Dustin Welch – Amateur Theater – Super Rooster CD
Terzo album per Dustin Welch, singer-songwriter nato in Texas ma cresciuto a Nashville che non è altro che il figlio di Kevin Welch, musicista dalla lunga ed impeccabile carriera (e qui mi sono reso conto di quanto il tempo passi inesorabile, dato che ricordo come fosse ieri quando all’inizio degli anni novanta rimasi entusiasta dei primi due album di Kevin, Kevin Welch e Western Beat, ed ora mi trovo a recensire suo figlio). Dustin, che è cresciuto letteralmente a pane e musica, ha esordito nel 2009 con Whisky Priest, al quale ha dato seguito nel 2013 con Tijuana Bible: ora torna dopo ben sei anni di silenzio con questo Amateur Theater, e ci consegna quello che a tutti gli effetti è il suo disco migliore. Dustin evidentemente non è uno che ha fretta di incidere, ma preferisce lasciare crescere le canzoni dentro di lui ed andare in studio quando è veramente pronto; in questi sei anni poi è ulteriormente maturato, e Amateur Theater lo dimostra appieno racchiudendo in poco più di tre quarti d’ora tutte le sue influenze. Sì, perché Welch Jr. non è solo un cantautore con il country nelle vene come il padre (cosa che sarebbe peraltro ben accetta), ma il suo suono nasconde anche elementi rock, blues e perfino jazz, con momenti in cui sembra che la sua fonte di ispirazione principale sia addirittura Tom Waits.
Amateur Theater è quindi un lavoro creativo, nel quale vengono utilizzate anche strumentazioni non scontate, ed al quale hanno collaborato diversi artisti di nome: oltre al padre, che compare in più di un pezzo, troviamo infatti Cody Braun dei Reckless Kelly al violino, il bravissimo John Fullbright all’organo, Bukka Allen (figlio di Terry) al piano e Cary Ann Hearst, la metà femminile dei duo Shovels & Rope, alle backing vocals ed alla scrittura in un pezzo. L’inizio del disco, Stick To The Facts, è quasi spiazzante, con un’introduzione per quartetto d’archi che si trasforma in una rock song cadenzata e contraddistinta dalla voce quasi sgraziata (ma solo in questa canzone) di Dustin, davvero alla Waits: i violini non escono dal brano e fanno capolino qua e là, creando un effetto intrigante. Una tromba dal sapore jazzato introduce Forgotten Child, che nella melodia lascia intravedere tracce dello stile del genitore, anche se l’arrangiamento è quello di un brano urbano e notturno, a differenza di The Player che è rock al 100%, con ritmica pulsante ed uno sviluppo diretto e piacevole, nonostante una linea melodica complessa. Paranoid Heart è una tenue ballata, la prima decisamente da cantautore classico, con un bel accompagnamento basato su chitarra, dobro, piano ed organo ed un motivo molto bello (qui l’influenza del padre è abbastanza palese).
Dresden Snow è introdotta da un suggestivo coro e poi prosegue con il discorso da balladeer iniziato con il brano precedente, mentre Man Of Stone è una canzone attendista e con una certa tensione iniziale, alla quale la combinazione di chitarre, piano, violino e cello dona un sapore particolare. After The Music vede papà Kevin partecipare sia in qualità di autore (come nel pezzo precedente) che come chitarrista e voce di supporto, e non vorrei sembrare banale se dico che il brano, uno slow intenso e profondo, è tra i più riusciti del lavoro; Double Single Malt Scotch è diretta e discorsiva, con una bella apertura melodica favorita da un french horn, e precede la divertente Poster Child, pezzo che si avvicina a Waits non solo per la voce ma anche per l’atmosfera da cabaret mitteleuropeo. Finale con la potente Rock Hard Bottom, una sorta di boogie stralunato e sbilenco ma anche coinvolgente al massimo, la limpida Cannonball Girl, dal bellissimo refrain, e Far Horizon, che inizia come un brano folk d’altri tempi grazie all’uso di banjo e mandolino e poi man mano che prosegue si colora di elementi rock, con la ciliegina della voce solista di Kevin che duetta col figlio.
Sarebbe stato tutto sommato facile e poco rischioso per Dustin Welch seguire le orme musicali del padre, ma con Amateur Theater il ragazzo dimostra di avere personalità ed un proprio suono.
Marco Verdi