pedal steel, Evil Woman, evidentemente un titolo che piace, di nuovo di Simmons, vira ancora sul rock. Ukiah, preceduto dall’intermezzo per sola chitarra acustica Busted Down Around O’Connelley Corners, è un ulteriore esempio dell’impeccabile ispirazione che ha sostenuto la band in tutto l’album, come conferma anche la corale title track conclusiva. Un disco bellissimo che arriva al 7° posto delle classifiche e vende altre due milioni di copie, risentito oggi non ha perso un briciolo del suo fascino.

The_Doobie_Brothers_-_What_Were_Once_Vices_Are_Now_Habits

 What Were Once Vices Are Now Habits –Warner Bros 1974 – ***1/2

Squadra vincente non si cambia e anche il quarto album vende 2 milioni di copie arrivando fino al 4° posto: forse il disco è leggermente inferiore al precedente, niente mega successi direte voi? E invece si tratta del LP che contiene Black Water, il primo brano ad arrivare al numero 1 nei singoli USA, scritta da Patrick Simmons, anche in questo caso una canzone che parte da un riff iniziale, poi elaborato in una bellissima traccia ispirata dall’amore di Pat per la musica della Louisiana e da una notevole segmento cantato a cappella, oltre al tocco di classe della viola di Novi Novog. Bill Payne non manca nel disco, come pure Baxter, a cui si aggiungono Arlo Guthrie, i Memphis Horns, James Booker e Milt Holland.  Song To See You Through è un delizioso mid-tempo in puro stile soul proprio con i Memphis Horns, molto belle anche Spirit una bella country song elettroacustica di nuovo con la viola protagonista, il classico pezzo rock alla Doobies Pursuit On 53rd Street con fiati e Bill Payne in evidenza, e anche Eyes Of Silver è un gustoso brano tra errebì e rock, con la corale Road Angel di nuovo a tutto rock chitarristico.

In You Just Can’t Stop It Simmons prova anche la strada del funky, con chitarrine e fiati impazziti, poi ribadita da Pat nella malinconica Tell Me What You Want (And I’ll Give You What You Need) con Milt Holland alle percussioni e Baxter alla pedal steel ; Down in The Track, il brano con James Booker al piano, è un altro sapido esempio di rock guizzante quasi alla Little Feat, anche se non c’è Payne. Another Park, Another Sunday è un’altra occasione per la band e Templeman per esplorare interessanti soluzioni sonore, con le chitarre che vengono fatte passare attraverso i Leslie degli ampli con risultati suggestivi, in quello che doveva essere il lato A di Black Water e molto buono pure l’ultimo contributo di Simmons nella sinuosa Daughters Of The Sea. Alla fine del 1974 Tom Johnston comincia ad avere dei problemi di salute sia per la vita on the road che per altri Vizi, ma ci regala il suo ultimo lavoro di alta qualità prima dell’ingresso di Michael Mc Donald, con il brillante album successivo Stampede.

Fine della prima parte, segue.

Bruno Conti

Lo Springsteen Della Domenica: Un Boss “Diverso”, Ma Non Privo Di Sorprese! Bruce Springsteen – Bridge School 1986

bruce springsteen bridge school

Bruce Springsteen – Bridge School, October 13th 1986 – live.brucespringsteen.net/nugs.net CD – Download

Per la penultima uscita della serie di concerti d’archivio di Bruce Springsteen la scelta è caduta su uno show molto particolare, una performance rara e poco conosciuta anche dai collezionisti di bootleg del Boss. Sto parlando della partecipazione del nostro al primo Bridge School Benefit in assoluto, tenutosi nell’Ottobre del 1986 allo Shoreline Amphitheatre di Mountain View in California, serata organizzata da Neil Young con l’allora moglie Pegi per supportare la Bridge School, istituto che si occupa di aiutare i bambini disabili (ricordo che Neil ha due figli affetti da problemi cerebrali), una manifestazione che da allora si è ripetuta per quasi tutti gli anni fino al 2016 e che ha ospitato alcuni tra i migliori artisti del panorama internazionale in performance perlopiù acustiche. Inutile dire che Springsteen era uno degli artisti di punta della serata, ed il nostro ha ripagato il pubblico con una prestazione breve ma intensa (dieci canzoni per un totale di 58 minuti, finora l’unica uscita su singolo CD dell’intera serie dei Live Archives di Bruce), che tra l’altro era il suo primo show dopo la trionfale tournée di Born In The U.S.A., ed il suo primo set acustico degli anni ottanta.

L’inizio del breve concerto è abbastanza strano, con una You Can Look (But You Better Not Touch) cantata a cappella, non il primo brano di Bruce che mi verrebbe in mente per una esecuzione per sola voce (ed infatti il risultato non mi convince molto, anche se il pubblico apprezza). Born In The U.S.A. è in una irriconoscibile versione folk-blues, che se nei futuri tour acustici diventerà familiare, in questa serata del 1986 era alla prima performance in assoluto con questo arrangiamento. Al terzo brano la prima sorpresa, in quanto salgono sul palco Danny Federici alla fisarmonica e Nils Lofgren alla chitarra e seconda voce, e rimarranno fino alla fine: Seeds è più tranquilla rispetto alle versioni elettriche con la E Street Band ma sempre coinvolgente, Dartlington County è vivace anche in questa veste stripped-down, e Mansion On The Hill è come al solito davvero intensa e toccante. Fire è il consueto divertissement, con Bruce che stimola le reazioni del pubblico alternando ad arte stacchi e ripartenze, mentre sia Dancing In The Dark che Glory Days, spogliate dalle sonorità “ruspanti” di Born In The U.S.A., sembrano quasi due canzoni nuove (e la seconda è trascinante anche in questa versione “ridotta”).

Dopo una godibilissima Follow That Dream in chiave folk (brano di Elvis Presley tra i preferiti del nostro), gran finale con il Boss che viene raggiunto nientemeno che da Crosby, Stills, Nash & Young alle voci (Stills e Young anche alle chitarre) per una corale e splendida Hungry Heart, rilettura decisamente emozionante con l’accordion di Federici grande protagonista, degna conclusione di un set breve ma intrigante, le cui vendite frutteranno la cifra di due dollari a copia (o download) da destinare alla Bridge School. Squilli di tromba e rulli di tamburo per la prossima uscita della serie, che si occuperà di quella che è forse la performance più leggendaria di sempre del Boss. Un indizio? Trattasi di un vero “cavallo di battaglia”…

Marco Verdi

Non Sempre Il Detto “Less Is More” E’ Veritiero! Sam Baker – Horses And Stars

sam baker horses and stars

Sam Baker – Horses And Stars – BlueLimeStone CD

Primo disco dal vivo per il cantautore texano Sam Baker, titolare di cinque pregevoli album pubblicati tra il 2004 ed il 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/07/06/un-poeta-dalle-melodie-intense-prosegue-il-suo-cammino-sam-baker-land-of-doubt/ . Baker è un songwriter dalla vena poetica tenue, capace di costruire canzoni semplici e toccanti al tempo stesso, con pochi accordi ed il minimo indispensabile di strumenti, che però servono a dare più colore alle sue composizioni. In questo Horses And Stars (registrato a Buffalo, stato di New York, il 20 Luglio del 2018) Sam si presenta sul palco nudo e crudo, soltanto voce, chitarra (elettrica) e armonica solo in qualche brano, probabilmente per ragioni puramente economiche, e devo purtroppo constatare che in più di un momento il disco mostra la corda fino a lasciar affiorare un filo di noia. Baker non è in possesso di un range vocale particolarmente ampio, il suo modo di cantare assomiglia più ad un talkin’ ed è più monocorde anche di altri “parlatori” come Lou Reed e James McMurtry; pure come chitarrista il nostro è abbastanza nella media, e quindi alla fine molte canzoni finiscono per assomigliarsi tra loro. Sam non ha il passo del folksinger e possiede una vena di autore che gira intorno un po’ sempre agli stessi accordi: in poche parole è semplicemente un cantautore che non si può permettere di girare con una band, e questo a lungo andare nel CD si sente.

Non posso dire che Horses And Stars sia un brutto disco, ma non sarei sincero se non dicessi che in più di un momento provoca qualche sbadiglio. Boxes, che apre l’album, è una canzone splendida, una sorta di valzer texano che brilla anche in questa versione spoglia (e la voce calda ed arrochita di Sam è giusta per brani come questo), ma già Thursday, più parlata che altro, è di difficile assimilazione, ed anche la strascicata Angel Hair si ascolta piuttosto a fatica fino in fondo. Il disco non cambia passo, è costruito attorno a pezzi lenti tutti sulla medesima tonalità, e si segnalano solo le (poche) canzoni dotate di una melodia vera e propria, come Same Kind Of Blue, intensa ballata che sembra ispirarsi a certe cose di Springsteen https://www.youtube.com/watch?v=m2wbLS8sMik , la toccante Migrants, la tenue Waves, eseguita con buon pathos, e la deliziosa e quasi sussurrata Odessa, che inizia e finisce con due strofe prese dal traditional Hard Times. Anche Snow e Broken Fingers sarebbero due potenziali belle canzoni, ma l’arrangiamento ridotto all’osso non le fa risaltare come dovrebbero https://www.youtube.com/watch?v=Gh8sO5JPsbI .

Non cambio idea sul Sam Baker songwriter ed autore di buoni album incisi in studio, ma come performer dal vivo in “splendid isolation” mi sento di giudicarlo quantomeno rivedibile. *NDB Anche il fatto che Il CD non sia facilmente reperibile e piuttosto costoso forse incide sulla valutazione.

Marco Verdi